OUR FAREWELL
CHAPTER II
{Camminavamo insieme inseguendo un sogno senza fine
improvvisamente mi è venuto da dire, scherzando:"
"Forse finirò per fuggirmene via da solo..."
Tu hai chinato il capo e hai iniziato a piangere
ma poiché era uno scherzo, hai asciugato le lacrime e hai sorriso, perché non
rinunceremo}
[Kono yoru ga owaru mae
ni, Gackt]
-Gackt-san?-
La voce di Masa lo risvegliò dai
suoi pensieri. Si era quasi addormentato.
Alzò lo sguardo, osservando per un attimo stordito il
ragazzo davanti a lui.
-Sì, Masa-chan?- domandò,
sorridendo.
Masa sembrò un attimo a disagio,
come se avesse rotto il filo di pensieri intricati che di tanto in tanto
attraversavano la mente del cantante.
Sospirò, prima di guardarlo.
-Sei sicuro di stare bene?-
Gackt inarcò un sopracciglio,
apparendo improvvisamente accigliato, come se quella domanda lo avesse
infastidito. Poi, però, sorrise ancora, mostrando i denti perfetti.
-Certo, Masa-chan. Ti ho forse
dato un’altra impressione?-
Il tono del vocalist era pacato,
tranquillo, eppure pareva nascondere una lieve acredine.
Masa sapeva che non era colpa sua.
Era colpa di *quel* giorno. Stese le labbra in un sorriso tirato. Gackt sembrava stare bene. Apparentemente.
Eppure… c’era qualcosa di diverso.
Masa lo percepiva.
-Non so, Gackt-san… mi sembri
diverso, oggi- mormorò.
Aveva… paura? Sì, paura di toccare un tasto dolente.
Il sorriso del ragazzo castano si fece più forzato.
-Sono solo stanco- tagliò corto,
volgendo il viso verso la finestra.
Fuori, notò, una coppietta si stava baciando. Prese ad
osservare distrattamente le loro labbra che si univano.
-Sicuro? Non vorrei che fosse perché oggi è…-
Masa prese
un forte respiro, come a farsi coraggio.
-… *quel* giorno-
CRACK
Qualcosa all’interno –nel suo cuore, nella sua anima- di Gackt si ruppe.
Rimanendo voltato verso la finestra, parlò.
E a Masa
sembrò di essere nell’occhio del ciclone. La calma prima della tempesta. Una
tigre pericolosa e bellissima, che stava per divorarti.
-… cosa vorresti dire, Masa? Che sembro nervoso? Triste?
Arrabbiato? E’ così che ti sembro? Eh? Rispondi, Masa!-
Gackt si era alzato
improvvisamente.
Gackt, l’allegro, solare e
affascinante Gackt.
Che ora aveva il bel volto
deformato dall’ira.
Masa fece istintivamente un passo
indietro.
-Che giorno sarebbe oggi? Siamo a
Gennaio! E’ un giorno come gli altri! Niente di più, niente di meno! Si può
sapere cosa credere che abbia? Oggi non c’è niente di speciale!
Vattene, Masa!-
Gackt aveva urlato. Ansimava.
Masa rimasa
fermo per un attimo inespressivo, per poi voltarsi e aprire la porta.
-Come vuoi, Camui. Ma ricordati
che non potrai fuggire per sempre da lui-
La porta si chiuse.
Gackt rimase fermo a fissare per
qualche attimo il legno scuro della porta chiusa.
Poi, si lasciò cadere sulla poltrona di pelle nera,
sospirando e passandosi una mano tra i capelli.
Che cosa voleva dire Masa?
Scappare da chi?
[Oh, lo sai da chi]
Lui non doveva fuggire da nessuno.
Da nessuno.
[ne sei sicuro?]
Sì, ne era sicuro.
Da cosa sarebbe dovuto scappare? Da chi?
E la risposta, era sempre quella:
da nessuno.
… Vero?...
Rimase seduto sulla poltrona, fermo, lo sguardo rivolto
verso il basso.
Alzò lentamente lo sguardo, puntando gli occhi, resi
azzurri, sul calendario.
Quell’anno. Quel mese. Quel
giorno.
Era strano pensare che era passato
esattamente un anno da quand aveva lasciato i Malice Mizer.
Da quando aveva abbandonato.. lui.
Scosse con forza il capo.
No, no, non doveva pensarci!
Non… doveva… pensare…. A …. Lui..
Lo sguardo rimase fisso sul calendario.
Quel giorno. Segnato con una X.
L’altra mattina, all’improvviso, si era alzato, e aveva
tracciato una X con un pennarello rosso.
Indelebile.
Come la ferita che aveva nel cuore.
Nell’anima.
[Ferita? Ah, allora lo ammetti]
No. Non c’era nessuna ferita.
C’era stata. Si era rimarginata.
…Vero, Gackto-san?
Il ragazzo annuì, come se davvero stesse rispondendo a
qualcuno.
Una stretta al cuore. Spasmodica. Dolore acuto.
Una fitta che iniziava appena pensava a quel nome.
Doveva smettere. Doveva dimenticare. Doveva morire, e poi
rinascere.
Per una nuova vita.
Per smettere di soffrire.
Ma sarebbe mai riuscito a
dimenticare?
Ci sarebbe mai stato una mattina nel quale, svegliandosi,
avrebbe smesso di soffrire?
Camui si alzò, sospirando
pesantemente. Non stava affatto bene.
