2.Il club degli artisti di
Terabithia
Nel giro di una settimana il ponte era
finito. Ci avevano lavorato tutti i giorni, dal mattino presto fino
all’ora di pranzo e poi dopo mangiato fino a quando non
faceva buio. I risultati erano stati ottimi, erano davvero fieri del
loro lavoro: il ponte era resistente e anche bello da vedere. Le assi
erano state dipinte di blu scuro, il corrimano era fatto tutto in rami
e c’era una sorta di portale con sopra un cartello colorato a
forma di rombo, su cui Jess aveva scritto a lettere eleganti ‘Niente ci schiaccerà’.
“Adesso che abbiamo finito mi pare che ci meritiamo un
premio”, disse Leslie osservando il ponte da lontano.
“Giusto” concordò Jess seguendo il suo
sguardo. “Le provviste di Terabithia saranno tutte scadute a
questo punto. Non ci andiamo da quasi un mese.”
“Hai ragione. Non dovremmo portare là cose
fresche. Vanno bene i biscotti e le caramelle. Ma la marmellata e il
pane dovremmo evitarlo. Lo porteremo a piccole dosi.”
“D’accordo. Allora andiamo”, disse Jess
passando attraverso il ponte. Mise il primo piede con
solennità ma circa a metà si fermò e
prese a saltellare. Allo sguardo interrogativo di Leslie rispose:
“Volevo vedere se teneva per davvero.”
Arrivarono all’albero dove avevano costruito la casa e vi si
arrampicarono. Una volta dentro dovevano stare un po’ chini,
erano cresciuti di molto negli ultimi anni, soprattutto Jess. Si
sedettero l’uno di fronte all’altro, le gambe
incrociate, e cominciarono a mangiare biscotti. Da una delle
finestrelle riuscivano a vedere benissimo il nuovo ponte che portava a
Terabithia. Lo osservarono in silenzio, masticando lentamente.
“Che cosa pensi di fare dopo la scuola?”, chiese
improvvisamente Jess.
Leslie posò il biscotto che stava per mangiare e ci
pensò. “Non lo so”, disse alzando le
spalle. “Però mi piace tanto scrivere i temi
scolastici e inventare storie, quindi credo che vorrei fare la
scrittrice anch’io, come i miei.”
“Si, in effetti sei portata. Sei l’unica che riesce
a prendere una A con la Timmed. Sei una raccomandata!”,
ghignò Jess.
“Può darsi. Magari mi dà dei bei voti
solo perché vuole conoscere mia madre.” Leslie
sorrise.
“Probabilmente è così”,
osservò Jess con una falsa aria di disappunto.
“E tu?”, chiese Leslie.
“Boh. Veramente non c’è niente che mi
piace fare particolarmente”, disse Jess.
“Ma sei molto bravo a disegnare, e anche in matematica e
fisica. Non so come fai!” Leslie scosse la testa e
mangiò finalmente il biscotto che continuava a portare alla
bocca e poi dimenticare.
“Si va be’. Ma non è che mi piaccia
molto matematica, o fisica. Se le faccio bene è solo una
fortuna. E poi… non credo che il disegno mi
porterà da qualche parte. Prima di tutto perché i
miei non mi faranno mai
frequentare una scuola apposta. Sai come la pensa mio padre sul
disegno”, disse Jess con una smorfia.
Leslie sospirò. “Forse se gli dimostri che sei
davvero bravo allora ti lascerà. Non può negare
che tua sia molto portato.”
“Mi servirebbe prendere delle lezioni, ma quelle
costano.” Jess rimase pensoso per un po’, poi
disse: “Credo che mi troverò un lavoro estivo,
così potrò mettere da parte qualcosa, e poi forse
potrò pagarmi da solo un corso di disegno.”
“E’ una buona idea. Ma intanto che tu lavori io che
farò tutto il tempo qua da sola?” chiese Leslie un
po’ dispiaciuta.
“Mica vorrai restare qui a far nulla tutta
l’estate”, la rimproverò Jess.
“Perché no? Gli anni scorsi l’abbiamo
fatto.”
“Si ma adesso abbiamo sedici anni, perciò potremmo
anche avere un lavoro.”
“Ah! Tu
hai sedici anni, io ne ho ancora quindici”,
sottolineò Leslie.
“Ma li compirai a Luglio. Non manca tanto” disse
Jess. Rimase ancora un po’ in silenzio.
“T’immagini se riuscissi a convincere mio padre a
lasciarmi studiare arte? Il mio unico compito sarebbe disegnare! Ci
possono essere dei compiti migliori di questo?”, chiese
esaltato.
