1_Andando contro le regole
1. Andando contro le regole
«Non puoi andare»
«Perché no, Wiiill? Daiii!».
L’altro tacque il tempo necessario a sistemarsi gli occhiali.
«Perché le regole lo impediscono. Vuoi essere degradato ancora?»
«Sei così
cattivooo...!» si lamentò il suo interlocutore, con quella
voce vagamente femminile e lagnosa, incrociando le braccia sul petto.
Si sistemò nuovamente gli occhiali.
«Grell Sutcliff, non puoi rivedere ancora quel demone».
Il suddetto shinigami lo
guardò con un broncio misto a indignazione: a lui delle regole
non importava un beneamato fico secco. Per lui il suo amato poteva
essere un demone, un altro shinigami, addirittura un angelo o Babbo
Natale, non gl’interessava: quando uno era sexy - dannatamente, schifosamente sexy - lo rimaneva qualsiasi cosa fosse.
Anzi, tutti quegli ostacoli
al suo amore non facevano altro che acuire il suo sentimento verso di
lui: il proibito aveva un che di dannatamente attraente ai suoi occhi.
E poi era tutto così romantico...
«Non
m’importa» s’impuntò, distogliendo il viso,
sdegnato «Io voglio rivederlo» sentenziò.
William si massaggiò
le tempie con fare estremamente paziente: cercare di farlo ragionare
era la cosa più difficile che potesse tentare di fare, ma era un
suo obbligo in quanto suo superiore. Tuttavia era del ferreo parere che
non lo pagavano abbastanza per doversi occupare fino a quel punto della
sua insubordinazione - in aggiunta al doversi sorbire tutte le sue
lagne spudoratamente femminee.
Grell era stufo,
semplicemente: cercare di spiegare le proprie ragioni ad uno come
William T. Spears era solo tempo perso. Quel ragazzo non poteva capirlo!
Decise allora di passare
all’azione: senza alcun preavviso, girò sui tacchi e
varcò l’immenso arco che lo separava dal giardino,
ignorando le riprese continue del moro alle sue spalle.
Era troppo ligio al dovere
per i suoi gusti: così la sua vita sentimentale sarebbe andata
in mille pezzi ancor prima di cominciare, anche se quel suo sguardo
così freddo gli dava certi brividi piacevoli e sensuali, di
tanto in tanto.
«Be’, se riuscisse a sciogliersi un po’, sarebbe anche un buon partito»
commentò tra sé, divertito, passandosi la lingua sulle
labbra con fare palesemente malizioso, mentre si dirigeva correndo
verso il ponte che si ergeva imponente sull’immenso giardino
davanti alla Biblioteca degli Shinigami.
La sua meta era semplice quanto mai banale: il Portale per il mondo umano.
Il violento picchiare dei
suoi tacchi sul candido marmo ed il leggero frusciare del suo lungo
cappotto rosso erano gli unici rumori che gli tamburellavano i timpani,
facendo da sottofondo ai suoi pensieri ossessivi riguardanti
l’attuale oggetto di tutto il suo incondizionato amore: il demone
Sebastian Michaelis.
Anche se era proibito in
modo categorico che uno shinigami - l’antica razza dei Demon
Hunter - intrattenesse alcun tipo di relazione con le loro prede
naturali - i demoni, ossia il lato oscuro del mondo - lui se ne era
infischiato altamente e ne aveva pagate le conseguenze. Difatti gli era
stata confiscata la sua arma, la sua tanto amata motosega, sostituita
da una semplice, banalissima coppia di piccole forbici.
Se fosse riuscito a cavare
gli occhi alle sue vittime con quelle mini armi, sarebbe già
stato un risultato eccezionale, ma in fondo a lui importava ben poco:
finché gli altri demoni lasciavano in pace lui e il suo
Sebastian, non aveva motivo di preoccuparsi di quanti ne avrebbe
ammazzati, né - ovviamente - del modo in cui l’avrebbe
fatto.
Raggiunto l’altro
lato del ponte, scavalcò con un salto i cinque gradini che lo
separavano dal suolo, quindi continuò a correre, imperterrito:
la sua fame di amore lo stava divorando dentro.
Lui doveva rivedere Sebastian, a qualsiasi costo.
Si fermò davanti ad
un immenso portale di pietra bianca decorato con fregi dall’aria
antica e vagamente esotica e sorrise di sghembo, mostrando la dentatura
da squalo.
«Eccolo, finalmente: il Portale. Non stavo più nella pelle!».
Si avvicinò ai
grandi battenti - due teste di tigre che reggevano in bocca un anello -
e, dimostrando di possedere una forza ben al di là delle umane
possibilità, afferrò i due cerchi e li tirò a
sé, aprendo la porta.
