Tieni la
mente bene aperta
1.La corda spezzata
Era già passata una
settimana da quando Jess e Leslie erano andati a Terabithia
l’ultima volta. Fatto stava che i compiti erano molto
aumentati in vista della vacanze estive. Era il loro primo anno alle
superiori, e tutti e due erano fieri di un anno scolastico passato come
si deve, un primo anno da ricordare, si erano divertiti come non mai,
era di sicuro cento volte meglio che alle medie. Avevano anche
studiato, certo, e proprio per questo non ebbero nessun corso estivo.
Si erano tutti e due impegnati parecchio per avere l’estate
libera dallo studio, e avevano ottenuto quello che volevano.
Fino al giorno prima erano
stato impegnati, ma quel sabato sarebbero finalmente iniziate le
vacanze. Tre mesi senza scuola. Tre mesi senza test o interrogazioni.
Tre mesi a non fare assolutamente nulla, al massimo andare a Terabithia
a riposarsi.
Quando
suonò la campanella tutti si alzarono facendo rumore con le
sedie, parlando e urlando. Jess salutò qualche compagno di
classe, e così fece anche Leslie. Uscirono assieme dal
portone e andarono verso l’autobus. Non usavano
più lo scuolabus, che serviva solo per portare i ragazzini
delle elementari e delle medie. Ormai andavano alle superiori, e
siccome non c’erano scuole superiori nel paese dove abitavano
loro, dovevano andare nella città più vicina.
Con un sospiro Leslie
si sedette sul primo posto che trovò libero. Poco dopo Jass
la imitò, togliendosi lo zaino e posandolo a terra,
incastrato fra il sedile anteriore e le sue gambe. “Non
è incredibile che ci abbiano fatto portare i libri anche
l’ultimo giorno?”, domandò sbuffando.
“Si,
davvero. Ma quando mai la Timmed non spiega? Spiegherebbe anche se un
aereo si schiantasse dentro l’aula”, disse Leslie.
“Probabile.
Quest’anno non ha fatto nemmeno un giorno di assenza. Non
è nemmeno andata in gita con la classe di terza. Secondo me
è rimasta per noi: perché ci odia.”
Leslie rise e lo
guardò, portandosi una mano alla bocca.
“Addirittura. Dici che ci odia?”
“Non lo so,
però hai sentito cos’ha detto l’altro
giorno. Noi siamo la
peggior classe prima che mi è mai capitata”,
disse lui imitando la voce acuta della professoressa e facendo una
brutta smorfia.
La professoressa Rosy
Timmed, l’insegnante di letteratura, aveva detto proprio
così, ma non era assolutamente vero. Lo diceva sempre alle
classi troppo agitate da quando aveva cominciato ad insegnare, sperando
che così i ragazzi si sarebbero spaventati e dati una
regolata, ma non era mai successo in trentasette anni di insegnamento,
e recentemente si era chiesta se fosse stato meglio cambiare approccio.
Quando il bus li
lasciò alla fermata Leslie e Jess cominciarono a camminare
lentamente lungo la grossa via sterrata che portava a casa. Quando
furono arrivati al bivio Leslie prese la strada a sinistra.
“Ci vediamo dopo mangiato alla corda!”,
ricordò a Jess.
“Si!”
rispose lui avanzando e facendole un gesto affermativo con la mano.
Jess camminò fino a casa, e quando fu sulla porta
entrò dicendo: “Eccomi!”
Joyce Anne corse verso
di lui e lo abbracciò forte. Aveva sei anni soltanto, ma la
forza di un elefante, così quando placcò Jess lui
non rimase del tutto indifferente. May Belle invece ne aveva dodici, e
andava per i tredici, così cominciava a cercare di mantenere
un certo contegno. Non era certo una di quelle ragazzine capricciose e
viziate, ma non aveva più l’abitudine di correre a
salutarlo quando tornava a casa. Quest’aspetto di lei un
po’ mancava a Jess.
“Hai finito
la scuola?”, chiese Joyce Anne appeso alle sue ginocchia,
guardandolo dal basso verso l’alto.
