Due, tre, cinque, venti passi
Uno, due, tre, cinque, venti passi. Sinfonie d’universo, è quasi vivere. Giocare
ad infilare un metro dopo l’altro, mentre affondano i pensieri finalmente
liberi, che così liberi possono solo perdere di significato. Guardare i contorni
che sono più autentici, intensi da straziare, il fremere affannato dei respiri e
sfuma il calore della pelle, tutt’un tratto. Stordirsi, volersi muovere fino a
crollare.
Camminare più veloce e uno, due, tre, cinque, venti passi. Le ginocchia che si
piegano. Ed è così bello da piangere, mentre la terra si allontana e non c’è più
nulla per cui soffrire, perché è tutto così piccolo, è tutto così lontano e
siamo così veri da star male. Le nostre parole fiumi violenti, la nostra anima
riversa ai nostri piedi. Ascoltami solo quando siamo così, così poco fasulli.
Uno, due, tre, cinque, venti passi. Iniziare per anestetizzare, con le labbra
attorno al vetro caldo, fino a svenire tra le lenzuola sfatte. Continuare per
cancellare. Ricordi di stelle cadenti nel cielo d’estate, e poi mani estranee
che non hanno più amore, che fanno male. Ballare, ballare, la notte che
precipita furiosamente e fugge via, abbandonandoti per sempre tra le braccia di
un’alba che non ti vuole. Che non ti vuole.
Prati verdi da accecare, sguardi sconosciuti da raccogliere, una bellezza
straordinaria da sfoggiare. Sfiorisce, sfiorisce col sole. Non basta mai.
Ancora, e ancora, fino a vorticare. Danze di pioggia nella sabbia, fuochi,
menzogne raccontate come fiabe. Se fosse per sempre sarebbe morire. Morire.
Chiudere gli occhi è precipitare. Scale e punte e rupi di spirali. Affogare. La
felicità si sparge sull’asfalto, spira. Ancora uno, due, tre, cinque, venti
passi. Spira.
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