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Non è che possa leggersi molto, veramente. Sono due, tre
numeri in serie, depositati lì, apparentemente, senza molto senso.
Non so che pensare, sinceramente. Non è che mi interessino
poi molto i deliri di qualche matto. Non è che, poverino, debba considerarlo
necessariamente in questo modo. E’ che, se vi raccontassi quello che m’ha fatto
passare martedì sera, forse capireste perché, sarebbe meglio evitare di
prestargli ascolto. Eravamo tutti e due in un locale notturno, uno di quelli che
scaraventa luci fluorescenti sulla strada, quand’è che la sera ammalia il mondo.
Devo dire che, in passato, lo avevo anche trovato un tipo interessante. M’ero
offerta di accompagnarlo a prendere qualcosa, ancora prima che si facesse vivo
lui. Ora, non posso credere che, davvero, quei numeri appuntati frettolosamente
sul gesso, siano frutto di quello che penso, perché, altrimenti, devo ben
chiedermi chi diavolo ho davanti. La cosa mi spaventa alquanto, devo dire. Ora,
di tutte le motivazioni che un tizio, in giro, può avere per gettarsi da un
ponte, non necessariamente alto, fatemi capire se quella dei numeri al lotto, vi
sembra ragionevole. Torniamo al bar. E’ vero che la vita a volte può essere più
che noiosa ed uccidere tutte le sensazioni, ma perché farmi crepare di terrore?
Era stata anche una bella serata. Devo dir la verità, un po’ fresca. E non è che
il freddo mi piaccia particolarmente. Comunque, alla fine, c’eravamo mossi
entrambi. Avevamo deciso di concederci una passeggiata romantica lungo il lago.
Bellissimo la sera, davvero. Uno spettacolo che non si immagina. Ci sono tutte
queste velette che ammansiscono le piccole increspature causate dal vento,
questi colori che, ancora, non sanno di notte, ma s’apprestano a tingersi di
scuro. Non ci sono molti posti in giro che possano dirsi tanto gentili. Ed
ecco, allora che, ad un certo punto, mentre recupero il mio gelato alla crema
dalla piccola pasticceria ancora aperta, non trovo Sirio più al mio fianco.
Finisco di pagare e mi dirigo verso l’acqua, dove riesco ancora a scorgere la
sua sagoma.
Non mi lascia tregua, mi squadra. Ha un sorriso ebete
dipinto in faccia. Non so come mai prima non me ne fossi accorta. Comincia a
cantare a squarciagola. Mi rivolgo a lui atterrita:
“Che diavolo fai?”
Non è che sembri preoccuparsi molto di me; anzi,
improvvisamente apre la braccia e si tuffa nel vuoto. Non vi dico: il cuore sale
all’esofago, i palmi cominciano a sudarmi, le orecchie tamburellano come se
anche loro avessero organi cardiaci da qualche parte, pronti a pulsare.
Sicuramente, son diventata di gesso, in quel momento. Tanto che, una signora,
accortasi della mia reazione, si ferma a chiedermi se sto bene. Per quel motivo
quell’idiota ha il braccio rotto. Perché non si poteva dire che la spiaggia, dal
ponte, fosse separata da una distanza insormontabile. Il suicidio, quale
ragione, quindi, poteva escludersi. Ed, infatti, mi avrebbe spiegato d’aver
fatto un sogno, nel quale aveva potuto rivedere la nonna, morta poco tempo
prima. La cosa lo aveva principalmente sconvolto, ma poi, lentamente, era
scivolata nel limbo del non senso, come tutto il resto. E sarebbe rimasta lì,
se, quella mente malata, non avesse evocato una sequela di numeri disposti sul
braccio ingessato dell’anziana donna. Ovviamente, non avrebbe potuto pretendere
di ricordarli, così, senza supporto. Per questo, aveva deciso di tentare la
strada dell’esperienza. Ed infine, c’era riuscito, in qualche modo. Non è che
fossi contenta di sapere d’aver a che fare con uno psicotico, certo è che, ora,
ero ben curiosa. Avrei atteso la sera, comunque, per scoprire se la cosa si
fosse avverata.
Stranamente, il gesso non aveva avuto modo di rammentargli
alcunché. Era stata la carta argentata disposta ad otturare lo Yogurt che la
mattina gli era stato servito in ospedale, ad aiutarlo a ricordare. Una specie
di codice a barre. Vai a veder te, quindi, le coincidenze.
“Ci vieni sta sera, da me?” Mi domanda, strizzando
l’occhio.
Gli sorrido. Non so se considerarlo folle o sprovveduto.
Non so se aver paura. Non so nemmeno se quello che mi è successo sia mai
capitato a qualcuno e mi chiedo se, in qualche modo, centri la sfiga. La verità
è che tutta questa storia, non so per quale ragione, mi diverte immensamente. La
trovo paradossale, realmente. Si dice che il mondo sia bello proprio perché
vario. Beh, certe particolarità, quando s’esprime generalmente il concetto, di
solito, non vengono considerate. Così uno pensa sempre che ci si riferisca ai
petali dei fiori. Assumono tutte quelle sfumature in primavera e sono veramente
una delizia per gli occhi. Raramente ne trovi uno potenzialmente pericoloso,
però.
Chiamatemi folle, ma la curiosità è troppo forte. Inoltre,
forse proprio a causa delle sue stranezze, a me Sirio piace. E poi, non posso
prevedere quale diavolo di reazione avrà se, rimasto solo, quei numeri non
fossero annunciati dalla conduttrice. Se tutto andasse male, almeno, posso
sperare di consolarlo.
Così, dopo lo scoccare delle diciotto, ci siamo riuniti in
auto e abbiamo guidato sino a casa.
Un’abitazione gradevole, devo dire. Mi ha versato un drink
e ci siamo accomodati sul divano.
Abbiamo discusso del più e del meno, per lungo tempo.
Eppure, quando è stata ora d’ascoltar pronunciare le sequenze di numeri, lui s’è
raggelato. Anch’io, veramente, sento gli arti irrigidirsi. L’attesa punge come
un ago sulla pelle. Piccole goccioline brillanti si son condensate attorno agli
occhi e agli zigomi. Brividi di freddo percorrono il torace, si distendono sulla
schiena. Le mani non riescono a trattener più molto delle emozioni. Si
spalancano le dita. Il bicchiere s’infrange cospargendo i resti sul pavimento.
Abbiamo vinto, non si sa quanto, perché, come c’era
d’aspettarsi, non sono uscite tutte e sei le cifre. Certo, un qualche tipo di
somma è nostra, da dividere o da vivere insieme. |