~ Introduzione
Il
duemila, per chi visse in quel periodo, fu caratterizzato da insoliti
avvenimenti. Gli esseri umani narrarono leggende, miti, vi si
riappassionarono. Nelle loro televisioni, sugli schermi dei cinema,
proiettavano storie di eroi e di personaggi che sarebbero riusciti a
salvare il loro stesso mondo.
Per
gli storici del duemiladuecento in poi fu a causa delle enormi crisi
che imperversavano sulla Terra, quelle economiche in particolare. Il
territorio arabo-asiatico era scosso da tremende lotte interne che,
per le fonti di petrolio, erano appoggiate dagli Stati Uniti e dai
paesi più ricchi.
L’Africa
era immersa nella povertà e nella carestia, circa cento
bambini al giorno morivano per malattie come l’AIDS (che ai
giorni nostri è scomparsa) o la malaria (ormai rarissima).
Erano poche le persone che, nel vecchio continente, potevano vantare
gli studi elementari.
L’acqua
scarseggiava e le nazioni, pian piano, si preparavano a far fronte
all’emergenza nel caso questa importantissima risorse si fosse
estinta. Si pensava, infatti, che entro il duemilacento non sarebbe
bastata nemmeno per la metà dei pochi eletti che ne
usufruivano.
Molti
attribuirono questi scombossulamenti a una vicina fine del mondo,
datata per il Ventun Dicembre Duemiladodici. Era stato interpretato
dai testimoni di Geova, adepti di una religione dell’epoca, che
l’anno dell’Apocalissi sarebbe stato quello. Il Giudizio
Universale. Un evento che veniva narrato perfino nella Bibbia, senza
che si specificasse quando sarebbe arrivato. A infervorare le tesi il
calendario Maia, che proseguiva fino al Duemiladodici.
Oltre
un meteorite, nel duemilatrentasei, non vi fu null’altro di
quanto previsto. Fu un sollievo, naturalmente. Ma non per tutti. Da
quel momento il movimento dell’Onda, un’associazione di
ragazzi italiani, si espanse per l’intero pianeta, smuovendo
governi, tradizioni e comunicazioni. Gli adolescenti, che sentivano
il bisogno di sostituire le mani che possedevano il potere, si
unirono in un unico grido, il ruggito della pantera – simbolo
del movimento del 1968 che rivoluzionò, non quanto l’Onda,
il mondo. La pantera era stesa regalmente su una tavola da surf, in
equilibrio su un’alta onda blu. Questa la bandiera dell’Unione.
La
loro lingua ufficiale era l’Inglese, organizzavano riunioni
attraverso una chat privata una volta alla settimana, discutendo dei
loro piani per conquistare i parlamenti di ogni stato.
L’Otto
Marzo Duemilaquaranta, la Francia, l’Italia, la Germania e
l’Inghilterra furono assediate da mille tra quindicenni,
sedicenni e diciassettenni ciascuna. Alla fine del duemilaquarantuno
non esisteva più alcun governo presieduto da maggiorenni.
Furono riscritte leggi in quasi tutto il mondo, distrutte bombe
atomiche, firmati accordi di pace tra stati che, fino ad allora,
erano stati ostili tra loro. Le tecnologie si armonizzarono ad ampi
spazi verdi; nei paesi più caldi furono di nuovo preferite
tende a palazzi che vennero abbattuti. Gli Israeliani si occuparono
della fertilizzazione dell’Africa, mentre in America fu
istituita una giornata di lutto nazionale, “Giorno della
Commemorazione degli Indiani d’America[1]”. In
Italia, in particolare al Sud (storicamente sovraffollato), furono
rase al suolo centinaia di costruzioni abusive, le persone che fino
ad allora vi avevano vissuto avevano avuto la possibilità di
scegliere tra la Zona Equatoriale, il Canada e l’Australia.
Vigevano
democrazie pacifiste, le armi erano state per lo più fuse e
con il metallo da esse ricavate erano stati edificati i pilastri per
nuove scuole, ospedali, negozi alimenari, dove si necessitavano
costruzioni del genere.
Duecento
miliardi di dollari, tra il duemilasettanta e il
duemilasettantacinque, furono investiti per la ricerca medica che
scoprì cure per diverse malattie fatali quali il cancro,
l’AIDS e la malaria – prima citate – la
tubercolosi, la progerie[2]. Dal duemilaottanta al
duemilaottantatré si lavorò a un modo per rendere
fertili sia uomini che donne, vi s’impegnarono medici e
ricercatori da tutto il mondo e finalmente, alla fine del
duemilaottantaquattro, venne pubblicata una tesi sulle cure e gli
estratti necessari per poter proliferare anche se alla nascita non si
avesse posseduto questa predisposizione. Si trattava di sostanze
costose, ma con il tempo si riuscirono a organizzare delle culture
con i vegetali necessari.
Per
molti anni gli esseri umani si domandarono cosa avesse dato le
capacità a quei ragazzi, che un tempo erano stati definiti
fragili – e avrebbero dovuto essere analfabeti a causa del modo
in cui la scuola era stata trasformata. Ipotizzavano avessero fatto
parte di una sorta di setta che li istruiva e preparava alla “lotta”:
un luogo dove potessero ritrovarsi e imparare tutto ciò che
c’era da sapere sulle origini del loro mondo, la grammatica, le
lingue, la geografia, il necessario perché potessero governare
i paesi.
Nel
duemilacentocinquanta comparve sulla scena uno strano documento che
per molti mesi si diffuse attraverso comunicazioni in internet. Si
credeva fosse uno scherzo, ma quando le notizie stavano per giungere
ai mass-media il tutto venne censurato dai governi. Si citavano un
certo Sirius Black, una scuola chiamata Hogwarts, e la parola in
codice “magia”, chiave di quei nomi che tutt’oggi
nessuno è riuscito a decifrare. Nelle poche pagine una ragazza
– Ginny Wesleay – raccontava di come Sirius fosse tornato
(si ipotizza da una sorta di prigione, o addirittura da un
laboratorio illegale di esperimenti), dell’emozione nel vederlo
comparire di suo marito e delle idee geniali che propose loro.
Spiegava che avevano radunato di nuovo i membri de “L’Ordine
della Fenice”: era giunto il momento per loro di aiutare i
babbani a risollevare i loro Stati. Nelle ultime righe Ginny
annotò brevemente sintesi poco dettagliate – e dalle
quali si poteva evincere quasi nulla – degli argomenti delle
loro discussioni.
