Little kitty
Tutto il grande
giardino di casa Nightray era ammantato di bianco. Sembrava di essere
stati di colpo catapultati dentro una di quelle sfere con la neve, la
casetta e il pupazzo. Era un paesaggio molto suggestivo e quieto, quasi
melanconico, con quella surreale assenza di suoni.
Adatto a chi volesse trovare un po’ di pace per stare con i propri pensieri.
- Gilbert, aspettami! -.
Il ragazzo che si stava
allontanando lungo il vialetto sfregandosi le mani si fermò e si
voltò indietro verso l’ingresso della casa, sul quale si
era materializzato un biondo avvolto in un grande ed elegante cappotto
nero.
- Vincent, che
c’è? È successo qualcosa? - chiese il maggiore,
mentre l’altro si avvicinava a grandi e rapidi passi.
Questo scosse la testa e gli sorrise.
- Volevo solo fare una passeggiata con te... - spiegò semplicemente.
Gilbert lo squadrò
con una certa perplessità: non era esattamente quel che voleva,
dato che di tanto in tanto aveva bisogno di starsene un po’ da
solo, però...
- Okay - replicò, scrollando le spalle, riprendendo ad incedere, stavolta affiancato dal fratello.
I due giovani Nightray si
avviarono allora verso il grande giardino laterale, in silenzio. Le
nubi grigie, intanto, si accumulavano, divenendo sempre più cupe
e incombenti. Da un momento all’altro nevicherà di nuovo,
pensò Gilbert, osservando il cielo. Non che gliene importasse
molto: la grossa sciarpa nera e il completo in tinta che indossava gli
rendevano difficile percepire il freddo sul corpo, cosa peraltro facile
sulle mani e sul volto, rimasti scoperti. Difatti, le guance erano
accese di un vivido rosso che lo rendeva molto più carino del
solito, ma al tatto erano gelide.
Vincent era privo della
sciarpa, ma in compenso indossava un paio di guanti che gli
permettevano di non congelarsi le dita, che teneva intrecciate tra loro
dietro la schiena, mentre camminava vicino al maggiore squadrandolo con
un certo interesse infantile ma possessivo.
Un possesso che aveva
sempre sentito e che, quando l’attenzione del fratello era
concentrata su di lui, cercava di mascherare con il semplice, classico
ed insospettabile “affetto fraterno”.
Procedettero in mezzo a
tutto quel candore quasi abbagliante per diverso tempo, senza
scambiarsi nemmeno una parola: al moro bastava il silenzio, e al biondo
bastava il moro.
Poi, dopo un po’, un
rumore balzò all’udito di entrambi, sortendo un effetto
davvero poco gradito nel più grande.
Miiiiaaaaaaaaaaaooo!
Gilbert si guardò intorno, spaventato: da dove proveniva quel miagolio?
- Reo, possibile che tu debba sempre fare le cose di testa tua?! -.
I due fratelli riconobbero
la voce di un loro terzo parente, il cui tono vagamente scocciato era
ben percepibile nel silenzio quasi tombale che regnava nel giardino.
Andarono avanti ancora un
po’, poi si fermarono: in lontananza, scorsero due figure, una
accovacciata al suolo, intenta in chissà cosa, l’altra in
piedi lì accanto.
- Eliot, che cosa avresti fatto? L’avresti lasciata lì, in mezzo alla neve, a morire di freddo? -
- Sono il tuo padrone, non
puoi prendere certe iniziative da solo! - sbottò l’altro
in risposta, incrociando con fare offeso le braccia sul petto e
distogliendo lo sguardo, indignato.
- Allora vorrà dire
che andrò a cercarmi un altro padrone... - sospirò Reo,
rialzandosi e facendo per andarsene.
- Ehi, no aspetta un
momento! - lo richiamò Eliot, voltandosi verso di lui, ma
inaspettatamente lo trovò già fermo, con gli occhi fissi
su due figure immobili a pochi metri di distanza.
Due profili a lui ben noti... e odiati.
- Che cosa ci fate voi due qui? - chiese subito Eliot, guardandoli con una certa severità nello sguardo e nella voce.
- Una passeggiata... tutto qui - spiegò Gilbert, stringendosi con noncuranza nelle spalle.
Vincent notò allora
il fagottino che Reo stringeva tra le braccia e, indicandolo, chiese: -
Che c’è lì dentro? -.
- Ah, q... -
- Non sono affari vostri!!!
