Buon pomeriggio a tutti! Oggi
è il 4 Settembre, il giorno del mio compleanno(ebbene sì,
ho compiuto tredici anni...xD) e stamattina, sulla scrivania dello
studio di mio padre, ho trovato, tra gli altri regali, questi fogli,
narranti il mito dei Beatles dagli occhi dei ricordi di mio padre...
Mi
accingo quindi a postarli qui, sperando che anche voi, alla fine
della lettura, vi ritroviate con il sorriso stampato sul volto come è
successo a me stamattina... ;)
A
presto, da un ormai(sigh!) tredicenne...
Marty
;)
A
mia figlia piacciono i Beatles
(riflessioni
in sei lp e qualche 45)
-Io
avrei un’idea – disse Giango, -
Torno
agli anni sessanta, prendo
Il
treno per Liverpool, vado da
Paul
McCartney e gli dico: dai,
con
quel fesso occhialuto di John
Lennon
non farai mai strada, fai
le
canzoni con me.
Pane
e Tempesta
Stefano
Benni, 2009
A
mia figlia piacciono i Beatles. Anzi li adora. E così mi ha
fatto ricordare che li adoravo anch’io. E li adoro ancora. Ma
soprattutto mi ha fatto capire che mi mancano. In A Hard Day’s
Night, il loro primo film pieno di gag in uno stile tra i Monty
Python e Mr. Bean, a un certo punto Paul, riferendosi a quello che
interpreta il ruolo di un suo improbabilissimo nonno, afferma: “gli
piace minare l’unità dei gruppi”. Ecco. E’
proprio questo che mi manca. Mi manca l’unità del
gruppo. Mi manca il gruppo. Eravamo alla fine degli anni ’60
e la scoperta dell’amicizia per me coincise quasi subito e
quasi completamente con il gruppo. Il complesso, per
essere più precisi, come lo chiamavano allora, per
sottolinearne l’accezione musicale. Era proprio bello sentirsi
parte di un complesso. Nel mio caso all’inizio eravamo solo
due. Io e Salvatore, l’amico del cuore. In una doppia versione.
Una più seria, classica. Nel soggiorno di casa mia, io al
piano e lui al violino a provare l’Ave Maria di Shubert, ma con
la testa ai Beatles. Sì, perché all’estremo opposto del
soggiorno c’era il giradischi: con i dischi dei Beatles.
Rubber
Soul
Credo
sia stato il primo disco dei Beatles a entrare in casa mia. In un
angolo della memoria galleggia l’immagine sbiadita di un 45
giri, Michelle; ma non so dire se sia arrivato prima o dopo. E torna
il concetto di gruppo. Sì perché Rubber Soul era
proprietà “del gruppo”. L’avevamo acquistato
per 3300 lire io e Salvatore, dopo averlo visto esposto in un piccolo
negozio di elettricità in via Tommaso Cannizzaro. Dentro
quella copertina sarei voluto entrare. Per l’esattezza nella
backcover. Mi piacevano quei quattro con i loro pantaloni attillati,
le loro camicie con le punte del colletto arrotondate e le cravatte
scure dal nodo stretto. Mi piaceva l’atmosfera che si respirava
in quella foto. Me li immaginavo in una pausa delle registrazione del
long-playing, a chiacchierare tra loro di musica e chissà che
altro. C’era armonia in quella foto. La stessa armonia di Drive
my car o di I’m lookin’ trough you. C’erano
informazioni in quella copertina. Che a quell’epoca nessuno
avrebbe avuto se non i fortunati possessori di quel long-playing. Chi
altrimenti avrebbe potuto sapere che Paul suona il fuzz-bass in Think
for yourself? ma anche il piano e l’harmonium? E quei quattro
diventarono una specie di fratelli maggiori che sarebbe stato bello
avere. Con i Beatles è evidente non fu mai possibile. Ma con
altri sì. Ci furono altri “fratelli maggiori” in
quegli anni a guidare la mia passione per i Beatles e per la musica.
Revolver
E
finalmente i miei genitori mossi a compassione ci trovarono un
insegnante di chitarra. A me e all’inseparabile Salvatore. Si
andava in questo appartamento di viale Principe Umberto a imparare da
Alfredo, giovanissimo studente universitario al primo anno di
medicina. E via con accordi, scale, barrè e quant’altro.
Lì il primo incontro con Revolver. Non sapevamo ancora
che Alfredo era il chitarrista di un gruppo, “I
Cristallini”, che rifaceva splendidamente e in modo
assolutamente identico i pezzi dei Beatles. Il concetto di cover
all’epoca era di là da venire. Ma era anche un
insegnante estremamente innovativo, Alfredo: perché accanto
alla rumba e al limbo ci dava da imparare le canzoni dei Beatles come
compiti per casa! Risale ad allora il mio incondizionato amore per
Here, There And Everywhere, e per I’m only sleeping.
Si può dire che quelle furono le uniche lezioni e anche le più
belle. Poi si andò avanti imparando da altri fratelli
maggiori, dentro e fuori dai dischi. Ma c’è da dire
ancora una cosa su questo periodo. “I Cristallini” erano
un gruppo. Un gruppo musicale ma anche un gruppo di amici. E
quell’unica volta che li vidi insieme l’unità
del gruppo c’era e come. Vennero a suonare il 13 agosto del
1967 per la mia festa di compleanno nella casa che avevamo al mare.