“Si
certo”, le rispose lui lasciando lo zaino a terra.
“E
l’anno prossimo potrò venire con te?”
“Ma se devi
ancora iniziare la prima elementare!”, esclamò
sorridendo Jass e prendendole la mano, conducendola in cucina.
Sua madre scelse
proprio quel momento per apparire dalla cucina, e indicando lo zaino
che aveva lasciato per terra Jass disse: “Non credere di
lasciarlo lì solo perché sono iniziate la vacanze
estive.”
“Okay”,
disse Jass roteando gli occhi al cielo. Prese lo zaino e se lo mise in
spalla, salendo in camera sua. Da quando Ellie e Brenda se
n’erano andate all’università, e quindi
abitavano in città in un piccolo appartamento assieme ad
altre due studentesse, aveva ottenuto di avere una stanza tutta per
sé, mentre May Belle e Joyce Anne condividevano la sua
vecchia cameretta, che era diventata di un rosa pallido, piena di
bambole, peluche e altri oggetti simili.
Quando scese Jass
mangiò a tutta velocità, salutò sua
madre, May Belle e Joyce Anne e uscì di casa.
Andò di corsa fino alla corda che portava a Terabithia, e
lì trovò Leslie ad aspettarlo assieme a Prince
Terrian, il cane da caccia di Troll Giganti.
“Andiamo?”,
chiese lei non appena il ragazzo fu arrivato.
“Certo.”
Jess prese da terra il grosso pezzo di legno che utilizzavano ormai da
anni per raggiungere Terabithia e afferrò la corda.
Quell’anno
aveva cominciato a fare caldo molto presto, e il risultato fu che il
fiumiciattolo che attraversavano ogni volta si era prosciugato.
Rimaneva solo un sottile rigagnolo fangoso.
Jess si appese alla
corda e saltò. Nel momento esatto in cui si
abbandonò del tutto e il suo peso gravò sulla
corda, quella si spezzò. Dopotutto era suo diritto, dopo
anni di fedeli servigi, e per di più i ragazzi erano
cresciuti ed erano più pesanti. Leslie non era molto
cambiata: portava ancora i capelli corti, era piccola e sottile, ma il
suo corpo stava cominciando a prendere fattezza da donna, si intuiva
già la curva dei fianchi, i piccoli seni e movenze delicate.
Aveva mani affusolate e piccole, dalle unghie perennemente rosicchiate.
Chi era cambiato molto era Jass. In pochi anni si era allungato di
parecchi centimetri, era diventato alto e il suo viso aveva perso le
fattezze di un ragazzino, acquistando quelle di un giovane uomo. Delle
volte, osservandosi acutamente allo specchio, credeva di vedere un filo
di barba sul mento, ma il più delle volte si sbagliava: era
troppo giovane ancora.
Jass cadde proprio nel
rigagnolo fangoso che era diventato il fiume. Era più
profondo di quello che si aspettasse, e infatti quando cadde, oltre a
farsi molto male cadendo con il sedere sulle pietre vischiose che
ricoprivano il fondo, venne immerso dall’acqua fino alla vita.
“Jess!”,
esclamò Leslie. Cercò di raggiungerlo e si
fermò appena prima di toccare l’acqua. Anche PT lo
raggiunse, e senza curarsi dell’acqua sporca si
tuffò nel fiumiciattolo schizzando fango dappertutto.
“PT!
Sta’ fermo!”, esclamò Jess prendendolo
in braccio e alzandosi. Fu davvero una brutta mossa, perché
l’unica cosa che ottenne fu di macchiarsi anche la maglietta
di fango, mentre il cagnolino scodinzolava felice. “Oh
cavolo!”, esclamò Jass.
“Vieni,
andiamo a casa. Ti presto dei vestiti”, disse Leslie
cominciando a risalire il letto del fiume.
“E di chi?
Di tuo padre?”, chiese Jass uscendo dal fiumiciattolo.
“Perché,
non ti va?”
“Nah, va
bene. Sempre meglio delle grida di mia madre quando mi vedrà
tornare a casa con i vestiti macchiati.”
