A
state of love and
darkness.
17. 07. 2008
La sindrome del foglio bianco colpisce solo chi non
ha niente da dire,
me ne accorgo adesso. Perché ora, forse per la prima volta
in quarantatre anni,
non ho davvero più niente da dire ed il bianco mi circonda e
mi sovrasta.
Mi
dispiace sarebbe troppo scontato e banale,
però forse sono le uniche parole
spendibili: seriamente, mi dispiace. Per la mia bambina, per quella che
sta
arrivando, per l’amore che non sono riuscito a portare
all’altare, per i
quattro santi che mi hanno sopportato e supportato fino ad ora, per
quasi
vent’anni tra alti vertiginosi e bassi disastrosi. Per mia
madre che ne vedrà
andar via un altro, stavolta senza nemmeno essere preparata a dovere.
Nemmeno io ero preparato a dovere.
Vent’anni fa, paradossalmente, lo
sarei stato di più. L’avrei capito meno, ma mi
sarebbe sembrato anche più plausibile. Ma vent’anni fa ero un cazzone come
tutti
quelli della mia generazione, quella X ce l’avevamo stampata
sulla fronte come
un marchio d’idiozia, probabilmente, e morire giovani ci
sembrava un traguardo
più che appetibile.
Però, insomma… Dopo che Kurt
se n’è andato
in quel modo assurdo, un pensierino sul vivere un po’ di
più, a provare a
campare decentemente un po’ di più, io
l’avevo fatto, sul serio. Volevo davvero
invecchiare. Vedere i capelli bianchi, le rughe, la pancia che avanza e
poi
cede del tutto, il respiro che si spezza dopo l’ennesima
uscita sulla tavola
nell’acqua gelata di gennaio. Ci stavo finalmente arrivando,
quel traguardo, a
quarantatre anni, non lo vedi più così lontano, e
a me non faceva paura, dopo
la nascita di Olli avevo cominciato ad accarezzarlo come una meta
ambita. Ero
cresciuto anch’io, insomma.
Invece niente da fare. L’ultima nota mi
si è spezzata in gola a metà,
non credo riuscirò a tirar fuori altro stasera, ed anche per
questo dovrei dire
mi dispiace. In compenso, anche se non sento quasi più
niente, le urla della
folla continuano a raggiungermi. Da dove però, onestamente,
non credo di
saperlo più.
17.
07. 1994
Madeleine
Kelly aveva ventidue
anni e poco tempo a disposizione.
Non
era quel che avresti detto
una bella ragazza, troppo anonima e incolore si mimetizzava nel
grigiore di
Seattle come una goccia di pioggia tra le tante. Eppure, a soli
ventidue anni, Madeleine
aveva già due figli da accudire e soprattutto mantenere. Due
figli che avevano
due padri diversi che non si erano mai premurati nemmeno di conoscerli,
figurarsi di sganciare un solo dollaro per il mantenimento.
Madeleine
era sempre stata una
ragazza chiusa, talmente timida da sembrare praticamente tonta
– e forse un po’ lo era
davvero – e senza
particolari attrattive se non, appunto, quella di essere una ragazza,
una
femmina adolescente. E a Grayland era
già
tantissimo.
Era
una cittadina orribile,
Grayland, grigia come suggeriva il nome, nemmeno il verde dei campi e
del bosco
che la circondava riusciva ad emergere nell’appiattimento
triste di quel
microscopico agglomerato urbano. Ed era piovosa, cupa, povera. Piccola
soprattutto, troppo per contenere qualunque cosa: meno di mille anime
incastrate tra un pezzo ferroso d’oceano e i campi, nemmeno
la statale arrivava
in quel buco.
La
101 si fermava ad Aberdeen,
proseguiva per Raymond, ma nessuno aveva mai pensato fosse necessario
collegare
Grayland al resto dello stato, come se nemmeno fosse parte della
contea. Cittadina inutile, cittadina di
vecchi.
