Des “je t’aime”
de quatorze juillet
Des “toujours”
qu’on achète au rabais.
- Padam Padam-, Edith Piaf
-
Tra quanto abbiamo l’aereo? –
-
Tra un’ora… Poco meno, in realtà.
Cinquanta minuti. –
-
Mh. –
-
Un altro caffè? –
-
Sì, grazie. –
-
Scusi… Scusi! –
-
Mi dica. –
-
Un macchiato caldo. E… E un altro normale, senza zucchero.
–
-
Arrivano subito. –
-
Grazie. –
-
… -
-…
-
-
…E se avessi voluto un cappuccio? O, che so, un americano?
–
-
Da che ti conosco, lo hai sempre preso macchiato. E tassativamente
caldo. Me lo
ricordo bene perché in un paio di occasioni l’hai
pure rimandato indietro, dopo
che l’uomo al bancone aveva commesso
l’imperdonabile sgarbo di servirti la
schiuma fredda. –
-
Impressionante. Non ti sfugge mai nulla, vero? –
-
Di te? No, mai. E’ quasi una maledizione. –
Quell’ultimo
giorno a Parigi Brian sembrava beffardamente più bello che
mai. I capelli gli
erano cresciuti un
poco, fino a lambire
distratti la curva morbida dei lobi, e si arricciavano delicatamente in
punta,
con una grazia che Matthew non esitava a definire femminile; e gli
occhi,
quegli occhi così chiari e belli al punto da essere quasi
crudeli, sorridevano felici
a tutti - ma soprattutto a lui.
Matthew
gli lanciò un ultimo sguardo da sopra il giornale, prima di
nascondervisi
nuovamente dietro, ignaro del fatto Brian stava facendo lo stesso da
oltre la
cortina di fumo della propria sigaretta. La meticolosa osservazione si
era
compiuta nello stesso identico modo anche per lui: aveva provato
piacere nel
notare quanto gli abiti gli cadessero meglio addosso di quando erano
partiti, e
quanto le sue mani sembrassero più affusolate ed eleganti
del solito, e quanto
i suoi occhi apparissero lucidi e sereni sotto quel sole opaco e, come
loro, un
po’ malinconico.
Mi
sembrerà mai più desiderabile di come
è ora?, pensavano entrambi, con un’ansia
che era divorante quanto piacevole.
-
Lo stai facendo di nuovo. – sussurrò Brian,
divertito. Matt alzò lo sguardo
dall’articolo che stava svogliatamente leggendo e
incontrò il suo, caldo e
ammiccante, da oltre il tavolo ingombro di tazze vuote.
-
Cosa? – domandò, sorridendo curioso. Brian
ridacchiò.
-
Quando leggi, emetti questo continuo “mh, mh” che
è quasi indecente, lasciatelo
dire. –
Matt
alzò le spalle in un piccolo arco rassegnato.
-
Mi piace leggere. – disse, quasi giustificandosi.
-
Lo so. – sussurrò Brian, inarcando maliziosamente
le sopracciglia. – E si nota,
anche. –
Una
cosa che lo
divertiva da morire era stare sveglio mentre lui dormiva.
Il
motivo era
semplice: nel sonno, Matthew faceva di tutto – parlava,
piagnucolava, si
rigirava, rovesciava le coperte, gli tirava calci e pugni –
tranne che dormire.
Qualche
volta,
come quella notte, persino rideva. Ed osservarlo sghignazzare nel sonno
era uno
degli spettacoli più esilaranti e adorabili cui Brian avesse
mai avuto
l’occasione di assistere. Guardare quest’uomo di
oltre trent’anni - minuto, caldo
di sonno e coi capelli arruffati, sdraiato su un fianco con la testa
appoggiata
al palmo di una sua mano - ridere
ad
occhi chiusi facendo tremare le lenzuola tese sopra il suo petto era
qualcosa
di indescrivibile.
Che
sogno
straordinariamente felice devi star facendo, si diceva Brian mentre lo
osservava con un sorriso tenero sulle labbra. E ogni volta si sentiva
combattuto
fra lo svegliarlo, curioso e un po’ invidioso di tutta quella
gioia dalla quale
in qualche modo si sentiva tagliato fuori, e lasciarlo sorridere
entusiasta ad
occhi serrati e pugni chiusi, senza distogliere lo sguardo da lui
nemmeno un
attimo.
