Sospeso
immobile
fermo
immagine
un
segno che non passa mai.
Questa
volta non bussai neanche.
Feci
direttamente, per così dire, irruzione nel tourbus.
Contrariamente
a quanto aveva detto Dominic, Matt non dormiva. Era seduto sul tavolo
ad accordare la chitarra. Una chitarra. Una delle.
“Matt.”
Alzò
la testa e mi guardò.
Nervosismo:
non nervosismo incontrollabile, però, di quelli che ti bloccano il
respiro. Piuttosto, nervosismo in pillole. Piccoli formicolii su e
giù per le braccia. Tanto per fare qualcosa, mi passai una mano tra
i capelli.
“Tutto
ok?”, chiese. Ma sapeva già che non era tutto ok.
“Bliss
è incinta.”
Mi
lanciò uno sguardo più o meno indecifrabile.
“E
Dominic è il padre.”
“Già.”
Uno
dei vari lati sconosciuti al mondo del cantante dei Muse, era senza
dubbio la chiaroveggenza.
“Abortisce?”,
domanda.
Qualcuno
potrebbe iniziare a pensare che Bliss dovrebbe offendersi, visto che
il primo pensiero di tutti alla comunicazione del lieto evento era
stato l'aborto. Ma il ragionamento di chiunque fosse coinvolto in
quella situazione aveva un senso logico, ed era il seguente: Bliss e
Dominic vivevano in due mondi disordinati e senza senso. Non esisteva
un modo per combinarli insieme sperando che ne uscisse qualcosa di
stabile. E non stavano insieme. Non so neanche se gli fosse mai
passato per la testa.
Bisognava
indietreggiare nel tempo di un anno e qualcosa, vale a dire il
momento del nostro primo, vero contatto con la band che seguivamo,
adoravamo e veneravamo da anni. Ma non era ancora tempo per
passeggiate nostalgiche nel viale dei ricordi.
Il
punto è che Dom e Bliss erano diventati amici, così amici da dare
l'impressione di conoscersi da una vita, talmente opposti da sembrare
perfetti, insieme, anche se perfetti non lo erano per niente. Solo,
nella loro singolare concezione di amicizia rientrava anche uno
sporadico ma oggettivo, per così dire, scopare.
“No.”
Matt
diede un sorso a un bicchiere del quale preferii non sapere il
contenuto.
“Dominic
vuole tenerlo.”, aggiunsi.
C'erano
due metri tra noi. Abbastanza ridicolo.
“Vieni
qui o continui a parlarmi dall'altra parte del bus?”
Lettura
del pensiero.
Feci
qualche passo, e crollai sul letto davanti a lui a gambe incrociate.
“Dominic
è per caso impazzito?”, mi chiese, passandosi una mano su una
gamba.
“Può
darsi, ma dovresti dirmelo tu. E' il tuo migliore amico.”
Smontò
dal tavolo e venne a stendersi dietro le mie spalle.
“Ho
sonno.”
“E
dormi.”
Silenzio.
“Bliss
come sta?”
“Vomita.”
“Mi
sembra magnifico.”
“Assolutamente.”
“E
domani sera c'è il festival.”
“Appunto.”
Il
braccio prese a formicolarmi: mi ci vollero alcuni secondi per
realizzare che era la sua mano che mi accarezzava la pelle. Saltai in
piedi come un pupazzo a molla.
“Devo
andare a cercare una persona.”
Alzò
la testa dal cuscino.
“Chi?”
“E'
una storia lunga e avvincente, che però ti racconterò un'altra
volta.”.
Mi
chinai a baciarlo su una guancia, vicino alla bocca.
Troppo
casino. Troppi perchè. Troppe mazurke di mezzo.
Mazurke?
“Dormi
un po'.”
“Tieni
il telefono acceso. Ti chiamo. Posso sapere almeno dove vai?”
“A
Londra. Ti spiace controllare che Bliss non tenti il suicidio?”
“Se
non sono occupato a controllare che non lo tenti Dominic.”
“Allora
mettile dietro Chris. O la moglie di Chris.”
“Qualcosa
faremo.”
Sorrisi.
“Ciao
Matt.”
Ero
sulla porta, quando mi raggiunse di nuovo la sua voce.
“Baby”,
disse, “Stai attenta.”
Annuii
senza voltarmi, facendo tintinnare le chiavi della macchina.
La
serata a Londra era fresca e ventilata.
Le
luci si riflettevano sul Tamigi come tante piccole lucciole inquiete.
