Il gioco della bottiglia.
- Che strazio quando piove d’estate! – sbottò Sora afflosciandosi
sul pavimento. – E pensare che eravamo venuti qui per divertirci!-
incrociò le braccia al petto, sbuffando. Erano le 16.30 nel salotto di
casa di Kairi (e anche in tutto il resto del paese a dire il vero) e un
adolescente molto annoiato cercava di richiamare l’attenzione dei suoi
compagni, tutti immersi nelle proprie attività.
Riku, comodamente seduto su una poltrona distolse per un attimo
l’attenzione dal suo libro e poggiò lo sguardo su Sora: un metro e
cinquanta di ragazzo (di cui trenta centimetri buoni dovevano essere di
capelli castani fuori da ogni controllo) magro e dai grandi occhi
azzurri. Aveva quindici anni ma probabilmente, se ne avesse avuti due
sarebbe stato identico.
- Potresti ripassare. – propose, leggermente ironico. – Dopotutto la
scuola ricomincia solo tra ventitré giorni. – L’altro gli lanciò uno
sguardo truce: - Per favore Rì. Non ho ancora dimenticato del tutto la
voce stridula della professoressa che urla “Sora!!! Smettila di dormire
sul banco.” –
Naminè, continuando a disegnare, ridacchiò da sopra il divano che lei e
Kairi condividevano.
Si guardò attorno, sorridendo tranquilla: era bella quella situazione.
Sora che sbuffava sul pavimento, Riku completamente immerso nella
lettura e Kairi che affianco a lei continuava a rimirarsi in uno
specchietto rosso, probabilmente cercando segni che deturpassero la sua
“immane bellezza” erano molto rappresentativi.
E poi, poco distanti da loro, seduti per terra, sotto la finestra che
mostrava il cielo coperto di nuvoloni grigi vi erano altre due figure:
Axel, il fratello maggiore di Kairi con i classici capelli rossi dei
Reddies che si mostrava in tutti i suoi vent’anni, a petto nudo e
davvero abbronzato, bevendo qualcosa di blu (o almeno quello era il
colore di cui sembrava la bottiglia di plastica) e Roxas inginocchiato
tra le sue gambe, di un anno più grande di Sora, identico al fratello
ma di carnagione più chiara, con i capelli corti biondo cenere, e
almeno il triplo della maturità.
- Così quella cosa dal sapore orrendo non è altro che succo di more. –
stava dicendo il biondo mentre Axel beveva il penultimo sorso. – E
prima che tu lo dica: sì, l’ho memorizzato.- scoppiarono entrambi a
ridere, facendo sfiorare i loro nasi. Naminè pensò che avrebbe
potuto disegnarli tanto che erano carini. “Migliori amici” si
definivano da sempre, ma almeno i tre quarti delle persone che li
conoscevano potevano giurare, osservando i loro gesti e il
comportamento che avevano l’uno verso l’altro che erano davvero di più
che migliori amici.
Quel momento di calma assoluto, scandito solo dal ticchettio della
pioggia fitta contro i vetri fu interrotto da un urlo.
Tutti si voltarono verso Kairi che guardava lo specchietto con
un’espressione di puro terrore.
- Cosa c’è che non va? – chiese Axel a metà tra lo stizzito e il
preoccupato.
La ragazza emise un suono strozzato – Un capello bianco! – disse
isterica – Ho un capello bianco!-
In risposta ricevette tre occhiatacce, quattro sospiri esasperati e una
bottiglia blu in testa.
- Ahi!- si lamentò massaggiandosi il capo.
- Così impari!- sbuffò Axel incrociando le braccia al petto. Guardò
Roxas che ridacchiava: - Non vorresti comprarla? Tanto un figlio in
più, uno in meno. Tua madre non se ne accorgerà! – Roxas rise più
forte: - Non ci contare…ma ti cedo volentieri Sora, se tanto ci tieni! –
Il citato sbuffò e si mise a sedere con uno scatto: - Però non è giusto
che noi stiamo qui a grattarci le pa…-.
- SORA! – richiamò il fratello allargando gli occhi azzurri – Non
mostrarti in tutta la tua finezza, prego. -
- …a guardare le partite mentre voi fate Contrabbando di fratelli
minori. Voglio giocare a qualcosa! – agitò le mani, lamentoso come un
bambino.
- Beh, abbiamo una bottiglia. – osservò Riku prendendo il segnalibro
dal tavolo.
Gli occhi di Axel si illuminarono – Ubriachiamoci fino a crollare
svenuti sul pavimento dopo aver fatto sesso! - Sora e Roxas risero,
mentre Kairi e Naminè lo guardarono disgustate.
- No, intendevo… - continuò l’argenteo interrompendo il discorso di
Roxas sul “Ti ricordi quando alla festa di Demyx…?” – potremmo fare il
Gioco della bottiglia. –
- A me sta bene! – concordò Sora. Roxas e Axel si scambiarono
un’occhiata d’intesa – Anche a noi. – Naminè sorrise.
- Ma non è giusto! – protestò Kairi – Scegliete sempre giochi in cui
non sono brava! Perdo sempre a questo gioco! – Gli altri la guardarono
straniti. Axel alzò le mani in un gesto di palese esasperazione.
- Kai…- cominciò Naminè con calma – Il gioco della bottiglia è quello
dove si gira la bottiglia e la persona predestinata deve scegliere tra:
pugno, schiaffo, lettera e bacio…-
- Ho capito. – la interruppe. Sospirano.
Sora alzò la mano trionfante - Bene allora è deciso: che la bottiglia
di succo di lampone…-.
- Veramente era di more. – corresse Axel e quello borbottò “Ora capisco
perché ti trovi bene con Roxas: rompiscatole identici”.
- Che la bottiglia faccia il suo dovere! –
- Riku tocca di nuovo a te. – sbuffò Kairi prendendo in mano la
bottiglia che aveva appena smesso di girare. Sora assunse
un’espressione accigliata: - Ma è già la terza volta che esce! Secondo
me è truccata! – puntò l’indice con tono accusatorio. Naminè sorrise: -
E’ tecnicamente impossibile, So. –
- Scelgo pugno. – interruppe l’albino facendosi schioccare le falangi.
- Ma che violento! – sospirò Axel in tono tragico mettendosi una mano
sul petto. Kairi gli lanciò un’occhiataccia rimettendo a terra
l’oggetto: - Mi fa ancora male la guancia per lo schiaffo che mi hai
dato dieci turni fa. –
- C’è di peggio. – protestò Roxas stringendosi le ginocchia al petto. –
Tipo le lettere di Sora. Non c’è bisogno che mi scavi nella pelle
quando fai la Kappa. –
- Era una O. – replicò il fratello dondolandosi. Il biondo si morse il
labbro per l’irritazione.
Strisciando sul pavimento lucido la bottiglia rallentò piano scegliendo
Naminè.
Riku la guardò inorridito: -Non posso picchiarti. Sembra che stai per
cadere in pezzi anche quando nessuno ti tocca. – Lei sorrise
pacificamente.
Sora picchiettò sulla spalla di Riku e quello si voltò. Il castano gli
sussurrò qualcosa all’orecchio che aveva a che fare con “lite” e
“spedire in infermeria” e Riku impallidì fissando la bionda:
- Ah già. Me n’ero dimenticato. –
Gattonò verso Naminè e dopo aver preso un lungo respiro gli diede il
fatidico pugno…che somigliava di più a un buffetto sulla guancia.
Axel lo guardò stranito: - E quello cos’era? – Kairi rise: - Diciamo
che a volte i riflessi di Naminè reagiscono fin troppo bene senza che
lei lo voglia. – Axel rabbrividì, sussurrò a Roxas che non avrebbe mai
voluto sperimentarli e quello rise.
- Possiamo ricominciare? – chiese Naminè guardando i due. Quelli
annuirono leggermente spaventati.