“Probabilmente no”, disse Leslie sorridendo davanti
al suo entusiasmo.
“Dovrei insistere davvero tanto. E dovrei essere il migliore,
forse così mi daranno una borsa di studio”,
osservò Jess pensoso.
Leslie rimase ad osservarlo, poi prese la sua decisione. La decisione
che molto probabilmente avrebbe cambiato radicalmente le loro vite,
anche se al momento nessuno dei due se ne rese conto.
“Ho deciso Jess! Quest’estate anche io
m’impegnerò a scrivere.”
Jess sorrise e tese la mano. Leslie la prese e la strinse forte.
“D’accordo!” avevano stretto un patto, e
quando loro stringevano un patto s’impegnavano a mantenerlo
al massimo.
“Non ti pare che tutti e due siamo molto, non so…
artistici?”, chiese Leslie ad un tratto, sorridendo eccitata.
“Che vuol dire essere artistico?”
“B’è tutti e due vogliamo fare dei
mestieri non molto comuni. Tu vuoi disegnare e io voglio scrivere. Sai,
dovremmo formare un club.”
“Mi pare una buona idea”, disse Jess,
già soddisfatto di essere considerato artista. “Un
club di artisti.”
“Gli artisti di Terabithia.”
“Solo le persone che conoscono Terabithia e vogliono fare
carriere abbastanza artistiche possono entrarci”, decise Jess.
“Per ora siamo solo in due, ma chissà che non vi
si unisca anche Joyce Ann”, disse Leslie.
Jess sorrise. “Non mi dispiacerebbe se succedesse: Joyce Ann
è una delle mie sorelle preferite… a parte May
Belle.”
“Allora è deciso. Quest’estate
cercheremo di diventare una scrittrice e un pittore” disse
Leslie con un grosso sorriso. Jess non poté fare a meno di
pensare che era un’idea meravigliosa, e già
s’immaginava a viaggiare in giro per il paese a fare mostre.
“Però devi promettere!”, aggiunse Leslie
tendendogli di nuovo la mano, “Devi promettere che niente ci
fermerà, e che faremo di tutto per realizzare il nostro
sogno, e che se servirà ci sosterremo a vicenda.”
Jess sorrise e le strinse la mano. “Prometto”,
disse, e pensava davvero a ciò che stava per dire, e
desiderava ardentemente che le sue parole si avverassero.
“Farò di tutto per realizzare il mio sogno, e ci
sosterremo a vicenda.”
Sbuffando, Leslie gettò un foglio nel cestino della
spazzatura, poi appoggiò il mento alla mano e rimase a
fissare insistentemente attraverso il vetro della finestra. Pensava che
la sua fantasia sarebbe bastata a scrivere almeno un racconto. Nemmeno
troppo lungo magari. Ma no! A quanto pare la fantasia doveva finire
proprio in quel momento. Doveva essere proprio sotto terra,
perché Leslie non si era mai sentita così
abbattuta e priva di idee come allora. Era da giorni ormai che pensava
in continuazione ad una storia. Purtroppo tutto quello che scriveva, o
addirittura abbozzava su fogli trovati in giro per casa, sembrava
inizialmente buono, ma ad una seconda rilettura pareva scontato,
banale. Oppure Leslie si ritrovava a far vivere ai suoi personaggi
avventure e di intrighi senza fine, senza poi riuscire a togliergli
dagli impicci.
E’ assurdo!,
si disse una di quelle volte, non
riesco a risolvere un problema in un mondo che ho creato io stessa! Se
non sono capace di farlo io come potranno farlo i miei personaggi?
Qualcuno bussò alla porta e il padre di Leslie
entrò con una tazza di tè caldo. “Ciao
tesoro. Ti ho preparato il tè al limone, il tuo
preferito.”
“Grazie”, biasciò teatralmente Leslie
facendo cadere la testa sulla scrivania.
Sentì suo padre avvicinarsi e posare la tazza al suo fianco.
Poi udì le molle del letto abbassarsi. Si girò,
con un fantastico broncio dipinto sul viso, a guardare suo padre.
“Che cosa c’è?”, chiese lui.
“Non riesco a scrivere nessuna storia”, disse
cupamente Leslie.
“Ah, capisco”, disse suo padre annuendo a guardando
altrove. “Sai, quando mi hai detto che volevi scrivere un
racconto sono stato molto fiero di te. E sono sicuro che riusciresti
benissimo a farlo ma, sai, scrivere è diverso da immaginare.
Io so che tu hai una grande immaginazione. Ma spesso immaginare
qualcosa è la parte più semplice. Per non parlare
poi di immaginare una storia: immaginare una storia è una
delle cose più difficili che esistano al mondo.”
