The Emperor and the
Skypirate
( act. 21, 26) - Reapproaching.
Dissonant.
« Penelo...?»
Questo nome ti fa sobbalzare, spalanchi gli occhi e per poco non
inciampi sui tuoi stessi passi, scivolando oltre il bordo della fontana
centrale. Spaventi una bambina che stava giocando sul bordo della vasca
e la vedi senza prestarle attenzione mentre gli occhi le si riempiono
di lacrime atterrite e si allontana correndo, stringendo forte in mano
la sua bambolina di pezza. Avresti voluto consolarla e chiederle scusa
- lo avresti fatto senza aspettare un altro istante, in qualsiasi altro
momento - dirle che non avevi intenzione di farle paura, ma di bocca
non ti esce un suono, tranne un lento rantolo affannoso che ti mozza il
respiro.
Rimani qualche istante immobile a fissare l'acqua placida che ti
restituisce l'immagine distorta del tuo stesso volto, mentre senti le
sottili trecce ricaderti sul petto, sfiorandoti il collo. Ti spaventano
la piega terrorizzata che la tua bocca ha appena assunto e la curva di
completo smarrimento disegnata dalle tue sopracciglia.
Inizi a chiederti se per caso ti sia immaginata tutto, e quella voce
non sia stata altro che una tua triste rimembranza, un bisbiglio al tuo
orecchio, una fantasia solo tua.
Distogli la tua attenzione dal tuo riflesso brillante sull'acqua,
trovando improvvisamente che la visione dei tuoi piedi piantati sulle
mattonelle decorate della piazza sia molto più
tranquillizzante. Il
silenzio intenso che ha seguito quell'unica parola ti rincuora e riesci
anche ad ignorare il chiasso generale ed allegro che ti circonda, tutta
intenta come sei adesso a sperare che nessuno ti parli ancora.
« Penelo, sei tu?» un altro brutto colpo per il tuo
povero cuore giovane. E questa volta quella voce
sconosciuta è meno incerta, sembra più
consapevole di ciò che ha appena detto.
Ti viene in mente che potresti far finta di nulla, voltarti e dirgli
gentilmente che ti deve aver scambiata per qualcun'altra
perché - oh, no - quello non
è il tuo nome.
Vai nel panico, chiedendoti come sia possibile che qualcuno ancora ti
riconosca con quel nome. Hai cercato in tutti i modi di cancellarlo,
perché Penelo
ti fa sentire bambina, inesperta, ti fa tornare la bionda orfana di
Rabanastre che eri un tempo, la stessa che non conosceva il mare,
inseguiva lungo il bazar un idiota con infantili manie di grandezza e
sogni impossibili per impedirgli di rubare più guil del
necessario,
quella stessa fanciulla che si lasciava trasportare dal destino degli
altri senza riuscire a decidere nulla per sé stessa.
Ti accorgi che non puoi fare finta di nulla e così ti volti
facendo
un'impacciata piroetta sulla punta dei piedi. In un solo istante,
mentre ti prepari a sollevare gli occhi, ti chiedi chi ancora potrebbe
conservare il ricordo di quella te stessa così fragile.
Le uniche persone che ti hanno conosciuto con quel nome sono tanto
irraggiungibili ormai, che ti suona strano pensare che possano essere
loro, adesso, ad averti appena rivolto la parola.
Migelo è morto, ha venduto il suo negozio di oggetti ad
Ahmar
dell'armeria. Per te è stato come un padre, ma ormai non
potrà mai più
urlare il tuo nome in mezzo alla folla, cercando di acchiapparti per
trascinarti a cena.
Quello sfigato con cui dividi la vita, il cielo e l'aeronave
è talmente
esaltato e fuori di testa - una testa che non sembra cresciuta neppure
un po' rispetto a quando era un ladruncolo - che ha smesso addirittura
di chiamarti, figurarsi. Si è abituato a te, e
perché vi intendiate non
c'è bisogno d'altro che di un'occhiata. Rapporti misteriosi
ed
incomprensibili fra aviopirati, fra compagni, fra "colleghi".