- Ma se esce di nuovo Riku gli ammaccò la bottiglia in testa! –
minacciò Sora.
E la bottiglia parve ascoltarlo perché dopo un paio di giri rallentò su
Riku, ma poi continuò fino ad Axel.
- Finalmente! – sbottò il ragazzo aggiustandosi la t-shirt rossa che
aveva appena indossato. Assunse un’espressione corrucciata: -
Allora…visto che questo gioco sta diventando la perfetta fusione tra
una soap opera e un incontro di wrestling tocca a me movimentare la
scena: scelgo bacio. –
Un sorriso attraversò le facce di ognuno. Sora fischiò:- Qui la
faccenda si fa interessante. –
- Ma dai!- esclamò Roxas ridendo – Un bacio! Quello sì che è da
soap-opera. – Axel gli sorrise di rimando: - Almeno una soap-opera un
po’ più por…cioè, un po’ più interessante. –
Ma in quel momento tutti divennero ansiosi di sapere chi avrebbe dovuto baciare Axel.
Trattennero il respiro quando la bottiglia toccò terra.
Fece un giro; il blu si rifletteva sul pavimento…poi ne fece, e un
altro ancora.
Al quinto cominciò a rallentare spostandosi di poco. Sei paia di occhi
curiosi erano puntati su di lei, ma quella continuava a rallentare nel
suo giro orario, incurante.
Quando arrivò ad Axel era quasi completamente ferma e quando si arrestò
del tutto, i giocatori si concessero un sospiro di sollievo.
- E’ uscito di nuovo Axel. – si affrettò a dire Roxas – Ma visto che
non può baciarsi da solo, salta il turno. – stava per riprendere in
mano la bottiglia, quando Kairi gli afferrò il polso.
Roxas la guardò nei suoi grandi occhi azzurri e dovette arrendersi.
Anche se aveva provato a negare l’evidenza era chiarissimo che la bottiglia si era
fermata puntandolo in pieno.
Cazzo. Si liberò dalla presa di Kairi.
- Roxas, sei stato scelto. – affermò Sora – Axel deve baciarti. –
- Sulla guancia. – disse il rosso con convinzione – A stampo. –
Naminè ridacchiò: - Ma certo che no. Nella
bocca. – ordinò evidenziando bene la parola “Nella”.
- Con la lingua. – aggiunse Kairi per rimarcare il concetto.
Un’ondata di panico pervase Roxas. – Stronze. – sibilò a denti stretti.
Lo erano tutte e tre: Kairi, Naminè e la bottiglia…e pure Sora magari.
Guardò Axel implorante e trovò nel suo sguardo la stessa paura.
Lui sapeva – ed era l’unico, oltretutto – che Roxas non aveva mai
baciato nessuno.
Il suo migliore amico glielo aveva confessato in uno dei loro “momenti
speciali”.
Quelle sere in cui tornavano tardi, si sdraiavano sul letto a torso
nudo – anche un po’ brilli magari – e parlavano, stretti uno all’altro
come se avessero appena fatto sesso, fino a quando non si
addormentavano. Erano quelli i momenti speciali.
“Il vostro è un rapporto da amanti, solo senza sesso e senza baci”
aveva detto Zexion quando glielo avevano spiegato. “E anche senza
amore” si era affrettato ad aggiungere Axel e quello aveva riso e non
aveva risposto. Ma tanto Zexion era un tipo strano e tutte le
vecchiette impiccione del paese si interrogavano sul “cosa ci trovasse
Demyx in lui” e sul “cosa ci trovasse lui in Demyx”.
Ritornò alla situazione in cui era: in quel momento Zexion e Demyx non
c’entravano una pippa, in quel momento contavano solo Roxas e Axel (e
il bacio, poi).
Comunque Roxas glielo aveva spiegato con grande vergogna che lui non
era che avesse paura di qualcosa era che (da inguaribile romantico,
qual’era) voleva dare il suo primo bacio ad una persona speciale e non
l’aveva ancora trovata.
E Axel non era per niente intenzionato a portarglielo via, perché con
lui se ne sarebbe andato anche Roxas, lo sapeva. E se c’era una cosa
che Axel temeva più di tutte era che Roxas si allontanasse per sempre
da lui - dopo la fine dei ghiaccioli al sale marino, ma in quel momento
i ghiaccioli al sale marino non erano nella sua lista delle priorità -.
- Non bacerò Roxas. – affermò con decisione, acquietando un po’ gli
occhi azzurri del ragazzo al suo fianco.
- Ma perché? – chiese Sora con una punta di malizia nella voce.
- Perché no. – E con quelle due parole aveva intenzione di chiudere il
discorso.
- Devi. Fa parte del gioco. – gli ricordò Naminè un po’ irritata.
- Allora non gioco più. – si alzò di scatto e si spolverò il pantalone.
- Ma…- provò ad obiettare Sora e Kairi lo fermò – Lascia stare So.
Magari ha solo paura che Roxas scopra quanto bacia da schifo. –
Che puttana che era sua sorella. Conoscendo il suo orgoglio virile
aveva messo la questione sul personale, ma voleva davvero bene a Roxas
per cui poteva anche lasciarlo da parte per un po’.
- Non è questo!- esclamò comunque – E’ che…- ci voleva una scusa -…ho
appena fumato e l’intossicherei. Magari più tardi. – Ecco qua.
Perfetto. E “più tardi” si sarebbe già dileguato dicendo che era in
ritardo e che Demyx lo stava aspettando per provare.
D’altro canto gli altri avevano deciso di far finta di non sapere che
Axel non fumava più, perché il periodo in cui Axel fumava, ovviamente
fumava pure Roxas e avevano entrambi smesso per non rovinarsi la salute.
- Magari potrei baciare io Roxas. – propose Riku cercando di mantenere
una voce seria. Il citato tremò:
- NO! – esclamarono all’unisono lui e Axel e poi Roxas arrossì.
- C-cioè…- balbettò - …se proprio deve baciarmi qualcuno tanto vale che
seguiamo il gioco e che lo faccia Axel. – si rigirò nervosamente una
ciocca bionda tra le mani. Axel fu l’unico a capire quanto gli
costavano quelle parole.
Si inginocchiò di fronte a lui, gli mise le mani sulle spalle e lo
guardò dritto negli occhi. Conosceva quel corpo come se fosse il suo,
l’aveva preso in braccio, stretto, protetto, centinaia di volte.
Quando lo trascinava in mare dicendogli che non poteva passare la
giornata a leggere, quando lo abbracciava nei momenti speciali, quando
lo osservava dormire prima di svegliarlo buttandogli addosso una
bottiglia da due litri di coca-cola.
Lo vide deglutire e le pozze azzurre si chiusero lentamente.
- Mi dispiace. – sussurrò all’orecchio e si fiondò sulle sue labbra.
Morbido. Fu la prima cosa che
venne in mente a Roxas. La seconda fu caldo. La terza fu bello.
E poi la sua mente si disperse perché Axel aveva cominciato a
mordicchiargliele e lui aveva trattenuto un gemito. Avrebbe voluto
piangere. Quando schiuse di poco la bocca e la lingua di Axel entrò
prepotentemente si sentì completamente perso.
Ma qualcosa si mosse dentro di lui. Qualcosa che lo spinse a muovere a
lingua cercando di seguire l’altro, che fece muovere le sue braccia
fino a cingere il collo di Axel e ad attirarlo più vicino per sentire
di più il suo calore.
Anche le mani di Axel si mossero e cominciarono a vagare sulla sua
schiena come avevano fatto tante volte, ma in un modo completamente
diverso. Con desiderio?
Intanto la sua lingua stava esplorando la bocca di Axel con decisione.
- Ora potete fermarvi. – disse Sora guardandoli, stranito. Vedere
baciarsi Axel e Roxas aveva su di lui lo stesso effetto che aveva il
suo cane quando gli leccava tutta la faccia.
