Amore
con lo sguardo
Lo guardava sempre, la
notte, quand'egli si allenava da solo mentre il Tempio dormiva, quando
nessuno poteva vederlo, lontano dall'ala dell'amato fratello che sempre
lo proteggeva, lontano dalle voci e dalle risa di scherno che
s'alzavano al suo passaggio.
Non poteva farne a meno.
Lo osservava da dietro
una delle colonne che circondavano l'arena, silenzioso e attento a non
perdersi nessun dettaglio di quegli allenamenti segreti, di quelle
mosse che nascondeva di saper fare persino al gemello, immaginando come
sarebbe stato se avesse potuto allenarsi con lui, saggiare le sue mosse
in combattimento amichevole, oppure, semplicemente, scambiare quattro
chiacchiere come due normalissimi esseri umani.
Perché per
Albafica dei Pesci, Cavaliere della Dodicesima Casa, non vi era mai
stato niente di tutto questo.
Nessuno con il quale
allenarsi, nessuno con il quale fermarsi la sera a parlare prima di
rientrare alla propria dimora, nessuno con il quale confrontarsi,
nessuno al quale esprimere dubbi e timori sul futuro oscuro che sempre
più si faceva tangibile.
Nessuno.
Nessuno che potesse
resistere al suo veleno mortale, al suo sangue velenifero che tutto
uccideva...e lui stesso mai avrebbe permesso che qualcuno rischiasse,
che morisse per causa sua e il suo desiderio di compagnia. Amava e
rispettava troppo la vita per permettere che questo accadesse, e alla
luce dei rischi, aveva preferito isolarsi, rinchiudersi da solo nel suo
mondo di veleno e rose, che a lui non poteva nuocere.
Non più di
quanto avesse già fatto.
Eppure, ogni notte,
quando il sole calava e si apprestava al tramonto, Albafica sentiva il
bisogno di prendere qualche momento per se, qualche momento di contatto
con il mondo dal quale si era isolato ma che desiderava con tutto se
stesso.
Un rituale che da qualche
tempo aveva preso forma nella sua routine, fin da qualche settimana
prima che conquistasse l'armatura dei Pesci, che aveva ormai una punta
di mistico nel suo esistere, che giorno dopo giorno, gli dava la forza
di affrontare il tempo che passava.
Sempre e per sempre da
solo.
Ogni giorno passava come
tutti gli altri. Allenamenti, incombenze dovute alla carica che ora
ricopriva nonostante la sua giovanissima età, pratiche da
sbrigare...ma tutto quello che aveva da fare durante il giorno, passava
sempre più in secondo piano a mano a mano che si avvicinava
il tramonto, ogni fatica, ogni pensiero malinconico diventava sempre
meno importante con il passare delle ore.
Il tramonto che portava
la sera, e con essa il suo momento.
Il loro momento.
Attendeva con ansia che i
rumori del Tempio di spegnessero, che tutti andassero a dormire, che le
luci diventassero più soffuse. Aspettava sempre in silenzio,
nascosto nell'ingresso della Dodicesima Casa, che gli ultimi astanti
tornassero alla propria vita. Poi, quando era certo che non avrebbe
incontrato nessuno sul suo cammino, si apprestava a uscire dalla
propria Casa, dirigendosi a passo felpato verso l'arena, dove sapeva
che lo avrebbe trovato, ad allenarsi con la protezione delle tenebre.
Defteros, la Stella
Oscura.
Colui che più
di chiunque altro, condivideva il suo destino, sebbene non si fossero
mai parlati.
E come ogni sera,
Albafica stava ora camminando, avvolto dal suo mantello bianco e
rivestito della Sacra Armatura dei Pesci, diretto verso
quell'appuntamento serale che non mancava mai, che gli era diventato
più indispensabile del respiro. I piedi, leggeri, si
muovevano veloci, temendo forse che qualcuno potesse scorgerlo...non
che ad altri sarebbe importato effettivamente dove stesse andando, ma
quel momento era così personale, che non se la sentiva di
dividerlo con nessuno.
Nemmeno con i propri
compagni d'oro, dei quali evitava le Case passando per i sentieri
esterni, più dissestati certo, ma indubbiamente meno
praticati.
Scese rapidamente la
scalinata, silenzioso come un fantasma, e probabilmente come tale
sarebbe apparso a occhi estranei. Si muoveva in fretta il Cavaliere,
perché sapeva che il suo cuore, il suo spirito non potevano
attendere ancora molto.