“Me ne sono accorta”, disse Leslie prendendo la
tazza di tè.
“Spesso l’inizio non è poi
così difficile, ma poi mantenere il ritmo della narrazione
è molto complicato. Lo sai anche tu, no? Hai letto un sacco
di libri.” Leslie annuì.
“B’è, se ti posso dare un consiglio
è di leggere il più possibile, e di cercare
ispirazione in qualcosa che ti piace. Si può trovare
ispirazione in tutto. In giro, in casa, facendo esperienze. La tua vita
è una fonte preziosissima di ispirazione, forse la
più preziosa di tutte. E non ti preoccupare di non riuscire,
non ti sforzare soprattutto. Un’idea forzata non è
la soluzione migliore. Aspetta quello che io chiamo il colpo.”
“Il colpo?”, domandò Leslie poco
convinta, ma tuttavia curiosa.
“Si, il colpo. L’attimo che ti farà
venire in mente una storia diversa dalle altre, talmente buona che non
saprai nemmeno come tu come hai fatto ad immaginarla”, disse
il signor Burke con un vago sorriso sulle labbra.
“D’accordo”, disse Leslie sorridendo.
“Ti ho mai fatto leggere la prima stesura dei miei libri? No,
vero?”
“Non credo”.
“Bene, se mai volessi leggerne una dimmelo subito. Non ti
puoi immaginare quanto sia diversa la storia e delle volte persino lo
stile, alla prima stesura di un lavoro.”
“Okay, grazie mille papà.” Leslie
sorrise e strinse più forte le mani sulla tazza calda. Era
una cosa che le piaceva fare. Dopo aver finito di bere aveva le mani
calde calde.
“Di nulla tesoro”, le disse il padre. Le diede un
bacio sulla fronte e uscì.
Leslie rimase nella stanza a bere il tè bollente e guardare
fuori dalla finestra. Dopotutto suo padre aveva ragione. Forse era
meglio non corrucciarsi troppo e aspettare l’idea giusta.
Elaborala gradualmente nella sua mente e, solo quando era sicura di
essere sulla buona strada, metterla per iscritto.
Si, avrebbe fatto così. Nel frattempo, chissà che
non le sarebbe stato utile leggere diversi libri, di diversi autori,
genere ed epoca. I più famosi magari: Charles Dickens,
Thomas Hardy, Oscar Wilde, le sorelle Bronte. Oppure ancora Jane
Austen, Ernest Hemingway, Robert Louis Stevenson, Emily Dickinson.
Erano così tanti, ma questo non era un problema. Voleva solo
dire che si sarebbe messa d’impegno a leggere.
La casa pareva addirittura disabitata. Una buona parte del muro era
coperta da edera rampicante, il giardino era disseminato di erbacce e
spazzatura, la vernice bianca del cancelletto in ferro si era quasi del
tutto staccata e, nel complesso, sembrava stare in piedi per qualche
brutto scherzo del destino, che non aveva voluto farla crollare solo
per dispetto nei confronti di chi la guardava. Jess spinse il
cancelletto cigolante e dopo aver superato il giardino disastrato
bussò alla porta. Dall’altra parte provenirono dei
rumori di catenelle, poi la porta si aprì, rivelando la
donna più eccentrica che Jess avesse mai visto.
“Tu sei Jess Oliver Aarons?”, chiese con voce
decisa.
“Si. Lei è la signora Felicity
Grenike?”, domandò a sua volta il ragazzo.
“Signorina. Entra”, disse scostandosi dalla porta e
lasciandolo entrare.
Jess entrò e si guardò attorno. Gli
bastò una sola occhiata per capire che l’interno
della casa era una fedele riproduzione dell’esterno. E
sinceramente, guardando anche la proprietaria, non ci si poteva
aspettare altro.
Felicity Grenike era una donna alta e secca, dalle maniere eleganti e
con un carattere duro e temprato dall’esperienza. Aveva i
capelli bianchi, e li teneva ancora abbastanza lunghi, legati in una
stretta e alta crocchia in cima alla testa. I suoi occhi erano azzurri
e penetranti, il suo naso dritto e perfetto. Non aveva l’aria
di un’anziana, aveva una pelle chiara e poche rughe profonde.
Quel giorno indossava una larga camicia colorata, di un rosso intenso,
simile a quelle che si vedono in Africa, pensò Jass. Poi dei
pantaloni verdi, anche quelli molto larghi, che cadevano elegantemente
ai suoi piedi e fluttuavano ad ogni suo movimento. Il tutto era
addobbato da bracciali e gioielli.
