-Drops
File 01: Jigsaw.
Light si portò una mano alla bocca e sbadigliò sonoramente,
distogliendo lo sguardo per pochi secondi da libro che stava leggendo. Se
doveva essere sincero, quando l’aveva visto in biblioteca in un primo momento
aveva storto il naso –non poteva credere che qualcuno che lo conoscesse bene
come suo padre gli avesse consigliato proprio quello che sembravo uno dei
soliti libri con la trama trita e ritrita- ma ad una rapida lettura delle prime
pagine s’era dovuto ricredere e così alla fine l’aveva comprato.
Quando posò di nuovo gli occhi sulle pagine, faticò un po’ a
trovare la riga a cui era arrivato e alla fine si arrese a dover riprendere
dall’inizio del capoverso per riuscire a cogliere il senso logico dopo quella
piccola distrazione.
Calcolò mentalmente che dovevano essere le due del mattino,
se qualcuno l’avesse saputo ancora sveglio si sarebbe beccato una ramanzina coi
controfiocchi, ma non spense la lampada sul comodino, anche se era
effettivamente stanco.
No, non era la lettura di quel libro a tenerlo ad ogni modo
sveglio, era interessante ma non così tanto. La ragione era un’altra e bussò
timidamente in quel momento alla sua porta. Un tocco così debole e soffocato
per non attirare l’attenzione dei genitori nell’altra stanza.
Light alzò gli occhi al cielo, nonostante se lo fosse
aspettato per tutto il tempo; scivolò fuori dalle lenzuola e cercò le ciabatte
finite magicamente nel punto più odiosamente irraggiungibile sotto al letto. Con
un sospiro decise di lasciar perdere e si avvicinò scalzo alla porta.
«Non riesco a dormire» biascicò Sayu, abbassando lo sguardo
con aria quasi colpevole.
Il fratello sbuffò, vagamente divertito, ma quando parlò
cercò di far risultare la voce quantomeno severa, «non te l’avevo detto che non
era il caso che guardassi quel film?» domandò, scostandosi per farla entrare.
«“L’enigmista” sembrava un titolo tanto simpatico» rispose
lei in un debole tentativo di difesa, avanzando nella stanza del fratello.
Non era la prima volta che succedeva: Sayu nella sua
ingenuità da bambina di otto anni che era, aveva scelto l’ennesimo film
splatter, Light aveva cercato inutilmente di farle cambiare idea spiegandole
perché era meglio evitare ma lei non aveva voluto saperne nulla, incoraggiata
da Sachiko che le faceva fare quello che voleva, quindi lui non poteva che
rassegnarsi al fatto che di notte la sorellina avrebbe avuto gli incubi e gli
sarebbe toccato dormicchiare sulla sedia della scrivania perché Sayu, a quanto
pareva, in quei casi si sentiva “al sicuro” solo nella sua stanza.
«Mi domando cosa ci sia di più simpatico
di uno pseudo-killer sadico e psicopatico» fece lui,
ironico, prima di rendersi conto d’aver detto decisamente qualcosa di troppo,
osservò mezzo secondo la sorellina che s’era ghiacciata sul posto, con lo
sguardo terrorizzato, poi decise di correggersi, «volevo dire: Mi domando cosa
ci sia di più simpatico di un attore che viene pagato per fare la parte del
killer in un film, in un film che assolutamente non è reale ed è solo frutto
dell’immaginazione di qualche pazzo, ovviamente».
Sayu s’infilò sotto le coperte per nascondere il tremore,
cosa che però non sfuggì a Light. «Ascoltami, era solo un film, okay?» le disse
con tono d’urgenza.
«Però le cose brutte
succedono ugualmente» farfugliò Sayu.
Il fratello ebbe un sospiro, «è
ovvio che succedano… ma succedono anche cose belle, no? Pensando solo al
negativo non puoi che sprofondare» disse, rimboccandole le coperte; «dai,
adesso dormi… io rimango a controllare che nessun’attore da strapazzo salti
fuori dall’armadio armato di coltello di gomma».
Spense la lampada, in quel momento le pagine del libro gli
apparvero molto più interessanti di quel buio
accecante interrotto solo dalla debole luce verdognola del led della sveglia.
«Tu non faresti mai cose brutte… voglio dire, non uccideresti mai, vero?» domandò Sayu a
tradimento.
Light rimase interdetto qualche secondo. La risposta sarebbe
stata ovvia, meccanica, dettata da una falsa morale prefabbricata, ma la
verità, si rese conto, era che non ci aveva mai realmente pensato.
«No» s’affrettò a rispondere, «no, non penso che arriverei
mai a tanto».