L’ultima
frase recitava: « Il mondo magico è stato travagliato
negli ultimi sessant’anni da disavventure molteplici a causa di
Voldemort. Ora le più grandi nazioni hanno bisogno di ragazzi
giovani, con idee innovative, che non abbiano interessi personali nel
governare il mondo, se non la voglia di poter promettere un futuro
migliore ai loro pronipoti. E noi, Ordine della Fenice, assieme al
Ministero Della Magia, organizzeremo tutto per far sì che
questi giovani abbiano le capacità per farlo ».
Già
in precedenza, qualcuno aveva accennato al nome di Sirius Black, ma
in quelle note si attribuiva a lui la maggior parte delle opere del
fantomatico Ordine della Fenice e alla sua amata Penelope. Sui blog
nacque la moda di osannare il Signor Black e i suoi amici, si conferì
a loro, per una ventina d’anni, il merito per il miglioramento
visibile e radicale della Terra. Ginny Wesleay divenne – e
rimase – simbolo di una generazione di donne indipendenti, che
non avrebbero mai più accettato di sentirsi inferiori agli
uomini.
Ma
tutto venne dimenticato dopo il duemiladuecento, quando nuove
leggende (e mode) furono diffuse.
Fine Introduzione ~
Quando
la vita di Paco – Pacifico all’anagrafe – cambiò
era il Duemilacinquecentotrentasei. Aveva appena sedici anni, un
volto sempre sorridente e la speranza tipica dei ragazzi della nuova
era. Conosceva meglio della media la storia degli anni Duemila: i
suoi genitori erano degli appassionati, la loro casa era piena di
libri e manoscritti. Paco era cresciuto tra il profumo di polvere dei
volumi antichi, stando attento sin da piccolo a non sgualcire le
copertine e trattare con cura le pagine ingiallite. Il suo autore
preferito era Stefano Benni[3], che sembrava descrivere alla
perfezione, attraverso metafore e nomi storpiati allusivi, la
situazione del suo paese. Si era informato su romanzi come la saga di
“Twilight” che aveva smosso masse di ragazzine e le aveva
fatte appassionare alla lettura, iniziando con quel libro
sopravvalutato fin troppo, arrivando a grandi della letteratura
mondiale come Oscar Wilde e Shakespeare. Aveva studiato con passione
le vicende politiche e gli intrighi che s’intrecciavano nel
parlamento italiano, l’illegalità che regnava spesso
sovrana. Ricordava con amore particolare Marco Travaglio, giornalista
di quel periodo e gli eroi a cui si affidavano i ragazzini del Sud:
Falcone e Borsellino[4], oppositori della mafia nel
Millenovecentonovanta, più o meno.
Nel
Duemilacinquecentotrentasei studiare non era un obbligo; certo,
ognuno doveva scegliere, dopo le medie, se proseguire la scuola
oppure lavorare come apprendista. Ma le persone sentivano come
bisogno, avendo imparato dall’errore del passato di
sottovalutare la cultura, quello di essere istruiti e ricavare quante
più informazioni possibili dai libri.
Paco
ricordava ancora le prime parole importanti che i genitori gli
rivolsero a proposito dell’istruzione: « Se sai,
Paco, potranno anche tentare di umiliarti, ma non ci riusciranno, non
ci sarà nulla che potrà spaventarti. Se sai,
figlio, senso dei nostri giorni, potrai essere tutto ciò che
vorrai ».
Era
una mattinata come altre; Paco varcò la soglia di casa sua
allegro, lasciando sul pavimento dinnanzi l’entrata la sua
cartella nera. Salutò con un bacio sulla guancia sua madre,
intenta a cucinare una prelibatezza dall’aroma di carote e
cipolle. Sul tavolo di legno la solita corrispondenza, un paio di
quotidiani, le chiavi dell’auto – che ripose con
attenzione nella cassetta apposita. Nel vassoio della frutta c’erano
delle mele, qualche arancia, delle verdissime pere. I suoi genitori
erano sempre attenti che non mancassero vegetali nell’alimentazione
familiare, erano necessari per combattere molte malattie
naturalmente, senza usufruire di medicinali. Erano alcuni principi
della vitamina C che componevano, difatti, il farmaco che combatteva
i più frequenti tumori[5].
«
Com’è andata la giornata, tesoro? »
«
Una meraviglia! Sono stato interrogato in algebra e la professoressa
mi ha valutato con un otto »
«
Ma è fantastico! » Qualche colpetto con il coltello sul
sedano; sistemò la mano al di sotto del tagliere e vi fece
scivolare i pezzetti. « Questa sera per festeggiare andremo a
comprare del gelato » Alzò la fiamma della pentola con
il sugo, dalla quale divampò un profumo speziato e delicato. «
A proposito di festeggiamenti… in camera tua c’è
una sorpresa. So che il tuo compleanno è tra tre mesi, ma tuo
padre ed io abbiamo deciso di prenderlo in anticipo – non
eravamo sicuri che l’avremmo trovato in futuro » A quelle
parole, Paco fissò gli occhi azzurri, simili ai suoi, di sua
madre sperando che non stesse scherzando. Un regalo per il quale i
genitori erano tanto interessati… non poteva essere altro che
una fonte d’informazioni sul Duemila – ed erano anni che
chiedeva che cercassero, in particolare, qualcosa su Sirius Black e
L’Ordine della Fenice.
Corse
su per le scale, mentre la madre gli urlava delle parole
incomprensibili ridacchiando – non capì per la troppa
emozione, ma aveva a che fare con un “grazie” –
scivolò su qualche gradino a causa dei calzini di lana e la
cera appena usata.
Spalancò
la porta. Il suo cane, Harry, era stravaccato sul letto, leccandosi
le zampe nere e pelose. Sembrava più vivace del solito quando
si alzò e gli caracollò addosso, baciandogli nel modo
adorabile – e umido – dei cani il viso. Finirono entrambi
sul pavimento, Paco a gambe incrociate sul tappeto, e Harry con il
capo poggiato sulle coscie del padrone, aspettando che quello si
decidesse a scartare il pacchetto che aveva avuto il coraggio, dopo
dieci minuti, di afferrare dalla scrivania. Era rettangolare. C’era
qualcosa di duro sotto la carta blu lucida e il fiocco azzurro. Come
una copertina rilegata, pensò. Doveva smettere di
illudersi, avrebbe potuto essere anche un comunissimo manuale o una
delle tante edizioni originali dei libri che avevano comprato per
decenni nella sua famiglia. Eppure… sentiva come qualcosa
all’altezza dello stomaco, nel battito del cuore accellerato di
Harry, che era ben più di un semplice cimelio: era esattamente
quello che aspettava da quando aveva dodici anni.
