Titolo: I Hope
You’re Happy
Autrice: Livia B. (CharlotteDoyle)
Data di creazione: 8 ottobre 2005
Beta-lettura: Diana, Laura, Maria. Grazie!
Personaggi: Andromeda, Narcissa.
Rating: PG
Genere: Drammatico
Spoiler: dall’Ordine della Fenice. Da HBP
no; anche se scritta dopo il sesto libro non contiene nessuno spoiler
particolare, è ambientata nel passato.
Sintesi:
Spero tu sia contenta, ora che stai scegliendo questo; spero ti dia
felicità immensa; spero davvero tu l’ottenga, e che non finisca per pentirtene (…) Andromeda e Narcissa Black a
confronto.
Note dell'autrice: la fanfiction che leggete è alla
sua seconda versione. La prima è stata scritta a luglio pochi giorni dopo
l’uscita (e la mia lettura) del sesto libro, e non è mai stata pubblicata.
Qualche mese dopo, ho ripreso lo stesso soggetto e l’ho riscritta daccapo
completamente. Molte cose sono cambiate, ma sono cambiamenti che non potete
apprezzare, e quindi c’è ben poco da elencarli. Spero che il
mio lavoro vi sia gradito.
Ulteriori ringraziamenti: a Stephen Schwartz per Defying Gravity (da Wicked the Musical). Al mio iPod che ha
mandato tale canzone a ripetizione ininterrotta durante la prima stesura della
prima versione.
**
I Hope You’re Happy
“E il tuo futuro?”
“Non
prevede limiti… il mio futuro… non prevede… limiti.”
E
come, esagitata, si era alzata ed era uscita dalla sala da pranzo, sbattendo la
porta, ora se ne stava quieta a fare il suo baule. Dentro la sua testa un desiderio di pace per la sua testa, che non era già pace, perché pace non era neanche
fuori. Altrove, forse. Altrove.
“Spero sarai contenta adesso!”
Il rumore della porta che si
spalancava, la luce del corridoio che invadeva con violenza la sua cameretta
mezza spoglia, e poi quel grido. Un’ombra soltanto, e poi,
voltandosi, ecco la figuretta della sorella minore, il suo visetto delicato
storto in un’espressione piena di irritazione.
“Cissy…” cominciò Andromeda, come a voler
rimproverare la ragazzina per il volume della voce.
Se la
sua educazione gliel’avesse permesso, Narcissa avrebbe sputato. A terra, in
aria, addosso alla sorella. Ma non era concesso, e comunque
non era importante farlo davvero, l’importante era il pensiero, l’intenzione. E Andromeda aveva capito benissimo, solo, non voleva darlo a
vedere. Immobile davanti al suo letto, fissava la sorella
senza segni di cedimento, mentre in aria le sue calze si piegavano da sole.
Eccoci giunti a quel che si
può chiamare ‘il momento delle spiegazioni’. Un’occasione stupenda per chiarirsi con gli altri e per schiarirsi
le idee.
“Cissy… questa è una cosa tra me e mamma e papà,
tu non c’entri niente. Non devi intrometterti,” disse Andromeda abbassando lo sguardo. Con un colpo di
bacchetta, ripose le calze piegate nel baule. Con calma.
Narcissa fremeva ancora di rabbia.
“Certo!” gridò in
risposta. “Certo! Io non c’entro niente. Io non sono rimasta seduta per tutta
la cena davanti a te a sorbirmi le vostre grida. Certo!”
“Se vuoi ripagarmi di
tutto quello che le tue orecchie hanno dovuto incassare, gridando tu a tua
volta, fai pure, ma piano. Non voglio
che mamma salga a vedere cosa succede.”
“Ah, questo è il colmo dell’incoerenza!” esclamò
la ragazzina, e poi si zittì.
Andromeda si voltò e cominciò a far levitare le
camicette, che erano già disposte sul letto in ordine, fino a dentro il baule.
Per ora, non si era dimostrato difficile quanto le era sembrato all’inizio.