Jass e Leslie si
diressero verso casa della ragazza assieme a PT. Quando entrarono
sentirono la voce della madre di Leslie che diceva: “Leslie
ma come, sei già tornata?”
“Si, abbiamo
un problema!”, urlò la ragazza avanzando verso la
cucina. Si voltò per dire a Jess di chiudere la porta ma con
sorpresa lo vide ancora impalato sulla soglia, con PT in braccio e bene
attento a non sfiorare nemmeno il tappetino.
“Entra”, lo incitò.
“Ma
macchierò tutto”, protestò lui.
“Togliti le
scarpe allora.”
Jess eseguì
e lasciò le scarpe infangate fuori dalla porta, si
tirò su i pantaloni fino alle ginocchia ed entrò.
Raggiunse Leslie e la signora Burke in cucina. “Che cosa ti
è successo Jess?”, chiese quest’ultima
guardandolo stupita.
“Sono caduto
nel fiume”, disse Jess un pochino imbarazzato.
“Oh.
Va’ di sopra a farti un bagno, ti poterò dei
vestiti di mio marito”, disse. “Leslie
va’ a fare il bagno a quel cane prima che salga sul
divano.”
“D’accordo.”
Leslie prese dalle mani di Jess PT, e tenendoselo ben lontano dal corpo
uscì.
Jess fece la doccia, e
fu davvero un bene, perché scoprì di avere del
fango nei piedi e fra i capelli, oltre a tutti gli schizzi che gli
erano arrivati in faccia per colpa di Prince Terrian. Quando ebbe
finito si asciugò e trovò dei vecchi jeans e una
maglietta lì per lui, che probabilmente dovevano essere del
signor Burke.
Con i capelli ancora
umidi si avviò verso camera di Leslie. “Che
fai?”, chiese entrando, sfregandosi la testa con un
asciugamano.
“Leggevo
questi”, disse lei sventolando un pacco di fogli.
“L’ha scritto mio padre, dice che vorrebbe la mia
opinione.”
“E
fin’ora come’è?” Jass si
sedette sul letto a gambe incrociate.
“Non
male”, disse Leslie mettendo il manoscritto sul comodino.
“Immagino che dovremmo andare a Terabithia in un altro modo
adesso”.
“C’è
il tronco”, osservò Jess.
“Sì,
ma non è bello allo stesso modo. Quella corda era
magica.” Leslie sbuffò dispiaciuta e le spalle le
crollarono, tanto era sconfortata.
Era da molto ormai che
avevano smesso di giocare a Terabithia come una volta, ma era sempre il
loro posto speciale. Il posto dove poteva accadere di tutto. Il loro
posto. Non sarebbe stato più lo stesso se avessero dovuto
attraversare il fiume con il tronco.
“Potremmo
appendere un’altra corda. O costruire un ponte”,
propose Jass illuminandosi, stupefatto della sua stessa idea.
“E’
vero”, approvò Leslie. “Dovremmo
procurarci delle assi di legno, e dei martelli, dei chiodi…
forse sarebbe meglio fare una lista.” Si alzò e
prese un foglio e una biro.
“Lo
costruiremo sul tronco. Altrimenti sarà troppo complicato da
fare e in questo modo sarà anche più sicuro. Non
dovremmo neanche partire da zero”, disse Jass.
“Sono
d’accordo”, disse Leslie appuntando il materiale
che avevano già elencato.
“Dovremmo
fare una scritta da appendere all’entrata”, propose
Jass sognante. “Qualcosa come: Niente ci schiaccerà.
Che te ne pare?”.
“Si, mi
piace. La farai tu, Re
e Primo Artista di Terabithia.”
“Non che
unico”, osservò Jass ridacchiando.
“Comunque sono d’accordo. Sarà come
quando usavamo la corda. Non importa con che mezzo la raggiungiamo,
Terabithia è sempre lì, no?”
“Infatti”,
disse Leslie sorridendo. “Forse nel giardino del retro
c’è qualche cosa che potremmo
utilizzare”, disse Leslie alzandosi. Piegò la
lista e se la mise in tasca.