Arrivarono al mattino con il loro carico di strumenti che
depositarono nel soggiorno della casa di Salvatore. Poi se ne
andarono tranquilli a fare il bagno. Li trovammo sulla spiaggia a
scherzare fra di loro, a prendersi in giro tra un tuffo e la
scrittura semi-seria della scaletta per il “concerto”
della sera. Sembravano i Beatles di A Hard Day’s Night o di
Help! Sarebbero e saranno diventati medici, avvocati, ingegneri, ma
credo che dei Beatles e di quel periodo si ricordino ancora. Le
sorprese non erano ancora finite quel giorno. Perché la sera
ascoltammo una splendida esecuzione di Revolver, credo prima
ancora di sentire l’originale e di avere tra le mani il disco
di vinile con l’etichetta della Parlophone.
Sergent
Pepper’s
A
questo punto il gruppo c’era! Avevamo conosciuto Manlio e Pino
e il complesso si era definitivamente costituito.
.
La
formazione era evidentemente quella dei Beatles: io e Pino alle
chitarre (lead guitar o chitarra solista, come si diceva all’epoca,
io e rhytm guitar, o chitarra ritmica, Pino). Manlio alla batteria e
Salvatore al basso o chitarra-basso per usare ancora una dizione in
voga in quegli anni. Nome del gruppo “I 4 amici”,
traduzione italiana e adattamento da “Five friends” che
era il gruppo in cui aveva militato il fratello di Manlio.
E
Sergent Pepper’s? Sergent Pepper’s è l’incontro
con altri cinque fratelli maggiori che c’insegnarono
qualcosa e ci fecero entrare sempre di più nell’universo
dei Beatles. I cinque in questione erano i “Green Rats”,
divertente e maccheronica traduzione inglese dei nostri sorci
verdi. Si riunivano per provare nei locali della scuola
elementare che avevo frequentato. L’aggancio era stato infatti
il figlio della bidella. Tanino. Tanino La Versa, bizzarro ma
carismatico personaggio. Batterista e leader indiscusso del gruppo,
me lo ricordo con le sue giacche verde militare piene di spille, i
capelli lunghi e la sua usatissima Giulietta Sprint rossa. Ci ho
ripensato qualche sera fa guardando per la prima volta Magical
Mistery Tour e assistendo a una stralunata gara del pullman con
alcune auto tra cui, appunto, una Giulietta Sprint. Imparammo a
suonare Sgt.Pepper’s nell’arrangiamento dei Green Rats
che si erano dovuti ingegnare in qualche modo a trovare
un’alternativa ai fiati della versione originale. E poi “With
a little help from my friends”, prima ancora di sentirla
nella versione aggressiva e coinvolgente di Joe Cocker. E mi restano
nel cuore le atmosfere suggestive di “For the benefit of
Mr.Kite” e di “Fixing a hole”
The
White Album & Abbey Road
Dopo
un paio d’anni di più o meno felice convivenza anche il
nostro gruppo ebbe le sue vicissitudini. L’unità
del gruppo
cominciò ad essere minata. Ci fu una breve periodo in cui
fummo in cinque, (“I
quattro amici più lui”),
con Sandro alle tastiere, ma non funzionò molto. Provavamo in
un enorme padiglione della fiera campionaria di Messina, perché
il padre di Sandro ne era funzionario. Ricordo che litigammo
furiosamente dopo che Sandro e altri amici suoi operarono un vero e
proprio “rapimento” della nostra amplificazione vocale.
La recuperammo dopo una rovente telefonata tra il sottoscritto e
Sandro e la cosa finì lì. Poi sostituimmo Pino con
Eugenio, chitarrista molto più valente e amico di Manlio. Di
questo passaggio testimoniano alcune vecchie foto che ci ritraggono
nell’isola di Vulcano dove eravamo andati a suonare nei giorni
di Carnevale. Alla fine il gruppo si sciolse.
All
things must pass
Il
1970 fu l’anno decisivo. I Beatles si separarono in aprile, noi
non ricordo quando ma non molto tempo dopo. Ricordo solo che finì
un periodo, forse un’epoca. Continuai a suonare da solo,
qualche volta con amici e compagni di strada anche validi e
interessanti. Qualcosa era però cambiato. Si faceva strada una
sorta di individualismo in cui lo spirito di gruppo, il sereno
divertimento dello stare in gruppo era sconosciuto o non aveva posto.
Così l’ultimo album di quell’avventuroso periodo
fu “All things must pass” che risuonava
malinconico già allora e già a partire dal titolo.
Forse è vero, tutte le cose devono passare ed “è
un peccato”, come lo stesso George canta in “Isn’t
it a pity”.
Ed
è per questo che non comprerò mai quella Fender
Telecaster che a 15 anni avrei tanto desiderato. Suonare da solo non
è la stessa cosa che in gruppo. La famosa unità del
gruppo. Mia figlia l’ha capito e credo che sia per questo
che le piacciono così tanto i Beatles. La sento ancora
autenticamente rammaricata per la fine di una storia che è
soprattutto una magica storia di amicizia. Spero che prima o poi
abbia anche lei il suo gruppo e che possa provare le stesse
emozioni “live”, dal vivo, come si dice per i concerti.
Perché
a mia figlia piacciono i Beatles.
E
a me piace mia figlia...
e
anche i Beatles!
G.P.
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