Scartò
con estrema lentezza il rettangolo, pregando a fior di labbra che
fosse quello che sperava – un diario, un’agenda, uno
scritto che riguardasse Sirius Black.
Certamente
era antico. In cuoio marrone. Recava una scritta dorata in basso a
sinistra (“Felpato”[6]). Al lato destro c’era
un’intricata serratura di cui non comprendeva il meccanismo, e
poco più centrale la forma di una zampa – forse di un
cane – solcata nel tessuto.
Harry
sbuffò, come fosse stato impaziente di aprirlo. « Lo so,
lo so. Anche io vorrei capire come- » Gli diede una zampata
delicatamente sulla guancia, facendolo voltare verso di lui. Nelle
pupille scure baluginò una scintilla d’oro, della stessa
vivacità del Felpato della copertina. « Non mi
vorrai dire che… » L’animale gli spinse il gomito
con una testata, e Paco lo interpretò come un sì.
In
fretta chiuse le tapparelle verdi della sua stanza: non filtrava il
benché minimo raggio di luce. Chiuse la serratura della porta
e si sotterrò tra le coperte del letto, assieme a Harry, per
essere sicuro che nessuno li raggiungesse. Fece poggiare a Harry la
zampa esattamente nell’incavo. Con uno scatto meccanico, che
per Paco era più melodioso di qualsiasi arpa o violino, il
libro si spalancò su una pagina miracolosamente candida, se
non per una scritta che si formava pian piano, sembrava che qualcuno
la stesse componendo in quell’istante.
« Voltando questa pagina
giuri solennemente di non far parola a nessuno che non sia citato in
questo libro a proposito di quello che leggerai.
E, allo stesso tempo, di non rimanere scandalizzato e
di continuare a leggere, almeno fin quando non avrai completato il
libro »
Se la
situazione fosse stata meno solenne, e lo scorrimento delle lettere
non l’avesse confuso, non avrebbe dato peso a quella richiesta.
Ma, anzi, ne avrebbe riso. Invece la tensione calata su lui e Harry
gli diceva di non scherzare con quel giuramento e mormorò a
fior di labra un “prometto” stentato.
Le
due frasi scomparvero come un’onda che si ritira dagli scogli –
perché proprio come mare sembrava la carta – e senza che
aggiungesse altro o muovesse un dito, il libro passò oltre.
Una
luce purissima si diffuse al di sotto del loro rifugio, illuminando
il volto di Paco e il muso di Harry, che ne fu investito in pieno.
Quest’ultimo, approfittando del momento di meraviglia del
padroncino, sbadigliò e si preparò.
«
Oh, finalmente! Era un bel po’ che avevo voglia di aprir bocca
»
Paco
per poco non svenne.
Fine Prima Parte ~
Nel
gennaio del 2036 si sentiva la necessità di cambiamento che
aleggiava attorno all’intero pianeta. I luoghi meno illuminati,
e più malfamati, decadevano giorno dopo giorno; i furti, i
rapimenti, gli omicidi aumentavano il loro numero. Le persone avevano
sempre meno voglia di uscire di casa, abbassavano le tapparelle e nei
supermercati acquistavano scorte di cibo che sarebbero bastate per
anni.
Il
meteorite era stata una breve parentesi ma che aveva comunque
scombussolato i governi. Era stata una situazione critica: in meno di
due mesi erano stati costretti a organizzare una spedizione perché
fosse stato distrutto. La NASA assunse dodici astronauti dopo lunghe
selezioni e allenamenti. Furono inviati nello spazio con una bomba a
sistema implosivo[7]
potente abbastanza da annientare il meteorite. Il trentun dicembre
duemilatrentacinque, oltre all’inizio di un nuovo anno, si
festeggiò la riuscita della missione e il ritorno in patria
degli uomini che avevano rischiato di rimanere travolti
dall’implosione.
Il
primo gennaio 2036, in una regione sperduta dell’Inghilterra,
alle sette del mattino, un uomo si svegliava come da un lungo stato
di catalessi. Apriva gli occhi, ritrovandosi una parete in metallo
sopra la testa e domandandosi cosa fosse accaduto, e perché la
battaglia con Bellatrix Lestrange, sua cugina, non stesse
proseguendo. Poi, vagamente, ricordò il suono di un urlo –
sicuro che fosse quello di Harry – e la sensazione di aver
perso troppo.
Sollevare il coperchio sopra di sé non fu complicato, ma gli
provocò un enorme fastidio il rumore acuto che si diffuse
dall’oggetto caduto sul pavimento. Attorno a lui c’erano
ancora delle mura bianche. Filtrava da una finestra sulla destra luce
solare. Vide sulla parete di fronte la sagoma di una donna
nell’intento di spalancare le imposte arieggiando la stanza.
«
Era ora » Gioì. Ricordava vagamente il volto che sapeva
di possedere e lo associava facilmente a quello della ragazza –
non più di vent’anni – che gli era di fronte. Tra
lei e se stesso c’era un’evidente somiglianza. Negli
occhi grandi – che la ragazza aveva verdi – e
nell’espressione gioiosa che gli era appartenuta fino a quando
il suo migliore amico non fu ucciso da Voldemort.
«
Tu chi sei? » Le domandò, spaesato.
«
È una lunga storia, credo che dovresti incontrare prima mia
madre, e poi ascoltare le spiegazioni. Oh, e sarebbe meglio se prima
ancora ti nutrissi, è parecchio che non mangi! »
Aperta
la porta, lo aiutò ad alzarsi. Indosso aveva soltanto un
costume rosso. Gli avvolse una vestaglia attorno al corpo e gli porse
un paio di pantaloni e dei boxer, sostituendoli a quell’indumento
fradicio del liquido in cui aveva galleggiato per trentun anni.