Gli altri amici con cui ha condiviso parte della tua fanciullezza sono
la regina celibe della patria che hai abbandonato e due folli
aviopirati spariti da qualche parte per Ivalice, e non ricevi notizie
da loro se non quando guardi le taglie affisse in bacheca alla casa del
Porto o nella Taverna dell'Onda bianca - a Balfonheim - e, basandoti su
quelli, non puoi certo negare che se la stiano passando bene. Poi
c'è
il generale dalmasco infiltrato di soppiatto nell'esercito Magister di
Archadia, legato stretto con vincoli d'onore, promesse e dovere. Ed
è
ovvio che un tipo del genere non abbia tempo per...
Ma questi pensieri sono troppi perché tu possa farli
scorrere tutti
nell'intervallo di tempo che impieghi a sollevare gli occhi.
La tua espressione subisce cambiamenti repentini. Prima ti sentivi
intimorita ed un po' malferma, ora sai di aver in volto un'espressione
di completa confusione, di disagio e disorientamento più
assoluto.
Il giovane uomo che ti ritrovi davanti ha dei bellissimi e sinceri
occhi azzurri, e ti sta guardando con le labbra dischiuse, una mano
protesa a mezz'aria verso di te, con curiosità mista ad un
lieve
impaccio che non si addice affatto ai lineamenti nobili e maturi del
suo volto.
Ma non è questo a sconvolgerti, non è il fatto
che lui sia molto più
alto di te o che la forma gentile dei suoi occhi ti sembri
così
familiare da farti quasi girare la testa.
Ti lascia a bocca aperta il modo in cui
è vestito. Ti confonde la folla di soldati in armatura che
si stringono
dietro di lui, in un tintinnare continuo di corazze e spade. Ti
confonde il vessillo di Archadia che sventola alle sue spalle,
mostrando i ricami dorati che si intrecciano a disegnare lo stemma
della stirpe imperiale.
Ti lascia perplessa il mantello sontuoso che pende dalle sue spalle e
si distende sulle piastrelle quadrate della piazza, come un ampio e
brillante lago blu . I pendagli sontuosi e pesanti che gli ricadono sul
petto, la giubba sfarzosa dal taglio tipicamente archadiano - con il
collo alto e le maniche ampie - e il modo elegante con cui lui li
indossa.
Fissi il diadema d'oro che gli ricopre il capo, sfiorandogli le guance,
adagiato sui suoi capelli castani come se fosse stato plasmato per
occupare quel posto e nessun altro.
Non riesci a dire nulla, rimani immobile e silenziosa come una
decorazione di cera. Non capisci il motivo per cui i suoi occhi - ora
ricolmi di un'eccitata e mutevole tonalità più
chiara che ti suggerisce
che lui sa chi sei - ti sembrino così
inspiegabilmente conosciuti.
« Penelo, sei tu!» conferma, con una nota di
malcelato entusiasmo a
rianimare le sue parole. Ora che ci fai caso, anche la sua voce ti
suona in maniera strana. Non è troppo bassa, ma ormai ha
abbandonato
gli accenti puerili e fa in modo che ogni sua parola sembri imperiosa e
dolce al tempo stesso, una sorta di tranquillo e continuo tentativo di
mettere gli altri a loro agio.
E c'è qualcosa, qualcosa di strano ed inspiegabile, che poi
fa in modo
che tu lo riconosca, mentre il tuo corpo viene attraversato da un
brivido.
Non c'è modo e motivo per cui un aviopirata debba trovarsi
faccia a
faccia con il sovrano di un'intera nazione, a meno che non sia
costretto ad inginocchiarsi ai suoi piedi per saldare tutti i debiti
che si è lasciato alle spalle, durante una carriera di
continue
scorribande. O magari questo tipo di incontro potrebbe verificarsi in
casi sporadici, come quello assurdo - ma forse non troppo - in cui la
regina abbia stretto dei rapporti stretti con due dei più
sfuggevoli e
tristemente famosi pirati di tutta Ivalice.
Beh, casi sporadici. D'ora in poi dovrebbero mettere in lista anche questa
possibilità.
La possibilità che un'orfana della Città Bassa di
Rabanastre abbia
condiviso il pane e l'acqua e la propria sorte con l'ultimo
giovanissimo erede al trono imperiale.
« Larsa...» la voce ti esce di bocca in un
sussurro, ma questo basta a
far illuminare il volto dell'altro - il volto di quell'uomo fatto - di
un sorriso che lo fa tornare per un istante lo stesso ragazzino
spaventosamente maturo che ricordavi.
