Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Nuova pagina 1
Disclaimer: Leggete Orlando Bloom e pensate che sia un
nome qualsiasi. Una pura convenzione. Ovviamente non lo conosco affatto e non
voglio offendere nè lui né nessun altro con le mie divagazioni.
In questo capitolo vi segnalo subito uno spoiler. In
un punto vi ho descritto il finale de “I 400 Colpi” di Francoise Truffaut per
spiegare un particolare stato d’animo della protagonista. L’ho segnalato in ogni
modo, se pensate di guardarlo in futuro potete tranquillamente saltare a piè
pari un paio di righe, non me la prendo!
A nessun’altro potrei dedicare questo lavoro se non a
Moon. Spero che fra tanti anni, quando ci ricorderemo di questo week-end
potremmo sentirci felici come lo siamo adesso!
Nota del 23-5-2005:
Se volete inserire questo racconto in forum, blog e quant’altro potete farlo. Ma
non con il copia/incolla… Credo sia più opportuno, e soprattutto gradito per me,
riportare il link di questo sito! Grazie!
Un nuovo lavoro
Chiuse
gli occhi, scacciò dalla sua mente ogni pensiero.
Cercò
di sentire solo l’acqua calda che saliva piano nella vasca da bagno, il tepore
era l’unica cosa sensazione che voleva provare, la sola che le ricordasse di
essere viva.
Sarebbe durato poco, lo sapeva. Una breve parentesi ai suoi bui pensieri.
Se le
cose non cambiavano in fretta avrebbe dovuto troncare di netto i suoi studi e
tornare a casa dai suoi, avrebbe dovuto cercarsi uno squallido posto da
cameriera e avrebbe fatto quel lavoro per tutta la vita. Avrebbe dovuto chiudere
i sogni nel cassetto e lasciare che il tempo l’aiutasse a dimenticare il
fallimentare tentativo che aveva fatto di diventare qualcuno, qualcuno che
contasse veramente per se stessa. Neanche il senso di rivalsa nei confronti
della sua famiglia le interessava, non avevano mai creduto in lei, né l’avevano
mai aiutata in un modo qualsiasi, ma la cosa non la stupiva. L’attenzione era
stata sempre rivolta a suo fratello, il maschietto di casa, sempre coccolato e
viziato…certe madri sono così, si innamorano dei propri figli maschi come se
rivedessero in loro l’uomo di cui si erano innamorate in gioventù e che magari
non era più quello di una volta. Suo padre infatti, non si interessava mai di
nessuno, né di lei né tanto meno di suo fratello e sua madre. Non era stato un
buon genitore, fallendo in propositi di fare soldi legalmente tentò di farli
disonestamente, non riuscendo anche quella volta. Fu arrestato e mise in serio
pericolo se stesso e la famiglia.
L’idea
di trasferirsi negli Stati Uniti e studiare regia non aveva suscitato niente in
lui, a parte la solita raccomandazione di non fare il passo più lungo della
gamba:
- Sai
che non potremmo fare molto per te, economicamente.- E lei si, lo sapeva. E non
aveva certo chiesto niente, i soldi che aveva messo da parte negli ultimi due
anni con i lavori estivi le sarebbero stati utili proprio per cominciare. Da
sempre contava solo su se stessa.
Era
partita nonostante tutto, con un misto di ansia e paura, ma anche con la voglia
di riuscire.
Da
allora erano passati tre anni. Los Angeles era una città caotica e non le
piaceva granché, ma ci si era gradualmente abituata. Il college andava bene, il
problema era il suo non essere nessuno. Certo, se avesse avuto le conoscenze di
alcuni suoi compagni di corso forse avrebbe potuto aspirare a fare l’aiuto
regista in qualche film di serie b, tanto per cominciare. Ma lei non aveva le
conoscenze di alcuni figli di papà che magari, solo per essere figli d’arte o
per i soldi, avevano sempre la strada spianata. E nemmeno nei docenti poteva
tanto contare. Anche loro avevano occhi solo per certa gente e una ragazza di
ventidue anni doveva essere disposta a qualche sacrificio per farsi notare in
quel caso. Aveva sempre saputo che il mondo del cinema era un mondaccio, ma non
immaginava così tanto.