Purtroppo,
episodi
meravigliosi come quelli erano rari. Durante le poche volte che avevano
avuto
occasione di dormire insieme in un posto che non fosse Parigi lo aveva
spesso
dovuto svegliare con un brusco “Matt” e uno
scossone deciso sulla spalla, per
distoglierlo da qualche incubo orrendo che lo faceva gridare a pieni
polmoni. Come
se lo stessero scorticando vivo, si diceva turbato ogni volta mentre
gli
massaggiava il collo per calmarlo.
Spesso,
la paura
e il disagio non lo abbandonavano nemmeno una volta sveglio.
-
Cammino per strada
– gli confidava spesso, con una voce sottilissima e acuta,
gli occhi spalancati
dal terrore - e incontro solo persone che conosco, Tom, Chris, Dominic,
Paul, Gaia,
mia madre, e tutti mi danno la schiena… Io li tocco su una
spalla per farli
girare, li saluto, li abbraccio, ma loro non mi riconoscono e mi
guardano
freddi e distanti - si chiedono chi diavolo io sia e perché
li stia
importunando in questo modo… - sussurrava, le parole che gli
si spezzavano in
gola al solo ripensarci. Brian lo abbracciava confuso, terribilmente
angosciato
da quella paura che non era sua, accarezzandogli piano i capelli e
forzandolo a
fissare lo sguardo nel proprio.
-
Matt, è
finita, era solo un sogno… - gli diceva, lento e
consolatorio.
-
…E tu, Brian –
sputava fuori infine Matthew, iroso, la voce strozzata da un
singhiozzo, - tu
quando ti sfioro la spalla non ti volti nemmeno, e io urlo
“Brian, guardami!”,
ma tu non ti giri, non lo fai mai… Mai… E io
continuo a gridare… -
Si
riaddormentavano stretti l’uno all’altro,
abbracciati, tremanti e attanagliati
da una sensazione di gelo che non sapevano né volevano
cercare di definire con
chiarezza.
-
Anche tu sei molto trasparente per quanto riguarda quello che ti
piace… -
ribatté Matthew, un sorrisino compiaciuto sulle labbra.
Brian lo considerò con
aria di sufficienza.
-
Devi sempre cadere nel triviale. – sbuffò.
-
Ah, io non cado da nessuna parte. Sei tu che sei subito andato a
pensare a
quello. –
-
Certo. Quanta malizia tutta in corpo solo, eh Matt? –
-
Mi hai proprio tolto le parole di bocca. –
Scoppiarono
a ridere piano. Genuinamente divertiti, entrambi.
La
luce livida di Parigi sembrò avvolgere quel momento in una
bolla di impalpabile
eternità.
Matt
strinse lo
schienale della sedia fino a farsi diventare le nocche bianche.
-
Dio, a volte
sei troppo stronzo per essere vero, Brian. –
sibilò, tremante di rabbia. Lui
rispose con una risatina antipatica.
-
Stavo per
dirti la stessa cosa. – rispose asciutto, accendendosi una
sigaretta con un
gesto brusco. Matt gli gettò un’occhiata incredula
quanto rabbiosa.
-
Cosa credi,
che siccome sono qua a casa tua mi trasformerò in un
maritino ubbidiente e
servizievole? Per chi cazzo mi hai preso per trattarmi così?
–
-
Ti ho chiesto
solo di non fare storie, di evitarmi almeno questa seccatura. Una cosa
sola ti
ho chiesto, Matt, Cristo, ma tu sei di un egoismo tale che… -
Matt
abbandonò
la sedia e aggirò il tavolo, avvicinandosi a lui con uno
scatto violento.
-
Io?! Io,
egoista?! Quando mai tu mi sei venuto incontro anche solo per sbaglio?
Di
quante cose ti sei sbattuto pur sapendo che mi ferivano a morte? Eh?
– lo incalzò,
afferrandogli la manica della giacca e strattonandogliela con forza.
Brian lo
allontanò con una spinta, fuori di sé.
-
Ah, ma bene,
ogni cosa fa schifo, io sono un figlio di puttana che in tutto questo
tempo non
ti ha mai dato niente… Perché allora non ti togli
dai coglioni, visto che con
me ti fai solo del male? – urlò, allargando le
braccia come a volerlo
simbolicamente liberare. Matt lo osservò tirare una boccata
nervosa dalla
sigaretta e dargli le spalle, camminando avanti e indietro per
scaricare la
rabbia. Gli occhi gli bruciavano e la sua sagoma cominciò a
sfumare pian piano,
riducendosi solo a una sfocata macchia nera che si muoveva indifferente
e non
gli rivolgeva neanche lo sguardo.