Nella
cucina c’era una donna bionda che si spostava da un lato
all’altro, era visibile il tremorio che la scuoteva ma che non
le impediva di cucinare e di sistemare i piatti sul tavolo a cui
erano seduti un bambino dai capelli rossi e un altro uomo della
stessa età della ragazza che sfogliava un giornale.
Quando
la donna si voltò, Sirius ondeggiò pericolosamente.
L’avrebbe riconosciuta tra mille. Era proprio Penelope[8],
l’unica donna che avesse mai amato. L’ultima volta che
l’aveva incontrata era stato prima di andare in aiuto del suo
figlioccio al ministero. Avevano trascorso delle ore dopo che lui
l’aveva incontrata in un pub malfamato, scappato di nascosto
dalla casa in cui era relegato. Lei l’aveva ammirato con uno
sguardo pieno d’odio, amore e furia. Aveva cercato di scappare
quando l’aveva raggiunta. Ma si era persa facilmente nei suoi
occhi e, sospirando, acconsentì a una rimpatriata. Anche quel
giorno tremava, eccitata ed emozionata, così vicina dopo tempo
al suo amato.
«
Penelope! » Pensava che non l’avrebbe mai più
rivista. Quando aveva sentito un colpo freddo e aveva visto Harry
esterrefatto il senso di perdita l’aveva avvolto, s’era
convinto che non avrebbe più incontrato Harry e seppe anche
che nemmeno Penelope sarebbe stata più al suo fianco. E poi,
dopo il tempo infinito di – quanto? Una notte? Mesi? –
era di fronte a lui, con la sua aura di spavento e affetto. Gli gettò
le braccia al collo e singhiozzò sulla sua spalla, lui le
carezzava i capelli e le baciava il capo. Accanto a loro, la ragazza,
suo marito e il loro figlio si sentivano a disagio e, nonostante
l’essere ingombranti, orgogliosi e commossi. « Penelope,
t’amo. Non ho avuto il tempo di dirtelo quella sera, ma io ti
amo. Ti ho sempre amata » I due si strinsero l’un l’altro
quanto più riuscirono, volevano allacciare le loro anime ancor
di più, quanto i loro stupidi corpi umani gli avrebbero
permesso. « Penelope… »
«
Sirius, adesso è arrivato il momento di discutere » Lo
informò, il volto si fece di nuovo serio mentre con il
grembiule da cucina se lo asciugava e si accomodava alla sedia,
accanto a sua figlia. Gliene indicò un’altra,
esattamente di fronte, mentre elegantemente si legava i capelli in
una crocchia disordinata e scombussolata, proprio come il suo petto.
« Non vogliamo sconvolgerti, ma… hai dormito per trentun
anni. Per tutti quanti Sirius Black è morto »
«
Eh? »
«
Quando sei andato a combattere al ministero, Bellatrix Lestrange, in
un momento di distrazione, è riuscita a colpirti. Tu sei
finito in uno degli “Archi del coma”, e sei ricomparso in
questa casa, in cui m’ero rifugiata. La fattoria della mia
famiglia, da sempre abbastanza potente per permettersi uno dei
container del coma, è stata per molti anni rifugio dei malati
e delle persone che non volevano invecchiare. Occorre trascorrere una
notte all’interno di uno di quei marchingegni per poter
sopravvivere per molti anni e mantenere l’aspetto che si ha
quando vi si entra. Ti ho lasciato lì, sperando che tu ti
svegliassi. Ma dopo due settimane decisi che mi sarei calata anch’io
in uno di quei contenitori, così che quando avessi aperto gli
occhi mi avresti trovata uguale a quando avevi lasciato casa tua. Io,
però, ero incinta e dopo nove mesi improvvisamente aprii gli
occhi. Mi aiutarono i miei genitori a dare alla luce quella che tu
vedi ora – sì, nostra
figlia – il suo nome è Hope. Questo è suo marito
Frank, e il loro figlio Sirius – sei anche nonno. Dopo
vent’anni nei contenitori si ottiene la vita eterna e ci si
risveglia automaticamente. Forse, i primi undici anni sono serviti
per le cure alle tue ferite. Quello che ti lanciò Bellatrix fu
un anatema molto potente. Ma ora, dunque, sei immortale » Era
evidente che Penelope avesse celato qualcosa a Sirius, ma l’uomo
non lo ritenne importante in quell’istante. Aveva la donna
della sua vita, una figlia, un genero e perfino un nipote.
«
Santo Cielo… »
«
Immagino sia difficile per te accettare tutto questo, ma- »
«
No, no. È splendido. Non avrei mai creduto che avrei ricevuto
tutti questi doni »
«
E scommetto che ora tu voglia correre da Harry e mostrarti »
«
Oh, Penelope… » Sirius, però, era turbato da
altri pensieri. « Come avrei voluto che anche James avesse
avuto la mia possibilità! » Penelope lo strinse a sé,
come una mamma che tranquillizza il figlio, e lo cullò.
«
Adesso è ora che tu modifichi questo mondo. Gli umani stanno
vivendo a stento, è giunta l’ora che i maghi si occupino
dei problemi dei babbani »
«
Wow! » Paco era entusiasta di quella storia avvincente di cui
comprendeva quasi ogni dettaglio. « Quindi la magia esiste
davvero? Sei sopravvissuto per trentun anni con l’aspetto che
avevi quando ti sei addormentato… formidabile. Cosa ne è
stato di tua moglie e della tua famiglia? »
«
A dire il vero, Paco, non lo so »
«
Cosa? »
«
Vissi con Penelope molti anni felici dopo che nel duemilaquaranta
completammo l’opera di miglioramento della Terra assieme
all’Onda. Trenta, più o meno. Dopo questi, però,
lei, Hope, Frank e mio nipote scomparvero. Penso che Penelope stesse
per morire e lo sapessero tutti – tranne me. Puoi intuire
quanto fosse di nuovo difficile, ripiombò su di me il dolore
che avevo coltivato da quando James, il mio migliore amico, nonché
padre del mio figlioccio, morì. Quella volta fui arrestato con
l’accusa di aver aiutato Voldemort a uccidere la famiglia
Potter – Lily e James, appunto – sterminato tredici tra
babbani e maghi che mi stavano ostacolando nella fuga. In realtà,
durante il terzo anno in cui Harry frequentò Hogwarts gli fu
chiarito da me e un altro mio compagno di corso, Remus Lupin, che ad
aiutare Voldemort a uccidere Lily e James, da lui ricercati, era
stato Minus, altro membro della compagnia dei malandrini, il nostro
gruppo d’amici. Aveva rivelato al mago oscuro – Voldemort
– il luogo in cui i Potter si nascondevano. Scappando,
inseguito da me in cerca di vendetta, aveva ucciso dodici persone,
trasformandosi in un topo – se dovessi spiegarti anche questo,
divagherei troppo e c’è ancora tempo. Finse che fosse
stato ucciso perfino lui, lasciando un dito della sua mano sulla
scena del delitto. Fui arrestato e portato ad Azkaban, il carcere dei
maghi e delle streghe – un posto orribile e aspro – dove
rimasi fino al duemilatré. Allora fuggii: avevo visto
l’immagine di Minus su un giornale. Era l’animale di
compagnia di Ronald Weasley, il miglior amico di Harry. Questo portò
scompiglio nel mondo dei maghi, ero considerato un uomo pericoloso.
