Dedicata
a Jo.
Lei
sa perchè.
It
seems an acceptable mistake
I
love you more than my music
Chi
l'ha inventato quel detto?
Ditemi
chi si asserito per la prima volta che a tutto c'è un limite,
che lo trucido.
Tentai
di alzare lo sguardo e lo vidi tutto preso da un'immensa tazza di
latte caldo, che tuttavia non riusciva a nascondere neanche parte del
monumentale sorriso soddisfatto che aveva piantato sulle labbra.
Ghignava.
Che
gli dei mi dessero l'acume per capire cosa kso frullava in quella
testa matta, perchè io di certo non ce l'avevo.
Sghignazzava
lo scriccioletto, rideva deliziato come se ci fosse stata una mano
dispettosa a fargli il solletico sotto ai piedi - tortura che mi
aveva dissuaso a sottoporgli quando un giorno, solo avvicinando un
dito alla pianta esposta, mi aveva schiacciato l'intera mano a terra,
calpestandola come se fosse un ragno.
Era
ed è tuttora un cantante in confezione salvaspazio, mignon di
natura, ma quando necessita tira fuori la forza di una piccola
valanga in caduta libera. Di dimensioni alquanto ridotte, ma dolorosa
quanto le sorelle maggiori.
Difatti
era pure riuscito ad incrinarmi una falange con lo scherzetto del
pestone.
Certo
fu che da quel giorno ho guardato con compassione i poveri ingenui
che hanno tentato di fargli il solletico.
E
non solo sotto ai piedi.
Takanori
lo soffre ovunque.
Se
gli sfiori la pancia e sei alla sua altezza (ovvero, come fa spesso e
malignamente notare Reita, a circa un metro e mezzo da terra) rischi
di diventare orbo, altrimenti il puffetto opta per un cazzotto in
pieno stomaco, sicuramente istintivo ed involontario, ma
indubbiamente distruttivo,
soprattutto se si è reduci da una cena in casa di Uruha, che, caro
lui!, si farà anche in quattro per preparare i piatti preferiti di
ognuno, ma il solo risultato che ottiene è un'intossicazione
alimentare formato famiglia. Idem con patate se gli afferri la parte
inferiore dell'avambraccio, anche solo per spostarlo dalla
traiettoria che congiunge Aoi e la macchinetta del caffè,
recentemente eletta unica donna della sua vita. L'ultima volta che ci
ho provato, onde evitare di ritrovarmi il vocalist spalmato a terra
come un tappeto (Yuu non guarda in faccia nessuno
quando c'è in ballo il suo caffè), ho ricevuto in risposta un “ih”
così acuto, improvviso e prolungato da frantumarmi i timpani e
togliermi almeno dieci anni di vita.
Per
non parlare del collo.
Dei
santissimi, il collo.
Ancora
mi chiedo come abbiamo fatto a resistere per più di due giorni, io,
che ero (e sono tuttora) innamorato perso di quel collo snello e
affusolato da anni e
che da altrettanto tempo sognavo di marchiare con ogni sorta di morso
e succhiotto, e lui,
che se solo glielo guardavi con troppa intensità saltava su come una
trappola per topi.
La
prima volta che ho tentato
di baciargli il collo mi ha tirato una testata degna di un wrestler.
E
non sto scherzando.
Sono
dovuto scendere a patti anche con questa sua stranezza (ben poca
cosa, rispetto ad altre sue abitudini) e al testo risolvemmo il
dilemma delle notti in modo a dir poco bizzarro.
Per
evitare di assumere il ruolo di suo personalissimo saccone da boxe
notturno quando, abbracciandolo a dietro, respiravo lievemente sulla
sua nuca, invertimmo i ruoli - inventando una posizione innovativa
che ancora oggi troneggia durante i nostri sonni.
Ovvero
lui, con una grazia
tutta sua degna di un branco di elefanti in calore, si appollaiava
sulla mia schiena, in modo da farmi sentire più chiaramente tutta la
variegata serie di mugolii e versetti vari che emetteva durante la
notte, dal momento che la sua bocca si trovava incollata
al mio orecchio.
Appiccicai
gli occhi alla mia tazzina di caffè, avvilito.
Appena
poche settimane prima avevo giurato a lui stesso che al mondo non
esisteva una persona più importante, per me. Gli avevo confessato
con le lacrime agli occhi di amarlo più della mia adorata musica.
