All
night long
* 22.15 *
“Non hai idea di
chi ti sei messo contro, ragazzo”
- Sei tornata, finalmente!
Ero in procinto di venire a ripescarti io, bambolina -
Socchiusi gli occhi,
fissando il sorriso splendente di Edward: ah, no… così non andava proprio
bene: tu come mi avresti chiamata? Bambolina, forse?!
Sorrisi anch’io,
sadica, ricambiando falsamente la sua allegria.
Stava fingendo, no? Fingendo
di essere contento di vedermi…
… fingendo di aver
dimenticato che pochi minuti prima gli stavo urlando contro…
… fingendo che non
fosse successo nulla…
Non era così.
Io avevo urlato. Contro di
lui. E lui ero sposato.
Certo lo ero anche io e non
era un particolare irrilevante, ma quello era un dato oggettivo che in quel
momento non ero minimamente in grado di realizzare.
Sembrava quasi che Mike non
esistesse più mentre ero con lui.
Sembrava che non fosse mai
esistito o meglio desideravo inconsciamente che non fosse mai esistito.
Eppure Edward era sposato e
questo avrebbe dovuto precludermi qualsiasi sbaglio: io con lui non avrei
dovuto averci niente a che fare, assolutamente e categoricamente niente.
E se uscendo dal bagno mi
ero decisa a continuare la serata, come niente fosse, fingendomi sposata con
quella gran specie di stronzo… vedendolo era cambiato tutto.
Non potevo ignorare i
sentimenti contrastanti e per lo più ancora sconosciuti che mi tormentavano.
Certo non riuscivo ad
identificarli, ma erano sentimenti: potenti, trascinatori, ed era troppo che
non li provavo per davvero.
Mi sentivo finalmente viva.
E poi lui se ne era uscito
con… bambolina!
“Vuoi la guerra,
cucciolotto? E guerra sia”
- Perdonami trottolino,
prometto che non ti lascerò più solo -
Osservai compiaciuta la sua
espressione sorpresa, ignorando il silenzio appena calato sul tavolo.
Lui si avvicinò cautamente
con la sedia alla mia e io non feci niente per allontanarmi.
Con un braccio mi circondò
le spalle e piegando la testa vicino al mio collo sussurrò:
- Ho come avvertito un
po’ di acidità nel tuo tono, micetta -
Annuii impercettibilmente,
poggiando la mia mano sulla sua coscia: sentii un tremito percorrerlo e attesi
qualche secondo prima di rispondergli, sussurrando come lui.
- Ma che dici? Sono
rilassatissima: la perfetta e dolce mogliettina. Non trovi, cucciolotto? -
Avevo parlato piano,
scandendo ogni parola, sorridendo ed accarezzandogli al contempo la gamba: dal
ginocchio alla cintura, facendogli appena sentire i polpastrelli, leggeri e
veloci.
Lui non fiatò: non subito.
Sembrò quasi che stesse
trattenendo il respiro.
Di colpo mi bloccò la mano,
fermando il mio polso e tenendolo ben stretto:
- Non chiamarmi cucciolotto
-
Sollevai le sopracciglia,
fingendomi stranita per quella sua reazione.
Non era dovuta al nome, ne
ero sicura, quanto alla carezza: e quella consapevolezza mi diede la forza di
continuare il gioco, rispondendogli per tono.
- E perché mai? Non ti
piace? Eppure mi è sembrato che fossi stato tu ad iniziare… bambolotto -
Osservai il suo viso,
compiaciuta di me stessa: non mi ero mai considerata una persona combattiva,
vendicatrice… di solito tentavo di non pestare mai i piedi a nessuno:
seguivo il detto “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a
te”
Eppure ora, ora niente aveva
più senso.
Non stavo seguendo un piano,
non stavo pensando razionalmente.
Mi sentivo viva: una tigre
affamata.
E lui era la preda.
Edward mi fissò,
socchiudendo gli occhi, per poi lasciar andare il polso e sorridermi
candidamente.
- Hai ragione, chiamami
anche cucciolotto se ti va -
Contenni a stento la
sorpresa: si arrendeva? Si era già arreso?!
Deponeva così le armi?
Ma no! Non era giusto, non
poteva tirarmi un tiro tanto brutto: cos’è già mi conosceva a tal punto?
Già aveva capito che se lui non avesse lottato, avrei smesso anche io?
Sbuffai, cercando con tutta
me stessa di non cedere a quel sorriso. No. No, che non mi sarei arresa.
- Vino, tesoro? -
Sorrisi, sadica, sperando di
aver preso una buona decisione.
Sperando che non me ne sarei
pentita.
Mi voltai, con la bottiglia
di vino in mano, pronta ad incontrare lo sguardo di lui.
Indugiava, indeciso su cosa
rispondermi. Indeciso se rispondermi o meno.
E io sorrisi ancor di più,
inarcando un sopracciglio:
- Non ti va, amorino? Forse
non ti fidi di me? –
Qualcosa cominciò a farmi male
dentro, qualcosa che mi sembrava essere molto vicino alla zona del cuore.
Possibile? Possibile che già mi sentissi in colpa.
Certo che sì, mi risposi.
Perché? Perché sapevo di
star sbagliando.
- Sì, un po’ lo
accetto volentieri -
- Come? –
Sgranai gli occhi, fissando
i suoi disorientata. Cos’è che aveva detto?
Che voleva un po’ di
vino?
Scherzava, forse?
Fui io a tentennare questa
volta, non credendo a ciò che aveva detto. E lui mi venne in soccorso,
gentiluomo come sempre: strinse delicatamente la sua mano sulla mia e avvicinò
la bottiglia al suo bicchiere, versando piano.