-
Bene. – disse,
e afferrato il cappotto dall’attaccapanni
nell’ingresso infilò la porta e se la
sbatté dietro le spalle.
Brian
esplose in
un urlo frustrato. Andò in bagno, si sciacquò la
faccia e osservò a lungo il
proprio riflesso nello specchio, trovandolo orrendamente gonfio e
paonazzo come
quello di un ubriaco.
Tornato
in
soggiorno si accese un’altra sigaretta e andò ad
appoggiarsi braccia conserte
sul piccolo davanzale della cucina, che dava sulla Senna. Lo
cercò con lo
sguardo e lo trovò quasi subito: stava scomparendo a passi
veloci dietro il
muro del palazzo all’angolo, facendo per chissà
quale ennesima volta il giro dell’isolato.
Un
quarto d’ora
dopo sentì i suoi passi sulle scale e lo avvertì
aprire la porta praticamente
con una spallata.
-
Già qui? – lo
apostrofò sarcasticamente, per nulla sorpreso, sedendosi su
una delle sedie che
circondavano il tavolo dove cenavano ogni sera. Matt gli
lanciò uno
sguardo disgustato.
-
Faccio le
valigie e me ne vado, stronzo. Non resto qui un minuto di
più. –
Brian
sbiancò. Matt si era diretto senza la minima esitazione nella loro
camera
da letto, e poteva sentire chiaramente il tonfo sordo del suo trolley
che
precipitava a terra fin da sopra l’armadio. Si
alzò di scatto, la gola improvvisamente
secca, e lo raggiunse quasi correndo.
Stava
davvero svuotando i cassetti, le ante, le mensole, tutto quanto.
-
Matt… -
cominciò, inquieto.
-
Che cazzo vuoi
ancora? – sbottò lui, alzando per un momento lo
sguardo dal comodino – da cui
aveva tolto tutti i suoi libri – per fissarlo nel suo, colmo
di disprezzo – Ti sto
obbedendo. –
Brian
ondeggiò
lievemente sulle proprie gambe.
-
Siamo maturi,
Matt, cerchiamo di risolverla adesso, non fra- -
Matt
scosse la
testa, esasperato.
-
No. Basta.
Basta davvero. Sono al limite. –
-
Matt- -
-
Non voglio ascoltarti,
Cristo! –
Brian
gli chiuse
la valigia con un movimento rapido e violento.
-
E invece lo
farai, cazzo, che tu lo voglia o no. –
Matt
si
allontanò dal letto e lasciò andare di schianto
le spalle contro l’armadio,
passandosi le mani fra i capelli.
-
Sono stanco,
Brian. Rispettami, almeno per una volta, e lasciami andare. –
mormorò, esausto. Brian
gli si avvicinò in un attimo.
-
Di cosa sei
stanco, Matt? Dimmelo. Parliamone. – gli sussurrò,
cullante, appoggiandogli una
mano sul braccio. Matt si scostò infastidito.
-
Non serve a
niente, Brian. Avrei dovuto capirlo da un pezzo. –
Sentì che sobbalzava,
colpito dalle sue parole. Un silenzio teso e immobile calò
fra loro due come un’ascia.
Matt fissò lo sguardo a terra.
-
Giusto.- lo
sentì mormorare, infine. E la sua mano stavolta era
già sotto la sua camicia, distesa
possessivamente sul suo petto. – Parlare non è mai
stato il nostro forte. –
Matt
voltò istintivamente
la testa.
-
No. –
Il
bacio cadde
sul suo collo, prepotente e umido. Brian mugolò arrabbiato e
scese ad
afferrargli i fianchi con le mani per impedirgli di scappare. Matt gli
premette
le mani sulle spalle.
-
No. – sibilò tremante.
Brian ne approfittò per gettarsi sulla sua bocca e lo spinse
con tutto il suo
peso contro l’armadio, intrappolandolo con forza. Il suo
corpo scottava contro
il suo, ugualmente bollente – perché erano
arrabbiati, ed agitati, e spaventati
a morte, e tutto questo li eccitava da morire, e non avrebbe dovuto,
Cristo,
non avrebbe dovuto proprio.
Le
dita di
Matthew smisero di opporre resistenza e cominciarono a stringere,
forte, troppo
forte, con l’intenzione di fare male.
Non
ci
riuscirono, quella volte come molte altre.