Presi
la via del pontile, diretta su una barca esageratamente grande e
fastosamente addobbata: avrei riconosciuto quello stile tra milioni e
milioni di barche addobbate.
Tutto
così rosso da sembrare un bagno di sangue o una colata di lava.
Il
bodyguard mi fissò condiscendente.
“Posso
aiutarla?”
Sorrisi,
squadernando il tesserino.
“Vada
pure.”
Scrutai
tra la gente tirata a lucido, tutta una serie di abiti lunghi e
smoking, chi in nero, chi in colori improbabili, finchè la vidi: una
testa rosso fuoco, i capelli raccolti in alto in una pettinatura
ricercata, tenuti a bada da un fermaglio nero. Sorrisi, avanzando sul
ponte.
Mi
dava le spalle, in un abito blu notte che mi sembrava così strano,
addosso a lei.
Parlava
con qualcuno, qualcuno che probabilmente conosceva, a giudicare dal
tono confidenziale che stava usando.
“Vi,
sta andando alla grande...”, disse lo sconosciuto, avvicinandosi al
suo orecchio.
Mi
apparve sul viso un sorriso sghembo.
“Splinter.”,
dissi.
Sussultò
impercettibilmente, voltando il viso alla sua sinistra. Poi tornò a
parlare, persuasa probabilmente di aver avuto un'allucinazione
uditiva in diretta dal passato.
Feci
qualche passo avanti.
“Splinter.”,
ripetei.
Si
voltò.
Mi
guardò.
Il
tempo fece un balzo all'indietro e le voci svanirono nella nebbia.
“Ria?”
Era
un punto interrogativo, ma non lo era.
“Splinter.”
“Vivienne?”,
disse qualcuno.
“Dammi
un minuto, Antoine.”, disse. Poi mi prese la mano, e andammo a
finire in un posto lontano da quelle luci, da quei rumori, da quegli
abiti eleganti.
“Tutto
rosso.”, commentai.
“Cavallo
vincente non si cambia.”, mi rispose, sorridendo imbarazzata. Gli
occhi azzurri brillarono nella luce delle candele.
“Sei
qui per lavoro?”, mi chiese.
“No.
Lo sai, perchè sono qui. Domani c'è un festival.”
“Ah,
davvero?”
“Splinter...”,
risposi, insofferente.
Si
aggiustò una ciocca ribelle.
“Non
sono più Splinter.”
“Sarai
sempre Splinter.”
“Come
va con Matt?”
Sospirai.
“Matt
sta bene, Chris bene, Dominic bene, sta per diventare padre.”
“Ah,
chi è la ragazza?”
“Bliss.”
Le
andò di traverso un sorso di champagne, e le tolsi il bicchiere
dalle mani, cercando un fazzoletto per tamponarle la macchia sul
decolletè.
“Sempre
imbranata come una foca.”, dissi.
Scoppiò
a ridere, e poi ritornò seria: “Come Bliss?”
“Eh
già, Bliss.”
“Una
cosa voluta?”
“Sono
sempre stati e sempre saranno incapaci di intendere e di volere.”
Sospirò.
“Ha
bisogno di te.”
Mi
guardò, in silenzio.
“Io
ho bisogno di te.”
“Ria,
non faccio più quella vita.”
“Quella
vita è l'unica vita che hai.”
“Sono
cresciuta.”
“Non
è perchè sei cresciuta. E' per Brian.”
Strinse
i pugni contro il vestito. Lo aveva sempre fatto, da quando era
piccola: il suo modo per gestire le conversazioni difficili.
“Non
sono qui per dirti cosa avresti dovuto fare, non amo le prediche. Né
farle, né riceverle.”
Silenzio.
“Sono
passati quasi due anni.”
“Lo
so.”
Silenzio.
“Sei
consapevole del fatto che in due anni ci siamo viste sì e no una
volta al mese, quando è andata bene?”
Annuì.
“Non
voglio riportarti indietro nel tempo.”
Silenzio.
“Ma
non sei andata avanti. Ti conosco.”
“Speravo
che la presunzione ti sarebbe passata con l'età.”
“Non
credo. E' una malattia terminale, sai.”
Sorridemmo.
“Non
ti chiedo neanche se verrai, facciamo così.”, dissi, e la baciai
su una guancia.
Mi
ero già allontanata, quando mi raggiunse un urlo dodecafonico. Suo,
chiaramente.
Mi
voltai a guardarla. I capelli le erano caduti sciolti sulle spalle.