I lunghi capelli
scendevano lisci e morbidi lungo la schiena e ai lati del perfetto
volto, così fine e delicato che sembrava essere scolpito
nella porcellana. Le labbra rosee erano appena schiuse, come se stesse
cercando le parole per esprimere un concetto che non voleva uscire. Gli
succedeva spesso a dire il vero. Gli occhi, chiari e limpidi come il
mare che si stagliava giù dal promontorio, erano fissi
avanti a se, orgogliosamente, quasi ostinatamente, fissi nel buio che
lo circondava.
Bellissimo e perfetto,
circondato da quell'aura di tormentata nobiltà ed eleganza
che sempre lo contraddistingueva, qualsiasi cosa stesse facendo.
Troppo bello per la sua
natura.
E dopo alcuni minuti di
discesa silenziosa, ecco finalmente, approssimarsi l'arena.
L'espressione di Albafica
era seria mentre avanzava, ora più lentamente, facendo
attenzione che il suo cosmo non svelasse la sua presenza al ragazzo
che, lo sentiva chiaramente, si stava allenando da solo...non c'era
bisogno del cosmo, lui sapeva che stava arrivando.
Quando fu infine di
fronte all'ingresso dell'arena, si fermò di colpo, lasciando
ora che i propri occhi si fissassero nella porzione di luogo che era
visibile da quella posizione: come aveva previsto, come già
sapeva, Defteros era lì.
Per qualche attimo,
rimase fermo all'ingresso, osservando la di lui figura intenta in
faticosi allenamenti che aveva di soppiatto osservato la mattina
eseguire dal gemello...agili e scattanti le sue movenze, nulla da
invidiare ad Aspros, se non forse il fatto di poterle eseguire alla
luce del sole.
Albafica, ogni sera che
passava, rimaneva sempre più colpito dai progressi
dell'altro.
Ma stranamente per un
guerriero del suo calibro, non era quello che andava a cercare, notte
dopo notte...affatto. Con un sospiro, riprese ora a camminare,
lentamente, cercando di non fare rumore con i piedi sul sentiero
acciottolato, scivolando tra le ombre delle possenti colonne che
circondavano l'arena, appiattendosi contro di essere per continuare a
guardare, inosservato.
Quella notte, la luna era
così alta nel cielo, da illuminare di una tenue luce
azzurrina il corpo dell'altro ragazzo, vestito solo di una semplice
tunica e un paio di brache, oltre che dalla maschera che era costretto
a portare sul viso. Saltava da una parte all'altra, velocemente,
cercando probabilmente di imitare i colpi del gemello, cercando di
ricordarne l'esecuzione per riuscire a copiarli, a eseguirli nello
stesso modo.
Un colpo.
Un altro.
E di nuovo un colpo.
Albafica osservava,
nascosto nel suo angolo tra le colonne, il respiro appena accennato per
non disturbare...anche il minimo rumore avrebbe potuto turbare la pace
e la bellezza di quel momento così magico.
La figura elegante del
ragazzo si mosse appena nell’ombra, tentando di colpire con
uno di quei colpi osservati durante il giorno il suo immaginario
avversario, poi con agilità degna del miglior saltimbanco,
fece un piccolo balzò all’indietro, portandosi in
posizione di guardia. Un secondo ancora, prima di lanciarsi di nuovo
all'attacco contro l'aria, sua unica compagna di allenamento.
Una cosa che avevano in
comune, pensò tristemente Albafica.
Sarebbe andato avanti a
guardarlo per ore e ore...quando ecco, Defteros si fermò,
improvvisamente.
Albafica trattenne il
fiato, temendo e sperando, che come ogni notte l'altro avesse avvertito
la sua presenza, il suo cosmo a malapena trattenuto. Succedeva ogni
notte, fin dal primo giorno in cui si era recato fin lì...ad
un certo punto, Defteros si accorgeva della sua presenza, e
interrompeva i suoi allenamenti, giusto qualche momento, giusto il
tempo di cercarlo con lo sguardo e far incontrare i loro occhi.
Occhi carichi di
determinazione e di tristezza.
Non gli aveva mai detto
niente, mai una parola...si limitava semplicemente a fissarlo per
qualche minuto, scavando nella di lui espressione con delicatezza,
quasi avesse paura di rovinarlo, cercando in quegli occhi soli
esattamente come i suoi un po' di calore umano.