Gli
lanciai una seconda occhiatina fugace, ma i suoi occhi erano così
sereni e brillanti che mi vergognavo anche solo di guardarlo.
«Itoshii
Yutaka?»
Lo
ignorai, alzando il giornale davanti al mio volto come una muraglia.
Cioè,
tentai di ignorarlo. Come si fa ad ignorare il richiamo della
perfetta metà della tua esistenza?
Feci
forza sulla mia volontà - che, a pelle, mi avrebbe indotto a
lanciare il corriere all'aria e bermi la bellezza del suo volto con
un solo sguardo - per concentrarmi sulle parole dell'articolo.
Ero
tutto intento nella soporifera lettura dei dettagli riguardanti la
chiusura in rialzo della borsa di Tokyo, quando, tutto ad un tratto,
le parole slittarono rapidissime e il quotidiano mi scivolò via
dalle mani, senza possibilità che io potessi stringere le dita per
trattenerlo a me e, magari, per nascondermici dentro fino alla
Giudizio Universale.
«Mi presti un po' di
attenzione, Kai?»
I
suoi occhi mi apparvero davanti al volto e io non potei fare altro
che osservarlo in ogni più insignificante dettaglio.
La
pupilla non perfettamente tonda, ma impercettibilmente schiacciata al
lati, ma in modo così leggero che nessuno se ne sarebbe mai accorto
se non avesse passato ore in mera venerazione di quegli occhi
come me. E le iridi scure, che quasi sfumavano in nero attorno ad
essa, rendendo ancora più difficile accorgersi di questa sua
peculiarità da felino. La forma dell'occhio sottile che si allungare
dolcemente verso le tempie e che lui sottolineava con decisi tratti
di matita nera; gli zigomi tondi, sopra quelle guance dalla perfetta
morbidezza.
Rimasi
incantato dal suo sguardo, ne rimasi preda, entusiasta prigioniero, e
quando le sue labbra, gelose che la mia attenzione non le avesse
nemmeno sfiorate, toccarono le mie, mi fu dato il colpo di grazia.
Inerme.
Inconsapevolmente,
mi privava di ogni arma, prima fra tutte la mia volontà.
Riusciva
a dominarmi con un solo sguardo e sottomettermi con un bacio.
«Tu
sei...» mormorò in un sussurro sulla mia bocca «...il re delle
seghe mentali.»
Non
mi preoccupai certo di ascoltare ciò che usciva da quelle labbra e
mi premurai, invece, di chiudergliele con un secondo bacio, cingendo
la sua vita sottile con un braccio e stringendomelo addosso.
«Mi
stai ascoltando?» mormorò poi con un morbido sospiro, sedendomisi a
cavalcioni; scivolai in avanti con il bacino, permettendogli così di
sistemare comodamente le gambe, incrociandole dietro di me.
«No.»
ammisi in un impeto di sincerità, afferrandogli i fianchi e
facendolo slittare giusto sulla mia mezza erezione. All'inizio temevo
che avrebbe considerato una debolezza la costante e perpetua
eccitazione che mi correva sotto pelle in sua presenza, ma aveva
fatto presto a smentire questo mio dubbio.
Nascosi
il volto nell'incavo del suo collo, improvvisamente mortificato.
«Viaviavia,
mi fai il solletico!» strillò lui, contorcendosi come un'anguilla;
piegò di scatto la testa di lato, imprigionandomi il cranio in una
morsa che somigliava più ad una mossa di lotta libera.
Tentai
di scivolare indietro – temetti veramente che mi avrebbe decapitato
a suon di testate – ma evidentemente dovetti fargli ulteriormente
solletico coi capelli, perchè lanciò un grido acutissimo
esattamente dentro il mio padiglione auricolare.
«Takanori,
cazzo!»
Alzò
il capo quel poco che mi permise di sgusciare fuori dalla sua stretta
e quando finalmente ne fui liberato lo guardai con gli occhi di
fuori.
«Scusa.»
mormorò lui, il capo ancora incavato nelle spalle in posizione di
difesa.
«Non
sei tu che ti devi scusare.» ribattei io, poggiando la fronte contro
il suo torace, mogio come un cane bastonato.
