Storia
Settima Classificata al contest di Roro e KikiWhiteFly: 'I found myself
in the (telefilm) wonderland'.
[Questa
versione della storia è quella corretta in seguito alla
revisione post pubblicazione risultati]
Autore:
RainMemories
Titolo:’My Immortal’
Rating: Verde
Genere: Triste,Malinconico, Introspettivo, Romantico,Sentimentale
Avvertimenti : One Shot, Missing Moment
Personaggi/Pairing: [MichelexMonica]
Titolo della canzone scelta: ‘Luce-Tramonti a
Nord-Est’ - Elisa
Note dell’Autore: Questa One-Shot è ambientata al
termine della Seconda serie
di ‘Tutti Pazzie per Amore’. Rispecchia la mia
visione del proseguo della
storia di Monica, che diventata mamma, dopo l’incontro con
Michele si sente
estremamente colpevole d’intrattenere una relazione con un
uomo che non ama
quanto l’uomo che le ha cambiato la vita. Per quanto riguarda
l’attinenza alla
canzone di Elisa, mi sono ispirata alla strofa indicata e scelta nel
bando per
introdurre una sorta di supplica da parte della donna a sentire il suo
uomo
ancora intento a parlarle, a consolarla. Nel brano compare
un’altra frase della
stessa canzone da cui ho preso spunto per indicare un altro aspetto
della
storia raccontata.
~
»My
Immortal. «
"I sogni sono
illustrazioni dal
libro che la
tua anima sta scrivendo su di te."
(A. Drew)
«E
se un giorno guardandoci
negli occhi sentiamo che non è più la stessa cosa
ce lo diremo..»
Quelle
parole risuonavano vane nel loro compimento, nelle stanze di quella
casa vuota.
Era finito tutto.
Tutto era terminato nuovamente, anche se, questa volta, il potere
d’incidere la
parola ‘fine’ era custodito nel volere di lei.
Adriano
se n’era andato e, insieme a lui, erano fuggite tutte le sue
cose, tutte le sue
parole ed il loro stesso, impercettibile rammarico d’amore.
Non
era amore e Monica era arrivata a comprenderlo, ma
solo nel momento in
cui poté giungere al rincontrare la passione e la dolcezza
infinita di quelle
labbra.
Nulla
era sopravvissuto alla sua memoria, non dopo quel sospiro
di baci..
Lo voleva ancora, anche se fosse stato solo per lei e per un immenso
scambiarsi
sguardi di profondo che raccontassero di loro per sempre.
Adriano
non era lui.
Davanti
al ripercorrersi incessante del ricordo d’un angelo,
che si voltava a
sorriderle di nostalgia, in quello che diveniva il loro addio, lei non
poteva
amare di nuovo.
Non
poteva esser amante d’un estraneo che non possedesse quell’anima,
a cui
la sua s’era sottomessa per rimanerne prigioniera.
Quei
mattini, trascorsi a mentire allo specchio, sbiadivano la
verità di vivere e
sorridere sinceramente: basta menzogne!
Così, era arrivata a cedere a confessare il suo amore
mancato.
Adriano,
in quel periodo, scorgeva da lontano il gelo schermatosi tra loro, ma,
nel
sentirsi impotente, non aveva affrontato il rischio di incontrare
sofferenza e
di doversi vedere arreso a lasciare l’amore.
E
poi,fu solo una frase:
«Adriano,
io non ti amo.»
Quelle
parole erano scaturite dalla bocca di Monica,
nell’esasperazione provata fino
ad allora per trovar la forza di ammetterlo a sé.
Solo attingendo coraggio dal viso del suo bambino, aveva potuto
confessarsi,
pur sentendosi colpevole d’aver provocato
un’ulteriore delusione all’altro, in
quel caso all’uomo che aveva accanto.
Adriano
aveva atteso quel momento.
Sapeva che sarebbe giunto e non sarebbero esistiti compromessi, scuse,
difese:
era la verità a ribadire che il suo destino non era
l’amore di quella
donna fatale.
Lo
sentiva, ne aveva sempre posseduto sapienza : quella donna non avrebbe mai potuto appartenergli.
Per
Monica sfuggire da lui era inevitabile perché la carezza
della libertà
l’accompagnasse sempre ed ancora, perché potesse
rivivere della luce che, con
un soffio d’immenso, si era cullata in lontananza e sempre
più via da lei con
il volo di quell’angelo, così sospirato.
Adriano disse addio a quella vita, a quella casa.
Non domandò il perché.
Forse,
quel segreto che svelarsi non voleva, si era sempre rivelato vivo e
limpido nel
profondo di quell’uomo: quella risposta aveva sempre dipinto
la sua presenza
nella sua anima.
