Maschere
Camminava sicuro il Gran
Sacerdote, avvolto nel suo manto regale tessuto con la seta
più fine, dai ricchi ricami dorati, dalla finitura sontuosa
ed elegante, pregno del suo mistico e assoluto potere...degno della
carica che era sua, che gli apparteneva, ora e per sempre.
Camminava solo lungo il
corridoio della Tredicesima Casa Saga, solo come sempre sarebbe stato
da quel momento in poi, con la sua follia, il suo dolore muto che non
trovava pace, il suo orgoglio beffardo che di lui stesso rideva.
I passi risuonavano sordi
nella sala, nel silenzio dei suoi respiri, tra le urla dell'anima di
Saga che sotto la maschera di Arles veniva soffocata, inesorabilmente
ad ogni secondo che passava, sempre più ad ogni attimo che
il Demone passava vigile e sveglio.
Sempre più
vicino, passo dopo passo, al trono che aveva tanto bramato, al trono
dove ora agognava di sedersi, che da sotto il Ferro e la Seta nel quale
era avvolto sembrava così bello, così potente,
così vicino da essere ormai solo questioni di secondi il
poter finalmente appropriarsene.
Maschera.
Pesante come il piombo.
Ma più
desiderata della pioggia d'estate.
Maschera che assicurava
il suo potere, potere che più nessuno si sarebbe azzardato a
togliergli, potere che con il sangue e l'omicidio aveva reso suo per
tutti gli anni avvenire.
Maschera che gli impediva
di essere toccato dal Sole, dalla luce che un tempo aveva tanto amato,
che lo isolava da tutto e tutti.
Perché?
Il
Sole...dov'è il Sole?
Morto.
L'hai ucciso.
Il Sole non c'era
più.
Il Sole era morto,
distrutto, ucciso dalle sue stesse mani.
I suoi raggi rifuggivano
dall'omicida, schernendolo da lontano, dalle luminose finestre che
rispecchiavano il giorno appena sorto, il giorno che festeggiava il suo
trionfo ma che aveva il sapore dolce amaro del sangue appena versato.
Presto i Cavalieri si
sarebbero svegliati, destati dai loro sonni ristoratori, o congedati
dai propri compiti notturni...e presto sarebbero giunti a festeggiare,
a urlare di giubilo per lui, Arles, nuovo Grande Sacerdote che prendeva
possesso della Tredicesima Casa, e dando inconsapevolmente, nel
silenzio dei lori cuori, l'estremo addio a Saga, il Cavaliere che era
stato.
A confermare il suo
potere.
A piangere il suo eterno
esilio.
Tutti i Cavalieri, tranne
colui che era il più importante.
Perché?
Aiolos...dov'è
Aiolos?
Morto.
L'hai ucciso.
Aiolos non c'era
più.
Aiolos era morto,
distrutto, ucciso dalle sue mani.
Aiolos, che era stato il
Sole almeno quanto lui era stato la Luna, che risplendeva nella sua
raggiante beltà e nella sua dolcezza mentre insegnava ai
giovani Cavalieri che presto avrebbero occupato le Dodici Case assieme
a loro, il cui sorriso così sincero e pieno di fede aveva
saputo far vacillare anche la distante e fredda scorza di Gemini, aveva
saputo farlo sorridere per la prima volta dopo tanto tempo.
Aveva saputo farlo
innamorare.
Si fermò Arles
in mezzo al corridoio, allungando la mano guantata verso la colonna
alla sua destra, carezzandola come se fosse viva, come se fosse
importante...perché era importante, era tutto ciò
che gli era rimasto.
Freddo e duro marmo.
Il Grande Tempio.
Il Potere nel nome del
quale aveva distrutto chi più amava.
Menti.
Devi mentire.
Io non mento.
Lo sai. C'eri.
Ricordava, Saga.
Ricordava quella notte
ancora troppa vicina, la notte che aveva smesso di esistere per
davvero, la notte in cui gli Inganni che aveva intessuto gli si erano
infine rivoltati contro, la notte in cui il Demone aveva finalmente
vinto, strappandogli le ultime vestigia della sua umanità.
Ricordava la mano
tremante che stringeva il pugnale, che esitante calava quell'arma sulla
piccola Athena indifesa che dormiva nella culla. Ricordava la mano di
Aiolos, più che mai decisa nel fermare quel gesto insulso, e
i suoi occhi, colmi di angoscia e di delusione quando aveva incontrato
i suoi, dopo che la Maschera era finalmente caduta. Ricordava che
avrebbe voluto piangere, implorare il suo perdono, chiedergli di non
odiarlo, ma di amarlo ancora, di redimere in qualche modo quel suo
folle gesto con un bacio, con un abbraccio, anche solo con una parola.
