Un monile, mille anni

di Beatrix_
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Roma – 1540 d.c.

 

Ancora una volta, bisognava partire. Quando, dieci anni prima, un mago molto influente gli aveva suggerito Roma come possibile residenza di molti buoni e giovani apprendisti, Balthazar aveva, ancora una volta, fermamente sperato che potesse essere la volta buona. Si era recato in quel posto pieno di speranze e di rinnovato entusiasmo ma, dopo dieci anni di ricerche, aveva dovuto arrendersi: era chiaro che il Sommo Merliniano non si trovava lì, non in quel tempo almeno.

Erano delle ore, ormai, che frugava, pieno di frustrazione, tra gli oggetti che in dieci anni aveva accumulato nel suo appartamento, perennemente incerto su cosa portare con se e cosa, invece, lasciare.

Perso tra i suoi pensieri, si rese infine conto che erano passati 800 anni da quel giorno. Quel maledetto giorno in cui Horvath aveva tradito, Merlino era morto e Veronica... Veronica al momento si trovava prigioniera in una matrioska, pensò amareggiato.

E, visto che quello era divenuto un giorno di riflessioni, comprese anche che, per 800 anni, egli aveva sì cercato il Sommo Merliniano, ma non l’aveva fatto tanto per Merlino, bensì per Veronica. L’unico modo per riaverla con sé, era certamente quello di trovare qualcuno in grado di sconfiggere Morgana e c’era un solo essere che ne sarebbe stato capace: tutto stava nel trovarlo e nell’insegnargli le arti magiche.

Fu in quel momento, con quel misto di speranza rinnovata e senso di colpa nei confronti del suo maestro che, con uno strattone più forte degli altri, riuscì ad aprire quel cassetto incastrato dalla polvere e dal poco utilizzo, in un mobile abbandonato e dimenticato ad un lato della stanza.

Dentro, coperto di polvere, vi era soltanto un sacchettino, corroso ai bordi dalle tarme e sicuramente molto antico. Balthazar, con mano tremante, sciolse il laccio che lo chiudeva, sicuro di conoscerne il contenuto. Infatti, non appena lo aprì, un antichissimo monile ne uscì fuori: una collana d’oro, decorata con coppie di perle.

Capì subito perché, quando era arrivato a Roma, aveva relegato il gioiello in quel cassetto, dimenticandosene subito dopo. In realtà, era già la terza volta che sperava di liberarsene, di abbandonarlo in qualcuno dei posti dove aveva vissuto per un po’ e non pensarci più. Perché ogni volta quel ricordo, il ricordo di quel giorno al mercato e di Veronica felice come una bambina, tornava a tormentarlo e faceva male.

Spesso Balthazar aveva pensato di poter spegnere quell’amore, spesso aveva sperato che questo svanisse, consumato dal tempo, ma non era stato così. In tutti quei secoli (e 800 anni cominciavano ad essere tanti) il suo amore non aveva fatto che rafforzarsi. Ed ogni posto che visitava, ogni bambino che vedeva, ogni speranza che veniva delusa era per lei, per Veronica.

Un giorno, pensò ancora, si sarebbero rivisti. Sarebbe stato un giorno apocalittico, il giorno della resa dei conti e Balthazar, in tutta coscienza, non sapeva davvero se sarebbero riusciti entrambi a sopravvivere. Questo però non importava: tutto ciò che spingeva il mago a provare ancora e ancora era la certezza che un giorno, forse lontano, forse vicino, l’avrebbe rivista. Tanto bastava.





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