Poi, dopo qualche attimo
di febbrile comunione, tornava ai suoi allenamenti, come se niente lo
avesse disturbato.
Albafica, non viveva che
per quel momento.
Pateticamente, si
costringeva a ricordare ogni volta.
Ed ora lo aspettava,
aspettava con ansia che lui si accorgesse di lui.
E così fu.
Lentamente, la Stella
Oscura aveva abbassato i pugni, tesi per la mossa che stava eseguendo,
rilassando le braccia e lasciandole cadere ai fianchi. Poi, si era
voltato verso di lui, ben sapendo dove l'avrebbe trovato.
I loro occhi, cozzarono
bruscamente gli uni negli altri, in uno schianto di diamante e zaffiro.
Albafica trattenne il
fiato, sentendo come una breve scarica elettrica salirgli alla schiena
quando i loro sguardi divennero un tutt'uno. C'era qualcosa di diverso
quella sera, lo sentiva nell'aria, e lo percepiva nella pressione che
gli occhi di Defteros esercitavano nei suoi...una pressione forte,
decisa, bramosa quasi.
Stranamente,
inspiegabilmente, a quello sguardo così intenso,
sentì una scarica di eccitazione salirgli alla schiena,
forte come mai gli era capitato di provare...era uno sguardo strano,
insolitamente carico di aspettativa e passione.
Una passione che mai
aveva percepito ne provato prima.
Perché lui,
certe cose non poteva provarle.
Era inutile,
giacché con nessuno poteva sfogarle.
Un sorriso stanco gli si
sarebbe disegnato sulle perfette labbra, se esse non fossero state
tanto serrate, quasi stesse cercando di impedire a quei sospiri che
premevano sulla sua bocca di uscire...sospiri incontrollati e che
minacciavano di avere la meglio su di lui, quasi fosse una ragazzina
alla prima cotta.
Gli occhi erano solo per
lui.
Per Defteros.
Che da lontano, dalla sua
posizione, continuava a guardarlo silenziosamente, serio ed adorante,
come se non avesse mai visto niente di più bello al
mondo...e probabilmente, era davvero così.
Che cosa gli prendeva? Si
domandò il Cavaliere dei Pesci.
Odiava quegli sguardi di
apprezzamento, quei sussurri ammirati che si alzavano ogni volta che
palesava la sua presenza in qualche luogo. Odiava quella raffinata e
splendida bellezza che la natura gli aveva donato, la detestava con
tutte le sue forze perché infondo, di essa, non se ne
sarebbe mai fatto niente. E perché essa, in modo beffardo e
crudele, si ergeva primaria allo sguardo altrui, nascondendo le sue
altre caratteristiche, i suoi tratti da guerriero che lo avevano reso
tanto orgoglioso nel corso degli anni di addestramento.
Quello che per lui
veramente contava.
Una splendida rosa
solitaria che si ergeva in un magnifico giardino, più
sublime e profumata di ogni altra, eppure così pungente da
essere un pericolo per chiunque osasse avvicinarsi più del
dovuto...come si poteva accettare un simile destino a cuor leggero?
Lui era solo, doveva
restar solo, per non causare morte a chi gli stava caro.
A chi gli stava caro come
il gemello che ora lo stava fissando, la giovane Stella Oscura
così simile a lui con il quale mai aveva parlato, ma che
ogni sera, prima di andare a dormire, osservava per ore infinite
allenarsi, cercandone lo sguardo come un assetato che si chinava a bere
da una fontana, cercandone la comprensione infinita che vi leggeva.
Perché loro,
fondamentalmente, erano uguali.
Uguali perché
pericolosi.
Uguali perché
diversi da tutti gli altri.
Uguali perché
non potevano stare con gli altri.
Uguali, perché
non potevano nemmeno toccarsi.
Eppure...eppure...eppure
non poteva che essere grato in quel momento della sua bellezza, quella
bellezza che alla luce disprezzava, ma che nell'oscurità
della notte sapeva essere così perfetta nonostante
tutto...perché era solamente per lui, per Defteros, che
ancora lo guardava, quasi senza avere il coraggio di respirare.
Era bello Defteros.