Forse aveva la febbre. Fatto sta, che aveva un dannato mal
di testa. Si diresse in cucina, gli
occhi semichiusi, riempiendo poi un bicchiere con dell’acqua gelata.
Lo bevve tutto d’un fiato, per
calmarsi.
Mh, sì, andava un po’ meglio.
Si appoggiò al tavolo, lo sguardo rivolto a terra.
Non riusciva a capire perché si sentisse così male, quel
giorno.
Strette al cuore, giramenti di testa, respiro quasi
affannato.
Perché diavolo si sentiva così
male, fisicamente e psicologicamente?
[Oh, lo sai perché]
Scosse il capo.
No, non lo sapeva.
Sì, lo sapeva.
Oh, cazzo, ora stava diventando
pure un malato di mente.
Deglutì. La fitta al cuore stringeva di più. I giramenti di
testa aumentavano.
Doveva rimanere calmo. Doveva smettere di pensare ad ogni
cosa.
Doveva finirla di credere che la colpa del suo malessere
fosse… *quel* giorno.
Perché non era così, vero?
No, era solo un … malessere passeggero, ecco. Un male che, però , durava da un anno.
[Andiamo, Camui.
Ammettilo. ]
No, no, no!
Mai avrebbe ammesso che “lui” gli mancava.
Si sedette di nuovo sulla poltrona, rimanendo fermo, quasi
come una divinità (perché tale appariva a tutte le sue fan)
dallo sguardo nostalgico. Almeno in quel momento.
Sospirò, incrociando le mani in grembo.
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[endif]
[Bene. E ora, Gackt,
che farai? Te ne starai lì, fermo, come un perfetto
idiota?]
Gli occhi resi azzurri dalle lenti saettarono per le pareti
bianche della stanza, dove erano appesi dei quadri, e delle foto.
Foto sue, di famiglia, del GacktJob
e… sì, ce n’era anche una dei Malice Mizer.
Si alzò, lentamente, dirigendosi verso quella foto, per
osservarla meglio.
Istintivamente, senza che se ne accorgesse,
le labbra si stesero in un lieve sorriso.
Era la foto che avevano fatto
insieme, truccati sì, ma senza darla ai giornali, dopo l’uscita di “Bel Air”.
La canzone che gli aveva portati al successo.
Chiuse gli occhi, immergendosi in quei ricordi. Quei ricordi
che, mesi prima, si era ripromesso di cancellare.
Quando i Malice
Mizer lo avevano definitivamente accettato come
vocalist.
Quando, “insieme”, avevano scritto e composto Bel Air.
Quando avevano fatto il video.
Quando, al primo live, la folla era
esplosa in urla.
Quando, dopo il concerto, lui e la
sua Principessa si erano…
No!
Doveva smettere di pensarci.
Riaprì gli occhi, scuotendo il capo e guardando la foto.
I membri dei Malice Mizer. Quando ancora c’era Kami. Quando ancora lui
faceva parte di *loro*
Perché, nel suo cuore, non li aveva mai
lasciati.
Nel suo cuore, nella sua anima,
nella sua mente, *qualcuno* viveva ancora.
E bastava ascoltare le sue canzoni,
per capirlo.
Riusciva, quel *qualcuno*, a
percepire il messaggio che lasciava nella sua musica?
La foto… dove loro due erano vicini.
Lui sorrideva apertamente, come sempre. Gli occhi truccati
con la matita nera, e quel completo da Principe Gotico che tanto aveva amato e
che poi aveva lasciato.
E l’altro, la sua Principessa, lievemente, a mala pena
visibile, sorrideva . Con le labbra
dipinte di un tenue azzurro e i lunghi capelli biondi.
E allora, i ricordi vennero fuori
ancora una volta, prepotenti, invasivi.
*Me ne vado, Mana-chan*
E lo aveva detto sorridendo, quando
dentro di lui si sentiva morire.
E lo aveva sussurrato, quando il suo cuore voleva gridare :
“Fermami, ti prego!”
E si era voltato, quando avrebbe voluto rimanere lì.
E aveva visto quella fragile,
bellissima e fredda Bambola guardarlo con odio e rancore.
Ma, in fondo a quegli occhi privi di emozioni,
aveva visto qualcosa spezzarsi.
Qualcosa, in quella Maschera, si era incrinato.
La sua Bambola si era rotta.
E lui lo sapeva, oh, se lo sapeva!
Ma voleva che la sua Bambola lo
fermasse. Perché la sua Bambola non l’aveva fatto?
Troppo, troppo orgogliosa era
quella Bambola, e troppo egoista era stato lui.
Tsk.
In che modo, era finito quello spettacolo. Quale orribile
scenario, su quel palco!
Avrebbe voluto andarsene in un
altro modo.
[if !supportLineBreakNewLine]
[endif]
[Avrei voluto almeno dirti per
un’ultima volta che eri bellissimo, e che ti amavo…]
Ma non l’aveva fatto.
E in quel momento, Gackt Camui si rese conto di
cos’era quel malessere che sentiva dentro di sé.
Le gambe non lo ressero, e lui cadde a terra, con alcune
delle ciocche castano scuro a sfiorargli il volto.
E con gli occhi rivolti verso il
basso, offuscati da quelle lacrime che, dopo poco, caddero.
-Perdonami… Mana-hime…-
{La tua figura che danzava nel vento
era avvolta dalla luce...
Guardavo solo te
io guardavo i tuoi occhituttora guardo solo te
e non cambia nulla}
[Emu ~for my dear, Gackt]