Loro si fermarono solo qualche minuto (o secondo, quello non lo aveva
capito) dopo.
Roxas nascose la testa tra le ginocchia strette al petto, ancora rosso
in viso e con il cuore a mille.
- Possiamo continuare. – sentì dire Axel.
Si leccò le labbra e una vampata gli mandò a fuoco le guance.
Aveva dato il suo primo bacio. La notizia già di per sé era
sconvolgente. Se ci aggiungeva poi che lo aveva dato al suo migliore
amico, l’unica idea che gli veniva in mente era di voltarsi e gettarsi
dalla finestra, nella pioggia.
Aveva baciato Axel. Il ragazzo che conosceva da troppo tempo per
ricordarsi quanto. Nove, forse dieci anni, o forse di più. Non che
faceva tutta questa gran differenza, poi.
Ma…aveva baciato Axel! Il tizio che lo aveva salvato da un branco di
bulli quando faceva la prima elementare. Quello che gli aveva insegnato
ad andare in bicicletta, a nuotare, e a fare almeno la metà delle cose
che sapeva fare.
L’unico capace di fargli dimenticare che aveva il terrore dei temporali
e che gli aveva fatto passare la paura dei serpenti, lottando con una
biscia che si era insediata in casa…aveva fatto tanto solo per lui.
Quante volte avevano dormito insieme? Quante volte aveva segnato il
contorno dei suoi pettorali chiedendo come diavolo facesse ad avere i
muscoli se non era mai entrato neanche nelle vicinanze di una palestra?
Tante, troppe forse.
Alzò di poco la testa cercando di incontrare il suo sguardo, ma quello
lo distolse non appena lo vide.
Si erano baciati. Avevano mandato dieci anni di amicizia a puttane per
uno stupido bacio, per uno stupido gioco, per una stupida bottiglia.
Appunto Roxas. Diceva una voce
nella sua testa. Era solo un bacio.
Una cosa così di quelle che si fanno tutti i giorni. Non cambierà
niente.
Ma non riusciva a credergli, sapeva che le cose sarebbero cambiate. Non
per il bacio in sé, ma bensì perché lui, Roxas che avrebbe voluto dare
il primo bacio alla persona giusta che non aveva trovato, pensava che
il bacio con Axel, il suo migliore amico, il suo compagno di tutto, era
stato terribilmente, semplicemente, dannatamente…
- Roxas. – la voce squillante di Kairi gli impedì (fortunatamente, o
sfortunatamente) di completare il pensiero. Si guardò attorno. Il mondo
non era crollato. Bene.
Pensò. Gran passo avanti.
Si voltò verso Axel, ma quello lo evitò. Si disse che aveva parlato
troppo presto, il mondo era crollato addosso a lui, ma prima non se
n’era accorto.
Probabilmente Axel lo odiava. Quel pensiero riportò alla luce l’idea
della finestra. Probabilmente lo trovava disgustoso. Gli occhi
cominciarono a bruciargli, ma ricacciò le lacrime. Forse lo aveva
baciato con troppa foga, forse lo aveva baciato da schifo e forse…
Axel non gli avrebbe mai più rivolto
la parola.
Il suo cuore si spezzò.
- Roxas…- Naminè lo chiamò, c’era una (buffa?) nota di preoccupazione
nella sua voce -…tocca a te. –
Guardò la bottiglia che lo puntava minacciosa.
- No. – disse semplicemente. Otto occhi lo fissarono confusi. – No. –
ripeté alzandosi in piedi. Recuperò la felpa azzurra da qualche parte
sul divano e la indossò. – Sbrigati Sora. – disse a suo fratello – Ce
ne andiamo. – non poteva sopportare oltre la presenza di Axel.
- Ma Roxy! – protestò il più piccolo – Non è giusto! Proprio adesso che
cominciavamo a divertirci! –.
- Sora. – sibilò fissandolo minaccioso. – Ho detto “Ce ne andiamo”. –
E Sora ubbidì perché suo fratello aveva un’espressione (ferita, forse?)
che non aveva mai visto. Fece ciao ciao con la mano e uscì seguito da
Roxas che invece non salutò nessuno. Neppure Axel.
Quando uscirono dal condominio aveva smesso di piovere. Ora il cielo
era grigio chiaro e i primi raggi di sole già cominciavano a filtrare
dalla coltre di nuvole, provocando un grande arcobaleno colorato.
L’aria era afosa e pesante, il venticello estivo che era arrivato con
la pioggia, con quella se n’era andato.
Sora rimase affascinato da quello spettacolo tanto che quasi perse di
vista Roxas che continuava a camminare con quel suo odioso cappuccio
azzurro sulla testa.
- C’è l’arcobaleno, Rò. – disse entusiasta. Quello non lo degnò di uno
sguardo e continuò a camminare guardando per terra.
Sora sbuffò seguendolo, ma rimanendo indietro di due passi: odiava suo
fratello quando faceva così.
Quando litigavano e Roxas, invece di picchiarlo e rispondergli male
come avrebbe fatto ogni buon fratello maggiore sano di mente, si
limitava ad andarsene scrollando le spalle e ripetendosi “Sono figlio
unico. Sono figlio unico.” E si chiudeva nel suo mondo personale
popolato da libri di Harry Potter e Axel giganti.
Ma che Roxas fosse strano non c’era dubbio. Non per niente faceva parte
dei Tredici, un gruppo pieno di gente matta, che non si capiva cosa
facesse.
C’era chi diceva fosse una setta satanica, chi pensava a una banda di
drogati, ma la teoria più accreditata mormorava che in realtà non erano
niente. Solo un gruppo di ragazzi emarginati che si divertiva ad andare
in giro di notte con dei cappotti neri spaventando i bambini.
Bah, lui non aveva mai indagato a fondo, gli bastava che Roxas gli
prestasse il Nintendo DS quando doveva giocare con Riku e che lo
aiutasse a fare i compiti…cose che quasi sempre si rifiutava di fare,
ma comunque per lui Roxas poteva fare quello che voleva della sua vita.
Anche cazzeggiare con Axel per giornate intere come faceva di solito e
come sarebbe stato strano se non avesse fatto.
Perché, da quando qualche anno prima (Otto?Nove? Forse dieci?) Axel era
piombato nella sua vita (come Lara Croft piomberebbe in un monastero
buddista, avrebbe detto) Roxas aveva perso ogni contatto con gli umani
di specie umana e natura normale.
A meno che per normale non si intenda roba tipo nascondersi sul tetto,
parlare con i gatti randagi, cadere in tranche quando si gioca a play
station, usare tecniche di auto-convincimento per risolvere, anzi
evitare, i problemi e studiare ogni sacrosanto giorno per tre ore e
cinquantaquattro minuti contati e scanditi da puntualissime sveglie,
allora in quel caso Roxas poteva essere considerato una persona
normalissima. Ma probabilmente nessuno aveva un concetto così distorto
di “normale”.
Pensava Roxas. Sdraiato sul suo letto con addosso già il pigiama,
sebbene fossero le otto, faceva un gioco sulla giornata appena passata.
Spesso lo faceva con Axel e si divertivano sempre da matti. Si chiamava
“E se avesse fatto così, come sarebbe andata?” e consisteva
nell’immaginare come sarebbe cambiata la situazione se una frase non
fosse stata detta, o un gesto non fosse stato fatto.
Avrebbe dovuto dirglielo forse. Magari se lo avesse detto davanti a
tutti avrebbe avuto un effetto diverso.
Certo Roxas, l’effetto sarebbe stato
diversissimo. Non solo ti avrebbe odiato, avresti fatto anche una
figura di merda.
No, probabilmente era andata bene così. Perdere il tuo migliore amico è
meglio che perdere il mondo, no?
Ma se sei arrivato a tal punto che il
tuo migliore amico è il tuo mondo, poi cosa succede?
Cazzi amari, Roxas.