Bello come un Dio,
sebbene non lo avesse mai visto senza la maschera che era costretto a
portare. E non era nemmeno perché era il gemello di Aspros
che poteva dirlo con tale certezza...semplicemente lo sentiva, lo
percepiva. Vedeva quello che gli altri non potevano vedere, e quello
bastava per renderlo splendido ai suoi occhi: la sua fierezza, la sua
malinconia, il suo affetto sincero per il fratello, l'irruenza e la
passione nascosta in ogni suo gesto, forzatamente misurato.
Lasciò che il
suo sguardo gli penetrasse dentro, sotto la pelle, scendendo sempre
più in profondità, arrivando fino alla
più intima essenza del suo essere...quegli occhi
così limpidi, così sinceri, eppure
così annebbiati dalla solitudine.
Albafica conosceva
benissimo quell'espressione.
Era la stessa che vedeva
allo specchio ogni mattina...gli occhi, di chi era condannato a
rimanere solo.
Era la stessa che avrebbe
tanto voluto cancellare dal viso del giovane che gli stava di fronte.
Quegli occhi che lo
stavano accarezzando, quello sguardo che insistente sembrava frugare
tra i più segreti meandri del suo essere, lo conoscevano
alla perfezione, lo capivano più di chiunque altro al
mondo...sentiva il loro calore, la fiamma di segreta passione che in
essi brillava carezzargli la pelle, seducente, ancora più
intima di una vera carezza.
Trattenne in respiro il
Cavaliere dei Pesci, quando si accorse che Defteros, era avanzato di
qualche passo, piuttosto lentamente, verso la colonna sopra la quale
era poggiato.
Il silenzio aleggiava su
tutto, solo il lento stropiccio dei piedi dell'altro sulla
pavimentazione di pietra faceva capire che il tempo no, non si era
fermato, che non erano soli al mondo sebbene sembrasse il contrario,
che la notte non era eterna e che presto il sole sarebbe giunto,
rendendoli di nuovo soli, di nuovo abbandonati.
Ma il sole, non sarebbe
arrivato subito.
Con un sospiro, Albafica
si lasciò andare ancora di più contro la colonna
che fino a quel momento lo aveva retto, come se fosse la sua unica
spalla, languido quasi nelle sue movenze, attendendo con ansia e paura
che il ragazzo gli si avvicinasse.
Temeva e bramava quel
momento, al pari di una chimera.
Non era la prima volta
che si guardavano, così a distanza, timidi quasi come due
scolarette.
Ma quella, in assoluto,
era la prima volta che l'altro ragazzo si avvicinava, e la cosa
spaventava un poco Albafica.
E se avesse voluto
toccarlo?
Come avrebbe dovuto
reagire?
Non era sicuro di
riuscire ad allontanarlo, non ora che i suoi sensi erano
così svegli ed eccitati. Era un ragazzo nel fiore degli anni
infondo, un ragazzo che per costrizione non era mai stato toccato da
mano umana, per lo meno da quando aveva cominciato il suo addestramento
con le Damon Rose.
Stava già
cercando le parole adatte per allontanarlo, ma non ne ebbe bisogno,
perché Defteros, come se avesse captato i suoi pensieri e le
sue paure, si fermò, a un passo di distanza. Abbastanza
vicino per continuare a guardarlo, ma abbastanza lontano per non
spaventarlo ulteriormente...lo guardò negli occhi,
intensamente per qualche secondo, e per un breve istante, ad Albafica
parve percepire un lieve accenno di sorriso al di sotto della di lui
maschera.
Un sorriso per dirgli che
tutto andava bene.
Che si, andava bene anche
così.
E di nuovo,
tornò a guardarlo.
Quello sguardo che come
fuoco liquido gli carezzava il corpo al di sotto dall'armatura, che gli
scivolava sulla candida pelle come una goccia di sangue vivo, che
scendeva lungo le sue spalle, lungo il petto muscoloso, lambendogli il
ventre ben modellato, arrivando fin giù, sempre
più giù...riscaldandogli i lombi con un calore
mai provato prima, accendendolo di una passione che non sapeva se
poteva controllare o meno.
Lo sentiva frugargli tra
i vestiti, con una naturale dolcezza d'amante inesperto, con
l'impazienza di uno sposo al talamo nuziale, con la tenera goffaggine
di chi come lui, mai era stato toccato e mai aveva toccato un corpo
vivo, caldo.