Chiudendo
alle sue spalle quella porta, lasciò il vuoto dietro
sé.
~
Parlami come il vento fra gli alberi.
Parlami come il cielo con la sua terra.
Non ho difese,ma ho scelto di essere libera.
Adesso è la verità,l’unica cosa che
conta.
Avrò cura di
tutto quello che mi hai dato.
Monica
era accovacciata sulla manona.
Custodiva, nella dolcezza della culla che erano le sue braccia, stretto
a lei e
al battito del suo vivere, ciò che della vita e del suo
senso e poesia le
rimaneva.
Lo
abbracciava profondamente, respirando alla luce di quegli occhi grandi.
La sua vita o ciò che ne restava era stretta a lei.
Senza
lui, senza il suo farsi sentire, senza il suo agitare i piedini in quel
vestitino blu e bianco, si sarebbe sentita perduta, dimenticata, troppo
avvolta
di solitudine per custodire ancora la voglia di vita.
Invece,
si abbandonava nel sospirare del rivivere lui,
nello splendore della
creatura che proteggeva.
Lui,
in quel ridere d’innocenza estrema e nient’altro.
Lui, in quella manina che accarezzava le sue dita
per impedirle
d’abbandonarlo.
Lui, nella forza che quel visino, ora mai
addormentato, riusciva a
trasmetterle semplicemente esistendo.
Lui, in quegli occhi scuri e tanto grandi, immensi
quel tanto da
nascondere e custodire l’intera vita di chi si soffermava a
scorgerli.
Quegli ‘specchi d’anima’ narravano quanto
bruciasse vivo il fuoco del voler
sentire le parole del suo uomo ancora e quanto quella
libertà, così
improvvisata, fosse segno del tornare a respirare, nella brezza che
rimaneva di
quel suo amore passato e del suo divenire memoria.
Nel
perdersi in quel cucciolo d’uomo e amore perduto,
l’abbandonarsi nell’infinto
di ciò che era stato: rivivere il suo uomo.
Monica rimase sola con i suoi sussurri, intenti a non dare una fine
alla favola
che raccontava al sonno del suo piccolo.
«Cucciolo,
se non ci fossi tu che
senso avrebbe? »- sussurrava Monica ,contemplandolo.
Continuava
a cullarlo con la delicatezza con cui si tiene gelosamente la
sinuosità d’una
rosa bianca tra le dita per non privarla dell’ultimo raggio
di sole,come della
prima luce di stelle.
Monica
si voltò per un istante verso il portafoto sul tavolino,
lì a fianco.
Lacrime.
Gocce di malinconia e amaro dolore le rigavano interminabilmente il
volto.
La
luce di quel ritaglio di luna, curioso d’affacciarsi a quella
finestra, faceva
risplendere il divenire reale e visibile di tanta sofferenza.
«Parlami,
ti prego. Parlami
ancora.
La libertà che ho scelto per me e la solitudine mi
uccidono,Michele…
Io non volevo lasciarti. »- sussurrava con voce rotta e
tremante in quella
ninna nanna e nel silenzio che, ad essa, si abbracciava,accompagnandola.
«Io
ti
sento Michele…
Sarà
questo vento che
mi sfiora, ma io ti sento.
Sento ancora le tue mani, Michele.»-continuava la voce della
donna
imperterrita.
Il
suo sussurrare non trovava quiete in quella notte : continuava morbido
e denso
di sofferenza.
La sua preghiera al Vento ed al suo padrone Cielo non trovava
stanchezza nello
scrivere quanto volesse sentire quella voce e quel
loro
sfiorarsi, per sperare ancora,seppur nella notte e il suo
nulla estremo.
~
~ Avrai cura di tutto
quello che ti
ho dato
Così,
dopo poco, il sonno la portò altrove da quella sofferenza e
la sua crudeltà.
E
fu candore: bianco e teli di nebbia e foschia .
Non
conosceva quel luogo, non ricordava d’esserci mai stata,
almeno non fino ad
allora.
Teneva ancora stretto a sé il suo cucciolo addormentato, ma
la solitudine non
c’era più: sembrava essersi dissolta nella
creazione del mistero di
quell’astratto scenario.
Monica
si guardava tutt’intorno, scrutando ogni minimo particolare,
ma quel velo di
foschia non le consentiva la vista.
Restò in silenzio ed immobile, attendendo
l’ignoto, totalmente avvolta dal suo
essere indifesa.
Non aveva paura.
D’improvviso,
suoni indistinti fecero irruzione in quello stagliarsi di silenzio.