All’inizio, aveva pensato: come farò a
far le valige, sul serio? Non era mica uno scherzo, non era come quando
partiva per Hogwarts, era una cosa vera, era per sempre. Per questo non aveva
cominciato prima.
“E comunque mamma non
verrebbe su per niente, e soprattutto non metterebbe mai un piede qua dentro.”
Narcissa aveva parlato di nuovo. Ancora sul
ciglio della porta, rigida, si era appena portata indietro i capelli biondi che
le scendevano sul viso, con aria di finta indifferenza.
A quelle parole, Andromeda si era voltata ancora
verso la sorella.
“Che cosa stai cercando
di dire?” chiese.
“Mamma non metterebbe mai piede nella tana di una… traditrice di sangue.”
“Narcissa!”
“Ho detto esattamente quello che sei… che sarai. Comunque.”
Andromeda, senza volerlo, si portò una mano al
ventre. Accortasene, la ritirò subito, con una tale foga da perdere per un
attimo l’equilibrio e sbattere contro il coperchio del baule, che si chiuse con
un tonfo.
“Non sai tante cose, Narcissa,”
disse poi, ripresasi.
“Naturalmente. Anche mamma e papà non sapevano
tante cose, ma tu non potevi parlargliene da parte, con calma, no, dovevi
tirarle fuori tutte a ora di cena!”
“Insomma,” disse la ragazza,
riaprendo il baule stizzita, “sembra che l’unica cosa che ti interessi sia che io – solo io, poi? – ti abbia rovinato
la cena. Me ne sto andando via, giusto per dire, questo ti importa?”
“I traditori di sangue…”
Andromeda sospirò.
“Basta con queste scene, Narcissa. Hai imparato
forse a memoria queste frottole sull’intolleranza?”
“Non ho imparato niente a memoria! E non sono frottole, lo sai!”
“Dici che lo so? No, non lo so, tu lo sai?” chiese la sorella con un mezzo sorriso. Narcissa provò
a dire qualcosa, ma Andromeda chiese ancora: “Tu ci credi?”
“Io…”
“Perché sarei una
traditrice di sangue? Sentiamo.”
“Vado
a vivere con il mio ragazzo. A Londra. Giusto per i primi tempi, così, poi ci
sposiamo.”
L’annuncio
che la loro figlia mediana avesse qualcosa di
importante da comunicare quella sera già aveva messo in agitazione i signori
Black. Non si inventavano le cose così al momento,
all’ora di cena. Una notizia così malamente formulata,
poi, non poteva far altro che scatenare la loro irritazione, prima ancora che
l’indignazione per la notizia di per sè. Ma con calma,
con calma.
La
madre aveva tossito nel suo fazzoletto e poi l’aveva posato in tavola.
“Non
penso di aver capito bene,” aveva detto il padre.
Andromeda
si era rizzata sul suo posto. Non aveva certo mai creduto che l’avrebbero presa bene, era pronta a questo.
“Ho
finito la scuola, voglio cominciare a lavorare, ho un ragazzo che vuole
lavorare anche lui e io voglio sposarlo. Vogliamo
sposarci. Andiamo a vivere insieme, intanto.”
“Che cos’è questa follia?” aveva esclamato la madre. Il
signor Black la fece tacere con un cenno della mano.
“Non
ci hai mai detto di avere un fidanzato, Andromeda,”
aveva detto poi, lentamente. “Non mi pare di aver mai dato la mia approvazione…
a nessuno.”
“Ted
ed io stiamo insieme da due anni… mi sembra
abbastanza.”
Aveva
fatto finta di non sentirli. Continuava per la sua strada.
“A
maggior ragione… neanche Bellatrix ci ha mai detto niente. Narcissa?”