Continuò
a dire
no fino al momento in cui venne fra le sue dita. E dopo, malgrado tutte
le
maledizioni che si lanciò dentro di sé per quella
debolezza, non poté fare
altro che cominciare a ridere.
Brian
fece lo
stesso, il naso affondato contro il suo collo.
-
Di solito… -
cominciò ancora senza fiato. Brian ora sghignazzava senza
ritegno.
-
…Lo so. Di
solito, la gente in quel momento dice sì. –
terminò per lui, abbracciandolo. –
Ma da te, Matt, mi aspetto questo e altro.-
Matt
gli passò
un braccio attorno al collo, stringendolo contro il petto.
-
Perché devi
rovinare il sesso in questo modo, Brian… - gli chiese,
sospirando. – Non voglio
che sia così. Non è stata una violenza
perché l’ho voluto anch’io,
ma… -
-
Non dirmi che
non ti è piaciuto perché non ti credo.
– sibilò Brian nel suo orecchio,
facendogli correre un brivido lungo la schiena. Matt scosse la testa.
-
Certo che mi è
piaciuto. Sei tu. Ti voglio, ti ho sempre voluto, ti vorrò
sempre, maledizione…
Non è questo il punto. –
Brian
alzò su di
lui due occhi lucidi e terribilmente intensi.
-
Io per un
secondo ho davvero pensato che non mi volessi più.
– disse in un soffio. Matt
fece un cenno di dissenso, sorridendogli con uno sguardo intenerito.
-
Non voglio più
questa situazione, è diverso. Noi non siamo così:
noi siamo meglio, di così. Che senso ha una storia in
cui
non solo non ci si migliora a vicenda, ma addirittura ci si peggiora?
–
-
Nessuno. –
mugugnò Brian, nascondendo vergognoso la testa
nell’incavo della sua spalla.
-
Nessuno. –
ripeté Matthew, placato, spingendolo sul letto non prima di
averlo sgombrato
dalla valigia con una manata. – E ora lasciami lavare questo
orrendo orgasmo di
dosso. –
-
Orrendo…? –
tentò di protestare Brian, ma Matthew lo stava
già baciando.
-
Dobbiamo andare, Bri. – gli disse con dolcezza, piegando il
giornale e
sporgendosi per toccargli delicatamente un braccio. Brian si riscosse
d’un
tratto da chissà quale fantasticheria.
-
Mh? Oh, sì, certo. –
-
E’ arrivato il taxi. –
-
Andiamo. Corro dentro a pagare. –
Matt
prese le valigie di entrambi e fece un cenno amichevole
all’auto che si era
fermata all’angolo col bar.
-
Bellamy, ha chiamato dieci minuti fa? – chiese cortesemente
il tassista,
abbassando il finestrino. Matt annuì.
-
Sì, sono io. –
L’uomo
sembrò esitare un attimo prima di ricominciare a parlare.
-
Senta, non vorrei fare una figuraccia, ma… Bellamy dei Muse?
–
Matt
sorrise e annuì nuovamente. L’uomo doveva avere
sui sessant’anni, e aveva una
rada barba incolta sulle guance che gli donava un’aria
burbera e simpatica.
-
Scusi, sa, ma io di complessi musicali proprio non so nulla, temevo di
scambiarla per un altro. Mi farebbe un autografo per mia figlia? Si
chiama
Emilie, va pazza per voi. – chiese a disagio, allungandogli
un fogliaccio che
aveva recuperato dal parabrezza e una penna smangiucchiata
all’estremità. Matt
acconsentì di buon grado.
-
Emilie, ha detto? –
-
Sì. Grazie molte. –
-
Di niente. – disse, restituendogli il foglio autografato. - Scusi, dobbiamo aspettare il
mio… - Si interruppe, divertito. Per fortuna Brian ricomparve dalla porta del
bar e
gli venne incontro con una corsetta e un gran sorriso sulle labbra. – Ah,
eccolo. Possiamo
andare. –
Un
giorno che
stavano passeggiando davanti a Les Invalides e Brian si era allontanato
per
fare una foto, un ragazzo con una maglietta con
su
stampate le date del loro tour del 2006 gli si era fatto accanto,
raggiante di
gioia, e gli aveva chiesto di poter fare una foto con lui. Matt aveva
annuito
con gentilezza e subito dopo un sogghigno compiaciuto era affiorato
sulle sue labbra.
Un’idea.