Però
Madeleine era giovane e le
ragazze a Grayland scarseggiavano. Quindi anche la piccola e scialba
Madeleine
Kelly ebbe il suo invito per il ballo di fine anno, ebbe la sua
orchidea
appuntata al polso, il suo vestito di tulle, la foto di rito.
Così come
l’altrettanto rituale sbronza: ricordava vagamente persino il
dolore del
frettoloso rapporto sessuale che era seguito sul retro della palestra,
incastrata tra un rastrello e un mucchio di foglie secche impregnate di
umidità.
Ricordava
molto di più il dolore
lancinante che nove mesi dopo l’aveva costretta ad allargare
le gambe per la
seconda volta in vita sua, stavolta per far venir fuori il frutto di
quella
sveltina inutile.
Madeleine
aveva appena diciotto
anni quando era nato Sean e l’unica cosa che ricordava di
quel giorno era una
radiolina accesa in sala parto che passava una canzone che non aveva
mai
sentito prima, ma sembrava le stesse parlando: sei
ancora viva, no? Nonostante tutto sei ancora viva.
Ryan
era arrivato nemmeno due
anni dopo e neppure di quel rapporto Madeleine aveva grandi ricordi. In
quel
periodo lavorava alla pensione del signor Walsh che da bravo cattolico
qual’era, aveva cristianamente chiuso un occhio sul fatto
fosse una sgualdrina
e l’aveva assunta come cameriera permettendole
così di mantenere un figlio che
non sapeva neppure bene come prendere in braccio: Madeleine aveva una
famiglia,
ma le era proibito persino guardarli in faccia per strada, figurarsi
chiedere sostegno.
Solo sua sorella maggiore aveva tentato di aiutarla passandole qualche
dollaro
quando poteva, ma Madeleine aveva smesso di accettarli quando
– ormai
all’ottavo mese della prima gravidanza – Eileen era
stata ricoverata in ospedale
e ne aveva avuto per una settimana. Era caduta dalle scale, dicevano.
I
Kelly non erano cattive
persone, ma erano poveri, chiusi in una morale cattolica da clan del
secolo
scorso, non si erano mai davvero integrati nel tessuto sociale
americano ed
avevano pochissimi rapporti persino con la piccolissima
comunità irlandese
della cittadina. Una figlia diciottenne che rimane incinta del primo
che capita
era stata una vergogna che non avevano saputo né accettare
né perdonare, quindi
Madeleine era stata completamente dimenticata, cancellata dal clan. E
aveva
dovuto cavarsela da sola.
Ma
Ryan, appunto.
Madeleine
– che era sempre stata chiamata da
tutti solo Madeleine, benché fosse un
nome antiquato e nemmeno comodo da portare: semplicemente, a nessuno
era mai interessato
darle diminutivi affettuosi. – non aveva avuto
altri ragazzi dopo la
nascita di Sean, anzi, i più la ignoravano volutamente, era
diventata ancor più
invisibile a dispetto del seno inaspettatamente sbocciato con la
maternità ed
ai fianchi più generosi e finalmente femminili: ma aveva
diciotto anni ed un
figlio a carico, nessuno si sarebbe imbarcato in una relazione con tali
premesse, tanto più se il soggetto in questione era
Madeleine Kelly, quella
strana, quella stupida, quella che dopo il parto aveva cominciato a
girare con
il walkman perennemente acceso camminando come se il resto del mondo
non
esistesse.
Eppure Ryan era arrivato, era nato in una notte di
mare grosso che
aveva quasi mangiato l’intera spiaggia di Grayland
nell’autunno del
millenovecentonovantatre.
Madeleine
non reggeva l’alcool e
lo sapevano tutti. Ed era tonta, era noto anche quello.
Per
festeggiare la Santa Pasqua,
il signor Walsh organizzava sempre un piccolo ricevimento ed invitava
non solo
i bravi irlandesi cattolici della comunità, ma anche gli altri: Nostro Signore era risorto per
tutti, in fondo.