Improvvisamente, Albafica
si accorse che l'armatura e le vesti sotto di essa, in un certo
particolar punto, si stavano facendo troppo stretti...alzò
il viso verso Defteros, appena imbarazzato, tornando di nuovo a
incontrare i suoi occhi. Un lieve accenno di comprensione
balenò in essi, e con sconcertante certezza, capì
che il ragazzo che aveva di fronte, sapeva perfettamente l'effetto che
gli stava facendo.
Poteva uno sguardo,
eccitarlo in quel modo?
Sentì il fiato
mancargli improvvisamente alla gola, mentre ora, il suo sguardo,
scendeva rapidamente sul corpo di Defteros, accorgendosi solo ora,
delle piccole goccioline di sudore che gli costeggiavano la pelle del
collo, piccole perle di tensione che scivolavano lentamente lungo la
sua pelle, perdendosi nella scollatura della tunica che indossava,
sensuali come una sirena ammaliatrice.
Tunica che odorava di lui.
Di Defteros.
Un odore maschio e
virile, che mai aveva potuto percepire prima di quella sera, e che ora
poteva sentire per via di quella distanza ravvicinata, rischiosa, che
mai prima era incorsa tra di loro.
Sentì le
ginocchia cedere, e con un gesto disperato si artigliò alla
bianca colonna alle sue spalle...non voleva che Defteros lo vedesse
cedere come una verginella, e si impose, strenuamente, di rimanere in
piedi. Eppure la sua espressione, così colma di desiderio
malcelato, di desiderio sofferente, valeva più di qualsiasi
altra parola.
E lasciando correre a sua
volta lo sguardo sul suo corpo, sulla di lui pelle, saggiando con gli
occhi tutto ciò che avrebbe voluto personalmente onorare, lo
sguardo si portò infine tra le di lui gambe, dove senza
pudore alcuno, un notevole rigonfiamento faceva ormai mostra di
sé, segno che anche i pensieri dell'altro camminavano in una
sola direzione.
Di nuovo un languido
sospiro gli sfuggì dalle labbra, che a malapena trattennero
un gemito di frustrazione, all'idea di non poterlo toccare.
Quanto lo avrebbe
voluto...allungare le mani per sfiorarlo, accarezzarlo a di sopra delle
brache che lo rivestivano. Sollecitarlo appena, insistendo con quella
leggiadria che era propria delle sue mani, fino a insinuarsi infine tra
i sue vestiti, andando ad afferrare quella carne bollente che
richiedeva sollievo, lasciando che i loro respiri si fondessero in un
tutt'uno, in un solo ed unico gemito di piacere.
Avrebbe voluto liberarsi
dell'armatura, e correre a stringersi al forte corpo maschile che si
presentava di fronte a lui, ancora completamente vestito, ma che nella
sua fantasia, si presentava maestosamente nudo, come era venuto al
mondo. Avrebbe voluto baciare quella pelle abbronzata, quel corpo di
marmo, quelle labbra perennemente nascoste sotto la maschera.
Avrebbe voluto sentire il
sapore della sua pelle al tocco dei suoi baci, l'odore acre del suo
sudore, la forza delle sue braccia mentre lo trascinavano a terra,
liberandolo infine dell'impaccio dei vestiti e facendo con il corpo,
quello a cui il suo sguardo stava alludendo con pacata insistenza.
Quello sguardo che ormai
lo aveva mentalmente spogliato di ogni armatura, di ogni vestito, e che
si soffermava insistente sui suoi fianchi, sulla sua ormai del tutto
risvegliata erezione che premeva con forza contro i vestiti e
l'armatura d'oro della quale era rivestito.
Bastava così
poco, a mandarlo in estasi?
Era possibile per
entrambi, eccitarsi in modo così palese e intenso, solo
guardandosi negli occhi?
Forse era solo
immaginazione.
Eppure
quell'immaginazione lo stava toccando, quei pensieri lo stavano
accarezzando, riempiendogli il corpo di eccitazione e piacere...un
piacere così fievole da essere appena percettibile, eppure
più appagante di qualsiasi altra cosa.
Correva il tocco dello
sguardo di Defteros sul suo corpo, sulla sua erezione, come una mano
immaginaria che si muoveva al solo scopo di dargli piacere, dando forma
alle più intime fantasie del suo cuore. Si insinuava in lui
con un alito di vento, un sospiro e un gemito appena mormorato nella
notte silente, cercando di risalire dentro di lui, possedendolo con una
dolcezza che non era proprio del corpo, ma che dello spirito si faceva
re.