-
Ehi, lei. –
Brian si era voltato istintivamente, fissandolo con aria sorpresa.
– Sì, lei
col cappotto nero. –
Brian
lo aveva
guardato come se fosse impazzito d’un tratto.
-
Ma cosa… -
aveva cominciato, confuso. Matt gli aveva fatto l’occhiolino,
circondando con
un braccio le spalle del ragazzo che sembrava aver raggiunto la
beatitudine
massima.
-
Ci farebbe una
foto? –
Brian
era
rimasto immobile, spiazzato, poi aveva sorriso mordendosi la lingua fra
i
denti.
-
Ma certo. –
sibilò, velenoso, avvicinandosi per prendere la macchina
fotografica dalle mani
del ragazzo che gli lanciò uno sguardo colmo di gratitudine.
– Dite “Muse”. –
urlò, una luce perfida negli occhi.
-
Muse! –
dissero allegri i due. Brian scattò nel’attimo
giusto e riuscì a catturare il
preciso momento in cui le labbra di ogni essere umano della Terra si
piegavano
a imbuto nel pronunciare la parola Muse. Perfetto: la foto era
ridicola.
Accettò
bonariamente i ringraziamenti del ragazzo e si avvicinò con
lentezza a Matt,
che gli sorrideva entusiasta.
-
Che gran
figlio di puttana che sei. – disse, quando il fan fu
scomparso nella
folla. Matt addirittura gongolò.
-
Odiava i
Placebo. Si vedeva lontano un miglio. – cantilenò
gioioso, passandogli un
braccio attorno alle spalle.
-
Sei veramente
irritante. –
-
Mi hai almeno
inquadrato, nella foto? –
Matt
tenne aperta la portiera a Brian per farlo entrare, e questi si sedette
accavallando le gambe in un modo così volutamente
omosessuale che non poterono
far altro che ridacchiare come cretini.
Il
taxi partì veloce e silenzioso in direzione
dell’aeroporto.
-
Vi dispiace se metto un po’ di musica? – chiese il
tassista, gettando loro uno
sguardo dallo specchietto retrovisore.
-
Faccia pure, non c'é problema. – dissero, quasi in coro.
Lo
sentirono armeggiare con qualche cd e accendere l’autoradio
con un verso
soddisfatto. L’inizio di “Don’t Stop Me
Now” dei Queen, poi un pezzo dei Led
Zeppelin, poi…
-
La prego, lasci questa! – esclamò Brian, mentre
Matthew emetteva un verso di
sincero disappunto.
-
Certo! – rispose affabile l’uomo, alzando il
volume. Il riff di chitarra
esplose nell’auto con tutta la potenza di quelle casse
malmesse.
-
Uno a uno palla al centro, Bellamy, bastardo! – fece Brian,
alzando entrambi i
pollici e cominciando a cantare la prima strofa di “Every
You, Every Me” con un
entusiasmo selvaggio. Matt si prese il viso fra le mani.
-
Le piacciono… i Placebo, signore? – chiese
l’uomo, controllando con lo sguardo
sulla custodia del cd. Doveva
essere una
compilation della figlia.
-
Lei non sa nemmeno quanto. – sputò fuori Matt,
sconfitto, alzando la voce per
contrastare gli ululati di Brian.
Matt
gettò uno
sguardo alle valigie disposte vicine accanto alla porta.
Basta,
la tregua
era finita. Parigi era finita. Per lui, smetteva letteralmente di
esistere non
appena quei brevi periodi di gioia, convivenza, tremende discussioni e
dichiarazioni
spuntate dal nulla terminavano.
Perché
terminavano,
ed era giusto che fosse così. Quella non era vita vera. Era
semplicemente ciò
che sapeva di meritarsi dalla propria relazione con Brian.
Lanciò
uno
sguardo alla sveglia. Le sei e tredici. Fra una mezz’ora
avrebbe dovuto
svegliarlo, e obbligarlo ad alzarsi, e controllare per entrambi di non
aver
lasciato niente sotto il letto o sul tavolino d’ingresso, e
lasciare casa sua
vuota e spoglia come la gabbia di uno zoo da cui fossero scappati tutti
gli
animali. E dimenticare Parigi.
Almeno
fino alla
prossima volta.
Note:
quella
che
doveva essere una tragedia greca si è tramutata in un
giochino idiota fra due
uomini ugualmente idioti XD Ma così ha voluto chi tutto
può, e così sia. Non mi
dispiace poi così tanto farla finire un po’
più allegra.
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