Ora lo riconosci in ogni cosa, anche nel suo volto leggermente
più
allungato e teso, nelle sue labbra morbide, nella fronte distesa e nei
capelli un po' lunghi che sfuggono dalla sua corona. Nel suo sguardo
vispo ed intelligente, nella bellissima e serena forma che la sua bocca
assume mentre ti sorride.
Vorresti dire qualcosa, ma sei soffocata da domande, stupore,
improvvisa euforia ed un'irrefrenabile voglia di abbracciarlo
perché - oh, accidenti - non sai
neppure tu quanto ti è mancato.
Lui fa un altro passo, trascinandosi dietro il mantello, facendo
tintinnare i ciondoli del vestito. Sussurra una qualche invocazione che
non ti riesce di cogliere, qualcosa di religioso, archadiano, in un
dialetto del nord troppo stretto e sussurrato, qualcosa che parla di
corone, spade e magilite.
«...non posso crederci!» le sue parole tornano
fluide e comprensibili,
ma tu sei troppo euforica e confusa per prestare attenzione ad altro
tranne che alla sua sagoma sontuosa che ti si avvicina, cercando un
qualsiasi tipo di contatto.
Ti perdi in domande futili e ti dimentichi di essere un'aviopirata
probabilmente ricercata dalla legge che se ne sta lì ferma
con uno
stupido sorriso stampato in faccia, senza fare caso alla gente che
inizia ad osservare con stupore la scena, o il disagio dei soldati
immobili dietro la bandiera dei Solidor.
Guardi lui, guardi Larsa, guardi le sue spalle più larghe,
il suo nuovo
volto da uomo. Quanti anni può avere ormai? Venti?
Venticinque? Da
quanti anni non lo vedevi? Così tanti?
« Signore.» Larsa si volta con le
sopracciglia che si corrugano
leggermente, il suo sorriso svanisce nel sentire quella voce baritona
che gli ricorda «...siamo in ritardo.»
Tu sposti controvoglia lo sguardo da Larsa all'uomo imponente che si
è
appena avvicinato a voi, tenendo un ingombrante elmo intarsiato sotto
il braccio.
E, accidenti, oggi è il giorno in cui riconosci tutti i
volti del tuo passato.
La cicatrice ormai riassorbita da tempo taglia il sopracciglio sinistro
di Basch facendo assumere al suo cipiglio severo una nota ancora
più
austera. I suoi occhi si accendono per un attimo di stupore nel
vederti, ma poi stringe le labbra e si rivolge a Larsa, in evidente ed
impaziente attesa.
Ed è a quel punto che ti rendi conto di cosa sta succedendo.
Ti capaciti dell'enorme scorta di uomini che segue Larsa e di Basch -
Gabranth - immobile e composto nell'armatura da Giudice che ha
ereditato dal fratello. Comprendi il significato di quella corona fra i
capelli di Larsa e della bandiera che sventola in balia della brezza
del deserto.
Arrossisci di vergogna mentre ti cedono le gambe ed abbassi il capo,
ammutolita, spaventata ed incerta.
Sei di fronte all'imperatore di Archadia.
Lui non è più semplicemente Larsa, il ragazzino
con cui potevi
permetterti di scherzare, di parlare in toni colloquiali, con cui
potevi scambiare delle battute divertenti.
E' Larsa Ferrinas Solidor.
L'imperatore.
Ti si secca la gola. E tu cosa sei?
Ti inchini più profondamente, quasi cadendo sulle ginocchia,
fino a che
la tua visuale si limita ai decori colorati che ornano le piastrelle
della pavimentazione. Ti senti solo in dovere di chinare la testa
perché sei umile, sei sporca e sei un'aviopirata. Lui
è così in alto
rispetto a te, così lontano, così bello e
così glorioso che ora ti
sembra solo un sogno lontano, un ricordo sbiadito che non riuscirai mai
più a riacchiappare, per quanto tendi disperatamente la
mano.
« La regina ci sta aspettando, signore.» insiste
Ba...- Gabranth. Il
suo modo di parlare confonde tre dialetti assieme, un po' di dalmasco,
qualche traccia di archadiano e dei toni sbiaditi della lingua di
Landis.
Senti Larsa esitare, rimanere fermo davanti a te - magari guardando la
tua nuca china - chiedendosi forse il motivo per cui ti sia prostrata.
Ti sembra che sia silenzioso perché sta cercando in tutti i
modi le
parole giuste per chiederti di risollevarti, ma poi senti che si
rivolge agli uomini del suo seguito, lasciandosi sommergere dagli
impegni, il dovere ed il peso di essere l'ultimo Solidor rimasto.