I loro corpi cozzavano
insieme in un ventaglio di colori, si univano in una foga immaginaria
al limite delle percezioni umane, fondendo i loro respiri, i loro
gemiti appena accennati...i loro occhi dicevano più di mille
parole, facevano più di mille carezze, e davano
più di qualsiasi altro tocco. Era immaginazione eppure non
lo era...quelle mani così forti che si sfioravano, quei
corpi maschi che si univano, quel calore che pervadeva ogni singola
fibra dei corpi dei due ragazzi.
Era così bello.
Così sublime.
Così Sacro.
E così triste.
Stavano facendo l'amore.
A modo loro, ma era
quello che stavano facendo.
Albafica sentì
il respiro venirgli meno, mentre ora, i suoi occhi chiari come il
diamante si fissavano, insistenti, sulle labbra di Defteros, come se
desiderasse in qualche modo sfiorarle con le proprie...e appena
socchiuse gli occhi, sporgendo appena in avanti il viso, portando la
propria bocca appena a sfiorare l'aria, dirette a ipoteticamente
baciare quella di lui, nascosta sotto la maschera.
Un attimo solo, un bacio
colmo di passione e tenerezza.
Un bacio che mai si
sarebbe realizzato, così amaro da far male.
Defteros esitò.
Non si mosse, per lunghi,
lunghissimi istanti, riportando con estrema lentezza, in una languida
carezza, gli occhi in quelli del compagno per la notte, fissandoli
intensamente mentre la mano destra, appena esitante, si alzava
lentamente, trascinata quasi con reverenza verso il viso del Cavaliere
dei Pesci, cercandone il contatto con la pelle liscia, cercando di
carezzarlo, di sfiorarlo.
Sarebbe bastato
così poco per poterlo finalmente toccare.
Pochissimo.
-non...non toccarmi...ti
prego...- mormorò Albafica, quando vide la mano dell'altro
avvicinarsi pericolosamente al suo viso. La sua voce era sottile,
spezzata dalle forti emozioni che ancora stava provando, eppure
tremendamente spaventa.
Non si sarebbe mai
perdonato, se avesse fatto del male a lui.
A quella supplica, la
mano dell'altro ragazzo si fermò, a soli pochi centimetri
dalle pelle della guancia di Albafica. Pelle che doveva essere
sicuramente morbida come le rose di cui era signore, profumata come i
boccioli che faceva nascere solo con il suono della sua voce melodiosa
-morirei, per un tuo bacio...- mormorò Defteros, senza
tuttavia abbassare la mano, ne avvicinarla ulteriormente.
Le prime parole tra loro
mai dette.
Le parole che
più sapevano di una condanna.
Il Cavaliere dei Pesci, a
stento trattenne le lacrime...no, mai più avrebbe pianto il
Cavaliere , mai più avrebbe versato una sola lacrima per il
suo destino...era questo il giuramento che aveva pronunciato il giorno
in cui si era votato ad Athena, il giorno in cui aveva accettato la sua
sorte per un bene maggiore. Eppure, mai come in quel momento, avrebbe
voluto piangere come il ragazzino che era -si...moriresti...-
mormorò, distogliendo gli occhi per qualche attimo. Solo per
poco, perché di nuovo sentì in bruciante
desiderio di tornare a guardarlo, di incatenare ancora i loro sguardi,
di sentirlo dentro di se in una maniera così forte e
marcata, che nemmeno fisicamente avrebbe potuto essere così
sentito.
Perché amava
Defteros.
Lo aveva amato dal primo
momento, dal primo attimo in cui una notte di molte settimane prima, i
loro occhi si erano incontrati da dietro una colonna, sfiorandosi
così intimamente da eguagliare una carezza d'amante.
Da quando era iniziato
quel loro far l'amore con gli sguardi.
Da quando avevano capito,
che mai si sarebbero potuti sfiorare.
Defteros
esitò, qualche secondo, come se stesse valutando il
rischio...poi lentamente, senza mai avvicinare la mano alla pelle di
Albafica, il ragazzo iniziò a far scorrere la mano,
accennando ad una delicata carezza al volto dell'altro, dolcissima,
spostando appena l'aria a pochi centimetri dalla guancia che tanto
avrebbe voluto toccare.
Albafica fremette a quel
contatto inesistente.