Trattenne un urlo. Che situazione complicata. E pensare che sarebbe
bastato sollevare il telefono per risolvere il problema. E allora,
perché non lo aveva ancora fatto? Qual’era la forza superiore che non
gli permetteva di prendere quel dannato telefono e chiamare Axel?
Beh, in primis il fatto che forse Axel lo odiava, forse. Cosa che non
era proprio da nulla. Non sapeva neanche se avrebbe mai più parlato con
lui.
E secondo, forse Axel non era il suo migliore amico. Non perché lo
odiava, ma il fatto che forse lo odiava, sebbene non fosse la
caratteristica principale, era, sempre forse…
Datti una mossa Roxas. Smettila di
girare attorno al problema, ti stai facendo venire mal di testa a furia
di giocare.
Ma quanto potevano essere fastidiosi i suoi pensieri? Tanto, ma ti assicuro che se prendi un
martello e ti spacchi la testa come un cocomero non smetti di pensare…a
meno che non muori, allora in quel caso non dovresti più preoccuparti
di niente…credo.
Come se fosse così stupido da farlo…Secondo
me sì. E smettila di cambiare argomento, te lo ricordi Axel? Quel tizio
matto che si è fatto i capelli con la dinamite di Willy il coyote?!
Certo, come avrebbe potuto dimenticarlo. Axel era diventato il suo
tutto. Il suo tutto troppo, alla fine.
Quel bacio lo aveva dimostrato. Il suo primo bacio che, gli faceva male
solo ammetterlo, era stato così semplicemente meraviglioso e gli aveva
fatto pensare che forse era proprio Axel la persona giusta, ma non
l’aveva mai capito perché gli uomini non vedono mai quello che hanno
sotto il proprio naso.
Si tastò le labbra in cerca di qualche segno, sebbene fosse passato un
sacco di tempo. Arrossì e nascose la testa nel cuscino.
Gli sembrava ancora di poterlo sentire il sapore di Axel. Era qualcosa
di dolce ma allo stesso tempo pungente, un misto tra il tabacco e i
gelati al sale marino. Semplicemente unico.
Sembri una ragazzina innamorata.
E lo era davvero. Non una ragazzina ma innamorato.
Avevano passato così tanto tempo insieme, si conoscevano così bene che
non si era mai accorto di quanto stravedesse per Axel. A dire il vero
non si era mai soffermato più tanto sull’argomento. Aveva sempre dato
per buona la teoria dei Migliori Amici, non pensando neanche una volta
di cercare dell’altro. Eppure l’emozione fortissima che provava quando
erano insieme, il suo calore quando lo abbracciava, il vuoto nel suo
cuore quando non c’era…faceva tutto parte dell’amore. Sospirò
abbracciando il cuscino.
Poi si raggelò. No, tutto quello non era possibile. Non poteva amare
Axel, lui era etero e Axel era il suo migliore amico…non poteva
apprendere una notizia così scioccante, a sedici anni!
- Fermi tutti! – e tese le mani in avanti, pur sapendo di essere solo
nella sua stanza, nel suo letto. – Io non amo Axel! – le tecniche di
auto convincimento di solito funzionavano sempre. – Io non amo Axel! –
ripeté. E invece sì. La risposta arrivò immediata dalla sua testa. Si
tappò le orecchie con le mani – Io non amo Axel. Io non amo Axel. Io
non amo Axel. – si ripeté, sussurrando.
E invece sì. Solo che hai paura di
ammetterlo perché questo sconvolgerebbe la tua vita e farebbe crollare
tutte le tue convinzioni e i tuoi ideali.
- Non è vero! – urlò quasi. – Io non amo Axel! –
- Ah, su questo non c’è dubbio. – gli ci volle qualche secondo per
capire che la voce proveniva da fuori la sua testa. Prima arrossì e poi
vide Sora, in piedi sulla porta.
- Non volevo dire quello. – provò a giustificarsi – Cioè, perché magari
voi, quella volta vista la situazione…- Sora lo zittì con la mano. –
Lascia perdere. – si sedette sul letto e mise su gli occhi teneri che
usava quando voleva qualcosa. Avrebbe dovuto imparare che con lui non
funzionavano: mica era Riku!
- Mi presti il DS? – lo fissò, con sguardo da cane bastonato.
- Prenditelo. – Roxas non aveva per niente voglia di mettersi a fare
storie.
- Ma non è giusto! Tu non ci stai neanche giocando! – si bloccò –
Aspetta…hai detto che posso prenderlo? – Roxas annuì, annoiato. – E’
nel secondo cassetto, a destra. –
Sora lo guardò preoccupato e gli mise una mano sulla fronte: -
Fratellone, sicuro di star bene? Non è che hai la febbre? – Roxas la
scostò, burbero. – Vattene. – disse – E prenditi quel coso, prima che
cambi idea. –
Sora fece un sospiro di sollievo: - No, stai benissimo. – prese il Ds e
uscì dalla stanza.
Axel sbatté la testa contro il muro – Idiota. – si disse avvertendo già
il calore sulla fronte. La sbatté di nuovo – Coglione. – continuò
sempre rivolto a se stesso. – Idiota. – continuò a dare a capate contro
il muro della sua stanza. Probabilmente Kairi, nella stanza a fianco
non se la passava bene. – Coglione. – gli sembrò di vedere una crepa,
ma di certo era la sua immaginazione. Si voltò di scatto verso il
letto, dove Demyx, stringendo un gatto di peluche tra le braccia lo
guardava, per nulla preoccupato.
- Dimmi che sono un coglione. – ordinò massaggiandosi la fronte e
trovandola gonfia.
- Sei un coglione, Axel. – disse semplicemente, senza alcuna
inflessione nella voce.
- Grazie. – prese una pomata dal cassetto per evitare di andare in giro
con un bozzo rosso in testa.
- Bene, adesso che abbiamo appurato che sei un totale idiota. –
continuò Demyx
- Ora non ti allargare. Puoi insultarmi solo quando te lo impongo. – la
aprì e storse il naso: quella cosa puzzava da morire.
- Già, scusa. Dicevo: ora che ti sei rotto la testa, puoi dirmi perché
l’hai fatto? – accarezzò il gatto, sorridendo. “Un sorriso da vero
ebete” lo avrebbe definito.
- Perché sono un coglione. – disse Axel lanciandogli la pomata e
chiudendo il cassetto. Demyx l’afferrò al volo e la poggiò sul letto: -
Grazie, questo già l’avevo capito. E perché sei un coglione? – forse
Axel gliel’aveva anche detto quando, agitatissimo, l’aveva chiamato
ordinando di raggiungerlo a casa perché doveva parlare. Dimenticandosi
poi, che loro abitavano nello stesso condominio, lui al secondo piano e
Axel al quarto, per cui gli sarebbe bastato urlare in mezzo alle scale
e Demyx sarebbe arrivato.
- Perché ho baciato Roxas. – rispose tutto d’un fiato, in un sussurro.
Demyx lo guardò confuso: anche lui conosceva Roxas, perché faceva parte
dei Tredici e perché ogni volta che vedeva Axel era con lui, e anche se
non c’era, Axel lo avrebbe citato in continuazione facendo sentire come
se ci fosse.
- Non capisco. – fece – E allora? Che cosa succede adesso che l’hai
baciato? Finisce il mondo? –
Axel lo guardò, come se fosse impazzito: - Tu non capisci! – esclamò.
- E’ quello che ho appena detto. – confermò Demyx. Axel roteò gli occhi
al cielo: - Ho baciato Roxas. Ma lui non voleva che lo baciassi. Ci
siamo baciati per gioco. - sbatté di nuovo la testa contro il muro –
Che stupido. Non avrei dovuto farlo. -
- Continuo a non capire. – Demyx strinse più forte il peluche – Dov’è
il problema? –
- Ma certo, non c’è nessun problema nel fatto che ho baciato il mio
migliore amico e adesso lui mi odia perché l’ho baciato. – sebbene non
ci fosse alcun bisogno di specificare Axel lo fece comunque,
lasciandosi anche sfuggire una nota isterica.
