Classificatasi quarta a pari merito nel contest "A Griffin for a
Snake... Make your choice!" di Vogue91
Analogia Entis
Il tronco butterato di nodi sorge
come un’illusione –oro
sbiadito ne disegna le fronde- nel buio angoscioso di Grimmauld Place.
Gli
occhi polverosi appartengono ad altrettante facce,
l’imperitura testimonianza
della perversione dei Black incisa nei tratti storti.
Ma Ginny non si cura dei loro sguardi
sdegnati, mentre cerca
nelle generazioni più recenti. Quando l’ha
individuato, non sa più cosa l’abbia
spinta a cercarlo. Forse vuole osservarlo
meglio in solitudine,
forse spera di leggere
un’ombra di dissolutezza nelle iridi
leggere che rispondono al suo sguardo, una ruga licenziosa nella fronte
distesa. Qualcosa –una cosa qualunque- che la liberi da quel
senso opprimente
di analogia.
No. Non è così.
Loro non sono per niente simili.
Lei non ha mai scelto…
È stata coinvolta suo malgrado, non
l’ha mai voluto. Non l’avrebbe nemmeno permesso
se le fosse stato possibile.
Riporta gli occhi
sull’arazzo. Su quel particolare ritratto.
Una data -perentoria e dispotica come
la mano che l’ha
tracciata- ne decreta una morte precoce e il volto ritratto sembra
essere
rimasto congelato nel tempo.
Ginny rifugge l’idea che
sarebbe potuta finire allo stesso
modo, perché la colpa di essersi fidata è
insopportabile. Non aveva avuto
dubbi, inizialmente. Era stato facile –e giusto-
trovare qualcuno con cui confidarsi, che non la considerasse una
bambina –la
sorellina minore, sempre la sorellina minore- fino a quando non aveva
scorto
l’oscurità dietro la sua bella grafia allungata.
Le ore mancanti strappate al
suo controllo non le sarebbero state restituite. Mai.
Le parole di Sirius saturano ancora
l’aria –si era fatto
coinvolgere fino ad un certo
punto, poi è stato preso dal panico-
l’ultimo epitaffio per questo fratello
perso, scomparso. Ucciso per codardia –ha detto Sirius- con
l’insofferenza
tipica di chi non conosce incertezza, anche nelle imprese folli e nelle
scelte
sbagliate.
Immediatamente le si prospetta un
corpo abbandonato da
qualche parte [in una camera proibita, magari], sempre più
debole e mentre il
battito si fa flebile, gli occhi bruciano e non si ha minimo dubbio di
cosa sta
per accadere: perché la vista è già
appannata e non c’è nessuno e Ginny ha
sempre avuto paura di morire sola, quindi questo dimostra che
c’è una giustizia
al mondo, che merita di essere abbandonata per quello che ha fatto.
Ripercorre le lettere del suo nome
[R-E-G-U-L-U-S] ed è
disturbata dalla liceità della sua espressione, dalla
franchezza dei suoi
tratti eleganti.
Ha tempo di chiedersi perché?
E immediatamente si dà della stupida e si alza. Con un gesto
deciso si spolvera
la gonna dalla polvere e dai dubbi: probabilmente non
c’è nessun perché.
Si scopre turbata e si allontana da
questa stanza il più
velocemente possibile con sguardo deluso, vuole pensare. O meglio,
tentare di
non pensare affatto.
°-°
NdA:
Ehm… Lo so
è un’idea assurda, ma mentre
pensavo a cosa potevo tirare fuori da questi due, ho immaginato Ginny
davanti
all’arazzo e all’improvviso (anche col senno di
poi, per carità) mi si sono
palesate le similitudini tra i due e ho pensato di scriverci qualcosa.
Il tutto
influenzato da una recente rilettura del Ritratto
di Dorian Gray (l’idea del ritratto e della
correlazione anima-apparenza e
l’ultima riga è un libero adattamento di un
passaggio di Wilde).
Il titolo è
un’espressione usata in filosofia, che si
applica per spiegare come notare un’analogia tra due cose
è come notarne le
differenze, perciò mi sembrava che si adattasse ai
personaggi.
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