Il silenzio della notte fu rotto da un tuono che diede
inizio ad una violenta pioggia: le nuvole nere imprigionarono la luna nella
loro stretta, tutto si oscurò.
Una donna correva lungo il piccolo sentiero che tagliava in
due il bosco di Liyen, fra le mani stringeva un fagotto, si girò: dietro di lei
non c’era più nessuno, l’avevano lasciata scappare; si sedette sulla radice di
un albero per riposare, posò sulle ginocchia il suo prezioso fagotto , lo aprì:
un bambino dalla pelle candida e dagli occhi limpidi come l’acqua la guardava
stupito, sembrava volerle chiedere cosa stesse succedendo, sorrise a quella
dolce creatura che la squadrava:
-Stai tranquillo, non ritornerai più in quella casa-
Sussurrò amorevolmente scompigliando il capelli dorati del
piccolo che gli afferrò la mano:
-Diventerai proprio un bel ragazzo..-
Osservò, poi prese un medaglione dalla tasca, lo posò sul
fragile petto del bambino, poi continuò:
-Non so se riuscirò a salvarti….non so proprio cosa
fare….ma, penso che la cosa migliore sia fuggire lontano da qui..poi..poi
penseremo a tutto il resto..-
Più che al bambino, la donna, disse quelle parole a se
stessa, era spaventata e anche se non gli stavano più inseguendo temeva un
agguato; riavvolse il bambino nella coperta e ricominciò a correre, senza una
meta, come un animale inseguito dai cacciatori che pensa solo a trovare un buon
nascondiglio.
Pioveva ancora, ma si poteva scorgere la pallida sagoma
della luna tra le nere nuvole;uscita dal bosco la donna si ritrovò a pochi
metri da un precipizio; guardò il bambino addormentato tra le sue braccia, gli
dava coraggio, anche perché era quella la ragione per cui era fuggita, lo posò
a terra e si tolse il mantello: i capelli biondi ricaddero sulle spalle in una
cascata dorata e due splendide ali candide uscirono dalla schiena; il bambino
si svegliò e camminando verso la donna le tese le braccia, lei si abbassò per
prenderlo in braccio, ma una lancia le trapassò il petto, un brivido, il sangue
cominciò a fluire e il vestito bianco, ben presto, divenne rosso purpureo, il
bambino non capiva cosa stava succedendo e si avvicinò alla balia, ma un uomo
lo spinse lontano, afferrò la donna per le ali e con un forte strappo gliele
staccò, un urlo disumano ruppe il silenzio ovattato del bosco; la donna era
pallida, sfinita dal dolore e ricoperta dal suo sangue, si impose di non
piangere, anzi sorrise dolcemente al bambino, capì che quella era la fine e
decise che voleva accarezzare per l’ultima volta i suoi capelli dorati,
agonizzante cercò di avvicinarsi al piccolo, ma l’uomo la afferrò per i capelli
e le tagliò la testa con la lancia, poi si avvicinò trionfante al bambino
mostrandogli la testa della donna:
-Forza, sorrisi!Ridi!-
Gridò l’uomo, il bambino cadde a terra tremante, le lacrime
percorrevano le guance pallide del piccolo che si portò le mani sugli occhi nel
tentativo di dimenticare l’orrenda scena cui aveva assistito, si sentì
sollevare per i capelli, scalciò ma non servì a niente, pianse ma l’uomo non lo
lasciò, anzi strinse la presa che si fece quasi insopportabile, con la mano
libera lanciò la testa della donna nel dirupo, poi cominciò a picchiarlo
dicendo:
-Così impari a scappare!Non devi permetterti, non devi
provarci mai più!-
Il bambino ricevette un violento calciò in pancia che gli
mozzo il respirò, voleva morire, la sua balia era morta, lo capiva, su padre
l’aveva trovato e l’avrebbe riportato a casa, non voleva tornare a casa, non
voleva vivere con quelle due persone che non erano i suoi genitori; si
raggomitolò nel vano tentativo di soffocare di soffocare il freddo della notte
e ripararsi dalla gelida pioggia che lo teneva sveglio, si sentiva trafitto da
migliaia d’aghi che si impiantavano nei suoi polmoni ad ogni respiro che si era
trasformato in un dolore quasi maggiore a quello che gli faceva il padre
picchiandolo; soffocava.