Guardai
con un sorriso il fermaglio che avevo in mano, e lo buttai con
disinvoltura nelle acque scure del tamigi.
“Ria!”
Sparii
nelle strade buie, senza molto da fare, con in gola una bella
domanda.
E
adesso?
Il
telefono squillò tre volte, prima che mi decidessi a rispondere.
“Pronto.”
“Alla
buon'ora!”
Stanco.
La voce abbattuta da qualche ora di prove, presumibilmente.
“Matt.”,
dissi.
“Dove
sei?”
“Sul
Tamigi.”
“Vengo
a prenderti o vieni a nuoto?”
Sorrisi.
“Vengo
a nuoto.”
“Ok.
Attenta alle balene.”
“Le
schiverò.”
Tentò
di controllarsi. Non ci riuscì.
“Dove
sei stata?”
“Sei
una persona noiosamente prevedibile.”
“E
tu sei una persona fastidiosamente misteriosa.”
“Ho
i miei buoni motivi.”
“E
io ne ho, di buoni motivi per preoccuparmi?”
Sorrisi
di nuovo.
“No,
direi di no.”
“Bliss
dorme con Dom.”
“Bene.
Tanto ormai il peggio è già successo.”
“Chris
è dalla moglie.”
“Comprensibile.”
Attese.
“E
tu dove sei?”, chiesi.
“All'Hilton.”
“Paddington?”
“Così
pare.”
“Ok.”
Silenzio.
“Che
vuol dire ok?”
“Mi
pare di aver letto che era un'espressione militare che starebbe a
significare zero killed. Se non sbaglio.”
Ridacchiò.
“Vai
a dormire, dai.”, dissi.
Sospirò.
“Ok.”
Silenzio.
“Ok
nel senso di zero killed.”, aggiunse.
Risi.
“Sei
meraviglioso, Matt. In un modo imperscrutabile, inspiegabile e
innegabile.”
“Grazie.
Ora dormo più tranquillo.”
Silenzio.
“Vado.”,
sospirai.
“Ok.”
“Ciao.”
“Ciao,
baby.”
Attaccai
il telefono e mi raccontai che ero indecisa su cosa fare. In realtà
stavo già chiamando un taxi.
Entrai,
dopo aver passato una ventina di secondi a cercare di aprire la porta
nel senso contrario. Non ci si abitua mai a Londra.
“Paddington,
per favore.”, dissi.
E
sapevo già di star facendo una cazzata.
Incrociai
Chris nella hall dell'albergo. Mi guardò per alcuni secondi.
“Ciao,
Chris.”
“Ciao,
tesoro.”
Odiavo
essere chiamata “tesoro”. Cosa che Chris faceva puntualmente.
Guardò
l'orologio.
“Vado
a prendere un cornetto a Fiorellino.”, mi informò.
Fiorellino
era la moglie. Incinta del venticinquesimo bambino, mi pare. O
ventiseiesimo.
“Sono
le due di notte.”, lo informai.
“Donne
incinte.”, rispose, facendo spallucce.
“Non
ne parliamo, per favore.”, sospirai.
“Ho
saputo. Bel colpo.”
“Altrochè.”
Si
accese una sigaretta, e me ne offrì una.
“Dov'eri?”
“A
un'inaugurazione.”
“Ti
sei divertita?”
“In
un certo senso. Quando siete arrivati?”
“Qualche
ora fa.”, disse, soffiando via il fumo della sigaretta.
“Bliss
e Dom hanno passato ventiquattro ore a discutere, dormire, discutere,
dormire, piangere, dormire, discutere.”
“Sì,
immaginavo. Ce li ho presente.”
Gettai
via il mozzicone con una schicchera tra medio e pollice.
“Vado.”
“Stanza
108.”, mi rispose.
Lo
guardai.
“E'
la stanza di Bliss?”
Sorrise,
e si avviò per la strada.
“Buonanotte,
tesoro.”
Lo
guardai sparire nel buio.
“Eh.”,
esclamai. “Buonanotte.”
La
porta era aperta.
Un
pazzo furioso, come al solito. Prima o poi lo ammazzeranno, pensai,
mentre mi sfilavo le scarpe per non fare casino.
La
camera era buia e lui dormiva, supino sul letto rotondo.
Che
cazzata, i letti rotondi.
Ancora
vestita, mi stesi affianco a lui e gli poggiai la testa sul petto.
Odiavo
quella sensazione.