La donna condusse Jess in salotto e lo fece sedere sul divano, davanti
ad un tavolino sul quale era posato un vassoio con del tè e
dei biscotti mezzi bruciacchiati. Lei si sedette sulla poltrona di
fronte a lui, incrociando le gambe in modo elegante e posando le
braccia ingioiellate al ventre. “Allora Jess, per prima cosa
vorrei chiederti perché hai deciso di venire a lavorare per
me.”
“B’è…” Inizialmente
Jess aveva pensato solo di dire che voleva guadagnare un po’
di soldi, ma alla fine il suo orgoglio prevalse. Voleva che sapesse
delle sue ambizioni, anche se la signora era praticamente una
sconosciuta. “Voglio mettere da parte dei soldi per potermi
pagare delle lezioni di disegno.”
Negli occhi di Felicity Grenike passò un veloce lampo, ma fu
talmente fugace che Jess pensò di averlo solo immaginato.
“Bene. Al telefono hai detto che t’intendi di
lavori manuali.”
“E’ così”, disse Jess, e il
suo pensiero volò verso il ponte di Terabithia.
“Perfetto. Verrai da me ogni pomeriggio, dalle due alle sei,
dal lunedì al venerdì, e farai tutti i lavori che
ti dirò di fare. Sarai come un uomo tuttofare”,
disse con cipiglio severo. “Per quanto riguarda la tua paga,
siccome dovrai fare lavori pensanti, credo che potrebbero andar bene
anche trenta dollari a giornata.”
“Sette dollari e cinquanta all’ora.”
“Precisamente. Per la prossima volta indossa vestiti
più adatti, non vorrei che tua madre mi accusasse di farti
sporcare il vestito buono della domenica. Per ora potresti iniziare con
il giardino. In cucina troverai i sacchi grandi della spazzatura, in
garage tutti gli attrezzi per estirpare le erbacce.”
Jess, senza farselo ripetere due volte, si alzò e
andò in cucina. Trovò i sacchi della spazzatura
e, in garage, per precauzione, prese due grossi guanti. Non appena
uscì nel giardino, guardandosi attorno e chiedendosi da dove
sarebbe stato meglio iniziare, vide la signorina Grenike, sulla porta
di casa, spegnere una sigaretta sul tacco della scarpa e poi gettarla
in mezzo all’erbaccia. Jess sospirò e
cominciò.
Si prospettava un lavoro lungo.
“Allora com’è andata?”, chiese
Leslie.
“Abbastanza bene. Però in una sola settimana sono
riuscito soltanto a mettere a posto il giardino, ripulirlo dallo schifo
e piantare dei fiori”, rispose Jess. “Quella
signora è strana forte. Dovresti vederla, scommetto che ti
piacerebbe un sacco.”
“Dici?”, chiese Leslie guardando altrove.
“Secondo me sì. Mette sempre dei… non
lo so, dei vestiti stranissimi. Non so neanche quanti anni abbia, ma
non è giovane. Come minimo ha sessantacinque o sessantasei
anni, se non di più. Comunque… tu?”
“Mah, nulla di che. Sto leggendo un sacco. Per prendere
spunto, sai?”
“Che cosa leggi?”
“Un sacco di vecchi romanzi. Ho finito di leggere
l’altro giorno Ragione
e sentimento di Jane Austen. E adesso sto leggendo Il vecchio e il mare
di Hemingway”, disse Leslie.
“E che te ne pare fin’ora?”
“La Austen non è per niente male, credo che
leggerò qualcos’altro di suo. Mi piace il suo
stile. E’ serio, però riesce a tenerti incollato
al libro. Per quanto riguarda Hemingway…” Leslie
si bloccò un secondo. “Sai, i grandi scrittori del
passato non cadevano affatto nel banale quando parlavano del dolore. E
sapevano che si può manifestare nei momenti più
banali della nostra vita. Prendi ad esempio il dolore di un uomo che
mangia, o che guarda fuori dalla finestra.”
Jess rimase un secondo in silenzio, poi sorrise e disse:
“Cavolo. Una decina di pagine di Hemigway e sei diventata
Socrate.”
Leslie rise e si allungò per prendere la grossa bottiglia
d’acqua che stava sulla mensola proprio sopra le loro teste.
Leslie teneva le bottiglie nel freezer e aspettava che fossero gelate,
poi le portava sulla casa. Faceva talmente caldo che il ghiaccio si
scioglieva in circa due ore. Spesso rimaneva un grosso ghiacciolo
informe che galleggiava nel mezzo della bottiglia di plastica, ma alla
fine anche quello si scioglieva e l’acqua rimaneva fresca.
