Release

di Daphne Chasseur
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Non so perché stia facendo questo, nemmeno perché, dopo tutto questo tempo, solo ora ho ho deciso di prendere in mano queste pagine.
Una seconda volta.
L’ultima.
Non è la parola “fine” che cerco, tantomeno un nuovo inizio.
Semmai, mi chiedo perché, certe notti, io continui a fissare quel manto di velluto blu in cui i diamanti rimangono impigliati alla ricerca di un senso che tu, tempo fa, hai cercato di dare.

Ti ricordo così. Ho forse altra scelta?

*****



Ricordo il caldo e la luce.
Un’intensa sensazione di benessere che, come una morbida scossa, attraversa ogni singola fibra del mio corpo. Come se fossi una fredda e rigida statua che prende, d’un tratto, vita dall’interno.
E poi… il buio.

Mi ritrovo in uno dei tanti piccoli bar che costeggiano Central Park. Sul tavolino, una tazza di caffè fumante e un mucchio di fogli. Sono stanca.
Il mio tempo, ormai lo so, sta per terminare.
Sono circondata da un brusio indefinito di voci e suoni che giungono da ogni parte: creano una sorta di barriera attorno a me.
Devo scrivere e devo farlo in fretta.
La mia storia non ha senso o forse ne ha di più di quello che io stessa pensi. Comunque sia, devo lasciarne un segno perché la mia storia è un messaggio.
Per chiunque non si sia mai accontentato dell’ordinario.
Lascio quindi spazio ai ricordi: lasciando andare, senza alcun freno, la mia memoria, sarò spettatrice degli eventi che segnarono la mia esistenza tanto quanto te.


Quel 23 ottobre 1990 pareva che la pioggia, indifferente e capricciosa, non volesse smettere di cadere su una New York infreddolita e fin troppo cupa. A differenza dei newyorkesi, io l’accoglievo come un dono. Un’amica che nascondeva le mie lacrime ai fintamente compassionevoli sorrisi altrui.
Ero appena uscita da scuola e, indifferente come la mia amica, non mi affrettavo verso la fermata della metro e non mi coprivo col cappuccio.
Arrivai sotto casa mia, venti minuti dopo.
E fu allora.
Ancora adesso –ancora adesso che non ha più senso porsi domande!- mi chiedo se fosse stato tutto prestabilito, prima. Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi preso la metro, se avessi scelto di mangiare fuori, se avessi deciso di non rientrare subito.
Se non mi fossi voltata e se i miei occhi non si fossero posati su di te.
Che cosa sei stato? Una maledizione o una benedizione?
Questa è una delle due domande a cui posso rispondere senza esitazioni.
Ma intanto, in quel lontano 23 ottobre, eri semplicemente un ragazzo, come me, sotto la pioggia avida di bagnarti. E tu, incurante delle sue gocce senza pudore, con lo sguardo perso e insicuro dall’altra parte della strada.




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