La
sensazione di essere a casa, al sicuro, l'idea della pace,
dell'equilibrio, tutte quelle cose che lui adorava e che a me erano
sempre state strette. Finchè non avevo incontrato lui. Preferivo
fingere che non esistesse, la pace. Ammettere che era possibile,
sentirsi felici essendo statici, avrebbe vanificato il senso di
un'esistenza. Io stavo bene nel caos. Per me non c'era altro.
Lo
ascoltai respirare sotto il mio orecchio, e chiusi gli occhi.
“Hai
chiuso la porta, baby?”
“Dio,
Matt.”, esclamai, a corto di fiato per il colpo.
Ridacchiò.
“Matt.
Preferisco Matt.”
“Sei
un idiota.”, sussurrai.
Mi
baciò dolcemente i capelli.
“Dormi.”,
dissi, suonando un filino più imperativa di quello che speravo.
“Devi
dormire. Domani mattina hai il soundcheck.”
“Lo
so. Chi sei, mia madre?”
“Non
credo. Sei più vecchio di me. Anzi, sei vecchio e basta.”
Mi
accarezzò i capelli.
“Taci,
ragazzina.”
“Ti
rompo le corde di tutte le chitarre.”, biascicai, già preda del
sonno.
Lo
sentì sorridere contro la mia testa.
Avevo
dimenticato com'era, dormire addosso a lui, ma non ci misi molto a
ricordarmelo.
Alle
cinque e un quarto mi svegliai, con l'alba che si preparava a
esplodere al di là delle finestre.
Mi
tirai su con cautela, per non svegliarlo. Dormiva sul serio,
stavolta, sembrava tranquillo e lui non dormiva mai tranquillo. Era
un insonne cronico. Come me, del resto.
Guardai
Londra al di là del vetro per un po'.
Bellissima,
struggente e poetica. Esattamente come me la disegnavo in testa
quando ero lontana da lì, e volevo solo tornare. Amavo Londra. Era
stata il mio primo, vero amore.
Mi
voltai quel tanto che bastò a farmi notare la mia valigia. In camera
di Matt. Sbuffai. Le fatine del lieto fine, nelle persone di Dom e
Bliss, erano tornate all'attacco.
La
aprii e trovai la mia enorme t-shirt bianca. Sfilai il vestito e lo
buttai su una poltrona, sganciai il reggiseno, afferrai la maglia e
mi diressi verso il bagno, gettando un'occhiata a Matt. Aveva gli
occhi aperti, e sorrideva soddisfatto. Benedettiddio.
“E'
da parecchio che non ti vedo così.”, disse.
Incrociai
le braccia e lo fissai dritto negli occhi.
“Ma
sei sempre uno spettacolo niente male.”
Risi,
mio malgrado. Risi coprendomi la bocca, e lanciandogli uno sguardo
carico di affetto. Lo adoravo, inutile negarlo.
“Dormi.”,
dissi.
“Di
contro, il tuo vocabolario si è ridotto a una sola parola: dormi.”,
constatò, sorridendomi. Poi si voltò verso la finestra, una
galanteria che apprezzai abbastanza.
Tornai
a letto che erano circa le sei.
In
un gesto automatico quanto affettuoso – quanto fuori posto, se
vogliamo essere puntigliosi – gli scostai i capelli dalla fronte,
prima di stendermi affianco a lui di nuovo, e prendere a fissare il
soffitto con aria assorta.
Cosa
avessero i soffitti di così speciale da farmi ragionare per ore, non
si sarebbe mai saputo.
Mi
abbandonai così, con una mano accidentalmente sulla sua e la testa
sulla sua spalla, tranquilla. Come in realtà non ero.
Non
c'era niente di tranquillo, lì in mezzo. Non c'era mai stato, e non
ci sarebbe stato mai.
“Sono
un po' agitato.”, sussurrò.
“Come
mai?”, gli chiesi, accarezzandogli una mano.
“Non
lo so. Forse per quei due cretini. Forse per te.”
Ebbi
un momento di lealtà da materasso che avrei poi avuto modo di
rimpiangere. Ampiamente.
“Non
mi ricordo più com'era.”
“Cosa?”,
mi chiese.
Sospirai.
“Non mi ricordo più com'era fare l'amore con te.”
Affondai
la testa nel suo petto, e respirai il suo odore.
Volevo
fare l'amore con lui, sì. Sapevo che non dovevo.
Mi
baciò la fronte, a lungo e dolcemente, intrecciando una mano alla
mia.
“Vuoi
fare l'amore con me?”, sussurrò d'un fiato, come avesse paura di
dire qualcosa di sbagliato.
No.
