Come nei film, quando il protagonista percepisce il tempo fermarsi e
gode di quell’inspiegabile dilatazione sensoriale, venni
riportata alla realtà da una voce che, inizialmente, sentivo
arrivare da lontano e che, poi, si fece solida e concreta. Mia zia,
uscita dal piccolo ristorante che gestiva col suo compagno, avvolta in
malo modo in uno scialle turchese, mi prese per il braccio
costringendomi a staccare gli occhi da quel ragazzo e trascinandomi nel
locale, caldo e soprattutto asciutto.
“Ma che ti prende! Sei completamente bagnata. Su, corri ad
asciugarti che fra poco arriverà una mandria di ragazzi
affamati”. Severa, ma benevola come sempre, mi
lanciò diverse occhiate sospettose mentre andavo a
cambiarmi.
Tornai subito poiché ero ben consapevole che a
quell’ora, e con quel tempo, ci sarebbero state parecchie
persone da servire. Mi legai un grembiule alla vita e mentre lo
allacciavo non potei non gettare uno sguardo fuori.
Lui era ancora là.
Con il volto leggermente coperto dal cappuccio del giubbotto in cui si
stringeva senza, apparentemente, sentire davvero freddo.
L’entrata di una decina di ragazzi mi costrinse a impostare i
miei pensieri sul lavoro. Iniziai a prendere un paio di ordinazioni, ma
ero comunque distratta da quell’ombra ormai indistinguibile
sotto la pioggia.
Mentre servivo una coppia vicino alla finestra, mi accorsi che era
sparito.
Confusa, senza alcun motivo, mi allontanai dal tavolo, ma andai a
sbattere contro qualcuno che in quel preciso istante apriva la porta
del locale.
“Oddio, scusa, io non so cosa…” inizia a
farfugliare, ma poi annegai, oh sì!, annegai in due occhi
d’un azzurro intenso e depresso.
“Scusami tu” disse lui e poi rimase in silenzio,
cogliendo come me la momentanea attenzione della sala.
“Ti porto il menù, accomodati pure” mi
ripresi.
“No no, grazie, ho solo bisogno del telefono”
gesticolò. “E’ laggiù, in
fondo a sinistra”.
“Grazie”
“Figurati”.
Il brusio ricominciò, rassicurante, e io tenni
d’occhio quel misterioso ragazzo per un paio di minuti, il
tempo che durò la sua telefonata. Stavo lucidando un paio di
bicchieri quando si avvicinò al bancone e, esitante, si
sedette senza ordinare nulla.
Aveva freddo ed era bagnato dalla testa ai piedi, ma se ne restava
là, seduto, a fissare il legno segnato dagli anni.
Allora, presi l’iniziativa, e un po’ per intuito,
un po’ per compassione gli portai una cioccolata calda che
avevo preparato tra un giro e un altro ai tavoli.
“Offre la casa” dissi, abbozzando un sorriso
impacciato. All’aroma di cacao che gli ponevo sotto il naso,
si calò il cappuccio.
Potei così vedere bene in volto un ventenne dai lineamenti
perfettamente disegnati e coi capelli castani arruffati e umidi. Colsi
soprattutto la meraviglia, l’incredulità e
l’indifferenza: tre emozioni che, rapidissime, attraversarono
il suo viso, spostando e cambiandone i tratti.
“Perché?” mi chiese, più come
un’accusa che come una domanda.
Ma ero pronta a mettermi sulle difensive anch’io.
“Se sei così estraneo alla gentilezza, la bevo io
e mi scuso per il disturbo” e feci per andarmene con la tazza
in mano. Ma allora, mi fermò e quel contatto con quelle mani
lisce e fredde mi fece venire i brividi. Quante volte, dopo la prima,
rabbrividii ancora, ancora e ancora. L’abitudine, distrutta
ogni volta dalla meraviglia di quel tocco.
“Grazie” e la tensione si sciolse in un sorriso.
Prese la tazza e accolse con piacere il calore che ricevevano le sue
mani.
“Grazie” ripeté.
Mi allontanai, sbirciandolo con la coda dell’occhio mentre
gustava quella bevanda calda e notando che spesso si soffermava a
guardarmi.
Poi parlò, rivolgendosi a me: “Sai se
c’è qualche buon appartamento in affitto, qui
vicino?”. Continuava a fissarmi. Sentivo quegli occhi
perforarmi l’anima.
“Io.. io, non so, sì, ma appartamenti piuttosto
grandi”.
“Ah, ok…”. Deluso.
Idea! Stupida, senza senso e inaspettata.
“Ma se vuoi, sopra questo ristorante affittano una camera
abbastanza spaziosa con un appartamento in comune a un prezzo
stracciato”.
Si illuminò.
“Davvero? E puoi dirmi quale persona devo cercare?”.
Seria. Sii seria, mi dissi. Ma non ce la feci e sorrisi.
“Ce l’hai davanti”.
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