«Yutaka...»
mormorò lui affondando una mano nei miei capelli, con un tono di
vago e dolcissimo rimprovero.
«Ti
prego, Taka, ti prego perdonami.»
«Non
hai niente da farti perdonare...»
Esalai
uno sbuffo. «Mi fai sentire ancora più stronzo.»
Posò
il mente sulla sommità del mio capo.
«Posso
spiegarti? Senza che tu mi interrompa?»
Rimasi
qualche istante in silenzio.
Non
era lui che doveva spiegarmi i motivi per cui mi aveva
perdonato, ma io che dovevo tentare in qualche modo di
dimostrargli che l'amavo alla follia e che non c'era niente e nessuno
al mondo che potesse, non dico usurpare, ma anche solo minacciare
la sua posizione di mia unica ragione di vita.
Le
sue spiegazioni non avrebbero fatto altro che accentuare la mia
granitica e oggettiva convinzione di non meritare neanche un
briciolo di lui.
Annuii
ugualmente, con una smorfia.
«Io
ti amo, Yutaka. Lo so che tu sei convinto di non meritarmi e so anche
che ti sottovaluti con una tenacia e un accanimento che ha
dell'incredibile.» fece una pausa, sbuffando una piccola risata fra
i miei capelli «So anche che è inutile cercare di farti cambiare
idea, che sei fatto così e difatti ho smesso mesi fa di incazzarmi
per questo.»
Mi
afferrò il volto e mi allontanò da quel cantuccio caldo per
guardarmi dritto negli occhi.
«So
che mi ami, non ho neanche il più microbico dubbio sul tuo amore. E
questa mia certezza è la forza che mi tiene in vita.»
Non
riuscii a farlo continuare.
Componeva
testi che avrebbero fatto piangere delle statue di marmo, ma io
sapevo che lo imbarazzava parlare senza noi quattro che lo
supportavano con le melodie. Gli posai due dita sulle labbra,
invitandolo ad alzare lo sguardo che l'impaccio aveva costretto ad
abbassare pochi istanti prima.
Ma
lui mi prese dolcemente il polso, chiedendomi tacitamente il permesso
di finire.
«Tu
mi ami più della... musica.» bisbigliò e l'ultima parola ebbe una
leggere sfumatura interrogativa, come se davvero ciò che aveva detto
fosse talmente inconcepibile da poter essere espresso senza il timore
di pronunciare una terribile bestemmia.
Annuii
con un piccolo sorriso.
Molti
si sarebbero offesi nel saperlo, ma io avevo capito fin dal primo
bacio che lui non sarebbe mai riuscito a darmi la stessa importanza
della musica, figuriamoci una quantità superiore. E la cosa mi era
parsa così ovvia che impermalirsi per questo sarebbe stato come
risentirsi del fatto che il Sole sorgesse ogni mattina da est.
«Ecco...»
riprese un po' imbarazzato «Io lo so. Lo so ed è questo il
motivo per cui mi stupisco che tu ti senta ancora in colpa per una
sciocchezza simile.»
Sospirai.
«Voglio
dire, io ci ho riso sopra, perchè tu non riesci a farlo?»
«A
volte mi sembra che tu non capisca bene cos'è successo...»
Lui
sbuffò, scocciato, incrociando le braccia al torace e sporgendo le
labbra in un broncio che mi scioglieva il cuore ogni santa volta; lui
lo sapeva benissimo, e infatti sgranò gli occhi portando una mano
alla bocca, mormorando un flebile ops, accompagnato da un
sorrisetto malizioso.
Gli
sorrisi in risposta.
«Mettiamola
così, se tu mi avessi chiamato Reita quando stavamo scopando io-»
«Dèi
del cielo, Takanori!»
Lui
mi guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
«Beh?
Che ho detto? Guarda che se dico scopare oppure» e mimò le
virgolette con due dita «fare l'amore, l'atto pratico rimane
quello, eh!»
Feci
una smorfia.
«Lo
sai benissimo che scopare mi sa di film porno di seria Z!»
Mi
ritrovai davanti al naso ad uno dei suoi ghigni più maliziosi.
«Certo.
E so anche che ti eccito da morire quando faccio lo sboccato.»
Avvampai
furiosamente, e cercai di dissimulare tale rossore alzando gli occhi
al cielo e sbuffando.