- Te l’ha detto lui? – chiese, aggiustando i baffi al gatto – Che ti
odia, intendo. –
Axel lo guardò, completamente esasperato: - Ma sei demente, o solo
idiota? – respirò profondamente: - Ho baciato Roxas che non voleva
essere baciato…-.
- Questo lo hai già detto tre volte. – interruppe. L’altro gli scoccò
un’occhiataccia: - Comunque, il punto è che se ho fatto una cosa che
lui non voleva che facessi, di certo non mi ringrazierà, anzi sarà
arrabbiato con me fino a non volermi mai più vedere. -
- Ma sei sicuro che ti odi? – insistette Demyx.
Axel alzò le braccia al cielo: - Cristo Demyx! – esclamò irritato – Ma
mi ascolti quando parlo, o oltre a idiota sei anche sordo? Ho appena
detto…-
- Ho capito, ho capito. – lasciò finalmente il peluche sul letto – E
vacci piano con insulti. Voglio dire che tu e Roxas siete inseparabili.
Un bacio mi sembra un po’ poco per rompere un’amicizia così profonda. –
Axel lo guardò e si morse il labbro: mica poteva dirgli che era il
primo bacio di Roxas?
- A meno che…- Demyx lo guardò sorridendo maliziosamente – Tu non sia
innamorato di lui.-
E per un attimo Axel si mimetizzò perfettamente con i suoi capelli.
A lui piaceva Roxas. E anche tanto, e da tanto tempo. Gli piaceva da
quando l’aveva visto, ma conoscendolo meglio il suo sospetto era
diventato una conferma. Trovava Roxas praticamente perfetto: i suoi
gesti, la sua voce, la sua intelligenza, i suoi occhi, i suoi capelli e
ogni parte di lui pareva non aver alcun difetto. E quando l’aveva
baciato aveva trovato perfetto anche il suo sapore: innocente, dolce e
un po’ amaro, allo stesso tempo. Non glielo aveva mai detto,
perché…proprio per evitare quello che stava succedendo in quel momento.
Preferiva soffrire e ammirarlo da lontano che non vederlo mai più.
- Ma cosa vai a pensare! – esclamò – E’ solo che…lui non è il tipo che
va in giro a baciare la gente. – sospirò. Demyx alzò le spalle:
- E allora? Non puoi essere certo finché non glielo chiedi. – gli porse
la pomata, volendo riprodurre quelle scene dei film dove la migliore
amica aiuta a fare far pace l’amica con il ragazzo: - Chiamalo Axel.
Andrà tutto bene. – Axel guardò la pomata accigliato: - Non penso di
poter fare granché con questa roba. –
- Vabbè, facevo per fare. – appoggiò la pomata su un mobile lì vicino.
– Comunque, segui il mio consiglio. – Demyx estrasse il cellulare dalla
tasca e lo guardò: - Ora devo andare. Zexion mi sta aspettando. – Axel
lo accompagnò fino all’uscio. – E se mi dice che mi odia? – mormorò.
- Boh! – scese in fretta le scale, e quando Axel cominciò ad urlare era
già in strada.
Il sedersi a leggere era sempre un problema per Roxas. Non perché in
casa sua non ci fossero sedie, anzi ce n’erano almeno tre per stanza,
ma perché era lui che era complicato.
Voleva un posto illuminato, ma non troppo, lontano dai rumori del mondo
e tuttavia non completamente isolato.
Spesso optava per il tetto: c’era un piccolo spiazzale con mura alte,
sopra i due spioventi di tegole nuove. Lì stava benissimo, osservava il
cielo e nessuno lo disturbava perché la mamma soffriva di vertigini,
Sora aveva paura della vecchia scaletta di legno e suo padre si
limitava a dire “Portati il cellulare, così quando è pronto non devo
salire a chiamarti”.
Ma da quando suo padre aveva chiuso a chiave la botola di legno che
saliva in mansarda, e da cui si accedeva al tetto Roxas girava come
un’anima in pena per la cosa, con un libro in mano fino a quando non si
ritrovava seduto sul pianerottolo perfettamente a metà tra le due rampe
di scale che separavano la zona giorno da quella notte.
Anche quel posto non era male: Roxas si sentiva come il tramonto,
esattamente tra un piano e l’altro, in un limbo strano.
Sì, era vero, lì arrivavano sia i rumori del piano di sopra, che quelli
del piano di sotto, che quelli di fuori a causa del finestrone in alto,
e gli si gelava il sedere perché il marmo non era un materiale
conduttore di calore, ma tutto sommato era la condizione migliore.
E anche quel giorno, dopo ch’ebbe finito di studiare, afferrò un libro
a casaccio e si sedette nelle scale, pur sapendo che sua madre non
aveva lavato per terra per terra quel giorno e che Sora probabilmente
aveva fatto cadere qualcosa perché c’era una macchia rossastra sui
primi gradini.
Roxas si concesse un’occhiata fuori prima di cominciare a leggere: il
cielo azzurro fino a poche ore prima era coperto di nuvoloni e l’odore
di pioggia filtrava dalla finestra socchiusa, trascinato da un
venticello fresco.
Gli spuntò un piccolo sorriso: bene, stava arrivando l’autunno e
mancavano solo cinque giorni all’inizio della scuola, tanto lui
l’estate proprio non la sopportava.
Incrociò le gambe e aprì il libro che, probabilmente, aveva già letto:
“In considerazione degli effetti di
grande portata che poche parole borbottate da una vecchia irlandese di
pessima reputazione dovevano avere nella vita di Hero Athena Hollis,
figlia unica di…”.
Smise di leggere dopo le prime tre righe e fissò il titolo, sbattendo
gli occhi. Come ci era finito “Vento dell’est” nella sua stanza? Bah,
era sicuramente uno di quei libri sdolcinati che leggeva sua madre.
Lo gettò da parte e prese il cellulare dalla tasca; un messaggio lo
avvisò c’erano sei chiamate perse nella segreteria telefonica. Digitò
velocemente il numero.
“ Questa è la segreteria telefonica di Roxas. Lasciate un messaggio
dopo il bip. Vi risponderò se e quando avrò il tempo…a meno che io non
voglia parlare con voi, in quel caso dovrete aspettare l’apocalisse”.
- Ehm…ciao Rox, sono Axel. Penso sia
più che chiaro che io e te dobbiamo parlare. Per cui che ne dici di…-
Cancella.
- Ciao Roxas, sono sempre io, Axel.
So che ce l’hai con me, per cui…-
Cancella.
- Ehi Roxy…-
Cancella.
Senza troppi complimenti cancellò anche le altre tre ore e buttò il
telefono sul libro, sospirando.
Si abbandonò lungo il muro freddo stringendosi le ginocchia al petto:
erano giorni che andavano avanti così.
Axel chiamava e lui non rispondeva. Axel gli mandava messaggi e lui li
cancellava senza neanche averli letti. Tanto dicevano tutti la stessa
cosa: “Dobbiamo parlare”, oppure “Devo dirti una cosa”, o meno
frequentemente “So che tu mi odi…ma non possiamo lasciarci così.”
E a Roxas in quelle rare volte che li sentiva, un nodo gli stringeva la
gola e si passava una mano sugli occhi per non piangere.
Lui non odiava Axel, non avrebbe mai potuto farlo. Il problema era
l’esatto opposto. Per una volta le tecniche di auto-convincimento non
avevano funzionato.
Roxas ci aveva riflettuto a lungo e aveva capito che negare l’evidenza
non serviva e che lui era pazzamente innamorato di Axel, da tre anni a
quella parte. "Era tutta colpa di quella stupida bottiglia", pensava Roxas da giorni. Colpa di una stupida bottiglia blu, bevuta da quel...quell'Axel, e poi usata per uno stupido gioco deciso da quello stupido di Riku, perchè quell'idiota di Sora si annoiava! La sua vita sconvolta da una bottiglia! Detta così, faceva quasi ridere.