Era
stato durante la festa nel
marzo di quell’anno che era successo, probabilmente proprio
sulla spiaggia
sulla quale l’aveva sorpresa addormentata l’alta
marea senza mutandine; era
tornata alla pensione coperta di sabbia e con l’abito
fradicio fino alla vita.
Agnes,
l’altra ragazza che di
solito divideva con lei i turni di pulizia delle camere,
l’aveva coperta con il
vecchio Walsh, mentre Sally si era occupata di Sean, che era stato
lavato e
nutrito a dovere, sicuramente meglio di come avrebbe fatto lei.
Le
due ragazze le avevano
ripetutamente chiesto cosa le fosse successo, dove fosse sparita per
così tante
ore, ma Madeleine non aveva saputo rispondere, conscia solo del fatto
che non
avrebbe dovuto bere tutti quei punch durante le pause e di avere un
terribile
mal di testa e la schiena a pezzi.
Poi, il mese successivo, non aveva avuto il ciclo,
e nemmeno quello
dopo.
Ryan
era nato con taglio cesareo a
causa di un’infezione vaginale che aveva preso
chissà come, ma Madeleine non si
era preoccupata più di tanto: sapeva che sarebbe andato
tutto bene, non era mai
stata tanto radiosa come da quando aveva scoperto di essere nuovamente
incinta.
La prova fosse matta, insomma.
In
città tutti, nessuno escluso,
pensavano fosse stupida, una specie di ritardata che ai test
attitudinali aveva
sempre preso punteggi bassissimi, che non riusciva a prendere una
sufficienza
nemmeno in economia domestica e che impiegava tantissimo a capire
quello che le
veniva spiegato. Al liceo, l’assistente sociale
l’aveva convocata nel suo
ufficio un paio di volte, aveva parlato con i suoi genitori, ma si era
arreso
molto presto: a Grayland in fondo non servivano grossi cervelli,
bastavano un
paio di braccia in più per la terra, Madeleine sarebbe stata
perfetta in
quello.
Ma
non le importava cosa dicevano
gli altri, pensassero quel che volevano: lei
sapeva che prima o poi sarebbe successo, sapeva che lui l’avrebbe raggiunta.
Di
nuovo.
Madeleine
non ne aveva mai
parlato con nessuno, era il suo segreto. In realtà non
avrebbe proprio saputo a
chi raccontarlo, non aveva nessuna amica, nemmeno Sally e Agnes lo
erano.
L’aiutavano per compassione, per Sean, perché
anche loro pensavano fosse un po’
tonta, ma avevano abbastanza buon cuore dal non farglielo pesare,
niente di
più. Madeleine era sempre stata sostanzialmente sola anche
prima che la sua
famiglia la mettesse alla porta.
Ma
era cambiato tutto, Ryan era
la prova che aveva ragione, che non si era illusa, che lui
la stava davvero aspettando.
Il
giorno della nascita di Sean, Alive
non era ancora una hit e Pearl Jam
erano solo due parole senza senso, ma le radio dello stato di
Washington erano
attente alle ultime novità della scena locale, soprattutto
quelle della rete
universitaria, per questo Madeleine era riuscita ad ascoltarla anche
lì a
Grayland.
Non
se n’era accorta subito, era
sempre stata lenta in fondo, ma lui
le stava parlando, già allora, mentre spingeva e urlava con
tutte le sue forze
pregando Dio perché la uccidesse lì,
all’istante, tutto pur di smettere di
soffrire in quel modo. Ma era vero, una volta che il bambino
è nato, il dolore
viene dimenticato, nel suo caso però, non era stata la vista
di Sean a farle
dimenticare le sofferenze terribili patite fino a pochi secondi prima:
era
stata la voce filodiffusa in sala che le arrivava attutita, ma potente
e
vischiosa come ambra.