Quando riuscii a parlare con Harry escogitammo un piano: avremmo
raccontato alle autorità la realtà e sarei stato libero
di vivere la mia vita assieme al mio figlioccio. Ma Remus era un lupo
mannaro e questo non l’avevamo messo in conto; c’era la
luna piena quel giorno e si trasformò, lasciando libero Minus
che scappò. Fui costretto a vivere da latitante. Nel
duemilacinque da Azkaban fuggirono i seguaci di Voldemort. Il
Ministero della Magia negò che fosse un sintomo del ritorno
dell’uomo che aveva sconvolto per un decennio sia il mondo
umano che quello magico per non turbare l’equilibrio acquisito
con difficoltà. L’universo magico si divise in due
fazioni e nel duemilasei tutti furono convinti che fossi morto –
e innocente: sai come si dice, “La morte nobilita l’uomo”
– quando al Ministero della Magia si consumò la
battaglia tra alcuni seguaci di Voldemort e gli schierati dalla parte
del bene. Da quel momento iniziò la seconda guerra – e
come puoi intuire, vinse il bene. Io non fui presente, mi risvegliai
nel duemilatrentasei e proposi i piani di Penelope all’Ordine
della Fenice, un gruppo di maghi che avevano combattuto nel primo e
nel secondo conflitto. Quando tornai, però, erano rimasti
soltanto i discendenti di questi – ed io. Mi elessero come capo
dell’Ordine della Fenice, essendo il più anziano. Le
decisioni che prendemmo fino ad aprile non furono particolarmente
rilevanti per noi, ma nonostante questo ci sentimmo responsabili, se
avessimo sbagliato il mondo degli umani sarebbe addirittura
peggiorato. A maggio raccogliemmo l’Onda e l’aiutammo a
diffondersi, li istruimmo fino al duemilaquaranta » Sirius posò
lo sguardo al cielo, cercando di rammentare perché quel flusso
di ricordi del passato fosse comparso, poi riprese da dove era
rimasto: « Stavo dicendo, quindi, che fui investito dalla
tristezza per la scomparsa di Penelope. Per molti mesi la cercai,
invano. Mi arresi e mi trasferii a New York dove, con i miei poteri,
aiutai gli abitanti di quella città sfortunata. Affascinante,
ma piena del male più feroce: l’indifferenza. Lì
fui definito in molti modi: L’uomo nero, Batman
(come un eroe dei fumetti del duemila e addirittura antecedente). Nel
duemilatrecento, dopo quasi duecento anni in cui avevo prestato
servizio a New York, mi spostai in Italia. Mi sembrava che fosse
ritornata all’antico splendore per cui era famosa »
«
E poi? » Chiese Paco, divorato dalla curiosità.
«
E poi devi continuare a leggere il libro, altrimenti non scoprirai
mai perché è nelle tue mani e cosa sei destinato a fare
da quando hai deciso di leggerlo »
Fine Seconda Parte ~
L’Italia
fu per Sirius un luogo di pace. L’infelicità della sua
intensa vita non fu cancellata, ma anzi aumentò; si sentì
in colpa per gli errori commessi e il tempo che gli era stato da
sempre nemico. Ma trovò in quel luogo un fedele amico con cui
visse per duecento anni, Dario Ferri. Questo mago conosceva l’intera
storia di Sirius Black e con precisione ogni dettaglio della seconda
guerra dei maghi di cui mise al corrente Sirius. Insieme si
acculturarono, scoprendo sempre più pezzi del puzzle che era
l’Italia. Frequentarono belle donne, di tanto in tanto,
corteggiandole, facendole sentire speciali. Insegnarono privatamente
l’inglese e per ben tre anni di seguito lavorarono a Hogwarts.
L’un l’altro si sostenevano, risanavano le ferite
provocate dalle disgrazie moltiplicate dai decenni che li legavano al
mondo. Dario, difatti, aveva una vita completamente diversa da quella
di Sirius, ma nonostante questo, era dolorosa almeno quanto quella di
Black. Durante la prima guerra tra i maghi aveva perso i suoi
genitori babbani. Da quel momento si era rinchiuso in se stesso e
aveva smesso di parlare. Quando in orfanotrofio una civetta gli
consegnò una lettera da un istituto con un nome buffo, i suoi
giorni furono di nuovo pieni di gioia. Si diplomò a Hogwarts
con ottimi risultati e per qualche anno lavorò nell’ufficio
del Ministero della Magia più ambito, quello degli Auror. Ma
Voldemort tornò e uccise la sua fidanzata, Bella High. Come
Sirius, per qualche strana ragione rimase per molto tempo in un
container del coma. Svegliatosi, trascorse i suoi anni in Italia, la
sua patria, cercando nell’albero genealogico della sua famiglia
possibili maghi. Nel 2200 tornò in Inghilterra perché
si era diffusa la notizia che una certa Bella – un nuovo
fantasma – infestava il castello di Hogwarts, schierata con i
Grifondoro. La maggior parte dei suoi discorsi erano incentrati sul
suo amato Dario. Dario, speranzoso, vi si recò. Quando vide
Bella rimase pietrificato. Si convinse che avrebbe trascorso in quel
modo – lui in carne e ossa, lei ectoplasma – il resto dei
suoi anni, gli sarebbe bastato. Ma ciò per cui Bella era stata
trattenuta sulla terra non era altro che poter sfiorare per un’ultima
volta Dario. Svolta la sua “questione in sospeso”
scomparve definitivamente. Fino al 2300 si occupò del ruolo di
“Insegnanti di Magie e Arti oscure” al castello, ma poi
tornò nel luogo dove era nato. Poi incontrò Sirius.