Monica ascoltava muta.
Quel
crescendo di rumor di passi si avvicinavano sempre più.
Il brillare di un riflesso di luce si proiettò
distrattamente dinnanzi ai suoi
occhi celesti, ma neppure questo la spinse a voltarsi.
Attese
e, poi, lo sentì.
Le braccia di Michele la stringevano in vita con quella
dolcezza di cui,
solo lui, era capace.
Monica
continuò a non voltarsi, si limitò a poggiare il
capo all’indietro, cercando la
sua spalla.
Quegli
attimi sfidarono il tempo: l’uomo e la donna lottarono
perché quella manciata
di momenti non trovasse fine.
Il tempo e la sua crudeltà cessarono di scorrere.
Monica
si voltò, cercando quegli occhi e, ancora incredula, lo
chiamò:
«Michele…»
Lui,
ormai davanti a lei, nello splendore delle sue morbide ali, le sfiorava
il
volto, non facendosi sfuggire ciò che gli diceva.
«Michele,
io non ce la faccio senza di te.
Michele, io non volevo, non
volevo
lasciarti andare.
Sono solo tua, l’ho
lasciato.
»- continuava con il suo sussurro
e il suo pianto Monica che si sentiva,ingiustamente,colpevole- «Michele,
non andartene ancora.
»
Detto
questo, fermò le sue parole per un po’, guardando
Michele sfiorare il piccolo, ancora
addormentato.
Poi, ricominciò ad implorarlo.
«Io
continuo a volerti: io da
sola non ce la faccio…
Lo so, ho scelto io di rimanere sola, lasciando tuo fratello, ma io non
lo
amavo. »
«Michele,
ti prego,
parlami. »-sussurrò ancora.
Poi,silenzio.
In
quell’istante, Michele alzò lo sguardo per
guardarla negli occhi, mentre con
una mano le accarezzava i capelli.
Iniziò
a parlarle, alternando lunghi sospiri e silenzi.
«Monica,
tu non sei mai sola.
E’ come se io e te fossimo perennemente avvolti in un
abbraccio.
Sono sempre accanto a te.
Io vivo, sai? E penso che tu sappia che potrai trovarmi sempre, negli
occhi di
chi è vita per me e con
me…»-continuò a rassicurarla
l’uomo, guardandola
dolcemente.
Monica
abbassò lo sguardo, ammirando il loro amore
respirare tranquillo tra le
loro stesse braccia.
Sollevò il volto,illuminando gli occhi di Michele,
concedendogli il brillare di
un suo sorriso, seppur fosse, anch’esso, vittima del dolore.
La strinse ancora un po’, si avvicinò e la
baciò sulla fronte.
Poi, chinandosi diede un bacio anche al loro piccolo.
«Va’…»-le
disse dolcemente
Michele, cercando di nascondere la sofferenza di concedere a quel nuovo
addio
di portarla lontana dai suoi occhi, dalle sue braccia.
Si
sfiorarono ancora le mani.
Prima
che lui si voltasse nel guardare, con gli occhi lucidi di nostalgia, la
strada
che lo attendeva, si voltò ancora verso di lei e, senza mai
distogliere gli
occhi dai suoi, si allontanò con lenti passi al contrario.
Il
buio e quei passi in lontananza musicavano il loro andarsene sofferto,
sempre
più lento, sempre più debole.
~
Monica
aprì gli occhi: tutto era scomparso di nuovo.
E
lui?
Il loro addio era stato narrato dolcemente,inesorabilmente, lasciando
il niente
dietro di sé.
Avrai cura di tutto quello che ti ho dato.
Avrò cura di tutto quello che mi hai dato.
Avremo cura di tutto quello che
abbiamo donato
a noi stessi
per ricordare al mondo
che siamo esistiti.
Ma
nel niente, rimaneva il realizzarsi dell’incantesimo di quei
due occhi grandi
che si stropicciavano dinnanzi a lei, parlandole della dolcezza
infinita che quel
piccolo era, che loro erano stati.
Li cercò (quegli occhi), ne
trovò la luce immensa che irradiava quel
buio, nel diventare giorno.
Nel sorgere del sole, fuori la finestra, capì dove il
suo angelo decise
di cantare ancora la vita.
Quella ninna nanna
continuava a suonare poesie nel
sussurro di quella donna che, alzando gli occhi al cielo, pensava
instancabilmente:
« Inesorabili i
tuoi occhi
nei suoi. »
(♫)
Luce- Elisa
Storia
partecipante al challenge 'One Hundred Prompt'
Prompt
n.89 - Sogno
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