Riesci a cogliere un attimo il suo sguardo mentre si allontana,
disperdendosi fra il metallo lucente delle armature che lo circondano e
vieni abbagliata appena dal riflesso dorato della corona sul suo capo.
Scusami Penelo. Ho sentito la tua mancanza. Non sai quanto.
Avrebbe voluto dirtelo mentre eravate faccia a faccia, durante quei
confusi momenti di felicità estrema e di disorientamento,
mentre vi
capacitavate di esservi ritrovati dopo anni, di esservi riconosciuti a
vicenda nonostante foste diversissimi da come vi ricordavate.
Ma è il suo dovere, Penelo, devi
capirlo. Non può parlare con te come se foste amici di
infanzia - cosa, che in maniera paradossale, siete veramente.
Lui ha delle catene d'oro ed argento a tenerlo legato al suo trono, non
può liberarsene con facilità.
Tu non hai niente a costringerti, tranne forse quel fastidioso filo
rosso che ti ha legata a Vaan sin da quando eri bambina, inconsapevole
e vi imboccavate a vicenda, lui che tirava i tuoi capelli e giocava ad
annodarli per farti dispetto. Ma sei troppo in basso perché
questa
libertà possa permetterti di raggiungerlo.
Provi improvvisamente un'insensata invidia nei confronti di Ashe che
può parlargli da pari a pari. Lei che lo sta facendo
allontanare, lei
che te l'ha appena portato via. La regina che sicuramente
potrà anche
solo stringere la mano all'Imperatore senza sentirsi del tutto fuori
posto.
E in questo momento, mentre lui sparisce fra le vie della
città,
velocemente come è apparso, vorresti davvero che tutti
tornassero a
chiamarti con il tuo vero nome. Forse, se tu fossi di nuovo la
ragazzina rabanastrese e lui il giovane Solidor - quello a
cui ti sei affezionata, anche se non puoi di certo dire di
non amarlo ora, ora che è ormai adulto
quasi quanto lo sei tu - potresti ancora illuderti di avere un qualche
legame con lui.
Ti alzi in piedi con fatica, mentre iniziano inspiegabilmente a
bruciarti gli occhi.
Non ti curi più di niente fino a quando non ti accorgi che
Vaan ti sta
guardando e che nel suo sguardo limpido c'è una malcelata
preoccupazione. Anzi, ammettilo, sai benissimo che quando Vaan ti
guarda così significa che è maledettamente
turbato e che si sta per
trasformare nel protettivo partner che desidera solo che tu ti senta
meglio.
Quando Vaan ti guarda così, sai che sarebbe disposto a
lasciare a metà
ciò che sta facendo, qualsiasi cosa sia, e che si metterebbe
a
collezionare le scaglie dei Ferosauro solo perché tu glielo
hai
chiesto. E' quando Vaan ti guarda così che ricordi di
volergli un bene
dell'anima, anche se lui è un eterno bambino assillante,
rumoroso,
inopportuno, impulsivo e - molto poco - responsabile.
« Cosa succede?» ti chiede, allarmato, senza
neppure accorgersi di
avere ancora in mano un frutto di cactus mezzo mangiucchiato. Ha dei
semi sulle labbra, anzi, diciamo che dal tuo punto di vista potrebbe
anche tranquillamente essersi spalmato tutta la polpa sulla faccia.
Ti accorgi che è sera e che sei appena tornata all'Aerodromo
perché
Vaan voleva partire entro il tramonto. Scuoti il capo cercando di
sorridergli, implorandolo silenziosamente di non chiedere altro.
Ovviamente lui non afferra. Alla fine sei costretta a chiudere il
discorso con il tuo solito, laconico:
« Sei proprio un bambino, Vaan.» è una
frase fatta, è già pronta sulla
tua lingua ogni volta che ti viene incontro, e già da quel
momento sai
fermamente che dovrai usarla.
Lui mette il broncio mentre lo sorpassi, risalendo la rampa della
vostra aeronave - un regalo inaspettato di due
colleghi aviopirati,
una manna dal cielo che ha mandato Vaan in estasi per tre giorni di
seguito - ingoia l'ultimo pezzo di frutto di cactus venendoti dietro.