«Come
se ci fosse un momento in cui la tua vista non mi eccita...» ammisi
poco dopo, facendo un sorrisetto.
Si
portò una mano al mento, pensieroso. «Forse quando mi metto i
bigodini?»
Scoppiai
a ridere.
«Mi
spieghi come siamo finiti a parlare dei tuoi bigodini? Possibile che
ogni conversazione debba andare a concludersi con i tuoi blateramenti
riguardante la preservazione della tua bellezza?»
«Sai,
capita quando si è abominevolmente belli.» rispose con noncuranza,
fingendo di lucidarsi le unghie sulla maglietta.
Non
trovai altro modo, per placare quello scoppio di egocentrismo acuto,
che chiudergli quelle labbra arroganti con un altro bacio. Metodo
che, lo ammetto, mi consentiva di trarre vantaggio della presunzione
che quel piccolo soldo di cacio canterino sfoggiava. In
quell'occasione, oltretutto, fu l'unico modo per non dichiararmi
vergognosamente d'accordo con lui.
Si
staccò dalle mie labbra scoccandomi uno sguardo di rimprovero.
«Devo
ancora capire come fai a distrarmi sempre.»
No
scusa, itoshii hito... io
che distraggo te?
«Sai,
capita quando si bacia come Dei scesi in Terra.» lo scimmiottai
prendendolo in giro.
Lui
sorrise.
«Yutaka,
non hai fatto niente di male.» mormorò all'improvviso.
Mi
incupii.
«Non
è vero. Ti ho chiamato-»
«Reita.
Mi hai chiamato Reita.» inclinò leggermente il capo facendo
scivolare i boccoli rossicci sulla spalla. «Mi sembra un errore-»
«Non
provare a dire 'accettabile', non ci provare neanche.»
Corrugò
la fronte, ma sembrò ricordarsi degli effetti sconvolgenti che certe
sue smorfie avevano sulla mia psiche e non si imbronciò.
«Quanto
la fai lunga!»
«Takanori...»
«No,
zitto!» esclamò imperiosamente, tappandomi la bocca con una mano
«Ripeto: se stessimo scop- mmh, facendo l'amore e tu
gridassi, con le tue belle spinte da animale in calore,» feroce
vampata di rossore alle guance «il nome di Reita in mezzo
all'orgasmo, ecco, lì comincerei a farmi le mie belle seghe
mentali.»
Strinse
le labbra in un'espressione pensierosa.
«Soprattutto
mi chiederei in che universo speri di fare di Ryo Suzuki un passivo.»
Gli
lanciai un'occhiata quanto più sconvolta potessi, dal momento che
quella mano mi impediva ancora -e anche piuttosto rudemente- la
parola.
«Stavi
semplicemente pensando a lui»
Riuscii
a scavalcare le sue dita con un gesto secco della testa.
«Penso
ad un altro mentre ti consolo di una giornata andata male a prove?»
gli chiesi inarcando eloquentemente un sopracciglio.
Lui
fece spallucce. «Non escludo di diventarlo presto, ma non sono
ancora così egocentrico da pretendere che tu pensi a me ogni istante
della tua vita.»
Sbuffai
per l'ennesima volta e feci per aprire bocca con la ferrea intenzione
di ribattere acidamente...
Mi
afferrò per il colletto della camicia e mi inchiodò in un bacio
famelico.
...intenzione
che si scontrò violentemente contro la sua lingua, uscendone
pressoché polverizzata.
Mi
limitai a proferire un lungo e veramente poco intelligente
mmmmh, per poi abbandonarmi a lui.
«Archiviata?»
Grazie
tante, si era premurato di abbattere coscienziosamente ogni mia più
piccola difesa, prima di domandarmi di metterci una pietra sopra, in
modo da, al giusto momento, poter tirare in ballo la scusa ma te
l'ho anche chiesto!.
E
io, cretino ed innamorato com'ero, glielo lasciavo fare, esibendo
pure un sorriso da ebete che non aveva eguali sulla faccia del
pianeta Terra.
«Archiviata.»
Lui
applicò il suo sigillo personale alla discussione con un sorriso dei
suoi. Uno di quei suoi rari sorrisi che non avevo mai visto in cinque
anni che ci conoscevamo, se non quando mi ero dichiarato a lui. Uno
di quei sorrisi che custodisco gelosamente per me.