Sbuffò: tanto non aveva più importanza. Non avrebbe visto mai più Axel.
Era per quello che non rispondeva ai “Dobbiamo parlare”. Di cosa
avrebbero dovuto parlare? Del fatto che ormai erano troppo vicini e
dovevano allontanarsi? Magari Axel avrebbe esordito con un “Senti,
ormai è da tempo che volevo dirtelo: non puoi continuare a starmi
appiccicato come parassita”…anche se sarebbe stato poco da Axel quella
frase ma le persone cambiano.
E così preferiva l’addio silenzioso: i legami che si scioglievano
lentamente, senza fare alcun rumore se non nel cuore delle persone che
li avevano creati. Era dura ma alla fine avrebbe detto “Ormai è acqua
passata”.
Suonarono alla porta: Sora si precipitò giù per le scale, gli calpestò
un piede e per poco non cadde.
- Uh, scusa Rò, non ti avevo visto. – e aprì il portone.
Roxas si fece ancora più piccolo contro il muro quando Riku, Kairi e
Naminè entrarono. Che stupido: avrebbe dovuto ricordare che era venerdì
e che quindi quei tre dormivano a casa sua, mentre lui, solitamente,
dormiva a casa di Axel.
- So, non sai che è successo a Selphie! –sentì esordire Kairi.
– Già, una cosa mostruosa. – confermò Naminè.
- Andiamo a parlare in camera. – fece Sora e Roxas sperò che non lo
vedessero, ma Riku si fermò davanti a lui e disse: - Mi dispiace non ho
monete. –
- Una banconota può andare benissimo. – Roxas gli resse il gioco.
- Non ho neanche quella. –
- Che razza di tirchio. – sbuffò sperando che la farsa finisse lì.
- Ma Roxy! – Naminè lo guardo preoccupata (come se fosse una novità,
Naminè si preoccupava anche per le cacche di cane per strada) – Ma che
ci fai qui? –
- Magari ci vivo? – propose Roxas guardandola ironico.
Naminè strinse le mani: - Ma è venerdì! –
- Sì, me ne sono accorto dal fatto che oggi mamma ha cucinato pesce. E
c’è qualche regola che mi vieta di vivere a casa mia il venerdì? –
La bionda sbuffò, arrotolandosi una ciocca di capelli su un dito: -
Intendo, tu il venerdì stai a casa di Axel. E’ insolito trovarti
accampato in mezzo alle scale. – Kairi le afferrò il polso:
- Non preoccuparti Nami. Non è venuto neanche martedì a pranzo. –
Guardò Roxas negli occhi - La tata è rimasta molto confusa da ciò, ma
quando ha chiesto ad Axel lui ha risposto che eri malato. – Malato?
Certo, Axel aveva proprio una grande fantasia.
- Era vero. – mentì sperando che anche Sora gli credesse. Dopo tutto
non era uscito dalla sua stanza per tutta la settimana.- E ho ancora un
po’ di febbre, per questo non vado. – era sempre stato bravo a dire le
bugie, la prima l’aveva detta a tre anni dopo aver rotto un vaso del
matrimonio dei suoi genitori. Aveva fatto ricadere la colpa su Sora che
neanche parlava e non c’erano mai stati altri dubbi.
- Penso che Axel sia malato. – sghignazzò Kairi – Ha il “maldamore”. –
lei e Naminè risero. Roxas non capì cosa ci fosse divertente nel fatto
che Axel avesse fatto indigestione di more. Gliel’aveva detto tante
volte che quei succhi gli facevano male.
- In ogni caso. – Sora gli prese la mano, tirandolo in piedi – Non puoi
stare qui. –
- Ora vado in camera…- provò a dire ma suo fratello lo interruppe – No,
quando dico qui intendo qui in casa. – gli mise il cellulare in mano e
lo accompagnò giù per le scale – Kairi e Naminè devono dormire nella
tua stanza e quindi non puoi starci tra i piedi tipo zombie. –
Aprì la porta e lo spinse fuori –Ciao ciao. – e gli sbatté la porta in
faccia.
Roxas guardò il cielo colmo di nuvoloni grigi: da lì a cinque minuti
avrebbe piovuto.
Maledicendo suo fratello e quegli idioti dei suoi amici si avviò, verso
neanche sapeva dove.
Era venerdì. Erano le 18:39 secondo la sveglia digitale, mentre erano
le 18,46 secondo l’orologio al quarzo appeso al muro. Stava per
piovere. Quei geni del meteo di Kingdom Hearts Channel, avevano detto
che ci sarebbe stato un sole che spaccava le pietre e avevano
consigliato a tutti di andare al mare.
Gran bei cazzi per le persone che li avevano ascoltati, non sapendo che
Xaldin e Xigbar il meteo lo leggevano nelle merendine Kinder (o almeno
così sosteneva Roxas) e che nel 70% dei casi sbagliavano, mentre il 30%
lo indovinavano perché era evidente che il 7 gennaio avrebbe nevicato e
che il 13 agosto avrebbe fatto caldo.
Axel vedendo apparire i titoli di coda di 300 sul televisore e si alzò
in piedi, stiracchiandosi. Quando aveva visto quel film con Roxas,
Demyx e Zexion quest’ultimo durante la scena a luci rosse si era
gettato davanti al televisore per non deviare Roxas ma l’unico
risultato era stato scatenare una rissa in salotto tra i tre ragazzi,
mentre Roxas, che all’epoca aveva solo dieci anni, aveva guardato la
scena mezzo scandalizzato.
“Roxas” sospirò Axel. Chissà se lo avrebbe mai rivisto. L’aveva
chiamato un sacco di volte ma non aveva risposto, facendo sentire Axel
ogni giorno peggio.
Axel vagò un po’ per la casa, pensando a quanto quel venerdì si
sentisse solo senza di lui, e a quando ci rimaneva male ogni volta,
pensandogli.
Roxas era stato per lui il mondo per un sacco di tempo. L’aveva amato
in silenzio sperando che rimanesse per sempre così, perché Roxas, di
certo, era etero.
Si era fidanzato due o tre volte, una volta anche con Naminè, e Axel
aveva sempre fatto di tutto per nascondere la sua gelosia e aiutarlo.
Eppure le relazioni di Roxas duravano sempre due settimane o giù di lì.
Si ricordò quando era arrivato da lui in lacrime, perché la sua prima
ragazza lo aveva lasciato, o meglio lui aveva lasciato lei dopo che
aveva provato a baciarlo.
“ Non era quella giusta” aveva sospirato tra le lacrime “Però mi
piaceva”. E Axel si era sentito un pochino meglio perché era stata la
prima persona da cui Roxas era andato e con cui voleva rimanere. “Non
mi lasciare” gli aveva detto “Adesso ho bisogno di te”. Chissà se
avrebbe mai più avuto bisogno di lui, se avrebbe mai più pensato
“Adesso vado da Axel”.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a battere contro i vetri. Axel
andò in cucina e prese a scaldare il latte per fare la cioccolata
calda. D’inverno a Roxas la faceva sempre, tanto da essere nominato
“Miglior cioccolatiere caldo che abbia mai conosciuto”. Poi si ricordò
che la donna delle pulizie gli aveva raccomandato di ritirare i panni
messi a stendere, nel caso avesse piovuto, così mise un cappuccio in
testa e uscì sul terrazzo; a pensarci bene lui aveva avuto un sacco di
ragazzi e ragazze. Con l’ultima era stato insieme tre anni e poi si
erano lasciati perché “Non mi pensi mai. Non passiamo un giorno insieme
da un sacco di tempo, stai sempre con quegli idioti dei tuoi amici” e
tanto era vero che Axel non se n’era quasi accorto quando se n’era
andata.