Nel saltare
all’interno - azione peraltro accompagnata da un malsano
entusiasmo - il suo unico pensiero fu un ben poco maschile: «Eccomi a te, caro Seb-as-stiàn~♥!!».
La falce della luna
risplendeva alta nella notte, riverberando il suo argenteo candore
opalescente nella volta celeste notturna, che quella sera mancava dei
piccoli diamanti che la rendevano ancora più meravigliosa e
luminescente.
La sua perfezione lattea
venne rovinata da un improvviso tremolio, simile a quello
dell’acqua increspata, ma fu solo una cosa momentanea. Allora,
una figura comparve stagliata nel cielo in contrasto con la falce:
cadeva ad una rapidità sconcertante, simile ad una meteora
oscura, ma pareva non preoccuparsi affatto. Dietro di sé, una
moltitudine di lunghissimi capelli scarmigliati lo seguiva, come la
coda di una stella cadente.
Senza emettere un solo
fiato, precipitò sul tetto obliquo di una chiesa, atterrando
indenne in piedi, senza vacillare: le gambe avevano assorbito il colpo
senza conseguenze sul suo perfetto e sovrannaturale equilibrio.
«Da dove iniziamo a
cercare il mio Sebastian?» si domandò ad alta voce,
passandosi la lingua sulle labbra e guardandosi intorno: le case erano
tutte simili tra loro, con il tetto scosceso rischiarato dalla luce
lunare, e si estendevano per quasi un chilometro a raggiera attorno al
punto dove si trovava lui. Probabilmente la chiesa era il fulcro
attorno al quale la città era stata eretta.
Dentro di sé
avvertì l’impulso di recarsi presso un fiume che
costeggiava il lato nord della città. Senza perdere un solo
attimo si diresse lì: la sua parte più istintiva, adibita
alla localizzazione delle sue prede, aveva una strana predisposizione
naturale ad un rilevamento talmente rapido e preciso che se gli avesse
fornito pure coordinate precise su dove il demone di turno si trovasse
non si sarebbe sorpreso affatto.
Fin dall’inizio della
sua “carriera” di Demon Hunter - iniziata pressoché
attorno ai dieci anni - si era rivelata un’abilità
eccezionalmente utile per velocizzare l’individuazione del nemico.
Quella volta, anche se
utilizzata non con lo scopo di localizzare una vittima, si era palesata
essere altrettanto utile, in aggiunta al fatto che in quella cittadina
bazzicavano pochi demoni, quasi tutti di solo passaggio. Se fosse stato
un luogo più “trafficato”, avrebbe dovuto giostrarsi
tra migliaia di imposizioni contrastanti sulla direzione da prendere.
Sebastian, con sommo
sollievo dello shinigami, era l’unico che sembrava essersi
stabilito lì in modo permanente, dato che non aveva accennato a
spostarsi per quasi cinque mesi. Un vero e proprio record, considerata
la natura della sua razza, incline al nomadismo - con eccezioni in casi
particolari, ma solo di pochi giorni.
L’unico demone che
rilevava era quello vicino al fiume, il che gli suggeriva che quello
era proprio il suo amore demoniaco.
Che cosa ci facesse
così lontano dal centro, non ne aveva la più pallida e
remota idea - l’unica ipotesi plausibile che aveva formulato era
che vi si fosse recato in cerca di particolari anime - ma più di
tanto non se ne preoccupava: non erano affari suoi se qualche
insignificante umano moriva in città o in periferia, o moriva e
basta.
In fondo, prolificavano
più in fretta di quanto si potesse credere per essere una razza
di così basso rango. Qualche perdita potevano sopportarla.
«Oltretutto,
se devono perire affinché il mio tesoro adorato possa
sopravvivere, dovrebbero addirittura essere orgogliosi di cedere a lui
la loro inutile vita~♥!» commentò
allegramente tra sé, balzando con tanto di giravolta nel cielo,
superando una delle strade principali della città, a
quell’ora completamente deserta.
Proseguiva a ritmo serrato,
sempre più velocemente man mano che si avvicinava alla sua meta:
la smania di rivederlo era troppo forte perché potesse
semplicemente attendere oltre.
Arrivato sull’ultimo
edificio, saltò giù dal cornicione con una grazia che
definire femminile sarebbe stato un semplice eufemismo, per poi
dirigersi fulmineo attraverso l’erba stopposa ed incolta che si
estendeva per miglia tutt’attorno.
Un vero e proprio paesaggio campestre in rovina.
