Solo
ricordi. Nostalgia mai.
“Sacchetto”.
“Medusa”.
“Sacchetto”.
“Ma che cavolo dici?”
“E’ un sacchetto, Kanon!”
“Ah, che vuoi saperne tu?”
Kanon di Gemini si piazzò a gambe larghe su una delle
panchine del molo di Rodorio e Aioria gli pestò un piede per fargli spostare
una gamba, in modo da potersi sedere anche lui.
Kanon si girò di scatto a guardarlo oltraggiato, aprì la
bocca per mandarlo a quel paese, ma la richiuse, sotto la luce della luna.
Aggrottò le sopracciglia e, per un momento, per un momento
soltanto, sembrò più che mai suo fratello Saga. Il serio, composto Gold Saint
decaduto dalle mani di Athena e adesso di nuovo innalzato alle stelle.
Che Saga e Kanon fossero gemelli era fatto assodato. Ma che
bastasse conoscerli appena per poterli distinguere perfettamente – dal
portamento, dal modo di accavallare le gambe, dai sorrisi – era altrettanto
vero: nessuno, al Santuario, avrebbe mai potuto scambiare uno dei due fratelli
per l’altro.
In quel momento, però, Kanon aveva assunto la stessa, marmorea
espressione di compito rimprovero di Saga.
Il genere di espressione che fa ammutolire l’interlocutore e
gli fa chinare il capo dalla vergogna.
Sfortuntamente, anche Aioria aveva aggrottato le
sopracciglia e, per un momento, per un momento soltanto era sembrato più che
mai suo fratello Aioros.
Kanon si trovava sempre a disagio davanti ad Aioros.
Decise di uscire dall’impasse riprendendo il discorso.
“E comunque, era una medusa”.
“Kanon. Era un sacchetto.”
“Era una…”
“Dove accidenti è finito Milo?”
Rodorio era un paese piccolo, un cuscinetto urbano tra la
metropoli Atene e la collina del Santuario. Non aveva rinunciato ai modi di
vivere antiche, alle tradizioni elleniche in cui era germogliato in secoli che
si perdevano nel mito.
Di tanto in tanto capitava, però, che qualche tentazione
penetrasse dal mondo moderno. Era il caso del Prontopizza, aperto in
paese e che stava facendo furore, o del gelataio all’angolo, tra la spiaggia e
il molo. Milo era là, nella calda serata estiva.
Stava offrendo il gelato a Camus, accanto a lui vicino al
bancone, per ragioni romantiche.
Stava offrendo il gelato anche ad Aphrodite, un passo più
indietro, per ragioni venali: aveva perso una scommessa e adesso pagava con un
voluminoso cono ai frutti di bosco.
Aioria poteva vederlo fin dalla panchina. Quel gelato
spammava più cosmo di un Silver Saint.
“Non cambiarmi il discorso, Milo ne avrò ancora per un po’.
Ti dico che era una medusa.”
“Era un sacchetto e se non la pianti ti faccio andare a
controllare in fondo al mare, in braccio a Poseidon”.
“Eh, esagerato.” Kanon ghignò. “Cos’è, ti sei riletto Episode
G?”
“Idiota”.
“Senti, era una medusa. Torniamo a vedere”.
Aioria sospirò e si tirò in piedi, con l’espressione
condiscendente di chi accontenta un bambino piccolo.
“Andiamo”.
Kanon lo precedette, misurando a grandi passi la distanza
dalla panchina al bordo del molo, circondato da una sponda di legno, cui ci si
poteva appoggiare comodamente.
Si diede la spinta con i palmi delle mani e appoggiò alla
ringhiera il ventre, per guardare meglio giù.
La notte estiva, su Rodorio, era come velluto nero.
Calava sul cielo, come il vento che si alzava dal mare, rendendo
la notte un manto ingioiellato: senza luci artificiali sulla spiaggia, le
stelle rilucevano nitide e luminose.
I bracieri alla fine del molo rischiaravano la passeggiata.
Per il resto, appena al di fuori dal paese, appena oltre il
gelataio, il cielo e il mare si confondevano tra loro. Le onde sotto il frangiflutto
sguazzavano sonoramente: un mare di inchiostro nero.
“Lo vedi?”
Kanon si sporse meglio, affinando lo sguardo di guerriero.
In tempi di pace, come quelli, poteva ben servire per
trovare una medusa.
“Eccola”.
Indicò sotto di loro, la sagoma chiara sotto la superficie
dell’acqua.
“Eccolo.” Si sporse anche Aioria. Due Gold Saint in
tempi di pace che allineavano i fondoschiena sulla ringhiera del molo. Uno dei
due parve accorgersene, perché affondò il gomito nelle costole dell’altro e un
attimo dopo entrambi stavano ammirando le onde in maniera più consona al loro
rango.