Ciliegina sulla torta, aveva perso il lavoro. Fra un po’ avrebbe dovuto
cominciare a chiedersi come avrebbe fatto a pagare l’affitto.
La
voglia di lavorare certo non le mancava, ma troppe ore impegnata le avrebbero
fatto perdere tempo per gli studi, allontanandola dall’obiettivo principale,
quello di poter vedere realizzate le sue idee sul grande schermo. E lei ne aveva
di idee, era un vulcano di idee. E di idee anche più brillanti di quelle dei
suoi ben più ricchi e più conosciuti compagni di corso.
L’acqua era diventata tiepida e le sue dita cominciavano ad assomigliare ad una
prugna secca. Uscì da quella scomoda vasca da bagno, l’appartamento dove le
avevano affittato una stanza era veramente orribile, ma era la sola sistemazione
che poteva permettersi. Si avvolse nell’asciugamano e tornò nella sua camera per
asciugarsi e vestirsi. Quella sera sarebbe andata a vedere un film alla cineteca
studentesca. Era in programma per quel mese una rassegna sui più importanti
autori del cinema francese e quella sera avrebbero proiettato “I 400 colpi” di
Francoise Truffaut. L’aveva già visto, e ne era rimasta colpita, nonostante
questo sapeva che certe pellicole meritano di essere viste sul grande schermo e
quando vedeva in programma dei film che le erano piaciuti andava a vederli senza
indugiare. Era stato bello vedere capolavori di Chaplin come “Il grande
dittatore” al cinema, una vera emozione. Per altro il cinema odierno se non in
rari casi non le trasmetteva quello che provava nel vedere i vecchi film. La
semplicità l’attraeva più d’ogni altra cosa, i film di oggi spesso non
riuscivano ad esserlo. Non tanto per gli effetti speciali, che comunque non le
piacevano, ma per le storie in sé. Tutto doveva avere una sua spiegazione
logica, necessariamente. I film di paura erano quelli che detestava di più: a
volte erano così banali e scontati che dopo pochissimo già le riusciva facile
sapere come sarebbero andati a finire. A quel punto le tornavano in mente i
capolavori di Hitchcock, dove la paura era fine solo a se stessa, dove gli
intrecci erano più intrigati e intriganti. Pensava alle attrici superbe di
Hitchcok, a Tippi Hedren, a Kim Novak alla meravigliosa Grace Kelly,
quest’ultima specialmente nel suo preferito di Hitchcok, “La finestra sul
cortile”, con James Stewart. Poi ritornava sul film che stava guardando, con
quelle attricette senza spessore e senza grazia, con le tette gonfiate e con
fare da cretinette. Certo, non era tutto da buttare il cinema contemporaneo, ma
per lo più non lo conosceva e non lo seguiva.
Sì,
sarebbe uscita, per una sera distrarsi le faceva bene.
Nonostante i tre anni passati al college non era riuscita
a farsi degli amici. Le sue compagne la facevano sentire in soggezione e non
aveva mai veramente guardato in faccia un ragazzo ad uno dei corsi che aveva
frequentato. Il sesso maschile per lei era sempre stato nemmeno un mistero,
piuttosto qualcosa a cui lei non voleva neanche avvicinarsi. Non provava
repulsione, ma vergogna. Qualcuno nel corso della sua vita aveva provato a farle
notare che non era normale e che il suo comportamento alla presenza di uomini
che non fossero suo padre, suo fratello o altri con cui aveva un rapporto del
genere era veramente anomalo. Durante gli anni del liceo soprattutto, a chiunque
sembrava strano che lei sfuggisse i rapporti umani mentre tutti i suoi coetanei
erano immersi nel vortice amoroso dell’adolescenza. Preferiva rifugiarsi in un
cinema, sempre da sola, a sognare che un giorno sarebbe stata lei a mettere in
scena i drammi e le gioie che le riempivano il cuore in quelle sale buie.