No, Ria, no. Digli di no.
Le
mie labbra erano sulle sue, senza baciarlo, solo tenendole così,
labbra su labbra, una chimica sorprendentemente semplice,
straordinaria.
Non
fece niente.
Aspettò.
Erano
passati otto mesi da quella sera.
Era
sul palco, aveva appena finito di suonare Plug in Baby. Io ero giù,
un po' nascosta dal pubblico e dal palco.
Puntò
lo sguardo su di me, sapeva dov'ero. Uscivamo da un casino di
proporzioni bibliche.
Riconobbi
l'attacco della chitarra dalla prima nota.
You're
so fucking special... But I'm a creep, I'm a weirdo...
Mi
hanno uccisa i Radiohead una sera di maggio, e l'hanno fatto
dicendomi solo la verità. Mi hanno uccisa con la sua chitarra e con
la sua voce, che cantava Creep guardandomi negli occhi, con una
sfumatura di dolore e il pubblico in delirio per la performance
straordinaria che lui, le sue mani e le sue corde vocali stavano
consegnando alla storia.
Tornai
al presente, gli occhi azzurri aperti come fari dentro i miei, le mie
labbra ancora lì, indecise sul da farsi.
Sospirai.
Poi
mi alzai dal letto, il cuore in pezzi così piccoli da non riuscire a
tenerli raggruppati tutti nel petto: mi batteva ovunque, nelle mani,
nelle braccia, nella testa, nelle gambe. Un cuore disperso.
Mi
guardò, lo guardai.
Tornai
sul letto, franai tra le sue braccia: una frana di vent'anni, il
cuore in gola e un'idea irresponsabile da tenere sotto controllo.
Mi
strinse forte contro il petto, baciandomi i capelli.
Alzai
la testa fino alle sue labbra, e lo baciai dolcemente, come una
bambina, sulla bocca, sul viso, sugli occhi.
Mi
alzò la maglia lentamente, e sentii scorrere i suoi polpastrelli
sulla schiena.
Mai
fidarsi delle mani di un pianista, mi aveva detto una volta qualcuno.
Il
bacio smise di essere innocente, e me lo ritrovai addosso prima di
rendermi conto che era imprudente, lasciarsi andare così.
Le
mie mani erano tra i suoi capelli, e lui era tra le mie gambe.
Lo
baciai ancora e ancora, combattendo contro il cuore. E il mio cuore
era armato fino ai denti.
Fronte
contro fronte, senza fiato, senza una parola da dirci.
“Matt...”,
sussurrai. Una debole protesta.
Ma
lui capì.
Infilò
la testa nell'incavo della mia spalla, e lo sentii respirare lì,
respirare forte, come me, per riprendere fiato e controllo.
“Sei
troppo preziosa. Troppo preziosa, per perderti così.”, disse a
mezza voce.
Strinsi
le braccia intorno a lui, per tenerlo lì, per evitare che svanisse
nel nulla, come un sogno, come un'illusione.
Cosa
succede quando due persone inafferrabili si incontrano, si legano...
Cosa
succede, quando due persone inafferrabili... si
innamorano?
Sei
in ogni parte di me
ti
sento scendere
tra
respiro e battito.
Di
ritorno da Wembley.
Come
ogni volta che vado a Londra, non ero sicura di voler tornare. Anzi,
diciamo che proprio non me ne passava per il £%$$& di tornare.
Grazie
di cuore alle quattro giovani e volenterose donne che hanno recensito
la mia storia (S. - geniale il tuo stile, dieci e lode la tua
dolcezza, grazie, Lawliet- grazie per l'entusiasmo, sento un
po' la responsabilità di sto bambino, Bee – farò del mio
meglio per non deluderti, e Nem – la tua recensione era
perfetta, sei stata dolcissima.)
Grazie
per l'entusiasmo con cui ci avete accolti, tutti quanti (me, Dom,
Matt, Bliss, Ria, Chris e il bambino in cantiere.). Brian e Splinter
sperano che gli vorrete altrettanto bene.
Prometto
di metterci di meno ad aggiornare il capitolo tre, di smettere di
fumare e di essere più buona e condiscendente nei confronti della
razza umana.
Prometto
anche che domani compro il succo di frutta. Vi serve qualcosa al
supermercato?
Ah,
e ci terrei a specificare, siccome ogni tanto me lo chiedono, che io
coesisto pacificamente con Kate Hudson e relativo figliolo senza che
la mia vita ne risenta particolarmente.
Grazie
ancora, babes.
Queen.
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