Prese il cesto dei panni e cominciò a staccarli dalle mollette,
ogni tanto chiedendosi a cosa servisse a Kairi un reggiseno di taglia
terza, se lei al massimo era una seconda.
Ci fu un rumore e Axel la vide: la bottiglia maledetta, in bilico sul
davanzale con le gocce di pioggia che rovinavano l’etichetta blu.
Per un attimo penso di lasciarlo cadere, quell’oggetto insopportabile,
la causa di tutto il suo dolore, ma poi si rese conto che era l’ultimo
ricordo che aveva di Roxas e si sporse per prenderla.
Non fece in tempo. Una folata di vento spinse la bottiglia verso il
basso e doveva esserci qualcuno lì sotto, perché sentì un “Ahi”
inespressivo alcuni secondi dopo il tonfo.
Si affacciò per chiedere scusa, ma poi, non lo fece.
Roxas aveva vagato per non sapeva per quanto tempo per la città. Aveva
imboccato vie a casaccio, salito gradini e percorso viali mentre la
pioggia, ormai fitta, lo inzuppava fin nel midollo. Si era accorto di
non avere una felpa, ma solo una t-shirt nera con le maniche corte a
scacchi e aveva sperato che il telefono, in una delle tasche del jeans
largo non si rompesse.
Poi si era seduto nel parco fino a quando un agente municipale non lo
aveva cacciato dicendo che il parco doveva chiudere e consigliandogli
di tornare a casa perché era completamente bagnato.
Gli aveva anche dato un ombrello rosso e Roxas ricordava di aver
pensato che era come i capelli di Axel, ma poi, si era dimenticato di
aprirlo e aveva continuato a vagare come un’anima in pena, sotto la
pioggia e con un ombrello chiuso in mano.
E in quel momento era fermo da qualche parte.
Roxas alzò lo sguardo e quando si trovò davanti il portone del
condominio di Axel trattenne un urlo.
Che stronzi i suoi piedi! Lo avevano portato lì senza neanche
chiedergli il permesso: che cosa imperdonabile! E ora si rifiutavano
anche in muoversi verso qualunque direzione lasciandolo lì, impalato e
con un’espressione assente sul volto.
Poi qualcosa gli cadde in testa. Gli ci volle qualche secondo per
realizzarlo e disse “Ahi” come se stesse recitando un copione. Vide la
bottiglia azzurra, l’oggetto che aveva odiato di più in tutta la sua
vita, lo raccolse, e guardò in alto.
Penso di star per avere un infarto. Axel era sul balcone, alcune
ciocche rosse che uscivano ribelli dal cappuccio della felpa verde e
gli occhi smeraldini che lo fissavano mettendolo a disagio.
Solo il vederlo lì, fece rendere conto a Roxas di quanto gli era
mancato, quanto quella settimana fosse stata vuota senza lui. Provò a
sorridere, ma il suo volto era paralizzato, come il resto del suo corpo.
Se le cose fossero state un po’ diverse, sarebbero sembrata la scena di
Giulietta e Romeo, fu l’unica cosa che riuscì a pensare.
E poi il panico di non saper cosa fare lo inondò come pioggia.
Sbatté le palpebre due o tre volte per accertarsi che quello che stava
vedendo non era un miraggio. Per avere la certezza che Roxas era
davvero sotto il suo balcone, bagnato fradicio con un ombrello rosso in
una mano e la bottiglia azzurra nell’altra. La pioggia continuava a
scendere e quando Roxas alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri come il
cielo d’estate lo scrutarono prima confusi e poi spaventati si
risvegliò dalla specie di trance in cui era caduto e decise di fare
come se niente fosse.
Di far finta di non sapere che Roxas lo odiava e di non aver chiamato
cinquanta volte senza ottenere alcuna risposta.
Come se quello che era successo una settimana prima non fosse mai
successo.
- Ehi. – urlò – Hai intenzione di salire o di rimanere sotto l’acqua? –
tentò di avere un tono scherzoso, ma Roxas continuava a fissarlo come
se non lo conoscesse.
E poi Axel decise che, anche se fosse stata l’errore più grande della
sua vita, glielo avrebbe detto.
Quando Axel lo invitò ad entrare, un brivido percorse la schiena di
Roxas, ma non si mosse comunque.
Poi Axel rientrò in casa e lui si chiese se avesse davvero preso il suo
silenzio come un no, o se stesse facendo altro.
Successivamente Axel uscì dal portone, la pioggia cominciò a bagnare
anche lui. Si fissarono per alcuni secondi, come se si stessero
studiando.
- Possiamo rimanere qui a bagnarci…- disse Axel - …oppure possiamo
salire e stare sul divano guardando un film e bevendo cioccolata. –
E Roxas avrebbe voluto dire di sì, che se non lo odiava, lo avrebbe
seguito fino all’inferno ma, incapace di intendere e di volere non si
mosse di un millimetro.
Axel sbuffò: se Roxas lo odiava poteva benissimo dirglielo in faccia
invece di sceneggiare quella farsa.
- Mi si stanno rovinando i capelli. – disse a nessuno in particolare e
poi afferrò il polso di Roxas e lo trascinò su per le scale.
Era tutto il giorno che qualcun altro decideva per lui. A pranzo suo
padre aveva decretato che voleva un altro piatto di pasta senza che
Roxas spiccicasse parola, poi Sora aveva deciso che Roxas aveva voglia
di fare una passeggiata, e poi Axel lo aveva trascinato a casa. Non che
questo gli dispiacesse, anzi.
Quando entrarono nell’appartamento si guardò attorno come se non fosse
stato lì centinaia di volte. Axel chiuse la porta alle sue spalle e lo
guardò severo, mettendosi i pugni sui fianchi, come una mamma che
rimprovera suo figlio pieno di terra:
- Ma guardati! – gli disse lasciando trafelare una nota di
preoccupazione – Sei fradicio! Ti prenderai un malanno. – E Roxas
ancora una volta non seppe che fare. Forse Axel si era dimenticato
tutto, forse voleva far finta di niente per poi dargli l’addio quando
fosse stato in condizioni di rispondere.
Nel dubbio non fece niente. Rimase impalato al centro del salotto con
l’acqua che cadeva sul pavimento lucido. Solo allora si rese conto di
avere un po’ freddo e di star tremando.
Axel lo guardò, un po’confuso: - Tu non sei normale Roxas. –
Roxas sussultò: ora cosa aveva fatto di sbagliato?
Axel gli tolse l’ombrello da mano e lo lasciò penzolare tenendolo con
l’indice: - Questo…- lo fece dondolare davanti ai suoi occhi – Si
chiama “Ombrello”. O-M-B-R-E-L-L-O…Got it memorized?L’hanno inventato
un po’ di tempo fa e, pensa che tecnologia, se lo apri quando piove non
ti bagni! – finse stupore – Di solito la gente lo usa per questo, non
come cagnolino da passeggio. – sospirò e appese l’oggetto
sull’appendiabiti accanto alla porta. Poi sparì in una delle stanze:
- Dovrebbe esserci ancora uno dei tuoi pigiami da qualche parte. – Non
era una cosa strana se si considerava che dormiva lì almeno una volta a
settimana. Axel tornò poco dopo, con una gigantesca coperta color vino:
- Intanto mettiti questa. – lo coprì interamente. Roxas sentì le guance
riscaldarsi:
- Grazie. – mormorò incerto.
E poi si ritrovò sul divano con una tazza fumante di cioccolata tra le
mani e Axel che abbracciandolo gli sussurrava quanto gli era mancato.
Roxas era una frana quando si trattava di prendere l’iniziativa. Era
una frana anche quando si trovava in una situazione imbarazzante.
Cominciava ad arrossire senza alcun motivo e a balbettare cose
insignificanti, oppure, come in quel caso, si paralizzava completamente.