Nel
2525 Dario morì, il tempo a sua disposizione ottenuto dal
container era terminato. Sirius, per l’ulteriore dolore,
riprese la sua forma di cane, quella che usava a Hogwarts per
trasformarsi assieme ai suoi amici Remus, James e Minus. Fece un
incantesimo a un diario di modo che questo raccontasse la sua storia
all’anima pura che avrebbe avuto origini dalla famiglia di
Dario Ferri. La sua voce fu intrappolata nel libro, sarebbe stato un
semplice animale come altri e avrebbe promesso fedeltà alla
famiglia Ferri fin quando questa non avesse trovato il modo per
ucciderlo – alla fine del suo racconto.
Sirius,
nell’ottobre 2525, fu presente alla manifestazione di Penelope.
Quella comparve tra le rovine di un castello Toscano, seguita dalle
note malinconiche di una chitarra, sotto una luna piena dolorante
quasi quanto il cuore di Sirius. Penelope lo guardava, lamentandosi e
svegliando il paese che abitava nei dintorni. Non era uno spirito
buono, Sirius pensava fosse una parte dell’anima di Penelope
corrotta. Si sentì obbligato a muovere la sua volontà
nella direzione giusta per l’umanità ancora una volta.
Distrusse il fantasma di Penelope, coprendosi di infinito male…
quello fu l’ultimo incantesimo da essere umano, il giorno dopo
stesso si tramutò in cane, sigillando la sua bocca e la sua
volontà.
«
Oh, Sirius » Paco strinse il cane contro il suo corpo. Era
stato il suo migliore amico sin dalla nascita e non avrebbe mai
sospettato tali travagli. « mi dispiace così tanto »
Erano spiegati i suoi uggiolii alla luna piena, il suo affetto nei
confronti dei Ferri.
«
Anche a me, soprattutto di costringerti a leggere tutto questo e a
uccidermi »
«
NO! Io non ho promesso di fare ciò che il libro mi avrebbe
chiesto, ho soltanto giurato che non avrei aperto bocca »
«
Ti prego, Pacifico. Non ho avuto altro che sofferenza su questa
terra, avrei dovuto morire quando anche Penelope se ne andò. E
l’avrei fatto, se avessi saputo come. Negli ultimi mesi
in cui Dario era vivo – e sapeva che sarebbe morto –
m’impegnai a cercare tutte le informazioni necessarie per
scoprire come avrei potuto porre fine ai miei giorni. Nelle pagine
finali di questo libro troverai tutto quello che ti serve. Voglio
che, una volta che sarò morto, tutto questo sparisca.
Brucialo, nascondilo, fa’ quello che ti pare. Se il governo ha
deciso di tenere all’oscuto l’umanità ha le sue
buone ragioni. Hogwarts esiste da quasi due millenni e non è
giusto che sia io a svelarne i segreti »
«
Ma Sirius! Non posso farlo, non posso! »
«
Devi, ti prego… » Paco promise a Sirius che ci avrebbe
riflettuto, perché si erano susseguiti fin troppi cambiamenti
nella sua vita, e mancavano tre mesi al suo compleanno.
«
Magari potresti restare fino al trenta marzo »
~ Fine Terza Parte
I
giorni che seguirono quel ventisette gennaio furono ben diversi dalla
vita che aveva vissuto Paco fino ad allora. Non c’era più
l’ombra della serenità sul suo volto, Sirius pensava che
assomigliasse particolarmente a lui e che aveva scelto l’opzione
migliore: rivelargli subito per quale ragione fosse importante la
famiglia Ferri, forse, l’avrebbe sconvolto ancor di più.
Sirius
pensava che fosse stato ancor più egoista quando aveva deciso
di trascrivere le sue memorie e affidarle ai Ferri. Aveva incantato
il suo diario di modo che fosse comprato esclusivamente da un
discendente di quella famiglia, non poteva essere altrimenti.
Gli
amici di Pacifico spesso gli domandarono cosa fosse accaduto, ma a
metà febbraio si stancarono dei tentativi inutili e
cominciarono a ignorarlo. A tavola mangiava il necessario, senza
abbondare; si rifugiava nella sua stanza, trascorrendo parecchie ore
sui libri. Poteva finalmente rivolgersi al suo cane ricevendo
risposte, ma aveva smesso di parlargli come un tempo, in imbarazzo –
e un po’ innervosito dalla voglia di lasciarlo di
Harry-Sirius[9]. Quando i compiti non erano abbastanza, si
stravaccava di fronte il televisore e seguiva qualche documentario,
mentre Sirius sbuffava al suo fianco e tentava di rinvigorirlo. Gli
unici contatti tra i due erano le carezze che Paco concedeva a
Sirius, mentre soffocava a stento le lacrime. Paco sapeva, sin da
quando glielo chiese, che avrebbe accontentato Sirius. Si odiava –
e odiava Sirius – per la sua poca forza di volontà e per
concedere all’amico più sincero che avesse di
abbandonarlo.
Il
tempo volava, tutti correvano nella direzione peggiore per Paco,
volevano che il suo diciassettesimo compleanno si avvicinasse, gli
rammentavano di continuo che si sarebbe approssimato alla maturità,
tempo tre anni e avrebbe affrontato l’Università,
avrebbe avuto l’opportunità di creare una famiglia
propria. Alcuni compagni di classe gli proponevano possibili regali
uno dopo l’altro per decidere quale, infine, avrebbero
acquistato – come sempre, probabilmente, un costoso manufatto
del duemila.
Perfino
i suoi insegnanti, accortisi delle continue crisi di malumore,
tentavano di coinvolgerlo nelle lezioni, di farlo sorridere.
La
notte del ventinove marzo Paco si avvicinò di nuovo al libro.
Sirius, non appena il ragazzo si alzò dal letto, spalancò
le palpebre e seguì i suoi movimenti con lo sguardo,
accovacciandosi accanto al padrone quando quello riportò il
diario sulle coperte mettendosi comodo. « È arrivato il
momento » Decretò Paco, tirando sù col naso. «
Ma ti ucciderò soltanto il trentun marzo, non prima »
Manuale per l’omicidio di Sirius Black
Vi
sono tre modi per uccidere un uomo che è stato a contatto con
i container del coma.