Continuavamo a guardarci,
sfidandoci silenziosamente con gli occhi.
Quando tornammo a guardare
il bicchiere era ormai pieno fino all’orlo: ci fermammo insieme,
ritraendo la bottiglia e posandola al suo posto.
- Non devi se… -
Ecco che tornavo in me, mi
dissi.
Già pentita e spaventata
dalle mie azioni. Lui mi sorrise, scuotendo piano la testa.
Afferrò il bicchiere,
stringendolo fra le dita.
- Mi fido -
Non aveva nemmeno finito di
dirlo che portò il bicchiere alle labbra, svuotandolo tutto d’un fiato.
A stento mi trattenni dallo
spalancare la bocca.
Lo aveva fatto davvero:
aveva vuotato il bicchiere.
Lo aveva fatto.
Per me.
Aveva detto che si fidava,
di me. Perché?
Sentii le lacrime salirmi
agli occhi e smisi di guardarlo. Mi faceva troppo male.
Una ridda di sentimenti mi
stava invadendo: rabbia, amore, desiderio, sorpresa… ed era per lui.
Sperando di distrarmi avevo
cominciato a guardare i nostri vicini di tavolo e fu in quel momento che mi
resi conto della tensione che aleggiava su tutti: evitavano di guardarci negli
occhi, scambiandosi solo brevi parole.
A quanto pareva si erano
accorti tutti che qualcosa non andava.
E come biasimarli?
Inghiottii a vuoto, allungando
una mano tremante verso la bottiglia di vino.
Cosa dovevo fare?
Mi sentivo persa, totalmente
persa. Alla deriva.
- Balliamo? Ti prego -
Era stato un sussurro e lo
avevo a mala pena sentito: il suo fiato caldo mi aveva accarezzato il collo,
facendomi rabbrividire.
Come si faceva… come
si poteva dire di no a lui?
Senza rispondere mi alzai,
stringendo la mano che mi porgeva e seguendolo.
Senza guardarlo negli occhi.
Arrivammo al centro della
pista: era vuota. Non c’era nessuno a parte noi: tutti erano seduti ai
tavoli, in attesa dell’arrivo dei secondi piatti che era imminente.
Per qualche attimo fui presa
dalla foga di scappare, di sottrarmi subito a tutti quegli occhi che mi
fissavano sorpresi e curiosi. Feci anche per arretrare, diretta alla porta che
in quel momento mi attraeva più di quella del paradiso. Non riuscii a muovere
un passo, però.
La musica prese a suonare,
avvolgendo con noti dolci e trascinanti la sala.
Era una canzone che
conoscevo: la canzone che per il resto della vita avrei continuato ad amare ed
odiare incondizionatamente.
In the Arms of an Angel.
Struggente.
O almeno lo era in quel
momento: quando mi sembrava di non riuscire più a capire niente. Quando
l’unica cosa di cui ero certa, su cui riuscivo a contare, che mi sembrava
reale, era lui.
Mi aveva tirata a sé,
aumentando la presa sulla mia mano e stringendomi i fianchi con il
braccio.
Sollevai il viso e trovai il
suo.
A pochi centimetri dal mio:
a meno di un respiro da me.
Avvampai, riuscendo a stento
a respirare.
E lui sorrise, complicandomi
l’impresa. Sorrisi anche io, incapace di non farlo.
Era bellissimo ed era lì con
me.
Non mi importava altro.
Sollevai un braccio e lo
portai dietro il suo collo, poggiandomi a lui per rimanere in piedi.
Era il mio sostegno, forte e
luminoso. Non avrei potuto desiderare di più.
Quando piegò il viso verso
di me, un brivido riuscì a farmi tremare tutta. E dimenticai…
Dimenticai ogni cosa: gli
sguardi attorno a noi, la telefonata, le fedi, i battibecchi.
Non esisteva altro che lui
in quel momento.
Il suo viso, i suoi occhi,
il suo sorriso. Lui. Lui che mi stringeva.
Lui che mi stava facendo
ballare.
Lui che si fidava di me.
Lui che mi sorrideva.
E sentii gli occhi che mi si
inumidivano mentre piegato su di me, avvicinava le sue labbra alle mie.
- Pace? –
Sfiorai il suo naso con il
mio, godendo di quel contatto.
Mi persi nei suoi occhi,
convincendomi in quel momento che non avevo bisogno di altro.
A rispondergli fu il mio cuore.
- Pace –
*
Salve ! ^^
Tanto per cominciare, buon luglio a tutti! E
con questo è inteso anche buone vacanza, buon bagno, buon sole e tutti gli
annessi e connessi!
Mi sembra, sempre che non sbaglio (colpa del
sole) di avervi già parlato del mio confinamento in un paesino sperduto…
Ora come ora, sono ancora lì!
Non andate in ansia per me =D è oltremodo
divertente ritrovarsi a socializzare con quelli del luogo, stando qui però
c’è un lato oscuro della medaglia…
Niente Internet.
Niente connessione sta a significare niente
efp e quindi niente aggiornamenti.
E’ orrendo quello che vi sto facendo
lo so, proprio per questo avendo a disposizione solo pochi minuti mi sono
premurata di aggiornarvi almeno di un capitolo tutte le storie.
Per chi ne segue più di una, spero di aver
fatto bene, di non aver deluso nessuno.
E per chi ne segue solo una in particolare,
bè non so che dire: io di più non posso fare in questo momento… perché
non fate un azzardo allora e finito il capitolo non ne provate qualcun'altra di
storia? C’è la ben remota possibilità che vi vada a genio ^^
Lasciandovi, posso solo assicurarvi che
appena ho un minuto libero lo passo scrivendo.
Un bacione a tutti!