Ben presto, Grell
iniziò a sentire il rumore dell’acqua che scrociava nel
suo letto, ma non solo quello: grida di dolore che volevano essere
acute e strazianti gli giungevano alle orecchie solo come urla
soffocate, facendolo fremere nel profondo.
Era lì, sempre più vicino.
La distesa
s’interruppe bruscamente su di un piccolo pendio erboso che
portava ad un esteso avvallamento nel quale si trovava il fiume.
Sulla sponda più
vicina a sé, il Demon Hunter scorse un gruppo di corpi inerti
distesi a terra e, tra di loro, una figura nera e slanciata,
l’unica ancora in piedi.
Il suo cuore
accelerò i battiti: era lui, non aveva dubbi. Solo lui poteva
indossare con così tanto charme un completo nero tanto elegante.
Spiccò un salto fin
troppo energico, tale da raggiungere circa i trenta metri
d’altezza, quindi si lanciò in picchiata verso la persona
vestita di nero, aprendo le braccia.
«Seb-as-t...».
Il suo bersaglio si volse di scatto all’udire la sua voce. Solo allora lo shinigami si rese conto che quello non era
il suo demone, ma purtroppo per fermarsi era troppo tardi. Il giovane
sconosciuto rimase immobile ad osservarlo precipitargli contro con
sguardo glaciale finché non gli fu praticamente addosso, quindi
si chinò e, quando gli passò proprio sopra, alzò
la mano con un fulmineo scatto, serrandola attorno alla sua gola.
A quel punto si rialzò e si avvicinò al viso della sua preda tanto che i loro nasi quasi si sfioravano.
Grell riuscì
così a scrutare bene in faccia l’uomo: aveva i capelli
neri, pettinati all’indietro in modo da lasciare completamente
scoperto il viso; indossava un paio di occhiali dalla montatura di
semplice metallo argentato e le lenti squadrate, dietro le quali si
trovavano due pozzi di freddo oro, fissi su di lui.
Era inquietante, ma forse proprio per quello anche terribilmente bello.
«Ehilà! Ti
hanno mai detto che hai dei bellissimi occhi? E chissà che altro
hai di così bello...» lo stuzzicò Grell, passandosi
la lingua sulle labbra, sorridendo con fare lascivo.
«Tu sei... uno shinigami?» gli chiese in risposta lo sconosciuto, senza smettere di fissarlo glacialmente.
«Io sono quello che
vuoi. Baciami...!» esclamò l’altro in tono voglioso,
protendendosi faticosamente verso di lui, il quale serrò ancor
di più la presa sul suo collo con l’evidente intento di
strangolarlo.
«Muori, Demon Hunter...!» sibilò, duro, rinsaldando ancor di più la presa sulla sua giugulare.
Grell era sul punto di
soffocare, eppure tutta la sua attenzione era focalizzata su
quell’affermazione che - contro ogni possibile aspettativa -
reputava quasi alla stessa stregua di una dichiarazione d’amore
in piena regola.
La sua concezione dell’amore, in verità, era tanto distorta quanto malsani erano i suoi gusti sessuali.
I suoi polmoni erano ormai
a secco d’aria ed invocavano pietà, mentre davanti agli
occhi cominciavano a danzargli puntolini bianchi, mentre lentamente
iniziava a scivolare nell’incoscienza della morte.
Paradossale come da cacciatore si fosse trasformato in preda.
Continuò a fissare,
per quel poco che gli rimaneva, gli occhi del suo quasi assassino,
mentre muoveva le mani per far scivolar fuori dalle maniche le sue
forbicine: non aveva certo intenzione di morire lì.
Le strinse saldamente nelle
mani, quindi puntò il suo sguardo sul braccio che lo reggeva: se
fosse riuscito a conficcarne almeno una lì, probabilmente
sarebbe riuscito a fermarlo.
Stava per sferrare il suo attacco quando, con la coda dell’occhio, scorse un improvviso cambiamento nel suo sguardo.
Sentì la sua presa
dissolversi dal suo collo e lo vide saltare indietro uno scatto
repentino a dir poco, mentre una fila di piume nere dall’aspetto
insolitamente affilato andava a conficcarsi con forza nel terreno, nel
medesimo punto dove solo un istante prima era il moro.
«Claude Faustus».
La voce che Grell
udì gli strappò un indecente e fin troppo femminile
“awww!”: conosceva quel tono, e conosceva anche il
detentore di quella splendida voce provvista di una meravigliosa
sfumatura oscura.
