Capodanno
Attorno a me, una gran folla di sconosciuti sta brindando al
nuovo anno, sollevando calici di champagne e abbracciandosi l'un
l'altro con grida entusiaste. Il rumore, a cui non sono abituato, mi
stordisce e continuo a guardarmi attorno alla ricerca dell'unica
persona per cui sono venuto qui. Teso come una corda di violino, giro
su me stesso. Nessuno fa caso alla mia agitazione e scorgo coppiette
che si scambiano il primo, appassionato bacio dell'anno, amiche che
continuano ad abbracciarsi saltellando, un paio di persone che, con
l'orecchio appiccicato al cellulare, cercano di chiamare chi non
è qui per farsi gli auguri, due fidanzati evidentemente sul
punto di rottura che si urlano addosso qualcosa che si disperde tra le
note degli ultimi successi musicali...
Poi vedo Lei,
la bellissima.
Torno calmo mentre osservo sorridendo la sua fluente chioma rossa, le
labbra belle e carnose, gli occhi azzurri pieni di vita e tutto sembra
fermarsi.
Provo un'ondata di felicità nel vedere che si sta
riprendendo, seppur lentamente, da quella brutta esperienza.
Francesca si volta, fa un grande sorriso con gli occhi che luccicano e
si incammina nella mia direzione: indossa un elegante abito blu e si
è passata un leggero strato di trucco sul suo dolce viso.
Sta tornando quella di sempre, non c'è dubbio, e a vederla
così non si direbbe che ha passato un periodo terribile,
pieno di incertezze...
È già passato un anno da quell'orribile giorno
che ha cambiato le nostre vite.
All'epoca, avevamo diciassette anni e lei era la stella della scuola,
la più bella, la più guardata. Stava con un altro
dei ragazzi più popolari della scuola, un campione di non so
quale sport, muscoloso, forte, atletico, il classico tipo che fa
surriscaldare le adolescenti e manda in bestia i maschi normali.
Sin dal primo anno, avevo sospirato guardandola e provato invidia per i
suoi vari ragazzi. Patetico, lo so. Sapevo di non avere speranze con
lei e non volevo nemmeno scoprire che magari lei era superficiale come
molte delle ragazze che andavano di moda nella mia scuola. Doppiamente
patetico.
Poi, al penultimo anno, dopo ormai trentasei mesi che stavano insieme,
la storia tra lei e il Superpalestrato finì. Sapevo da vari
pettegolezzi che lui l'aveva tradita un po' di volte e sembrava che
fosse finito in un brutto giro, per cui fu quasi un sollievo sapere che
l'aveva lasciato.
Quasi.
Non ero affatto sollevato quando la vedevo triste e sola, o quando il
Superpalestrato cercava di avvicinarla ancora, ma lei sembrava
più forte di ciò che pensavo.
A quei tempi il sabato e la domenica lavoravo in un bar, per mettere da
parte dei soldi per il viaggio del dopo-Maturità. Lo so, ero
in anticipo di un anno, ma ritenevo che fosse meglio mettermi avanti.
Rimasi stupito nel vedermela arrivare tutta sola, il sabato pomeriggio,
e sedersi al bancone. C'eravamo parlati sì e no tre volte,
con frasi tipo 'Ti è caduta una penna', e un giorno le avevo
passato gli appunti, quindi non mi aspettavo che si ricordasse di me,
invece mi sorprese quando, dopo lo stupore iniziale di trovarmi
lì, sorrise e mi salutò chiamandomi per nome.
Per qualche settimana, quella fu la nostra routine: veniva a trovarmi
al bar e parlavamo, a volte anche per ore, se non c'erano troppi
clienti. Scoprii che non era per niente un'oca come temevo, era una
persona autentica e dolce; forse non era una cima in matematica, ma
aveva dei sentimenti e rispettava quelli degli altri. Mi
raccontò molto di lei, della sua infanzia piena di sogni,
della perdita della nonna, di quella volta che era caduta da cavallo...
Anch'io mi aprii con lei, raccontandogli la mia vita.
In poco, i pettegolezzi a scuola non parlavano d'altro che della coppia
impossibile, la star e il ragazzo sconosciuto. Noi non li ascoltavamo
nemmeno, e i nostri appuntamenti si ripetevano con le stesse
modalità, senza che mettessimo in chiaro nulla di ufficiale.