Quella
voce, in quell’istante
orribile in cui si sentiva la spoglia vuota di un insetto,
l’aveva avvolta come
una coperta calda, come un fiume di resina collosa l’aveva
rinchiusa in un
ventre umido e materno dal quale non voleva uscire.
Madeleine
aveva comprato Ten dopo appena una
settimana e dopo due
aveva già quasi consumato il nastro della cassetta. Dopo un mese aveva scritto la prima lettera della
sua vita ed era
cominciato tutto.
Lui non era come veniva presentato in tv,
non era una persona
scostante, non era scorbutico o lunatico o violento. Lui
era dolce e Madeleine lo sapeva bene.
Quando
nel dicembre del 1991 Madeleine
aveva scritto quella lettera, in verità non si aspettava
molto in cambio.
Però,
dopo qualche settimana,
nella cassetta delle lettere aveva trovato qualcosa di diverso dalle
solite
bollette: lui le aveva risposto
davvero.
Così
come poi aveva risposto alla
seconda, alla terza, alla quarta lettera. Passava sempre un
po’ più tempo tra
una risposta e l’altra, ma arrivava.
A
Madeleine sembrava lui la
conoscesse da sempre, ogni volta
sapeva cosa dirle per farla sentire meglio, aveva sempre una parola
gentile.
E non l’aveva mai
chiamata
Madeleine. Per lui, lei era Maddie.
Lui era stata la prima persona a non
usare il suo nome per intero,
il primo ad interessarsi tanto a lei da regalargliene un altro.
Madeleine,
a dispetto dei suoi
disgraziati diciotto anni da ragazza madre, poteva dirsi addirittura
felice,
aveva letto e riletto quei fogli coperti di una scrittura fitta e
minuta fino a
consumarli, fino ad imparare a memoria ogni parola, lei che non era mai
riuscita a ricordare nemmeno le date della guerra di Secessione.
Di
sera, dopo il lavoro, guardava
Sean, lo allattava tenendolo sulle ginocchia come le avevano insegnato
le
infermiere di ostetricia, e silenziosamente sognava che avesse lui come padre.
Eddie aveva degli occhi meravigliosi, Eddie aveva un così bel viso e
una voce così dolce; Eddie
sarebbe stato un padre stupendo
per Sean, sapeva che lui non l’avrebbe mai abbandonato, non
avrebbe mai
abbandonato lei.
Madeleine
nemmeno sapeva chi l’avesse
messa incinta, Josh Kinney – che l’aveva
accompagnata al ballo - si era
immediatamente tirato fuori affermando che, a metà della
festa, l’aveva persa
di vista ed era stato insieme ad Alice Cooper, Sten Meyer e Cathy
Nowak, e i
tre avevano confermato la sua versione. E poi lo sapevano tutti che
Josh l’aveva
invitata solo per non andarci da solo visto che le ragazze
più carine erano già
prese: almeno la tonta non portava gli occhiali o
l’apparecchio per i denti.
Madeleine
non voleva sapere chi
fosse in realtà il padre di Sean, così come non
le interessava chi fosse quello
di Ryan, perché era sicura fosse stato l’oceano a
portarglieli. E l’oceano era lui,
lui che lo cavalcava e lo cantava e
lo viveva.
Non
sapeva bene quando quella
consapevolezza si fosse alla fine impadronita di lei, ma sapeva di non
sbagliarsi,
le prove erano lampanti, non era riuscita a coglierle solo
perché – lo dicevano
tutti, in fondo – era lenta:
ma Eddie l’aveva pazientemente aspettata, l’aveva
meticolosamente istradata, ed
alla fine aveva capito.
La
prova definitiva l’aveva avuta
ascoltando Vs. dopo la nascita di
Ryan, se pure le fosse rimasto qualche dubbio residuo, Eddie si era
premurato
di rassicurarla: Daughter era
stata scritta per lei, Eddie sapeva, Eddie sentiva
tutto quello che sentiva lei. Madeleine aveva ascoltato quella canzone
ed era
scoppiata a piangere, quelle maledette imposte che calavano le
ricordava ancora
perfettamente, ricordava benissimo il rumore secco ed il buio che poi
l’avvolgeva; i panni sporchi vanno
lavati
in famiglia, non occorre altri sappiano.