“Medusa”.
“Sacchetto”.
“Ma non vedi come nuota felice?”
“E’ un sacchetto della spesa, pieno d’acqua, che galleggia”.
“Sei romantico come una crepa nel muro!” Kanon lo fissò con
disgusto. “Cosa direbbe la tua bella, mh?”
“Direbbe che è un sacchetto”.
“Come una lattina di birra ammaccata! Romantico come…”
“Zitto e guarda!” Aioria indicò tra le onde. “Ha i manici!”
“Sono i tentacolini!”
“Sono manici!”
“Senti, ne saprò pure più di te! Non ci sei stato tu tredici
anni, negli abissi!”
I tempi di pace erano tempi di pace.
Permettevano ai Saint di lasciare il Santuario, anche se non
tutti in una volta, per godersi una serata ad Atene od ovunque volessero
andare. Anche semplicemente a Rodorio, per un gelato e una passeggiata. Le
guerre sacre erano state devastanti e crudeli, ma dopo l’alleanza con Hades,
che generava ancora tensioni, di tanto in tanto, tra gli eserciti, era
germogliata nuova vita, una nuova speranza. Le guerre non avevano mai fatto
tanta paura come quel futuro nuovo, pulito e vuoto.
Senza le aspettative di nuove guerre intestine e di agguati
alle spalle, era tutto da ricostruire per i sacri difensori degli dèi.
Che vivessero dell’oro di Athena o delle ombre di Hades.
Poseidon aveva un’alleanza a doppio vincolo con Athena,
adesso, dopo l’aiuto offerto contro il fratello Hades, durante la Guerra Sacra.
Eppure aveva chiesto ad Athena – e a Saori fanciulla – un
vincolo che non si sarebbe potuto spezzare: che Kanon non si addentrasse mai
più in mare. Che non potesse nuotare mai più in nessuna delle acque del
Mediterraneo, né in quelle di nessun altro mare, oceano od acqua salata. Che
non potesse allontanarsi dalla riva oltre il punto in cui i suoi piedi
toccavano il fondale.
Se si fosse recato più al largo, la maledizione di Poseidon
avrebbe colto il novello Odisseo, donandogli morte.
Kanon lo sapeva e aveva accettato la decisione del dio
scuotitore di terra. Con i piedi bene ancorati al molo, guardava le onde.
Impenetrabile, il suo viso, come le acque color del vino.
Aioria sembrò ricordarsene adesso. Non gli mise una mano
sulla spalla, come avrebbe fatto Milo, solo perché il suo carattere lo rendeva
più sfuggente, più riottoso anche nelle manifestazioni d’affetto. Appoggiò i
gomiti al legno e si limitò a fare un cenno col mento.
“Di dove sei stato, di laggiù… hai mai nostalgia?”
“Solo ricordi. Nostalgia mai”.
Kanon sorrise e nel buio sembrò un sorriso salato come le
onde. Aioria sogghignò, in risposta al coraggio e alla tempra di quell’uomo,
strano e schivo come un lupo, che aveva finito per entrargli nel cuore quanto
Milo.
La pace prevede sempre dei sacrifici, e spesso chi paga è
chi ha giocato il tutto e per tutto.
Era felice che Kanon fosse lì, coperto d’oro e uno di loro,
adesso.
Gli dispiaceva per quel suo sorriso salato.
Non gli dispiaceva abbastanza da dargliela vinta, però.
“E’ un sacchetto. Rassegnati”.
“E’ una medusa!” berciò l’altro, colto in contropiede.
“E’ un sacchetto, c’è scritto Coop!”
“Ma non dire idiozie, Leo!”
Aioria gli diede una spallata, costringendolo a lasciare la
ringhiera e fece un cenno col mento.
“Andiamo a chiederlo a Milo”.
Kanon affondò le mani in tasca, seguendolo.
“Darà ragione a me”.
Ciao.
Sarò breve perché mi vergogno,
visto che ho un sacco di ritardo su tutte le mie produzioni. Ma aggiornerò, lo
giuro! Neve, per esempio, è già finita! *O* La pubblicherò!
Il punto è che avevo molta fame
di Gold Saint, e l’occasione è capitata per gioco.
Questa cosina è ambientata in un
ipotetico post Hades. (Anche in un ipotetico post Heramachia, se mai ci
decidessimo a mettere i motori in moto. Ah, sapete che stiamo scrivendo un
libro?
Non ho altro da aggiungere,
eccetto che vi voglio bene.
E che dedico a sorpresa questo
scorcio estivo sui Gold Saint ai miei Gold e al mio Hades, perché li amo.
Solo ricordi, nostalgia mai è una
citazione dall’A-Team. Siate fieri delle mie tamarrate, o voi! <3