Mi ricordo che faceva freddo, quel sabato sera di inizio inverno.
Francesca mi aveva appena salutato ed era uscita per tornare a casa. Io
stavo finendo di servire due clienti molto esigenti, ma sentivo una
strana inquietudine mentre posavo gli aperitivi sul tavolo.
Poi le avevo sentite, due grida, uno furibondo, l'altro terrorizzato.
Senza pensarci due volte, tra i richiami scocciati degli avventori, ero
corso fuori, fregandomene di tutto il resto, perché avevo
riconosciuto entrambe le voci.
Li trovai in una stradina lì vicino.
Francesca si era schiacciata con la schiena contro la parete e fissava
sconvolta il suo ex che le inveiva contro, in modo così
violento che pensai che sarebbe arrivato a tutto.
Prima che potessi muovermi la colpì con uno schiaffo tanto
forte da farla cadere, poi cominciò a picchiarla con calci e
pugni.
Con il cuore in gola, mi gettai su di lui per fermarlo, diventando il
suo nuovo punching-ball. Opposi strenua resistenza mentre lei urlava, e
quelle grida erano il suono peggiore che avessi mai sentito. Il mio
migliore amico, successivamente, mi avrebbe chiesto se ne era valsa la
pena.
Quando la polizia intervenne, Francesca era sotto shock e nessuno
riuscì a calmarla.
Iniziò un lungo periodo di disperazione e di paura cieca,
per Francesca, periodo durante il quale non faceva altro che piangere e
chiedermi perdono in tutti i modi. Io cercavo di dirle che non era
colpa sua, che non doveva avere più terrore ad uscire di
casa, perché il nostro aggressore era stato fermato, ma lei
non mi ascoltava, lasciandomi in un abisso di preoccupazioni.
In certi momenti temevo che Giorgio avesse ragione, che non ne fosse
valsa la pena... Ma dopo la speranza tornava, perché molti
le stavano accanto, insieme a me.
È stato un percorso lungo, irto di ostacoli, ma ora,
guardandola così bella e sgargiante mentre avanza con la sua
ritrovata sicurezza, sono felice.
Francesca è ormai a mezzo metro da me, ma non si ferma; mi
supera, con un sorriso sempre più ampio. “Sei
arrivato, finalmente” la sento mormorare.
Mi volto, l'espressione appena più amara, e la vedo
abbracciare uno spilungone moro, che ricambia la stretta, poi la bacia
delicatamente.
È già passato un anno dal giorno della mia morte.
Nel momento in cui vidi apparire il coltello, capii che era la fine.
Quando la polizia intervenne, era già troppo tardi... le mie
ferite erano troppo profonde e Francesca era lì, accanto a
me, che mi stringeva la mano pregandomi di resistere.
L'ho vista distruggersi per il dolore, sprofondare in depressione senza
che nessuno riuscisse a riscuoterla.. Nessuno, tranne il ragazzo che
ora sta stringendo.
Lui è stato una benedizione per Francesca, l'ha aiutata
più di chiunque altro. Anche se all'inizio ero piuttosto
diffidente e geloso, mi rendo conto che senza di lui non ce l'avremmo
fatta.
Era terribile sentirla piangere e non poter far nulla per aiutarla,
perché non potevo comunicare con lei... la cosa peggiore, il
senso di impotenza... temevo di aver fallito, di non averla salvata,
poi sono riuscito a farli incontrare, per caso, in una libreria, in una
delle poche occasioni in cui usciva di casa.
La mia quasi ragazza e il mio migliore amico.
Uniti dal mio ricordo, ma anche da un profondo sentimento,
più profondo forse di quello che la legava a me.
Continua a tornarmi in mente la frase di Giorgio di fronte alla mia
tomba, un anno fa: “Ne è valsa la pena?”
Ora ne sono sicuro: la risposta è sì.
Spazio autrice.
Allora, che ne pensate?
L'ho scritta praticamente di getto, ce l'avevo in mente da tempo e
quando ho cominciato a scrivere l'ho terminata in dieci minuti.
mi piacerebbe sapere se
vi è piaciuta o meno, quindi, mi raccomando, commentate!
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