Era
stata sciocca a non capirlo
prima, stupida ad aver pensato gli occhi chiari di Sean e Ryan avessero
qualcosa a che fare con l’azzurro slavato dei Kelly che
comunque a lei non era
toccato. I suoi bambini erano speciali, erano piccoli principi
concesseli dal Re che stava
richiamando la sua Maddalena.
Ed
Eddie era il re di quell’epoca
senza forma e senza Dio la cui corona era un elmetto arrugginito, la
cui spada
era una matita mezza mangiucchiata.
Per
questo un giorno aveva preso
i bambini, aveva caricato nella sua vecchia macchina i pochi abiti e le
poche
cose che possedeva, e si era diretta a nord, verso Aberdeen, verso la
Statale
che l’avrebbe condotta a lui.
Le
cose non erano andate subito
bene, Seattle era una città enorme, e Madeleine non era mai
davvero uscita da
Grayland se non per la scuola o per fare spese ad Aberdeen o a Raymond.
Aveva
usato i pochi soldi che
aveva risparmiato per le emergenze per prendere in affitto una
squallidissima
camera in un motel nella zona del porto, non esattamente delle
più tranquille,
ma non le importava più di tanto. Anche se le era sempre
stato detto non fosse
esattamente una bellezza, ormai sapeva che gli altri si erano sempre
sbagliati,
perché lui
l’aveva scelta, in fondo,
quindi era speciale. Forse fu quella nuova consapevolezza basata sul
nulla a
darle il coraggio di entrare davvero nelle bettole del porto e delle
zone
limitrofe per cercare un lavoro – uno
qualunque – ed a darle una sicurezza sfacciata che
non passava inosservata.
Ottenne
un lavoro come cameriera
in una birreria poco distante dal motel dove viveva e, facendo i turni
di
notte, poteva permettersi di andare in giro durante il giorno: sapeva
che lui la stava aspettando, ma non
sapeva
ancora come fargli sapere che lei aveva capito, che era pronta,
probabilmente
non gli lasciavano più leggere la posta, perché
erano mesi che non rispondeva
più alle lettere che – puntualmente ogni
mercoledì e venerdì – gli spediva.
Forse la stava mettendo alla prova.
Non
aveva importanza, per il
momento si sarebbe accontentata di accudire i suoi figli raccontando
loro di
quanto fosse meraviglioso il loro papà, di quanto la loro
vita sarebbe stata
perfetta una volta che si fossero riuniti.
Intanto
il
millenovecentonovantaquattro era arrivato con il suo carico di
nevischio sporco
e freddo pungente, portando novità che a Madeleine non erano
piaciute.
Eddie
continuava a giocare con
lei, continuava a non farsi trovare, continuava a farsi vedere in giro
con quella.
E
le sfuggiva, fingeva di non
vederla per strada quando lo incrociava – non molto
– fortuitamente, continuava
a non rispondere alle sue lettere, aveva trasformato la sua casa in una
fortezza.
Eppure
lui lo sapeva, doveva saperlo ormai
che lei era a
Seattle, che era lì per lui.
Sean
stava diventando sempre più
grande e cominciava a chiedere di quando avrebbe potuto conoscere suo
padre e
lei glielo aveva detto, glielo aveva scritto che non sapeva
più cosa rispondere
al loro bambino. Perché continuava a giocare con lei,
perché la metteva ancora
alla prova?
Aveva
fatto tutto quello che
doveva, tutto quello che lui le aveva chiesto costringendola a
decifrare
messaggi sempre più sottili ed ambigui, ma lei aveva capito,
stava crescendo i
suoi figli nel miglior modo possibile, nel culto del loro meraviglioso
padre.