Ricordava, Arles.
Ricordava quella notte
vittoriosa, la notte da cui tutto era veramente cominciato, la notte
che si era liberato di quel peso che lo opprimeva, che lo soffocava nei
suoi intenti, la notte che finalmente i suoi Inganni avevano vinto.
Ricordava la brama di
sangue che lo pervadeva mentre il suo pugnale ricercava le teneri carne
della piccola Athena, l'odore intenso del sangue di Aiolos ferito nel
tentare di fermare la sua mano, i suoi occhi spaventati quando aveva
visto, quando aveva capito, che il volto di colui che si nascondeva
sotto la Maschera, era il volto da lui più amato. Ricordava
di aver riso vittorioso, e le sue parole di condanna quando Aiolos era
fuggito con la bambina e le Sacre Vestigia del Sagittario.
Ricordavano l'Angelo e il
Demone.
Riprese a camminare
Arles, lentamente, riportando gli occhi schermati dalla Maschera che
mai più avrebbe tolto verso il trono, oggetto del suo
desiderio, che ammaliante lo attirava come una calamita.
Non vi era paura, non vi
era esitazione.
Era soffocata.
Lo amavo.
Non volevo ucciderlo...
Lo amavi.
Per questo dovevo
ucciderlo...
Cos'era più
terribile?
Il non saper se odiare o
amare?
O il non voler uccidere
pur desiderandolo incommensurabilmente?
Uccidere chi ami.
Vedere il Potere e non prenderlo.
Era necessario per
ottenere quello che voleva.
Era Aiolos il grande
ostacolo.
Perché Aiolos
era stato scelto al posto suo, per il suo cuore puro e incontaminato,
per le sue molteplici abilità, per la sua fede incrollabile,
per il suo valore e la sua forza d'animo, per le sensazioni che
suscitava in chi gli stava accanto...perché tutti, nessuno
escluso, avevano amato Aiolos, almeno un pochino.
Per tutto quello che in
lui aveva sempre amato.
Per tutto quello che in
lui aveva sempre odiato.
E continuava a camminare.
Verso l'unico obiettivo
che ormai pareva avere un senso, ascoltando i suoi passi solitari nel
silenzio della Stanza, ascoltando le voci ovattate che provenivano al
di fuori del tempio...mancava poco, molto poco prima di poter toccare,
stringere, godere dell'amato trofeo.
Mi hai tolto tutto...
Ti ho dato tutto...
Non consolavano i ricordi.
Ricordi di una
fanciullezza passata insieme, tra risa e allenamenti, di un
'adolescenza che li aveva visti prima amici per la pelle, e poi
innamorati per la vita, di un futuro insieme da adulti che si
presentava radioso, nell'amore che tra loro incorreva, e
nell'incrollabile fede in Athena che guidava le loro azioni.
Ricordi di Saga e Aiolos.
Di una mano tesa in una
notte di primavera, dalla finestra che dava sul giardino della Casa di
Gemini, di un ragazzo castano che non faceva altro che sorridergli, di
una voce piena di passione che nella notte sussurrava “Oh
Saga, io sono qui perché ti amo...e tu sai perché
sei lì?” e dell'altra che rispondeva
“Sono qui perché non mi hai ancora dato il tempo
di scendere...aspettami”.
Aveva aspettato Aiolos.
Ma per poco.
Perché nemmeno
a Saga piaceva essere dov'era senza di lui...perché anche
Saga era bruciato dagli stessi sentimenti...perché Saga
voleva disperatamente appartenergli.
E gli era appartenuto.
Si erano appartenuti.
In una notte di
primavera, a testimonio le stelle e la luna, avevano consumato quel
dolce amore che fino allora li aveva semplicemente cullati, ma che ora
sbocciava, promettendo essere forte e intenso, perfetto e colorato come
i petali di una rosa.
Erano inutili i ricordi.
Ricordi di tempo perso a
giocare a fare i grandi amici e cavalieri, momenti di stupido
sentimentalismo che non poteva permettersi, crescente di inutili
speranze che non facevano altro che alimentare la sua metà
sciocca.
Ricordi che Arles
detestava.
Di un ragazzo che aveva
minato alla sua forza, di un paio d'occhi scuri che lo avevano
osservato troppo a lungo, di labbra che lo avevano contaminato di un
sentimento che con il sangue aveva estirpato dal proprio cuore, di mani
che avevano saputo accenderlo di passione proibita, di un corpo che lo
aveva sottomesso alla propria volontà.