La
ragazzina si agitò nervosa sulla sua sedia. Guardò per un momento la sorella, e
poi scosse la testa con forza. No, non sapevo niente neanch’io, voleva gridare, ma non era vero. Se
Bellatrix non l’aveva mai saputo, perché Andromeda era stata bene attenta a
tenerglielo nascosto, lo stesso non si poteva dire di Narcissa. La più piccola
non sembrava poter costituire una minaccia per il suo grande amore, e quindi a
lei Ted Tonks era stato presentato regolarmente.
“Non
vuoi farcelo conoscere?” aveva continuato allora il padre.
“Non
riuscireste ad apprezzarlo per quello che è,” fu la
risposta di Andromeda. Mal formulata, ancora una
volta. I genitori avevano capito tutto.
“Tu… tu vai a vivere… con quel… mezzosangue…” e la sorella minore
tremava nel dirlo.
“Non osare chiamarlo così, Narcissa!” Andromeda
tutto d’un tratto si era infuocata.
“Ho detto quello che è!” esclamò lei sulla
difesa.
“Ma ti era simpatico quando l’hai conosciuto,” disse Andromeda.
“Io… io non sapevo che lui fosse…”
“Fa qualche differenza?”
“Sì!”
“Quale?”
Silenzio.
Poi una sola parola.
“Bella…”
E
ancora un’altra dietro la prima:
“Bella dice…”
Andromeda scoppiò a ridere. Narcissa era
perplessa.
“Bellatrix ti ha messo in testa un sacco di
sciocchezze, più di quante non ne abbiano mai dette i
nostri genitori. Per favore, Narcissa. Sei grande! Puoi pensare da sola per una
volta, no?”
“Io penso da sola!” disse la sorella, i pugni
stretti. “E poi tu mi stai mettendo contro Bella!”
“Anche questo te l’ha
suggerito lei, immagino. Sto cercando di metterti contro di lei! Ma non ti accorgi neanche
di quanto è impazzita, dietro quello stendardo di… di Santi Inquisitori? Lei ha
preso, si è sposata, se ne è andata…” disse lei, un
po’ vaga – come se la cosa non l’avesse resa non poco felice – intanto,
agitando un poco la bacchetta continuava a riempire il suo baule. Sembrava ci
fosse ancora poco da mettere a posto, aveva quasi finito – finalmente!
La sorella si era avvicinata a lei, cercando
attenzione. “Sta combattendo per i nostri diritti!”, aveva detto.
“Ho sentito delle cose, Narcissa… delle cose
terribili. Tu non sei stata attenta, alle ultime nuove che giungono di questi
tempi? Hai visto come combattono per i nostri – nostri di chi? – diritti?
Uccidono le persone.”
“Quelle persone non sono degne di-“
Sciaff.
Andromeda l’aveva colpita sulla mano.
“No! Questo non te lo permetto!”
aveva esclamato la sorella maggiore, indignata. “Questa è follia! Pensare che
degli uomini non abbiano diritto a vivere! È questo tutto quello che riesce a
partorire la tua mente? Ti credevo più intelligente di così.”
Narcissa si massaggiò la mano per un poco, in
silenzio. Non era stata molto forte, Andromeda con quel suo schiaffo, ma era
più doloroso di quanto Narcissa non potesse credere.
La sorella se ne accorse, e, più gentilmente questa
volta, le prese la mano tra le sue e la strinse con dolcezza. La fece sedere
sul suo letto e poi si sedette anche lei. Qualche momento così, e poi…
“Da che parte stai?” chiese Narcissa, a bassa
voce. Andromeda lasciò andare la sua mano immediatamente.
“Che cosa intendi?”
“Tu vuoi vederci distrutti dai Babbani, non è così?”
c’era meno combattività ora, era come a dire che Narcissa si era stancata di
gridare, ma ancora, non è questo che ferma la lingua
ben armata. “Perché non vai a combattere insieme a
Silente, allora? A combattere contro Bella?”
Perché
la odi così tanto. Perché vi odiate così tanto. Vi odiate
tanto, è vero? avrebbe voluto
aggiungere.