Uscita dal cinema dopo le 21. Si strinse nel suo
maglioncino di cotone, non per il freddo, a Los Angeles non faceva mai freddo,
più come un gesto di raccoglimento. Mentre camminava verso casa tratteneva nella
sua mente l’emozione di quel bambino di dodici anni che corre via lontano dalla
sua prigione, verso il mare che non aveva mai visto. La storia non va avanti,
forse verrà trovato e riportato dov’era il suo posto, ma in quel momento, sulla
piaggia, con i piedi nell’acqua, è più libero di chiunque altro sulla faccia
della terra. Anche a lei sarebbe piaciuto essere così libera, non la libertà che
già aveva, una libertà totale, senza nessun vincolo. Dopo poco le ritornarono
alla mente i suoi pensieri, fu un bene tornare a casa e trovare una buona
notizia. Avevano chiamato dal collocamento, forse le avevano trovato un lavoro
adatto a lei. La signora Doyle aveva raccomandato che si presentasse al più
presto, subito, la mattina seguente.
Alle
nove del mattino era già davanti nell’ufficio, aspettando il suo turno.
-
Tesoro, accomodati!- Le disse la signora Doyle quando la vide. Già tre anni
prima si era rivolta a quell’ufficio per un lavoro e la signora Doyle aveva
sempre cercato di farle avere di lavori adatti a lei. Le era rimasta subito
particolarmente simpatica, era una ragazza così timida ed educata, sembrava
indifesa e non particolarmente in grado di far fronte alle difficoltà che le si
sarebbero presentate come studente lavoratrice, quindi aveva preso subito a
cuore la sua situazione. Dopo poco aveva potuto notare che Emily, nonostante il
suo carattere schivo e quell’aria da ragazza indifesa non era affatto debole
come sembrava. Capì subito che era abituata a provvedere a se stessa e la
simpatia che aveva provato nei suoi confronti si trasformò in affetto, un
affetto che le dimostrava occupandosi di lei anche oltre l’aspetto lavorativo.
Spesso la domenica pomeriggio invitava Emily a prendere il thè a casa sua e
parlavano un po’ di tutto. Per lei che aveva ormai quasi sessant’anni e non
aveva avuto figli stare con Emily era una cosa che la faceva sentire meno sola.
-
Prima di tutto vorrei sapere perché ti hanno licenziata, non ci volevo credere
quando me l’hai detto l’altra settimana. E soprattutto perché hai aspettato un
mese per dirmelo?-
-
Tagli al personale, hanno detto. Io ero stata una delle ultime ad essere stata
assunta, quindi…- rispose, facendo finta di non aver capito la seconda domanda.
La verità è che si era vergognata, anche se sapeva di non avere nessuna colpa.
-
Capisco - disse la signora Doyle. Dopo una breve pausa aggiunse: - Avrei trovato
qualcosa per te, mi hanno raccomandato di scegliere una persona seria e
discreta, soprattutto sulla discrezione si sono raccomandati, sai, c’è di mezzo
una persona di una certa notorietà. E’ una nota casa di produzione
cinematografica che mi ha chiesto di cercargli qualcuno, sai. E’ un po’ anche il
tuo campo.- Emily rimase perplessa. - Di che si tratta esattamente?-
- Ti
dovresti occupare di una casa che ogni tanto rimane vuota. Sai, una specie di
guardiano: dare l’acqua alle piante, controllare che sia tutto apposto insomma.
Lo stipendio non è altissimo, ma c’è compreso anche l’alloggio. Infatti, per
questo lavoro tu abiteresti in una parte della casa con entrata propria. Non è
vicinissima al campus, ma non credo che sia una grosso problema per te.-
- E in
ogni caso, peggio di dove sto adesso non sarà, spero.-
- No,
no, è una bellissima zona, gli autobus la servono molto bene e la casa è molto
bella. Ogni tanto sarà abitata, allora tu nei momenti in cui lo sarà dovrai
svolgere mansioni da donna di servizio. Sarà un po’ più impegnativo, ma sarà per
poco tempo ogni tanto.-
- Non
è affatto un problema, la situazione mi sembra buona. E per la lontananza dal
campus non mi preoccupo se si tratta solo di alzarsi un po’ prima la mattina.-
-
Benissimo! L’unica cosa è che devi decidere in fretta, l’agenzia che mi ha
contattata ha detto che dovresti cominciare questo lunedì, e oggi è giovedì.