“A proposito di Socrate”, disse Jess,
“l’altro giorno ho trovato un suo libro nella mia
stanza. Dev’essere stato di mia sorella, solo che lo ha
dimenticato. Ne ho letto un paio di pagine ed è
interessante. Se vuoi te lo passo.”
“Grazie. Ma che cos’è? Un
racconto?”, chiese Leslie.
“No. In pratica Socrate era stato arrestato e nella sua Apologia
c’è scritto tutto quello che ha detto quando si
è difeso davanti ai giudici. E’ impressionante,
riesce a rigirare la storia come vuole lui. Infatti lo accusavano di
essere un sofista, e sai una cosa? Avevano assolutamente
ragione”, disse Jess con un sorrisino.
“Davvero? Bello. Immagino che un personaggio così
sia interessante, no?” Leslie pensò ad un
personaggio dal grande carattere e con tanto carisma. Uno come Socrate,
o come Dorian Gray. Affascinante.
“Probabile. Mi passi l’acqua?” Jess
allungò una mano e prese la bottiglia che Leslie gli
porgeva. Proprio mentre beveva si ricordò di una cosa:
“Hm!” esclamò bevendo. Posò
la bottiglia e disse con aria stralunata: “Mio padre ieri ha
trovato il libro su Caravaggio che mi hai regalato al mio
compleanno.”
“E che ha detto?”
Jass sbuffò. “Ha detto un sacco di cose. Prima di
tutto che l’arte è una perdita di tempo, poi che
dovrei farmi regalare dai miei amici cose più utili e, alla
fine, che Caravaggio ci provava con i suoi modelli.” Jess
fece una faccia come a dire assurdo
no?
“Però è vero… di Caravaggio
e i suoi modelli”, osservò Leslie.
“Si ma come fa mio padre a saperlo? E comunque anche se fosse
non è interessante. Quello che importa sono i suoi
quadri”, disse Jess. “Aveva una tecnica pazzesca,
sembrano fotografie”, disse allucinato.
“Sono contenta che ti piacciano. Non sapevo proprio che cosa
regalarti. Ne hai trovato uno che ti piace in particolare?”
“Si” disse subito Jess. “Si chiama Amor Vincit Omnia
e, in pratica, c’è questo ragazzino con le ali
nere, che rappresenta l’amore, e ai suoi piedi un sacco di
cose. Libri, un’armatura, degli strumenti e alcuni spartiti.
Significa che l’amore vince tutto: guerra, musica e
letteratura, tutto.”
“Hm…”, fece Leslie, “Dovrei
scoraggiare questo genere di cose.”
“Perché?”, chiese Jess stupito.
“La letteratura non viene vinta!”
esclamò lei.
Jess la guardò un secondo, poi la spinse leggermente,
ridendo.
Ecchime! ^^
Allora, principalmente il tema di questo capitolo è quello
su cui si basa tutta la fic,
Lo so, alcuni di voi saranno delusi, perchè non si tratta di
una storia d'amore ma di altro, però mi giustifico dicendo
che non c'era scritto nulla di 'amoroso' nel genere XD Insomma, volevo
scrivere qualcosa di diverso, perchè tutte le fic su questo
fandom parlano di storie nelle quali Leslie e Jess si innamorano o one
shot tristi dal punto di vista di Jess.
Ho fatto vivere Leslie perchè altrimenti non sapevo come
fare una fic, non volevo farne una triste. Credo di essere stata
-molto- infulenzata dal fatto che quando l'ho scritta stavo facendo
l'ultimo anno di liceo XD Si, più avanti probabilmente si
noterà di più XD
Comunque non disperate, è possibile che più
avanti accada qualcosa. Non voglio spoilerare troppo però!
Uhuhuh!
Recensioni! Miracolosamente ne ho ricevuta una, sono soddisfatta anche
perchè non me ne aspettavo neanche una ad essere sinceri! XD
Lady Marion:
wow grazie per la recensione, che anima pia! XD Mi spiace ma ho
già infranto i tuoi sogni riguardo a Jess e Leslie che si
mettono assieme, so che in questo modo diventerò molto
impopolare, ma mi sembrava scontato altrimenti XD Comunque, grazie
mille per aver commentato, ciao ciao :)
Un grazie sincero a chi ha letto, spero che aumenterete dato che
così siete ben in pochi! XD Però, insomma,
già sapevo che questa sezione non era poi così
adatta per le long fic, comunque, anche se non ci sarà
nessuno a commentare, se ci sarà anche un solo lettore o
anche una sola persona che segue, io continuierò
imperterrita a postare! La storia tanto è già
finita, si tratta di fare una piccla revisione, non vi
abbandonerò! XD
Patrizia
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