Il
primo, il più semplice, è possibile usarlo soltanto se
il soggetto è rimasto per un anno – o meno di dodici
mesi – all’interno dei contenitori.
Si
organizzi il tutto per una notte di luna piena.
Il
necessario: un coltello d’oro e un filo di paglia.
Alla
mezzanotte bisognerà aver posato il soggetto, steso, con la
testa al di fuori di un balcone e il corpo all’interno della
casa. Dovrà essere legato a una superficie di legno sul
pavimento con il filo di paglia attorno al corpo.
A
mezzanotte e un minuto bisognerà tagliare la testa
all’individuo.
Se
il legno sarà puro, e il coltello completamente d’oro,
il soggetto perirà.
Il
secondo: funziona soltanto su persone che sono state nei contenitori
dai dodici mesi e un giorno ai venti anni.
Il
tutto deve essere pronto per il mezzogiorno di un ventinove febbraio
(anno bisestile, dunque).
Si
acquisti un coltello d’oro e la pelle di un daino.
Alle
dodici in punto l’individuo dovrà essere legato a testa
in giù a una parete bianca in direzione nord.
Alle
dodici e un minuto bisognerà incidere (attorno al coltello
dovrà essere legata la pelle di daino, di modo che si recida
la pelle del soggetto con l’arma che prima avrà
tagliato la purezza dell’animale) il collo. Dopo un’incisione
di profondità cinque centimetri, attendere trenta minuti e
poi amputare di netto la testa.
Se
la pelle sarà di daino, e il coltello d’oro, il
soggetto perirà.
Il
terzo modo: funziona su persone che sono state nei contenitori dai
vent’anni e un giorno in sù.
Possono
essere uccisi soltanto dalle persone che li hanno tirati fuori dai
contenitori o dai discendenti (o avi) di questi ultimi.
Non
ci sono restrizioni di tempo.
Sarà
necessario che l’assassino abbia tra le mani un oggetto che
appartenga all’individuo che deve essere ucciso.
Si
mangi un capello / pelo del soggetto.
Si
recida di netto la testa con un qualsiasi oggetto affilato –
che sia d’oro.
Se
l’arnese sarà d’oro, il pelo / capello
appartenente alla vittima, e l’elemento davvero
dell’individuo, questo morirà.
«
Perché nell’ultimo caso venite chiamati “vittime”?
» Domandò Paco per distrarsi, impallidito e sconvolto.
«
Perché è il container a decidere quanto tempo si possa
rimanere al suo interno. Se una persona permane più di
vent’anni è per certo pura »
Paco
non poté fare a meno di sentirsi ancor di più in colpa
– e sporco.
~ Fine Quarta Parte
La
festa di compleanno di Paco si tenne dalle sei del pomeriggio a
mezzanotte. Gli invitati furono in molti, tra compagni di scuola,
amici di vecchia data, parenti, alcuni dei quali quasi mai visti.
I
genitori di Pacifico allestirono il salone di un prestigioso locale
di modo che fosse elegante e che, allo stesso tempo, i ragazzi vi si
potessero divertire. Fu chiamato un importante dee-jay. Paco pensò
fosse tutto fantastico, si rallegrò dopo parecchio tempo che
non rideva. Costrinse tutti ad abituarsi al suo cane, che scorrazzava
da un lato all’altro della sala, scodinzolando e lasciandosi
coccolare dalle belle dame e i gentili cavalieri.
Una
ragazza si era fatta avanti e aveva dichiarato i suoi sentimenti a
Paco che, invaso dall’orgoglio, l’aveva resa la sua
accompagnatrice per quel trenta marzo. Danzavano e volteggiavano
attorno alle altre coppie, mentre il tavolo adibito per i regali si
riempiva sempre più.
Tutti
pensavano che Paco fosse tornato il ragazzo divertente e dolce di
sempre, che non avrebbero mai più assisitito a quella
decadenza di quei circa novanta giorni.
Le
bevande erano squisite, il buffet formidabile, l’atmosfera
rilassante nonostante la musica a un discreto volume che, con la
professionalità del DJ, non era fastidiosa nemmeno per i più
anziani.
Si
complimentarono spesso con gli organizzatori del party – i
genitori di Paco – che guardavano il loro adorato figlio
sorridere e baciare, ringraziare con gratitudine, i suoi ospiti. Non
avrebbero potuto desiderare niente di più che la felicità
di Pacifico, il loro unico figlio.
Sirius
si rassicurava constatando che la maggior parte delle persone che
erano intorno al suo padroncino quella sera erano davvero in quel
luogo per il bene di Pacifico, e non per godere di cibo o bevande di
buona qualità. Era un orgoglio sentire lodarlo in così
tanti modi! Sperava che quegli stessi presenti alla festa l’avrebbero
aiutato quando lui sarebbe andato via, tornato alla sua bella
Penelope. O magari Lily, la giovane che stringeva Paco, si sarebbe
occupata di lui.
Quando
Paco aveva scoperto di essere un discendente di Sirius e del fratello
di Dario aveva lanciato qualche oggetto all’aria per venti
minuti, ma quando s’era calmato aveva dormito tanto a lungo da
saltare perfino la colazione del mattino seguente. Ripeteva che non
era giusto, che avrebbe dovuto rifiutarsi. Ma avrebbe comunque ucciso
Sirius, forse perché aveva compreso che era ciò che
l’amico voleva davvero.
Paco,
mentre fingeva di essere completamente allegro, pensava a come
dovesse essere stato perdere tutto ciò che è più
importante. Aveva notato, riflettendoci, che Sirius non aveva
menzionato le morti del suo figlioccio e dell’amico Remus, né
aveva discusso più del necessario di quelle di Lily e James
Potter. I cinquecento anni in cui aveva vissuto dovevano essere stati
tremendi, domandandosi perché la morte fosse così
evidente intorno alla vita di un immortale, tormentato dai sensi di
colpa che dovevano distruggerlo nei suoi sogni, in qualsiasi gesto
quotidiano. Il chiedersi cosa sarebbe accaduto se non avesse permesso
a Penelope di abbandonarlo, o se l’avesse costretta a rientrare
nel container per qualche anno. Paco era sicuro che ogni giorno
pensasse a come sarebbe stata la sua vita se Penelope fosse rimasta
con lui per tutti quegli anni, magari assieme a sua figlia, suo
nipote e il genero.