Questo Axel lo sapeva bene. In tutti gli anni in cui erano stati
insieme aveva visto Roxas in quelle condizioni si è no un centinaio di
volte. Alcune delle cause potevano essere: una ragazza che gli piaceva
gli si avvicinava, vedeva una scena imbarazzante, faceva scoppiare a
piangere qualcuno, domande tipo “Hai mai fatto sesso?” e tanti altri
motivi che non ricordava.
Comunque era quasi sempre Axel a salvarlo da quelle situazioni,
mettendosi in mezzo o trascinando Roxas lontano.
Axel non si chiese perché Roxas fosse così in quel momento, perché
quella posizione in cui erano stati così tante volte lo imbarazzava
così tanto, ma bensì si chiese cosa sarebbe successo.
Magari sarebbe scappato. Magari gli avrebbe detto addio. Magari lo
avrebbe baciato. Magari niente. E in fondo “niente” era una bella cosa.
Roxas sarebbe potuto rimanere in quella posizione per sempre. Sul
divano con una tazza fumante di cioccolata in mano, avvolto da una
coperta e con la testa poggiata sul petto caldo di Axel stava da Dio.
Non sapeva se piangere o addormentarsi, entrambe le cose gli sarebbero
riuscite con una certa facilità. Axel, dal canto suo, sembrava
intenzionato a non far niente. Spostava lo sguardo dalla televisione,
dove era cominciato un film in bianco e nero, a Roxas e ogni tanto gli
accarezzava i capelli umidi. Come se quello fosse un normalissimo
venerdì pomeriggio di fine estate, quando entrambi sapevano che non era
così.
Roxas fece per prendere l’ennesima sorsata di cioccolata (che era
davvero deliziosa) ma quando si accorse che era finita, andò nel
panico. Era il suo scudo, la sua scusa per non guardare Axel.
Bene si disse E ora che succede?
- Ho finito la cioccolata. – mormorò come se fosse un’informazione di
vitale importanza. Axel gli tolse la tazza rossa (E non chiedetemi
perché tutti gli oggetti di questa fic sono rossi! N.d. Au) dalle mani
e la poggiò sul tavolino lì davanti.
Poi ritornò nelle posizioni di prima.
Roxas lo guardò come se fosse la prima volta: era davvero bello. Gli
occhi brillavano come due smeraldi, la pelle era leggermente ambrata
per l’abbronzatura e la felpa verde faceva sembrare ancora più luminosi
i capelli rosso acceso.
Si era sempre chiesto cosa ci trovasse Axel in lui, perché lo avesse
scelto come suo migliore amico, se era così vuoto e insulso.
Arrossì di botto quando Axel prese a guardarlo, facendogli scorrere una
mano sulla guancia.
Lo guardava come se fosse la cosa più preziosa del mondo e questo
contribuì a rendere Roxas più imbarazzato di quanto già non fosse.
Poi le loro labbra si sfiorarono. Non fu un bacio, né niente di simile.
Solo che Axel, continuando a guardare Roxas negli occhi si abbassò e
gli sfiorò le labbra.
Roxas deglutì e se le leccò constatando che, sebbene avesse appena
smesso di bere, erano davvero secche.
Axel gliele accarezzo con due dita e poi ripeté il gesto. Roxas in
un’accozzaglia incomprensibile di pensieri si chiese se quello era un
permesso per baciarlo, così avvolse le braccia attorno al collo di Axel
tirandolo più vicino e facendo incontrare per la terza volta le loro
labbra. Stavolta però non si limitarono a lambirsi ma si baciarono, nel
vero senso della parola, come avevano fatto durante il gioco.
Abbracciati, le lingue che danzavano spostandosi da una bocca all’altra.
Poi Roxas cominciò a piangere. Le lacrime gli bagnarono le guance
bollenti senza che lui potesse fare niente per fermarle. Piangeva
perché le cose che provavano lo spaventavano. Piangeva perché pensava
che adesso dovevano ricominciare tutto da capo. Che nulla sarebbe stato
più come prima, che pur avendolo sempre accanto avrebbe perso il suo
migliore amico. Ora che si amavano sarebbero cambiato tutto.
Axel si staccò di scatto con un’espressione seria sul volto:
- No. – disse senza lasciare Roxas. Gli raccolse una lacrima e lo
guardò preoccupato:
- Non devi farlo se non vuoi. – disse, il tono incerto. Roxas si
asciugò gli occhi con la mano:
- Non è questo. – la sua voce era rotta dal pianto – Ho paura Axel. –
sussurrò nascondendo il viso nella felpa dell’altro – Ho solo paura.
Perché io ti…- Axel lo interruppe abbracciandolo.
- Shhh. – gli accarezzò la schiena – Va bene così Rox. Non
preoccuparti, va bene. – la sua mano passò nei capelli – Magari domani.
O dopodomani. O il mese prossimo. – e, anche se Roxas inizialmente non
capì a cosa si riferiva si sentì comunque rassicurato.
- Abbiamo tutto il tempo di questo mondo. Per adesso, va bene così. –
concluse e fece sedere Roxas accanto a sé, non smettendo di
accarezzargli la testa. Gli fece l’occhiolino ed esibì un sorriso
spensierato a trentadue:
- Sarà il nostro piccolo segreto. – E Roxas poggiò la testa sulla
spalla del suo migliore amico, riportando indietro il tempo a diciotto
giorni prima, prima che succedesse tutto.
Lui e Axel potevano continuare ad essere migliori amici, anche se
sapevano di amarsi.
Nessuno avrebbe mai saputo di quel pomeriggio di fine estate in cui,
per colpa di una bottiglia di succo di more, avevano scoperto di
volersi troppo bene.
Nessuno avrebbe mai spettegolato su “Roxas è gay e si è messo con quel
tizio strano di nome Axel”.
Potevano continuare a stare insieme, baciandosi solo in segreto, solo
se volevano, quando nessuno li guardava e in pubblico potevano
continuare ad essere i migliori amici che erano stati fino a quel
momento.
Chissà, magari un giorno lo avrebbero detto a tutti (a loro stessi, per
primi), quando sarebbero stati pronti.
Fino a quel momento sarebbero rimasti migliori amici.
Ma in fondo, andava bene così.
Owari.
Note dell’autrice (se può essere
definita tale n.d.altra me):
Sono di pessimo umore. Meno di una settimana e ritornerò in quel
dannatissimo istituto chiamato “scuola”.
Lo so, lo so, il mio comportamento non ha né scuse, né attenuanti
(Parli come se dovessi finire in carcere…cosa, effettivamente, corretta
n.d.altra me). E mi dispiace davvero, davvero tanto di essere morta per
circa tre mesi (Tanto tu nelle vacanze estive vivi in simbiosi con il
letto n.d.altra me), ma mi farò perdonare (le ultime parole famose
n.d.altra me). E (non) preoccupatevi, non ho abbandonato “Come sole e
pioggia”, anzi posterò a breve. E’ che il capitolo deve venire
abbastanza contorto (e questo cosa vorrebbe dire? N.d.altra me).
Bando alle ciance, e parliamo della fic. Un po’ dedicata ad Ayumu che
mi ha costretto a postarla (errore fatale n.d.altra me), perché io non
ne avevo alcuna intenzione. E a SweeTDemly che mi ha tirato giù dal
letto (cosa che io ritenevo tecnicamente impossibile n.d.altra me).
Grazie.
E anche a chi la leggerà, chi recensirà (se mai qualcuno lo farà…che fa
anche rima n.d.altra me)…a tutti quanti!!! (Ma che onore. n.d. altra me)
Questa fic nasce dall’idea di una raccolta, che poi ho abbandonato
(Perché la tua pigrizia è pari alla tua pazzia…e questo dice tutto
n.d.altra me)…ma visto che non è interessante, lasciamo perdere!
Grazie a tutti, ci vediamo presto (Per vostra sfortuna n.d.altra me)…e
ancora scuse (Quelle le dovresti fare per essere tornata n.d.altra me).
Baci&Abbracci da Kim.
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