Ti siedi al tuo posto, sulla poltrona che ti mette davanti alle
attrezzature del co-pilota. Vaan si lancia vicino a te, rimbalzando sui
sedili.
« Tanto prima o poi me lo dirai. E non dovrò
neppure chiedertelo.» annuncia e sembra fermamente convinto
di ciò che dice.
Tu annuisci. Sai che sarà così.
Poi guardi il cielo mentre vi librate nell'azzurro cupo di una giornata
sul morire, dando un'occhiata veloce alle nuvole che bagnano Giza
durante la stagione delle piogge.
Senza un motivo preciso, ti tornano in mente gli occhi gentili
dell'Imperatore che ti ha fermata per strada.
Ormai siete davvero troppo lontani. E forse non è
l'età a dividervi,
siete entrambi adulti e probabilmente lui è più
giovane, ma mille volte
più maturo e sveglio di te.
Ridacchi tra te e te, silenziosamente, e ti rincuora che Vaan non ti
sta guardando.
Che stupida.
La tua risata è sommessa, piena di un imbarazzato rammarico
e di una
sottile pietà che ti sei accorta di provare per te stessa,
per i tuoi
sogni da bambina che non potranno mai avverarsi. Per quella speranza
euforica che ti è sbocciata in petto impetuosamente, assieme
allo
stesso vivido e impossibile sentimento che provavi allora e che credevi
di aver seppellito.
Lui ha il suo posto, Penelo. Te lo dici pensando
il tuo nome con forza, con rabbia e con nostalgia.
Tu cerca di stare al tuo. Per quanto faccia male.
---
(act. 12, 17) - Stars. Wondering.
« Sei sveglia?» Penelo batte le palpebre, aprendo
gli occhi di fretta.
Per un attimo si smarrisce nel blu cupo ed infinito del cielo,
abbagliata da tutte quelle piccole luci bianche che le fanno
l'occhiolino, sparse fino a dove il suo occhio debole riesce a
coglierle.
Si accorge quasi immediatamente dell'erba umida che le sfiora tutto il
corpo, modellandosi docilmente sotto il suo peso.
Ricorda vagamente di essersi distesa lì per terra dopo aver
litigato
con Vaan; lui se n'è andato con il broncio gridandole "non
ti parlerò
più, almeno fino a quando non ti entrerà in testa
che non sono più un
bambino senza cervello". Lei ha urlato di rimando che no, si stava
sbagliando di grosso e che certamente sarebbe
stato lui il primo ad avvicinarsi per chiedere scusa.
E così, fissandolo arrabbiata mentre spariva, lei si
è buttata per
capriccio sul prato infreddolito dalla sera, lasciandosi alle spalle i
fumi, i falò, i convivi calorosi dei garif, le tende e tutto
il resto.
Si accorge di aver strappato alcuni fili d'erba e lascia che
le
scivolino di mano, ammaccati ed afflosciati per la rabbia con cui li ha
stretti.
Ora lui si starà lagnando con Basch o Balthier, lamentandosi
di essere
incompreso e sottovalutato, riempiendosi la pancia prima di mettersi a
dormire definitivamente. Poi domani si sentirà riposato e
pentito e le
chiederà scusa, oh si. Giusto un attimo prima di partire per
Bur-Omisace.
C'è in sottofondo il sottile e tranquillo sciabordio del
fiume ed il
frusciare degli alberi e del vento che proviene da Ozmone, oltre
l'odore esotico della cucina garif. E' una cosa che le ricorda
vagamente l'odore di spezie e di casa.
« Ehi, Penelo?» dando un'ultima esasperata occhiata
al cielo, lei volta
la testa di lato, già pronta a sostenere lo sguardo
arrabbiato di un
Vaan poco convinto ma rassegnato, venuto a fare pace prima del
previsto. Ma gli occhi chiari che incontra non sanno affatto di
capricci, strepiti, litigi, sconfitta e amara rassegnazione.
Spalanca gli occhi ingoiando un'esclamazione mentre balza subito
seduta.
Larsa indietreggia di un passo, e poi si ferma di nuovo con i piedi
allineati e le mani dietro la schiena. Sul suo volto da bambino compare
un leggero sorriso divertito mentre la guarda che cerca in tutti i modi
di capire se ha qualche filo di paglia fra i capelli o se per caso le
si è sciolta una treccia.
« Ti ho svegliata?» domanda, con tono misurato, in
quella maniera composta ed educata che appartiene solo a lui.