Scesero al piano di
sotto, passarono attraverso il salotto dorato che avevano dipinto
qualche anno prima e uscirono nel cortile. In un angolo
c’erano ammonticchiati diversi pezzi di legno di diversa
lunghezza e spessore. Jess ne prese alcuni e li esaminò con
cura.
“Sembrano
resistenti”, disse guardando Leslie.
“Perfetto.”
Lei prese un elastico che aveva al polso e si legò i corti
capelli in un gesto a cui ormai Jess era abituato. Si legava i capelli,
che poi spuntavano come un piccolo riccio sulla nuca, solo quando
doveva impegnarsi in qualcosa. Per i compiti in classe particolarmente
complicati o importanti, per cucinare -cosa per la quale non era
assolutamente portata- e quando doveva fare lavori di fatica.
Mentre Jess
ammonticchiava alcuni pezzi di legno uno sopra l’altro per
portarli al fiume chiese, voltandosi verso la ragazza: “Credi
che per stasera i miei vestiti saranno asciutti?” Sapeva che
la madre di Leslie li aveva lavati, e sperava di poter tornare a casa
uguale a come era uscito.
“Credo di
si” disse Leslie. “Sono già ad
asciugare, con il caldo che fa ci metteranno un minuto.”
Presero il grosso
fascio di legna, quattro grosse tavole in tutto, Jess da una parte e
Leslie dall’altra. Uscirono di casa, e non appena furono
fuori incrociarono il padre di Leslie. “Ciao Leslie! Jess!
Che cosa fate?”
“Dobbiamo
costruire un ponte”, rispose Leslie senza fermarsi,
sorridendo al padre.
“Ah, capito.
Non fatevi male, okay?”, si raccomandò lui
entrando in casa.
“Non si
preoccupi signor Burke!”, esclamò Jess.
L’uomo
rientrò in casa e si sedette accanto alla moglie, che stava
accoccolata sul divano a leggere un gorsso libro dalla copertina rigida
e a bere caffè. “Ciao tesoro”, le disse
la moglie dandogli un bacio sulle labbra. “Che cosa stanno
facendo Leslie e Jess?”
“Hanno detto
che devono costruire un ponte”, disse il signor Burke
perplesso. Poi, indicando con il pollice la porta di casa
domandò: “Quelli erano i miei jeans?”
Buon salve!
Ovviamente dopo aver visto il film e letto il libro non si poteva certo
evitare una fan fiction! XD
Parto con dire -attenzione,
sto per spoilerare alla grande- che il fatto che il
personaggio di Leslie sia morto lo trovo talmente ingiusto! Sul serio,
mi dà fastidio in un modo allucinante, per questo ho deciso
di scrivere questa fan fiction.
Ci sono storie che sono talmente perfette che immaginare una fan
fiction alternativa all'interno, o reinventare il finale, mi sembra
quasi impossibile e anche un po' ingiusto. Questa è una di
quelle storie, ma mi ha fatto versare troppe lacrime per passarla
liscia! Questo caso è un'eccezione, e inventare una storia
nuova, anche se il libro è perfetto così
com'è, è stato facile, perchè c'era
una sola cosa che desideravo cambiare, che avete già capito
cosa sia, immagino.
Vi avviso che, se per caso voleste piccole anticipazioni dei prossimi
capitoli, o magari commenti un po' più lunghi su
alcune particolari parti della storia -commenti che sfociano
nel 'filosofeggio' e per questo motivo non scriverò qui-
potete andare sul mio blog (sulla mia pagina personale di EFP trovere
il link).
A dir la verità non mi aspetto lettori a valanghe, anche
perchè questa sezione non è fra le più
frequentate, ma spero comunque di vedere qualche anima pia dare
un'occhiata, e magari se quest'anima lasciasse anche un commento
sarebbe magnifico, perchè altrimenti mi sembrerebbe di
scrivere solo per occupare spazio sul sito XD
Bene, grazie dell'attenzione, se siete arrivati fino a qui significa
che siete dei santi! XD
Al prossimo capitolo,
Patrizia
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