Di una notte in cui aveva
capito, che niente a mondo sarebbe mai stato abbastanza forte per
sopprimere Arles.
Era perfetto...
Era sciocco...
“Per sempre
Aiolos?”
“Anche dopo i
cancelli dell'eternità Saga...”
Era così che
doveva essere...come in quelle parole che due giovani innamorati si
scambiavano fugacemente, attenti a non essere visti, devoti nel
proteggere quel bocciolo del loro amore che fioriva sempre
più nei loro cuori.
Ma il Demone era arrivato.
Il Demone c'era sempre
stato.
Il Demone si era infilato
nella sua mente come un ago sottile, così piano da non
essere notato, eppure così doloroso da essere
tangibile...prima solo una voce lontana, poi un grido inumano che si
era preso tutto, dall'amore alla ragione, dal corpo alla mente.
Perché
così non doveva essere.
Perché i loro
“Per sempre” erano stupidi, insulsi ed infantili.
Perché solo il
potere e la gloria erano per sempre.
La tua Voce...sussurrava
cose.
Non volevo
ascoltarla...non dovevo ascoltarla...
La mia Voce Urlava.
Non avevi
scelta...volevi ascoltarla...
Per cosa aveva ucciso?
Per cosa aveva
sacrificato tutto?
Non riusciva a ricordarlo
Saga...sapeva solo che Arles continuava a camminare, impettito e fiero,
godendo di ogni suo singolo rimpianto, di ogni sua singola lacrima,
ridendo di quei sciocchi sentimenti che mai lo avevano abbandonato.
Sapeva perfettamente il
perché, Arles.
Perché il suo
nome fosse inciso nelle stesse come il Datore dell'Ordine Universale,
perché egli fosse ricordato, perché la sua gloria
e la sua forza non si spegnessero nel corso dei
secoli...perché sono nel sangue e nella solitudine, un uomo
poteva alzarsi sopra tutti gli altri, diventando al pari di un Dio.
Finirà mai
tutto questo, Aiolos?
No.
Aiolos non
c'è più.
Ci sono solo io.
Si fermò ora
il Grande Sacerdote, di fronte al trono che finalmente aveva raggiunto,
fuori il Sole, lontano da lui splendeva, e si preparava ad annunciare
la sua ascesa al potere, al Seggio che con il sangue aveva ottenuto
senza che nessuno sapesse...lontano dall'assassino, lontano dal Demone,
lontano da chi nella notte era rimasto vittima, era stato carnefice.
Presto tutti sarebbero
venuti.
Venuti ad adorarlo come
il Dio che avevano visto in lui, come il Dio che sarebbe stato.
Lontano da tutti, Saga
sarebbe morto.
Lontano da tutti, Arles
sarebbe vissuto.
Niente più
ormai lo ostacolava, se non il pallido riflesso di Colui che un tempo
era stato che ormai lo fissava solo dallo specchio, ma anche lui presto
sarebbe stato annientato...l'Angelo avrebbe ceduto, e il Demone avrebbe
vinto di nuovo.
Come sempre.
Come la Notte degli
Inganni appena consumata.
E con tronfio,
orgoglioso, agognante fare, il nuovo Grande Sacerdote diede le spalle
al trono, diede le spalle ad Athena, lasciandovisi sedere sopra,
lentamente, sorridente e disperato sotto il Ferro e la Seta che lo
adornavano, che lo massacravano.
Lui, per sempre
incoronato.
Lui, per sempre solo.
Arles ghignava al di
sotto della Maschera.
Saga urlava.
Perché?
Perché Arles?
Perché no, Saga?
*Fine*
Ehm ehm...salve a
tutti^^
E rieccomi qui, a proporre una delle mie terribili storie in questa
sezione meravigliosa *__* sarà che in questo periodo sono
decisamente presa da Saint Seiya, però non ho potuto
resistere alla tentazione di scrivere qualcosina sulla mia seconda
coppia preferita (Milo/Camus sempre over the top U_U).
Ho tentato di riprodurre il conflitto interiore di Saga dopo la Notte
degli Inganni...spero di essere riuscita a renderli bene e di essere
stata all'altezza degli altri magnifici autori di questa sezione *-*
Bhe, che dire, un bacio a tutti coloro che sono passati per di qua,
sperando che vi sia piaciuta almeno un pochino...e alla prossima!
Non vi liberete di me facilmente :P
Tifa.
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