Lei lo guarda un attimo, immobilizzandosi.
« Mi sono addormentata?» domanda a voce alta,
più a sé stessa che a lui, confusa dalle sue
stesse parole.
Larsa annuisce appena, ma cerca di metterla nuovamente a suo agio non
appena vede che le sue guance, dopo essere sbiancate, stanno iniziando
a ricolorarsi fin troppo in fretta.
« Non volevo disturbarti.» si scusa, poggiandosi
una mano sul petto in
un gesto cortese « Pensavo che Vaan ti avesse offesa. Volevo
accertarmi
che stessi bene.»
Lo dice in questa maniera così dolce e sincera che Penelo
quasi
dimentica tutte le offese di Vaan, le cancella. Ora potrebbe anche
andare da lui per chiedergli scusa per prima.
« Non mi ha offesa.» gli risponde con un sorriso
« E' solo un ragazzino cocciuto a cui serve la
balia.»
« E' per questo che sei qui, giusto?» Penelo sa che
la domanda di Larsa
non è invadente e che nel suo tono non c'è
neppure la più piccola
traccia di malizia. Gli risponde annuendo vigorosamente. Vaan
è un
idiota.
Gli angoli della bocca puerile di Larsa si piegano ancora verso l'alto:
« A volte penso che tu sia davvero troppo buona,
Penelo.» sussurra, fra
le sue piccole e leggere risate « A causa di Vaan sei stata
rapita da
dei cacciatori di taglie eppure lo segui ancora. Ti ammiro
davvero.» è
molto da Larsa il modo in cui eclissa la fase della storia dove
è lui - non quel deficiente di Vaan
- a strapparla dalle grinfie dei cacciatori. Non vi accenna
neppure minimamente, come se la cosa non avesse valore.
Penelo lo osserva mentre si siede accanto a lei, facendo scivolare gli
stivali in stile imperiale sull'erba, sospirando sommessamente mentre
poggia tutto il proprio peso sui palmi aperti delle mani. Non sembra
curarsi dell'estrema delicatezza della sua camicia e dei suoi guanti
bianchi e non ci bada neppure quando vede che alcune dita si sono
macchiate di clorofilla.
« Ad Archades non capita mai di poter vedere tutte queste
stelle,»
ammette, guardando il cielo con delle movenze molto infantili, con il
naso all'insù « So a memoria i nomi di tutti i
corpi celesti e di tutte
le costellazioni, ma dovevano portarmi a Cerobi perché
potessi
studiarle dal vivo.» nessuna delle sue parole ha il tono
altezzoso di
chi vuole autocompiacersi, sta solo dicendo le cose come stanno
«
Troppe luci, troppi palazzi.» aggiunge, vedendola perplessa.
« Che tristezza...» le sfugge dalle labbra, in un
soffio, e si pente subito di ciò che ha appena detto.
« Già.» Larsa è d'accordo, ma
non da alcun segno di fastidio. E' bravo. Lo fa per non farla sentire
in soggezione.
« Vedi.» aggiunge dopo qualche istante di silenzio,
tendendo un braccio
e l'indice verso il cielo, verso uno schizzo di stelle particolarmente
intricato « Quella è Mateus, è la prima
che appare quando il sole
inizia a tramontare.» il suo dito si sposta dalla parte
opposta « E lì
c'e Zodiark, è la più estesa...»
Penelo lo ascolta e si distrae a rintracciare le linee invisibili che
uniscono le stelle e disegnano nel cielo mastodontiche figure
stilizzate. Larsa partecipa al suo divertimento con la sua risata
cristallina e tenera; Penelo vorrebbe solo che le costellazioni non
finissero mai.
« Noi a Rabanastre prendiamo le stelle così come
sono.» ammette dopo un
po', vergognandosi della propria ignoranza « Non le guardiamo
per
capire dove siamo o dove sorgerà il sole...aspettiamo solo
che ne cada
una.»
Le sopracciglia di Larsa si sollevano:
« Perché?»
Penelo è divertita dalla sua improvvisa
curiosità.
« Perché noi esprimiamo i desideri. Quando una
stella cade, puoi chiedere qualsiasi cosa.»
« E si avvera?»
« Si, la maggior parte delle volte. Se hai espresso
il tuo desiderio nella maniera giusta.»
Larsa sembra affascinato da questa usanza.
