-Commento:
Cominciamo con il dire che il primo e l’ultimo pezzo sono
stati bellamente
ripresi dal 15 volume di generation Basket (Vicius Tetsuro rulla!!!!
*___*) e
il fatto che io sia tornata in fissa con quel manga non ha influito
assolutamente con la mia fanfic (Ma con quella che ho perso si XDDDDDD)
Quindi, ringraziando di cuore la giudicia che mi ha permesso una
settimana di
proroga e il mio essermi ricordata che gli ultimi tre giorni della
proroga li
avrei passati a Madris vi lascio alla lettura di quesa cosina-ina-ina
veloce e
speriamo (errori di grammatica a parte) piavole.
Con
questo vi lascio
Rei
Dark
Cloud’s on my sky
Andando
verso la stazione ci si imbatte in un improvvisa e quanto mai ripida
salita
Nelle
mattine d’inverno è immancabilmente gelata e
terribilmente pericolosa
Se
ti capita di scivolare da qui sei morto.
Un
celo coperto è irritante.
La
mia testa…
Si
riflette sul manto stradale ghiacciato.
Queste
spesse nuvole perlacee…ormai…
Ora
e per sempre…
Mi
hanno avvolto.
Il
giorno in cui mi imbattei in loro me lo ricordo
bene.
Camminavo
lungo questa ripida salita, tenendo il capo chino, sorpassato da altri
rumorosi
studenti.
Erano
fermi in cima, lei intenta a cercare qualcosa tra
la bianca neve e lui
fermo, con l’aria irritata, guardando verso la fine di quella
ripida strada.
Non
avevo capito da subito cosa stesse succedendo ma, quando lei con aria
sfinita
si era alzata, lui aveva abbassato lo sguardo sul manto bianco e poi,
borbottando, aveva preso a cercare.
Ero
rimasto a fissarli in silenzio, senza un preciso motivo, dietro la
spessa
montatura delle lenti scure.
Il
ragazzo aveva tirato su una catenina fine e poi, sbuffando,
gliel’aveva messa
al collo.
Il
sorriso di quella ragazza mi aveva riempito il cuore.
Tra
le lacrime fissava il ciondolo contenta ed imbarazzata per la loro
improvvisa e
quanto insolita vicinanza, per poi svenire di botto tra le sue urla
esasperate.
In
quel momento avevo pensato che, se mai mi fossi riuscito a fare degli
amici, in
quello schifo di scuola, mi sarebbe piaciuto fossero persone semplici
come mi
erano parsi quei due.
Tipi
senza troppe pretese, capaci di prendere la vita un po’ come
arriva.
Alzando
lo sguardo verso il cielo nuvoloso, quella spessa coltre di nubi non mi
era
sembrata poi così grigia.
-
Hey! Tu sei quello nuovo? –
Il
moro alzò lo sguardo dal libro fissandolo dentro due occhi
dal color azzurro.
La
ragazza che gli si presentava davanti era quella che, per prima, si era
alzata
in piedi quando era entrato il professore, scostandosi dal viso i
lunghi
capelli biondi e facendo alzare i compagni.
La
loro rappresentate di classe, in sintesi.
Le
mani poggiate sui fianchi e il cipiglio severo, le davano un aria
vagamente più
seria di ciò che invece veniva esibito dalla sua immagine:
la gonna più corta
di un paio di centimetri e la camicia fin troppo stretta, annessa di
primi
bottoni slacciati era certo andasse contro il regolamento scolastico
ma,
questo, non gli faceva capire in che modo, la biondina, potesse volere
qualcosa
da lui.
Si
limitò a fissarla da dietro le lenti scure, senza spiccicare
parola.
-
È compito dei nuovi arrivati pulire l’aula al
posto della rappresentante di
classe nel suo turno, per le prime tre settimane. Lo scopettone e il
secchio si
trovano nello sgabuzino in fondo al corridoio, sulla destra. E non
dimenticare
le lavagne! –
Con
un colpo di tacchi ruotò su se stessa, lasciando i capelli
liberi di svolazzare
ovunque, sbattendo contro un'altra persona.