- sbottò Eliot, ma il servo gli assestò un pugno sulla
testa, facendolo arretrare, tenendosi il punto colpito.
- Ahio, che male... -
- Adesso basta fare il
maleducato - lo ammonì il ragazzo con gli occhiali, quindi si
avvicinò agli altri due Nightray e aprì davanti a loro il
fagottino.
- Oooooh... - fu il commento di Vincent.
- L’ho trovata accasciata a terra, vicino al cancello... - spiegò Reo sinteticamente.
Tra le pieghe del tessuto
che teneva in braccio, si affacciava la tenera e piccola figura di una
gattina dal pelo bianco, che fissava il cielo con i suoi occhioni neri
e agitava le zampe come a voler giocare con l’aria, emettendo
bassi “miao” con i quali sembrava esprimere piacere e gioia.
Era di una tenerezza unica.
- Gilbert...
c’è qualche problema? - chiese Reo, perplesso, osservando
il moro dinanzi a sé, divenuto improvvisamente rigido e
innaturalmente pallido.
- È... è...
un... un... - balbettò, iniziando a tremare convulsamente,
sgranando gli occhi con lo stesso sbigottimento che avrebbe potuto
riservare al mostro nell’armadio.
Eliot focalizzò tutta la sua attenzione su di lui, mentre si ricordava della sua naturale fobia dei gatti.
Senza pensarci un secondo,
strappò la micia dall’abbraccio protettivo di Reo e la
scaraventò addosso al fratello.
Inutile dire che
l’animale prese decisamente male l’aggressione, solo che a
far le spese della sua rabbia felina non fu il suo effettivo
aggressore, bensì il povero, innocente Gilbert.
La gattina si
aggrappò saldamente alla sua sciarpa e al suo cappotto,
soffiando e iniziando ad arrampicarsi sul suo petto. Superfluo riferire
che il Nightray andò letteralmente in paranoia: iniziò a
piangere, a disperarsi come se stesse per morire e a tremare, prima di
iniziare a correre in giro, frignando.
Vincent lo inseguiva, cercando di calmarlo.
Eliot se la rideva a
crepapelle, tanto che a stento riusciva a tenersi in piedi. Finalmente
riusciva ad ottenere una piccola vendetta sul fratello. Era da tanto
che aspettava una simile occasione.
Reo, immobile accanto a lui, gli assestò un altro pugno in testa.
- Ahio! Perché mi
hai picchiato?! - sbottò il ragazzo, massaggiandosi
vigorosamente il capo. Iniziava ad essere stufo di essere sempre
l’obiettivo dei colpi del suo servitore.
- Lo sai che Gilbert odia i gatti. Non dovresti fargli certi scherzi! -
- Ma se è una femminuccia frignona che posso farci?! -.
Reo lo sovrastò, con una strana luce inquietante negli occhi.
- Vai ad aiutarlo - gli sibilò.
Pareva più un’imposizione che una semplice affermazione.
- Tsk! Non ci penso nemmeno! - ribatté Eliot deciso, incrociando le braccia sul petto e distogliendo gli occhi.
- Allora io me ne vado... -
- No, no!!! E va bene! -.
Il Nightray
attraversò a grandi falcate lo spazio che lo separava da Gilbert
e Vincent, mentre il maggiore dei due ancora dava spettacolo della
più tenera e delicata parte di sé.
Se il biondo non era ancora
riuscito a fermare il moro e calmarlo, Eliot ci riuscì in un
baleno: gli si piazzò velocemente davanti e afferrò la
gattina, strappandogliela di dosso, quindi lo squadrò con
arroganza e una punta di disprezzo, prima di allontanarsi reggendo la
povera creaturina per il collo.
- Tieni - disse,
riconsegnandola a Reo, che l’accolse di nuovo tra le sue braccia,
avvolgendola con dolcezza nel suo fagottino.
Poi, il minore dei tre Nightray si allontanò.
Gilbert, più in là, tremava ancora, ma pareva che stesse decisamente meglio.
- Eliot... non dovresti dire qualcosa? - lo interrogò Reo.
L’interpellato si
fermò, irrigidendo le spalle, quindi si voltò indietro e
sbraitò: - Gilbert sei la vergogna della casata!!! -.
E se ne andò, lasciando palesemente di stucco gli altri due.
Reo scosse la testa.
- Non era questo che intendevo... be’, arrivederci -.
E seguì il suo padrone, portandosi dietro la gattina.
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