C'è di nuovo un attimo di silenzio. Ci sono dei grilli che
friniscono
fino allo sfinimento, ma la cosa non dà fastidio a nessuno
dei due.
« Sai, quando ero più piccolo mio padre mi leggeva
spesso libri di
mitologia.» Larsa ricomincia a parlare con una leggera
esitazione nella
voce « Leggende che parlavano di come sono nate quelle
stelle. Me le
leggeva di notte, per farmi addormentare. E se lui non aveva tempo,
c'era sempre qualcuno dei miei fratelli a sostituirlo.» le
rivolge un
sorriso impacciato, interrompendosi un attimo.
Penelo capisce che questo lo sta dicendo a lei, e a lei soltanto. Ha
già inconsciamente aperto una piccola porta della sua mente
per
custodire sotto chiave il piccolo segreto di cui lui le sta facendo
dono.
« Poi sono diventato più grande. Non mi hanno
più letto nulla, potevo
farlo anche da solo.» fa una pausa, di colpo intento a
fissarsi la
punta degli stivali « Ma a volte mi capita di pensarci. Se
anche
volessi che qualcuno di loro mi leggesse qualcosa, non potrei essere
accontentato.»
Penelo deglutisce, improvvisamente consapevole della cosa terribile che
lui ha appena detto.
I miei fratelli sono morti. Sono morti tutti. Sono morti e
sono stati uccisi dal fratello che amavo di più fra tutti. Larsa
lo sta urlando, lo sta urlando a squarciagola senza dire una sola
parola. Penelo vorrebbe che, per una volta, lui abbandonasse quella sua
espressione di nobile quiete e di saggezza.
Vorrebbe far un uso migliore della confidenza che le ha appena donato,
permettergli di sentirsi al sicuro mentre quel suo silenzio ed i suoi
occhi parlano per lui, le chiedono aiuto in sussurri che frusciano
nelle sue orecchie.
Amo mio padre ed il suo impero e darei qualsiasi cosa
perché
rimanesse in pace, così come lui vuole che sia.
Amo mio fratello Vayne
con tutte le mie forze e lo considero una delle persone più
leali e
nobili di tutta Ivalice. Ma ora lui mi sta abbandonando. Mi sta
lasciando solo, ha preso una strada che supera i confini della mia
comprensione. A volte mi chiedo - disperatamente- se sarebbe capace di
uccidere anche me, se il mio semplice essere ancora vivo gli dovesse
ostacolare il cammino.
Penelo vorrebbe dirgli qualcosa, ma un guizzo bianco sopra le loro
teste attira improvvisamente la loro attenzione. I loro sguardi volano
al cielo nello stesso istante, e fanno appena in tempo a cogliere la
scia morente di una stella appena caduta. Gli occhi di entrambi si
fanno grandi mentre balzano in piedi all'unisono.
« Larsa, una...!» Penelo sente che le dita di lui
si sono avvolte con
forza intorno alle sue. Sta cercando un silenzioso conforto, qualcosa
che non sarà mai capace di chiedere a voce alta. Sta
implorando sé
stesso di riuscire ad essere forte, sperando solo che tutti i suoi
sforzi possano portare a qualcosa che tenga lontana la guerra da tutto
ciò che ha di più caro al mondo.
Lei ricambia la stretta mentre lo guarda chiudere gli occhi ed
esprimere silenziosamente il suo desiderio, sperimentando quella nuova
e sconosciuta tradizione di Rabanastre.
E poi esprime anche lei il suo.
Per un attimo, in quell'istante di magia e folle superstizione, possono
giocare a tenersi per mano come bambini - la bambina che lei
non è
più, e il bambino che lui rifiuta di essere -
incoraggiandosi a vicenda
con la promessa di una desiderio espresso guardando la stessa stella
cadente.
Allora Penelo pensa che le piacerebbe poter guardare il cielo assieme a
lui tutte le notti, a partire da questa, ma per un solo istante, prima
che le loro mani si dividano.
(act. 0) - Fine
---
Nota
dell'autrice:
Per
evitare qualsiasi tipo di
fraintendimento, i numeri inseriti all'inizio degli atti si riferiscono
all'età di Larsa e Penelo. Quindi la seconda scena
è mooolto anteriore
rispetto alla prima :3
La storia risale al 2007 ed
è rimasta intatta da allora xD - si, esatto, in questo
periodo sono nostalgica <3
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