“Io non voglio combattere proprio per niente,
Narcissa!” aveva esclamato Andromeda. “Men che meno contro una
delle mie sorelle! Ho ben altro a cui pensare!” – e ancora l’urgenza di
portarsi la mano al ventre la colpì; non si mosse,
però. Quando l’avrebbe detto a Ted?
“E non voglio mettere in pericolo nessun altro,” continuò, sulla stessa linea, come a voler parlare di
cose mai viste o mai sentite, cose che non la riguardavano affatto. “Per questo
dico che non dovresti farti trascinare dalle parole di Bella, è pericoloso… lo
capisci che è pericoloso? E tu hai solo tredici anni,
hai bisogno di tempo per crescere-“
“Avevi appena detto che sono grande, adesso!”
Far finta di non sentire,
come al solito.
“… tempo per capire tante cose, per innamorarti…
non vuoi innamorarti, Narcissa?”
L’altra arrossì.
“Stai parlando come la zia Elladora,” disse per scostarsi dall’imbarazzo.
Andromeda rise.
“Per carità, non questo…”
Ma
Narcissa era tornata seria. E non c’era più tempo per
scherzare. Il baule era ormai pronto. C’era ancora qualche cosa sugli scaffali
della sua stanza, ma non era niente di importante. Cose che poteva lasciarsi indietro, che doveva lasciarsi indietro.
Narcissa, invece…
“Cissy,” disse
Andromeda. “Ma pensa, soltanto… Cosa ha senso in
questa guerra? E cosa vale veramente? Vorresti vedere
uno dei tuoi cari rimanere ucciso per questi così chiamati ideali? Oppure, vorresti vedere tuo figlio rischiare la vita,
morire… per la purezza del sangue?”
“Non succederà mai!” disse subito Narcissa,
reprimendo il pensiero. Non può accaderci
niente…
“Noi siamo dalla parte del Giusto, non può
accaderci niente…” disse, confusamente. “Sei tu che ti stai mettendo nei guai…”
era spaventata, Andromeda lo avvertiva. Faceva bene a
lasciarla da sola? Una volta uscita da casa, i suoi genitori non l’avrebbero più fatta tornare, neanche per vedere la sorella, questo
lo sapeva bene.
“Devo andare,” disse,
guardando appena l’orologio.
Narcissa impallidì. Si alzò dal letto e fissò la
sorella maggiore dall’alto, ma non disse niente.
Andromeda lentamente si alzò anche lei. Tese le
braccia verso la sorella, ma questa non si mosse di un centimetro.
Andromeda sospirò, e lasciò perdere. Fece
levitare il baule fino a fuori la stanza. Si sentiva gli occhi della sorella
addosso, e adesso la stavano mettendo a disagio. Cosa
stava facendo?
“Puoi prendere tu tutto quello che è rimasto,” disse poi indicando le sue cose che ancora si trovavano
nella stanza, sperando di vincere un po’ di entusiasmo da parte della sorella.
Ancora, non ricevette risposta.
Non doveva preoccuparsi. Non doveva. Altre cose… nel suo futuro… senza limiti.
Avrebbe scritto poi a Narcissa delle lettere,
tante lettere, anno per anno. E anche se non avrebbe mai ricevuto risposta,
poteva giurare su qualsiasi cosa che la sorella quelle lettere le avrebbe lette, magari di nascosto, magari storcendo il naso,
magari sputandoci sopra (sulle lettere è
lecito sputare con gli occhi). Perché Narcissa le cose le
faceva così.
E pur
pensando questo, si sorprese quando si sentì chiamare per nome, mentre usciva
dalla stanza.
Si voltò. E Narcissa era
sempre lì, e la stava guardando, ancora sui suoi piedi, ancora composta,
fermissima, i soliti pugni stretti, e gli occhi lucidi che tentavano di frenare
l’urgenza delle lacrime.
E la
voce fievole.
“Spero sarai felice, alla fine,”
disse.
Andromeda sorrise, e rispose: “Anch’io spero
sarai felice, Narcissa.”
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