Il
momento di aprire i regali fu uno dei più divertenti. Pacifico
stringeva i pacchetti e la folla, tutta attorno a quella zona adibita
a tale scopo, urlava un “Ooooh” di incoraggiamento,
esultando quando finalmente erano visibili gli oggetti. C’erano
in gran quantità libri, ma anche apparecchi elettronici,
indumenti, CD musicali. Si sentiva amato come non mai. Spesso
rivolgeva lo sguardo a Sirius che aveva un’espressione simile a
un sorriso, nonostante un cane, di norma, non avrebbe dovuto esserne
capace.
Dai
regali si spostarono di nuovo alla lunga tavola dove i camerieri si
occuparono di tagliare e distribuire la grande torta alla panna con
ripieno al cioccolato. Al di sopra una foto significativa: la prima
di Paco – era a cavalcioni su Harry-Sirius.
Pacifico
si accomodò accanto a Sirius, guardava la luna sul terrazzo
della camera del padroncino, immerso nei suoi pensieri.
«
E così, finalmente, poni fine alle tue sofferenze »
Sirius ridacchiò del tono di voce del ragazzo, gli ricordava
da sempre Harry, il suo figlioccio. Ed era per quel motivo che gli
era davvero facile essere suo amico. Era un po’ come recuperare
il tempo perduto.
«
Già, finalmente »
«
Seicento anni sono un bel po’, scommetto. Ne avrai visti di
cambiamenti »
«
Paco, dici bene »
«
Non hai paura, Sirius? » Proprio come Harry – pensava
Sirius – aveva il dono di essere sincero e di sembrare un
bambino, anche con gli atteggiamenti più maturi e sensibili.
Finalmente
Sirius si voltò a guardarlo, scorgendo gli occhi lucidi.
«
No, Paco, non ne ho. So che dovunque andrò potrò
sperare di rivedere le persone che ho perso nel corso degli anni –
Dario, Penelope, mia figlia, Sirius, James, Lily, Harry »
«
Io sono sicuro che tu li troverai, sarete di nuovo insieme e io
aspetterò con ansia di raggiungervi »
«
Oh, no, no – ridacchiò Sirius – hai una vita
davanti. Quella dolce Lily con cui, magari, sposarti. Già me
li immagino i tuoi figli. Vieni a trovarci più tardi
possibile, sono sicuro che anche Dario vorrebbe così »
«
Mi mancherai » Singhiozzò Paco. « davvero tanto »
Si strinse per l’ultima volta al suo cane, al suo amico, al suo
patrigno.
Sirius,
finalmente, sentì scorrergli nelle vene la felicità di
un tempo, quella stessa che aveva sentito quando aveva rincontrato
Harry, Penelope, Dario, che avrebbe fatto parte dell’aldilà.
Sirius
Black scompariva dalla terra e dietro di sé lasciava la
traccia indelebile di un uomo che aveva cambiato il mondo, che aveva
sacrificato se stesso, la sua felicità, per il bene
dell’umanità.
«
Eccoti, amore mio » Lo salutò Penelope. Era bella
proprio come la ricordava.
~ FINE
[1]
Come ogni essere umano dovrebbe sapere, nel continente americano,
quando i perseguitati dalla chiesa anglicana si spostarono con la May
Flower in america, cominciarono le sfortune dei popoli originari di
quel luogo. Furono sterminati, in circa duecento anni, e furono
sostituiti dai popoli europei, che cercavano nell’America un
nuovo inizio di vita.
[2]
Le progerie è una malattia che colpisce i bambini fin dalla
nascita, è rarissima. Attualmente ci sono cinquantatre casi. I
colpiti da questa malattia non hanno lunghe aspettative di vita, di
solito arrivano ai 13/15 anni. Colpisce i geni in modo che questi
accellerino la crescita. A tredici anni si ha l’organismo di
una persona anziana.
[3]
Stefano Benni è uno scrittore dell’Emilia Romagna che ha
composto opere come “Margherita Dolcevita” tradotto
addirittura in Inghilterra. Ultimamente è stato proprio in
Inghilterra a produrre un’opera teatrale, il suo ultimo libro
si chiama “Pane e Tempesta” uscito a fine 2009.
[4]
Falcone e Borsellino sono due giudici che hanno combattuto perché
la magia, in Sicilia in particolare, fosse distrutta. Sono stati
uccisi nel 1992 in un attentato nell’auto in cui viaggiavano. I
documenti a loro disposizione riguardanti la mafia furono distrutti
proprio nello scoppio della vettura. A loro sono dedicate numerose
piazze e vie.
[5]
È stato testato che la vitamina C, come prima si diceva, non
immunizzi contro l’influenza ma che invece possa aiutare la
prevenzione dei tumori.
[6]
Felpato è il nomignolo di Sirius Black.
[7]
Il sistema deve essere per forza implosivo, altrimenti si
rischierebbe di distruggere la terra. Ovviamente, c’è
anche il rischio che si formi un buco nero, ma questo non accade.
[8]
Per quelli che hanno studiato l’Odissera sarà abbastanza
semplice capire perché l’amata di Sirius si chiami
Penelope. Nell’Odissea Penelope rimane fedele a Odisseo per ben
vent’anni durante i quali non sa se lui sia vivo, morto o
disperso. Un po’ come la Penelope dell’Odissea è
quella della mia storia, perché attende per ben trentun anni
che il suo amato si svegli – con la differenza che quella della
mia storia sa per certo che prima o poi Sirius uscirà dal
container – senza sposarsi o fidanzarsi con qualcun altro.
[9]
Adesso potete immaginare per quale ragione il cane si chiami Harry.
Angolo
dell’Autrice: Questa storia ha partecipato al concorso
“Return Contest”, indetto da amimy,
classificandosi al primo posto (di tre). So che può essere
noioso leggere così tante pagine di una one-shot, ma spero che
qualcuno l'abbia fatto, e che sia arrivato fin qui giù. Sono
molto soddisfatta di quest’opera, perché parla di una
speranza per il futuro, di un personaggio che io amo davvero molto, e
di un gruppo di studenti che due anni fa ha cambiato, se pur di poco,
le nostre generazioni. Cos'altro dire? Spero che abbia infuso un po'
di speranza, e che vi sia piaciuta.
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