My life has just begun CAP1
Spoiler: No spoilers
Disclaimer: I personaggi (fatta
eccezione per quelli creati da me) non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal Minds
è della CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: La primissima ff che io
abbia scritto, e si vede. E' passato più di un anno da quel
momento. Chiedo scusa se è particolarmente banale e se la
scrittura è molto claudicante e incerta.
My life has just begun
CAPITOLO 1
Avevo sempre vissuto sotto una campana di vetro. I miei
genitori sin dall’inizio avevano manifestato molta apprensione. Mai una gita,
mai una vacanza fuori tra amici, sino in età abbastanza adulta. Ma la mia
voglia di evadere era sempre stata più grande. Avevo pazienza. Mi ripetevo che
sarebbe arrivato il giorno……
E poi ero lì. I grattacieli davanti a me. L’Italia lontana e
l’America sotto i miei piedi. Lo ripetevo sin dal primo giorno all’università:
datemi il tempo di laurearmi, di mettere qualche cosa da parte e io lascerò
questa Italia che mi sta tanto stretta. E c’ero riuscita.
Non avevo mai avuto grosse ambizioni,
avevo sempre voluto provare tutto quello che mi si presentava davanti, conscia
del fatto che se non si prova non si saprà mai se le cose piacciono o no e se
soprattutto fanno per noi. E quindi sin da piccolissima a provare tutte le attività
possibili e immaginabili, a trovarmi così me stessa in alcune, e così snaturata
in altre. Ma almeno avevo provato sulla mia pelle.
Con il sogno d’America era stato diverso….quella era stata
la mia prima ambizione. Lì non c’era da provare, c’era solo da riuscire. Era
come se fossi nata per questo, come se al momento della mia nascita fosse stato
sbagliato il luogo dove venire al mondo.
Mi ero rimboccata le maniche. Avevo finito presto
l’università, mi ero adattata a qualsiasi tipo di lavoro pur di mettere da
parte la somma sufficiente alla mia partenza. E con la stessa naturalezza che
sentivo sin dall’inizio ero finalmente scesa dall’aereo in quella che sentivo
la mia vera casa.
Per iniziare avevo preferito prendere una stanza in albergo,
giusto come primo appoggio per cercare magari un appartamentino conveniente.
Non sapevo ancora nemmeno quello che avrei fatto in quel posto per mantenermi,
ma non mi preoccupavo. Avrei provato come sempre cose nuove e forse avrei
trovato la giusta strada.
Quando sento qualcosa di così naturale non mi spaventa
nulla.
Per prima cosa dovevo trovare una casa dove stare, l’albergo
avrebbe in breve tempo prosciugato le mie finanze. Avevo deciso di affrontare
questo viaggio da sola, perché egoisticamente credevo che nessuno avrebbe
potuto avere il mio stesso slancio e le mie stesse motivazioni nel fare quella
che chiamavo ancora follia.
Credevo nel destino, credevo nella fortuna. La casa l’avevo
trovata in pochissimo tempo. Non chiedevo nulla di lussuoso, giusto un due
vani. Al pian terreno un soggiorno con cucina e un primo servizio e al primo
piano una camera da letto con un secondo bagno. Non avrei avuto con chi dividere
spazi più ampi.
Ma forse la mia fortuna, o destino come preferivo chiamarlo,
non era ancora terminata.
Ero tornata all’albergo per prendere i miei bagagli e
saldare il conto. C’era uno strano fermento. Caricai le valigie sull’ascensore
e scesi senza nessun altro nel vano. Al momento di uscire si manifestò un’altra
delle mie tipiche caratteristiche: sono goffa e imbranata. Le valigie si
incastrarono e la gente era così indaffarata nelle sue cose da non accorgersene
e darmi una mano. Finalmente riuscì a farle uscire con un balzo e atterrai su
qualche cosa.
Pregai si trattasse di un muro, ma sentì un’imprecazione.
Non volevo voltarmi, volevo solo sprofondare. Lentamente mi girai e mi trovai
davanti un ragazzo alto, elegantemente vestito. E proprio quell’eleganza
rovinata da una macchia di caffè sul petto. Decisamente avevo combinato un
disastro.
“Mi dispiace tanto…è solo che le valigie si erano incastrate
e…non volevo…la prego mi dica cosa posso fare per aiutarla…”
“Non si preoccupi, ero distratto anche io…vuole un aiuto con
quelle valigie?”
Questa era bella. Non solo gli avevo rovinato la camicia
facendogli rovinosamente cadere il caffè addosso e per giunta mi offriva il suo
aiuto.
“No grazie. Ormai sono quasi arrivata. Il danno l’ho fatto,”
affermai indicando la sua camicia “e spero non ce ne siano altri in agguato.”
Non ero mai stata brava nelle relazioni interpersonali, e
soprattutto ero sempre stata diffidente con le persone che mi si presentavano
davanti. Specie se uomini e carini. Causa la mia scarsissima autostima.
“Oh, non si preoccupi per questa.” Mi rispose indicando il
capolavoro di pittura astratta che avevo abilmente spennellato sul suo petto.
“Statisticamente, se si cammina con un bicchiere di caffè in mano, ci sono
ottime probabilità, circa il….”
Giovane, alto, carino, educato. E ora cosa stava facendo? Mi
sbatteva in faccia anche la sua smisurata, e oserei dire inutile, cultura. La
mia mente non poteva sopportare di più.
“Grazie grazie, ho capito.” Lo interruppi sperando di
potermi congedare in fretta. “La ringrazio ancora per essersi offerto di
aiutarmi e mi scuso nuovamente.”
Lui fece un sorriso e salutò con la mano. Si allontanò per
il corridoio rischiando di urtare qualche altra persona.
Tutto sommato forse la colpa non era stata tutta mia. Che
tipo strano… Smisi di pensare e mi avviai verso l’uscita. Saldai il conto e
chiamai un taxi per raggiungere la nuova casa. Mentre attendevo, passeggiavo
per la hall dell’albergo, fin quando i miei occhi rimbalzarono su un cartello:
“Ore 18, sala Lincoln, conferenza sul profiling.”
Erano le diciotto meno dieci, e una vocina dentro la mia
testa ripeteva che si trattasse del destino. Non sapevo nemmeno che cosa fosse
questo “profiling”, ma il nome mi piaceva e alla fine non avevo nulla da
perdere a vedere questa conferenza. Sentivo dentro di me che dovevo andare,
provare, come avevo sempre voluto fare nella mia vita.
Avvertii la reception di annullare il mio taxi, lasciai le valigie
custodite e mi avviai verso la sala Lincoln. Non avevo idea di quello
che mi avrebbe aspettato dietro quella porta.
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