«Sai
cosa facciamo adesso?»
«Cosa?»
È
vero, non riuscivo ad organizzarmi un pensiero di senso compiuto
quando lui era nelle vicinanze (beh, diciamo che anche quand'era
lontano e io pensavo a lui, risultava complicato concentrarsi), ma
ero così sfacciatamente innamorato e così sfrenatamente felice
della vita che me ne fregava ben poco.
«Tu
mi prendi in braccio...» e aspettò diligentemente che gli ubbidissi
«...mi porti di là...» e colmò i pochi secondi che impiegai per
percorrere alla cieca il corridoio con una cascata di baci sul mio
volto «...e mi prendi fino a svenire, in ogni posizione contemplata
o no dall'intera umanità...» fece scivolare una mano sul mio
torace, fino alla nuca «...e miraccomando le spinte da animale.»
Gli
sorrisi e continuai a sorridere mentre mi attenevo alle sue
disposizioni, sorridevo mentre facevano l'amore come due bestie e
sorridevo mentre mi chinavo a baciare ed asciugare ogni lacrima di
bruciante e furioso piacere che rigava quelle guance.
Sorridevo
quando lo sentii cadere, esausto fra le braccia di Morfeo e sorridevo
anche quando lo seguii, pochi istanti dopo.
Fine.
Note
di Mya: Con mia somma
commozione mi rendo conto ora che questa shot (se non ho fatto male i
calcoli - cosa molto probabile, d'altronde) è la ventesima
fan fiction postata in questo fandom, comprese le long ancora in
corso *si asciuga lacrimuccia*
Mmh, beh, in realtà “Sekkai”
è in un altro fandom, ma diciamo che comprende i GazettE anche
quello u_u
L'ho
già detto nella Premessa di “The Invisible Wall” ma lo ripeto:
vi amo.
Vi amo con tutto il cuore.
Hime, amore mio, quello che devi
sapere lo sai già.
Io non sono molto brava a dire le
cose come stanno. Alla fine scado sempre nel banale.
Ma come il Ruki di questa shot
riesce ad esprimere sé stesso attraverso la musica, io tento di
farlo attraverso ciò che scrivo.
Non mi ricordo neanche dove, ma
ho letto che noi siamo più felici quando chi ci ama ci dice 'grazie'
che quando ci dice 'ti amo'. Personalmente io mi sciolgo puntualmente
quando mi dici entrambe le cose.
Vorrei trovare qualcosa di meno
scontato sia di un 'ti amo' sia di un 'grazie' e ti giuro che lo
cercherò.
Voglio
ringraziare ogni singola persona che mi è stata vicina in questi
miei venti progetti e a quelle che mi staranno vicine nei quattro
ancora in corso. Voglio ringraziare le mie affezionate lettrici che
mi seguono dappertutto, voglio ringraziare chi non legge finchè non
sarà sicura di recensire (e chi vuole intendere intenda... gli
altri, in camper! ...okay, niente, battuta penosa), voglio
ringraziare chi mi da le lacrime con una recensione, voglio
ringraziare chi ci riesce con un papiro e voglio ringraziare chi
riassume tutto in due parole (le nostre famosissime capacità
telepatiche di sintesi, Hime xD), voglio ringraziare chi mi fa
ribaltare in terra dalle risate (Guren, sentiti tirata in causa) e
voglio ringraziare chi mi fa pensare, voglio ringraziare chi ha messo
la mia umilissima e grata persona fra gli autori preferiti, voglio
ringraziare chi c'è sempre
e chi si fa vedere a sprazzi, voglio ringraziare chi mi ha aperto gli
occhi su un mondo nascosto che ora è la mia vita (Arigato. Non sai
quanto hai fatto, non sai chi sono e probabilmente non sai neanche
che esisto, ma arigato, domo arigato gozaimasu.).
E voglio anche ringraziare chi mi
aiuta a sbrogliare le matasse di Salvatore, aiutandomi ad andare
avanti dopo un blocco aberrante e voglio ringraziare chi sa l'inglese
molto meglio della sottoscritta e mi impedisce di fare una figura da
cammello quando decido di usarlo.
Grazie.
È poco ma viene dal cuore.
Mata ne,
ci si rivede alla ventunesima fan
fiction (peraltro già in via di stesura).
Mya
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