Non
aveva senso quello che lei gli aveva appena detto – o quanto
meno non aveva di
certo di letto di quell’assurda “legge”
appena statagli riferita – ma poco gli
importava, nell’effettivo contesto.
Tornare
a casa avrebbe significato pranzare in solitudine fino al rientro della
madre
e, per quanto lui fosse stato sempre tendenzialmente solo, non era una
cosa che
gli faceva piacere.
Rimanere
a fare le pulizie gli avrebbe permesso di conoscere il compagno di
turno della
ragazza, forse riuscire anche a scambiare due chiacchiere con qualcosa
di
umano.
Quanto
poi poteva essere realmente interessante farlo, poco importava.
-
Non vedo perché dovrebbe farlo al posto tuo, Yamanaka!
–
Alzò
lo sguardo verso la persona che aveva fatto
quell’affermazione, rimanendo
stupito di fronte alla figura del ragazzo di quella mattina.
Seduto
sul banco, il castano, fissava la bionda con aria indispettita e,
forse,
vagamente di rimprovero.
-
Non sono fatti che ti riguardano, Inuzuka – la ragazza
arricciò il naso nel
pronunciare il cognome di lui, avvicinandoglisi, successivamente
– al nuovo
arrivato va bene, no? –
Il
moro fissò prima la ragazza poi il castano, che ora gli
rivolgeva la sua
attenzione.
Alzò
le spalle chiudendo il libro ed alzandosi in piedi.
-
Non fa alcuna differenza – esordì poi uscendo
dall’aula.
Nella
vecchia scuola nessuno si era mai curato di me.
Erano
tutti troppo attenti ai loro bisogni per rendersi conto della mia
presenza,
troppo
silenzioso per essere ricordato durante gli eventi di classe.
Mi
limitavo ad andare bene nello studio e nello sport.
Facevo
tutto quello che era necessario per assicurarmi di uscire da
lì il prima
possibile.
Di
trasferirmi in un luogo differente da quello.
Non
mi è mai seriamente importato di essere al centro
dell’attenzione,
di
avere degli amici, insomma.
Ma,
forse, guardandomi attorno, qualche fitta riusciva a trapassarmi lo
stomaco.
Guardando
i miei compagni andare a casa assieme, scambiarsi i compiti,
litigare…pensavo
di essere diverso.
Sbagliato.
Quelle
dannate nuvole mi avvolgevano in una morsa sempre più
stretta.
“ti
va di pranzare con noi?”
-
Hinata tu ti devi ribellare! –
Seduto
al tavolo della mensa, ascoltava in silenzio la paternale che il
proprio
compagno di classe stavava facendo alla sua migliore amica.
-
M-Ma… -
-
Niente “ma”! Mendokuse!
Non posso
sempre venirti in soccorso! –
Il
castano mosse le bacchette in un movimento circolare puntandole contro
il viso
della Hyuuga.
L’aveva
ritrovata rinchiusa nello sgabuzino della sua classe,
ancora una volta.
Aveva
sentito che, alcune delle compagne della ragazza, spesso e volentieri,
le
facevano sopprusi di ogni genere.
Ultimanente
erano arrivate persino a rubarle i soldi del
pranzo e le matite colorate che la madre le aveva appena
comprato.
-
K-Kibakun io… -
La
vide abbassare il capo e torturarsi le mani in un gesto abituale, senza
sapere
cosa dire.
Lei
era una ragazza fragile, incapace di difendersi.
Il
classico pungball per i bulletti della scuola e qualsiasi altro
compagno avesse
bisogno di sfogare la sua frustrazione.
Se
solo avessero perso tempo a conoscerla meglio, si sarebbero accorti di
che
persona dolce fosse, la piccola Hinata.
Sospirò,
lasciando che Kiba continuasse il suo discorso, anche se privo di senso
e,
sicuramente inutile, fino a che questi non si alzò dal posto
promettendo di
tornare con ciò che le avevano rubato poco prima
dell’intervallo.
Rimasti
soli poggiò le bacchette sul tavolo, fissandola da dietro le
lenti.