Nel voltarsi, ebbe la
conferma di ciò che aveva percepito semplicemente con
l’udito: era arrivato il suo demone, quello per cui aveva lottato
così tanto contro gli altri shinigami, le stupide regole dei
Demon Hunter e perfino quel noioso di William.
«Aww,
Sebastiàn!» esclamò, in tono dolce, squadrandolo da
capo a piedi con un’avidità senza fine.
Come sempre, indossava un
completo nero, sotto al quale s’intravedeva una camicia bianca
abbottonata e fermata sotto i risvolti del colletto da una cravatta
nera che andava a sparire nella giacca chiusa.
Il demone si
avvicinò senza degnarlo della benché minima attenzione:
questa era tutta focalizzata sull’uomo chiamato Claude, il quale
ricambiava con ardente astio.
«Sebastian Michaelis» esclamò.
«Non sei gradito qui. Questo è il mio territorio» ribatté freddamente Sebastian.
Claude affilò lo sguardo in uno più beffardo, senza perciò increspare le labbra.
«Il tuo? Questo è da vedere» replicò.
Michaelis estrasse dalle
maniche un altro set di piume, quindi le lanciò verso il suo
avversario, che le evitò facilmente.
«Sparisci Claude».
Quest’ultimo rimase
immobile un attimo, lo sguardo improvvisamente pieno d’odio, poi
disse: «Sappi che non mi arrendo tanto facilmente,
Sebastian».
Quindi si volse e
saltò dall’altra parte del fiume, girandosi a guardare
un’ultima volta il suo nemico, prima di andarsene.
Sebastian rilassò un poco i muscoli, tenendo alta la guardia, in caso attaccasse ancora all’improvviso.
«Sebas-chan! Mio eroe~♥!».
Sentì qualcosa
strusciarsi contro la propria gamba, perciò abbassò gli
occhi, notando che lo shinigami che Claude aveva quasi ammazzato era lo
stesso che fin da quando si era stabilito lì continuava
imperterrito a tormentarlo.
Se avesse visto prima che
era Grell la sua vittima, avrebbe fatto sì che Faustus lo
ammazzasse, prima di intervenire e cacciarlo: di certo si sarebbe
trovato con una palla al piede in meno.
Lo shinigami,
testardamente, continuava a strusciarglisi contro la gamba alla quale
si era stoicamente avvinghiato, come un gatto in cerca di attenzioni.
Con un gesto alquanto
brusco, gli premette una mano sulla fronte e lo allontanò,
facendolo finire seduto a qualche metro di distanza.
«Stai lontano, shinigami» disse semplicemente, voltandosi a dargli le spalle.
Ma Grell considerava quei tentativi d’allontanamento come azioni volte ad acuire in modo osceno le sue attenzioni.
Rialzatosi, si gettò verso di lui a braccia aperte.
«Sebast...?!».
Non riuscì a terminare: si sentì strattonare per il cappotto e tirare via in malo modo.
L’ultima cosa che
vide fu il demone che si voltava per metà verso di lui con
sguardo totalmente indifferente, poi la sua immagine venne risucchiata
da un vortice bianco.
Quando tutto riprese
colore, si trovava steso bocconi su un pavimento a lui ben noto, gli
occhi incollati non al viso del suo amore, bensì alle scarpe di
qualcuno.
«La ringrazio per essere andato a recuperarlo».
La voce era innegabilmente quella di William.
Sbuffò, risentito, mettendosi carponi: era tornato nella dimensione degli shinigami. No, più corretto, era stato trascinato nella dimensione degli shinigami, di nuovo.
Il Demon Hunter dai capelli
rossi era non poco arrabbiato con colui o colei che si era permesso di
riportarlo in quel noiosissimo posto senza il suo permesso e - cosa
ancora più importante - solo pochi minuti dopo aver finalmente
ritrovato il suo demone.
Non lo accettava: lui voleva vederlo, accidenti!
«Ehi!» esordì, voltandosi «Perché mi ha...?!».
Tacque quando vide chi era stato a strapparlo al mondo umano.
«Ehilà...!».
Lunghi capelli grigi, volto
seminascosto da una folta frangia, vestiti scuri e stravaganti al pari
del loro possessore. Non c’erano dubbi, quello era...
«Undertaker?!» sbottò Grell, drizzandosi e allontanandosi subito.
Il suo interlocutore si
portò un’ampia manica alla bocca e vi affogò una
risatina nervosa, che fece venire la pelle d’oca a Sutcliff.
William, al contrario, era
l’incarnazione della calma. Molto formalmente, si inchinò
davanti al terzo shinigami e domandò: «A cosa dobbiamo la
sua visita?».
L’altro agitò una mano e sorrise.
«Sembra che ci sia un problema...».
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