Quanto tempo era passato da quando il padre aveva iniziato a
picchiarlo?Due minuti, un quarto d’ora, un’ora…..il piccolo non lo sapeva,
aveva ormai perso la cognizione del tempo, poi però, sentì la pioggia calmarsi
e udì un sibilo, parte del dolore scomparì, aprì gli occhi,suo “padre” era
sparito, al suo posto, c’era un ragazzo:era vestito con uno spolverino, con una
mano teneva una spada appoggiata sulla spalla
lo vide riporre l’arma nel fodero posto sulla schiena e porgergli la
mano, si ritrasse:
-Non avere paura di me, quell’uomo non ti farà più del
male..-
Lo sconosciuto gli sorrise, un sorriso che gli ricordò la
sua balia, alzò le braccia, l’uomo capì e lo prese in braccio:
-Ora sei al sicuro-
Il bambino si strinse a quel caldo corpo in una muta
richiesta di affetto; nella testa era ancora nitido il grido straziante
dell’unica persona amata e il ricordo del padre che lo picchiava, aveva
paura..tanta paura; vide una mano posarsi sui suoi capelli, chiuse gli occhi
d’istinto anche se sapeva che il suo salvatore non aveva brutte intenzioni:
-Non devi avere paura di me, non voglio farti del male-
La voce era sicura e dolce, proprio come quella della sua
balia, timidamente strinse la mano sui suoi capelli: era più grande della sua,
ma amica, non come quella di suo “padre”, l’uomo gli sorrise di nuovo:
-Io sono Auron, tu chi sei? Piccolo angelo?-
Il biondino non rispose, il suo sguardo diventò triste e i
suoi occhi si annebbiarono di lacrime che l’uomo asciugò con la mano:
-Non devi piangere, non c’è niente di male a non voler dire
il proprio nome…hai passato dei brutti momenti, devi ancora riprenderti..su,
non piangere-
Il piccolo si strinse ad Auron, alzò la testa guardando per
la prima volta in faccia il suo salvatore: i capelli erano neri e corti, alcuni
ciuffi disordinati coprivano la fronte, gli occhi erano coperti da un paio di
occhiali neri e le labbra erano piegate in un dolce sorriso:
-Finalmente mi guardi in faccia!-
Il bambino arrossì, poi aprì la bocca e mormorò:
- Non ho un nome, nessuno si è mai preoccupato di darmene
uno-
Le parole erano state pronunciate lentamente e con una nota
di tristezza, Auron baciò la fronte del bambino:
-Perdonami, non volevo rattristarti…-
-Non deve preoccuparsi..l’importante, per me, è che mi ha
salvato da quell’uomo-
-Dove vuoi che ti porti?-
-Dovunque, basta che sia lontano da i miei genitori-
Rispose il bambino tremando tra le braccia dell’uomo che,
senza chiedere spiegazioni più approfondite, gli accarezzò la guancia con il
dorso della mano:
-Se vuoi puoi vivere con me, la mia casa si trova in un
bosco poco lontano da Yena, la capitale di Fenicia, vivo da solo e credo che un
po’ di compagnia mi farà bene..-
-Davvero!Posso venire!?-
-Certo!Ora però tieniti forte che si vola!….ah e non darmi
del lei..-
Il piccolo annui poi si strinse saldamente al petto di
Auron, nascose il viso nella stoffa liscia dello spolverino chiudendo gli occhi
finché non senti qualcosa ti leggero e morbido sfiorargli la guancia, una piuma
nera cadde sulla terra bagnata, vide il suolo allontanarsi e si ritrovo in
cielo tra le soffici nuvole non più nere, ma bianche; si girò verso Auron per
chiedergli come faceva a volare, e, solo allora, notò due maestose ali che
uscivano dalla schiena del ragazzo, la cosa che lo meravigliò di più fu il
colore delle ali: nere, nere come il buio e imprigionate da delle catene
argentate; il bambino riabbassò lo sguardo, Auron chiese:
- C’è qualche problema?-
-No..solo…che…-
-Ti domandi perché le mie ali sono nere, vero?-
Il bambino annuì, i suoi occhi azzurri si specchiarono in
quelli del suo salvatore nascosti dietro le lenti, voleva sapere perché erano
nere e non bianche come quelle della sua balia:
- La mia balia le aveva bianche..-
-Ora non posso dirtelo, ma quando crescerai ti dirò tutto,
ok?-
Il bambino annuì di nuovo, questa volta sorridendo, non gli
faceva per niente paura quell’uomo, anzi si sentiva protetto tra le sue
braccia:
- Ti voglio bene-
Sussurrò prima di chiudere gli occhi e addormentarsi per la
prima volta senza paura e con il pensiero che dal quel giorno tutto sarebbe
cambiato perché era consapevole che l’incubo era svanito, che dopo tanto tempo
sarebbe riuscito ad avere una famiglia e che sarebbe finalmente stato
libero.