-
Dillo a Kurenaisensei –
La
ragazza sbattè le palpebre, alzando il volto arrossato
dall’imbarazzo su di
lui, balbettando.
Era
la prima volta che parlava con qualcuno di sua spontanea
volontà da quando si
era trasferito.
Lei
gli ispirava fiducia.
Gli
ricordava le farfalle, delicati e bellissimi insetti che passavano la
loro vita
come orribili bruchi, scoppiando poi, in tutta la loro bellezza solo
per un
giorno, per la fortuna di chi poteva ammirarle.
-
Dillo a Kurenaisensei – ripetè più
convinto riprendendo poi a mangiare.
Poco
dopo il castano tornò con un vassoio pieno di cibo e
l’aria imbronciata.
-
Non voglio avere problemi con gli insegnanti a tre giorni
dall’inizio della
scuola, sono già finito in presidenza cinque volte oggi.
Mangia. –
La
moretta sorrise afferrando un Korokke pan(*) e
ringraziandolo, lui
arrossi impercettibilmente addentando un onigiri(**)
-
G-grazie per…il con..siglio…Aburamekun –
Alzò
lo sguardo dal libro che stava leggendo, poggiandolo sulla ragazza di
fronte a
lui.
La
Hyuuga teneva lo sguardo basso, torturandosi le mani con aria
impacciata.
Dietro
di lei l’immancabile figura dell’Inuzuka, le faceva
da ombra.
Erano
passati due giorni dall’episodio della mensa: la ragazza era
andata a parlarne
con l’insegnante e, successivamente, con la preside.
Ovviamente
la rivolta delle compagne di classe era stata inevitabile ma, questa
volta, era
stata proprio Kurenai ad occuparsi di lei impedendo così al
castano di
cacciarsi nuovamente nei guai.
Sembravano
davvero attaccati quei due.
Che
il castano provasse qualcosa più di un amicizia per lei?
Li
fissò attentamente, lasciando scorrere lo sguardo prima
sulla esile figura di
lei, in attesa di una risposta e poi su di lui.
Sembrava
nervoso.
Fissava
fuori dalla finestra, come se dovesse scattare da un momento
all’altro e
buttarsi di sotto – o aggredirlo per il suo silenzio.
Probabilmente
Kiba non era abituato alle attese troppo lunghe.
-
Di niente –
Pronunciò
quelle parole in modo che solo loro potessero sentirle, prima di
riportare lo
sguardo sul libro.
Quando,
dopo una decina di minuti, la loro presenza gli diventò
fastidiosa, tornò a
guardarli.
-
C’è ancora qualcosa, Hyuugasan? –
La
ragazza sobbalzò, cominciando a balbettare impacciata.
Al
suo decimo “io” l’Inuzuka prese in mano
la situazione, sospirando.
-
Ci stavamo chiedendo se ti va di pranzare con noi -
Sgranò
impercettibilmente gli occhi, dietro le lenti scure, convinto che gli
altri due
non potessero vederlo.
-
Ci fa…farebbe davvero…mo-molto
piace…re –
Rincarò
la ragazza scostando lo sguardo rossa in viso.
Annuì
debolmente facendola sorridere e, ricambiandola con un leggero
stiramento delle
labbra.
Dopotutto
non doveva essere così male passare un po’ di
tempo con qualche altro essere
umano.
Quello
era stato il principio della nostra “amicizia”.
Ormai
sono passati molti anni da quei giorni lontani.
Hinata
ha appena passato l’esame d’ammissione per
l’istuto d’arte cui suo padre non
voleva farla iscrivere.
Kiba
frequenta veterinaria sotto richiesta della sua famiglia.
Io…
Io
ogni tanto ritorno qui, davanti a questa vecchia salita.
Fisso
il cielo grigio che si staglia dietro i tetti delle case e sorrido.
Sono
convinto, ora, che se qualcuno dovesse cadare da qui non morirebbe.
Rotolando
lungo la strada vedrebbe il cielo e quelle spesse nuvole grige
sembrerebbero
a portata di mano.
In
fondo…
-
Un cielo lontano e sereno è così palloso -
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