Poteva appena percepire
l'aria smuoversi vicino al suo viso, eppure si, anche quella era una
carezza, e la più dolce in assoluto che avesse mai ricevuto.
Piegò appena il volto, come se davvero stesse sorbendo il
tocco delle di lui dita, lasciandosi sfuggire un gorgoglio di
gradimento.
Poi, la mano di Defteros
si allontanò bruscamente, come se stare così
lontano gli facesse male, e il ragazzo se la portò al cuore,
in un gesto che voleva semplicemente dire, che avrebbe voluto
stringerlo a se e amarlo, amarlo come mai era stato amato prima.
Amarlo come nessuno
avrebbe mai potuto fare.
-verrai domani?- solo due
parole, le uniche che avessero significato.
Lentamente, Albafica
annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso vago e splendido
-si...- rispose semplicemente, prima di sciogliersi dall'abbraccio che
aveva intrecciato con la colonna di marmo, indietreggiando di un passo,
senza mai smettere di guardare quegli occhi color zaffiro che avevano
saputo dargli tanta passione in una notte soltanto.
Il suo corpo, era ancora
caldo ed eccitato, eppure dentro di se, all'altezza del cuore, sentiva
uno strano sollievo...i loro spiriti, i loro Cosmi così
strettamente uniti, avevano infine raggiunto il supremo piacere
insieme, un piacere che trascendeva la carne e l'apparenza.
Un piacere che il veleno
non avrebbe mai potuto contaminare.
-a domani...- un
sussurro, l'ultimo gli rivolse Defteros, allontanandosi a sua volta di
un passo. Se fosse rimasto ancora così vicino al suo
profumo, non l'avrebbe più lasciato andare.
Albafica
esitò, ancora qualche attimo...poi, lentamente, con un vago
fruscio di mantelli, diede le spalle al compagno di notte, iniziando a
incedere lentamente lungo il sentiero, in direzione della bianca
scalinata che lo avrebbe infine riportato alla propria Casa.
Sapeva, che il pensiero
di Defteros lo avrebbe accompagnato per tutta la notte.
Non gli aveva mai detto
nel loro breve scambio di parole, che era bello. Mai. Nemmeno una
volta, neanche un piccolo accenno.
E per questo, Albafica lo
amava ancora di più.
Perché come
lui sapeva vedere sotto la maschera che Defteros era costretto a
indossare, anche l'altro riusciva a vedere sotto la Bellezza che la
natura gli aveva, con crudele ironia, affibbiato, trovando la vera
essenza del Cavaliere dei Pesci.
Il suo nobile orgoglio.
La sua immensa solitudine.
Il grande bisogno di
avere qualcuno che sapesse stargli a fianco senza mai toccarlo
veramente.
Quel bisogno, che anche
se solo per una notte, era stato soddisfatto.
E silenzioso come un
fantasma, Albafica scivolò infine all'interno della
Dodicesima Casa, dove le sue rose, uniche compagne della sua vita al
sole, lo attendevano come moglie fedele, come madre devota.
E fuori, Defteros ancora
osservava la strada nella quale il suo amante illusorio si era
allontanato, osservava quelle colonne che lo avevano ospitato, quella
piccola nicchia che ancora odorava prepotentemente di rose e che ancora
emanava lievi influssi del suo cosmo.
Defteros.
Unico compagno della sua
vita nella notte.
Fine
*coff coff*
Eccomi, sono pronta ad essere linciata XD
Ehehehe, so che urgono spiegazioni per questa mia, come
dire...improvvisata su Lost Canvas XD avevo una voglia tremenda di
scrivere qualcosa su Albafica, il mio personaggio preferito della serie
(come si fa a non amarlo?? Come??!!) ma non sapevo proprio con chi
accoppiarlo, visto che ha fatto una fine pessima prima di vederlo
relazionarsi con gli altri (cosa che credo non avrebbe mai fatto
comunque!). Così ragionandoci un po' sopra, mi sono detta
“mha, in fin dei conti lui e Defteros hanno una situazione
simile...” e così la mia mente ha elaborato da
sola verso l'infinito e oltre XD
Spero non sia stata del tutto sgradita come improvvisata xDD
E in attesa del mio prossimo lavoro (perché si, mi spiace ma
ci sarà U_U), mando a tutti un abbraccio e un saluto!
Un bacio,
Tifa.
|