Ossessione
Se c'era una cosa che
il giovane Gilbert Nightray aveva imparato a detestare da quando aveva
ritrovato suo fratello Vincent, quello era senza dubbio il cucito. Non
tanto per l’azione in sé, che solitamente trovava pure
piacevole, benché tipicamente femminile, ma per il semplice
fatto che la mania di suo fratello di fare letteralmente a pezzi i suoi
pupazzetti l’aveva reso vittima di continue richieste da parte
del suddetto.
Per il biondo dagli occhi
eterogenei era diventata un’abitudine rivolgersi a lui per
lasciargli sistemare la sua miriade di pupazzi brutalmente martoriati e
occasionalmente mutilati.
Finché un giorno...
Nella stanza non
c’era altro che silenzio. Il sole moriva sull’orizzonte,
spandendo i suoi caldi riverberi rossastri nel cielo, illuminando
attraverso le grandi finestre la camera dov’era Gilbert.
Il moro stava seduto sul
bordo del letto, rivolto verso la luce e leggeva tranquillo.
Finalmente, tra pratica con le armi da fuoco, studio e
l’ossessivo ripresentarsi di Vincent con qualche nuovo pupazzo
eviscerato, era riuscito a trovare del tempo per leggere.
“Speriamo che Vince stia facendo qualcosa di costruttivo...” commentò tra sé, girando pagina.
Poche frazioni di minuto
dopo, la porta venne aperta ed una voce a lui fin troppo familiare
ruppe quel piacevole silenzio: - Gil? -.
L’interpellato si
volse sapendo già cosa si sarebbe trovato di fronte. Esattamente
come pensava, la scena gli si dipinse davanti: Vincent con quel sorriso
dolce e un po’ affettato, tipico di qualcuno che sta per
chiederti un favore, che reggeva tra le braccia i penosi resti di una
bambola orribilmente sminuzzata. No, non proprio sminuzzata, ma
mutilata e sventrata sì.
- Sì, Vince? -
domandò il moro, chiudendo con un sospiro il libro. E addio ad
un’altra brillante opportunità di leggere un po’ in
santa pace.
- Puoi ricucire Rosy? - chiese, accennando al pupazzo.
- Ha avuto un altro incidente con delle forbici? - domandò il maggiore con tono ovvio.
Non attese una risposta che riusciva già ad immaginare: invitò semplicemente il fratello ad entrare.
- Da’ qua - aggiunse, allungando verso di lui una mano.
Vincent gli passò i
resti di Rosy e si sedette sul bordo del letto, mentre Gilbert si
inginocchiava a recuperare l’occorrente per il cucito che teneva
nascosto sotto il materasso: se qualcuno dei suoi fratelli adottivi
avesse scoperto che cuciva probabilmente avrebbero bruciato la cassetta
di legno contenente il materiale.
Sempre in ginocchio, depose
la sfortunata vittima a terra per tirar fuori ago e filo, quindi la
riprese ed iniziò a lavorare.
Vincent si stancò
presto di star seduto, perciò scese dalla sua postazione e
andò a chinarsi dietro a Gilbert, senza smettere di sorridergli.
I minuti scivolavano via
rapidi, assieme ai punti, uno dietro l’altro, che riavvicinavano
lembi di stoffa straziata e richiudevano l’imbottitura al suo
posto.
- Vince... - chiese dopo un
po’ Gilbert, mentre ricuciva l’ultimo pezzo - ...
perché ti piace mutilare le tue bambole? -.
Il biondo tacque, colto di sorpresa dalla domanda.
Il moro si volse a fissarlo
e notò che la sua espressione si era fatta all’improvviso
un po’ più scura.
- Vince? -
Il biondo allungò
una mano a prendere quella del maggiore che reggeva l’ago, quindi
prese a giocherellare con esso con un dito.
Sembrava stranamente sovrappensiero.
- È... un passatempo... -
- E allora perché
continui a farmele ricucire, invece di prenderne altre nuove? - chiese
il moro, perplesso dalla risposta, mentre la presa sulla sua mano si
allentava e svaniva, permettendogli di riprendere il lavoro.
L’espressione di Vincent si modificò nuovamente, per lasciar posto al sorriso di prima.
- Perché così posso stare un po’ con te - replicò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Gilbert arrossì di
colpo, mentre un’espressione decisamente scioccata appariva sul
suo viso: aveva avanzato ogni genere di ipotesi per quel suo strano e
macabro hobby, ma una spiegazione simile non l’aveva mai neanche
sfiorato.
Si alzò di scatto, fissando il minore con indignazione.
- Se lo fai solo per poter
stare con me... potresti benissimo... chiederlo normalmente... - lo
rimproverò con tono incerto il maggiore, le guance arrossate.
Vincent si limitò a
guardarlo dal basso della sua posizione. Senza preavviso, Gilbert
posò il suo lavoro incompiuto sul letto e prese l’altro
per un braccio, aiutandolo ad alzarsi.
- Andiamo fuori a giocare... okay? Ma niente più bambole a pezzi. Mai più - lo riprese di nuovo, con un po’ più di fermezza.
L’altro annuì con fare convinto ed insieme uscirono dalla camera, dimentichi della povera Rosy.
[10 anni dopo]
Toc toc.
Vincent alzò
tranquillamente gli occhi dalla sua attuale occupazione, cui stava
dedicandosi anima e corpo, per portare lo sguardo sull’uscio.
- Avanti - disse semplicemente, in tono pacato.
La porta si aprì su colui che non si sarebbe mai immaginato di trovarsi davanti proprio a quell’ora.
- Vince sai dov... che cosa stai facendo? -.
- Ah, Gil...! - si
affrettò a rispondere il minore, assumendo un’aria
colpevole, lasciando cadere le sue amate forbici sul pavimento,
cosparso d’imbottitura.
Gilbert emise un lungo sospiro e disse semplicemente: - E fu così che l’accordo andò a farsi benedire... -.
- Eh... ecco... - esordì il minore.
- Guarda, lascia perdere - lo interruppe il moro con un vago gesto della mano, ritirandosi.
- Cercavi qualcosa? - chiese a bruciapelo il biondo.
- Echo - replicò l’altro, prima di uscire sbattendosi la porta dietro, allontanandosi lungo il corridoio.
“Mi ha scoperto... ce
l’avrà con me adesso?” si domandò Vincent,
mentre un’espressione un po’ abbattuta gli si dipingeva in
viso.
“Non c’è
speranza, Vincent è e rimarrà sempre Vincent”
commentò Gilbert tra sé, esasperato.
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