E
aveva continuato ad amarlo ogni
giorno, aveva pregato ogni giorno davanti a quella croce che non
rendeva merito
alla sua bellezza, continuava a preservarsi per lui e per lui soltanto,
stornando le offerte degli avventori del locale in cui lavorava.
Per
quanto si sforzasse non
riusciva a capire.
Intanto
i mesi passavano, quello
stupido di Cobain era stato trovato morto pochi giorni dopo la Santa
Pasqua ed
il mondo ancora non aveva capito che era un falso profeta: era morto il giorno dopo la festa della
Resurrezione, non era un indizio
sufficiente?
Erano
tutti degli stupidi, e
quella era la fine che quel pallone gonfiato si era meritato per aver
detto
quelle cose orribili su Eddie.
Forse era stato proprio Eddie a…
Tremò
a quel pensiero, ma era un
brivido di piacere, quasi il potere del padre dei suoi figli le stesse
nuovamente scivolando dentro.
Forse
anche quello era un segno,
le stava chiedendo di attendere. Avrebbe atteso.
Madeleine
attese fino al tre
giugno del millenovecentonovantaquattro, data in cui il suo mondo
crollò. Eddie
si era sposato con quella. Eddie
l’aveva abbandonata, aveva abbandonato lei e i loro bambini
per un’orrenda
sciacquetta bruna ed aveva osato sbatterglielo in faccia in quel modo
orribile.
Perché lui lo sapeva che lei era
membra
del TenClub, lo sapeva eccome, per quello aveva fatto spedire in
ritardo il
vinile che ogni Natale regalavano ai fans, per poter allegare quella
lettera, voleva dividere il momento con
loro, lui.
Madeleine
Kelly era arrabbiata.
Era furiosa. Madeleine Kelly si tagliò i lunghissimi capelli
rossi quasi a zero,
non voleva più essere una Maddalena da dipinto, e
scoprì di essere di nuovo
brutta. Madeleine Kelly guardò i suoi figli, ma finse di non
cogliere il
bagliore verde acqua negli occhi di Sean, gli occhi di Josh Kinney.
Madeleine Kelly non aveva nessuna intenzione di
rinunciare al padre dei
suoi figli, all’unico accettabile.
Fu
per quello che, un caldo e
appiccicoso pomeriggio di luglio, Madeleine lasciò i bambini
ad una vicina,
prese l’auto e si diresse verso quella che avrebbe dovuto
essere casa sua, non dell’altra.
Non
vollero farla entrare, le
dissero persino che Eddie comunque non
era in casa, che era a Washington con il resto del gruppo, che
c’era la
testimonianza davanti al Congresso e, cosa, non li leggeva i giornali?
A
Madeleine non importava più
nulla dei giornali, non voleva più vedere il suo viso
tramite una foto, la
faceva stare troppo male. Voleva guardarlo in faccia, voleva guardarlo
negli
occhi e trovare il colore di quelli di Sean e Ryan.
Era
tornata indietro solo per
fare inversione ad u, premere l’acceleratore a tavoletta e
cercare di forzare
il cancello d’ingresso.
Forse
le lacrime le avevano
annebbiato la vista, però, perché
sbagliò mira e non fu esattamente il cancello
che divelse.
Almeno
così le dissero qualche
giorno dopo all’ospedale, quando Madeleine si
svegliò coperta di bende e con
dolori atroci in tutto il corpo. Ma nessuno volle credere al suo, di
racconto.
Nessuno volle chiamare Eddie per farlo andare da lei, nessuno le
permise mai
più di rivedere i suoi bambini.
Tutto
quello che per anni le fu
concesso, dal giorno del ricovero in poi, fu di fingere. Fingere di
aver
capito, fingere di sapere di essere malata e di voler guarire, fingere
di aver
superato un’ossessione senza motivo.
Era stato lo stesso Eddie, in fondo, a spiegarle
come uscire da quella
situazione.
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