Sai, volevano una persona un po’ più grande, ma ti ho raccomandata fortemente.
Praticamente il posto è tuo, se lo vuoi. Pensaci un paio di giorni, vogliono la
conferma per sabato.-
- Non
ho bisogno di pensarci, signora Doyle. Ho bisogno di lavorare, lei lo sa. E se
lei me l’ha proposto con tanta sollecitudine, io mi fido.-
-
Sicura?-
-
Sicurissima. Ma chi sarebbe la persona proprietaria della casa?-
- Non
lo so questo, tesoro. Ma ti metto subito in contatto con l’agenzia, che ti
spiegherà di preciso il lavoro che devi fare.- Scrisse qualcosa su un foglio e
lo porse a Emily. Poi continuò.- Questo è l’indirizzo dell’agenzia, vacci subito
se puoi. Io intanto gli chiamo per dire che sto mandando qualcuno.-
Emily
notò stupita che era un indirizzo di Beverly Hills. Accidenti, ma allora doveva
essere una persona veramente famosa. Uscì dall’ufficio della signora Doyle
ringraziandola, quindi si diresse a prendere un autobus. Ci sarebbero voluti
quaranta minuti buoni per arrivare nel posto dove doveva andare, sull’autobus
tirò fuori il suo libro dalla borsa e si immerse nella lettura.
Arrivata nell’ufficio, notò subito che era elegantissimo. Si sentì un po’ in
soggezione, si avvicinò ad una signorina indaffarata che dietro una scrivania
non faceva che rispondere la telefono e appena poté farlo comunicò lo scopo
della sua visita. Fu indirizzata in un ufficio, dove la accolse una “donna in
carriera” che stava parlando con l’auricolare al telefono con qualcuno. Le fece
cenno di sedersi, Emily obbedì. Quando la chiamata finì la signorina che le
stava davanti le chiese chi fosse. Emily si imbarazzò un po’, quell’ambiente le
era assolutamente estraneo e un po’ timidamente disse: - Em… Emily Paxton
signorina, mi ha mandato l’agenzia…-
- Ah,
certo, mi scusi signorina Paxton, mi era sfuggito di mente.-
Si
presento porgendole la mano:- Eva Johansonn. Poi le indicò la sedia come in
precendenza:- Si accomodi, prego.- Emily si era alzata di nuovo in piedi, quando
l’altra aveva concluso la telefonata, per educazione. La donna in carriera
continuò:- Le hanno già spiegato a grandi linee in cosa consiste il lavoro?-
- Sì,
- rispose Emily, - ma sono stati un po’ vaghi. Lei mi direbbe qualcosa in più?-
-
Certo, ho chiesto espressamente che lei venisse a parlare con me quanto prima
proprio per questo. E’ un lavoro delicato, quando si ha a che fare con persone
note si deve innanzi tutto assicurarsi di potersi fidare di chi si ha davanti.
Lei si occuperà della casa di un attore abbastanza famoso, dovrà firmare un
contratto che la vincolerà al silenzio assoluto su qualsiasi particolare della
vita privata del quale lei venisse a conoscenza. Inoltre dovrà rispettare certe
regole. Per questo volevamo una persona un po’ più matura. Sa, la vita di una
studentessa universitaria è un po’, diciamo, movimentata. Magari potrebbe
venirle la tentazione di spifferare alle sue amiche qualche particolare…-
- Di
questo non deve preoccuparsi assolutamente. Sono un modello di discrezione,
gliel’assicuro.-
- Sì,
la signora Doyle me l’ha detto. L’ha raccomandata caldamente e dato che la
signora Doyle non mi ha mai lasciata a mani vuote quando mi sono trovata ad
avere carenza di personale, mi fido. Lei ha tutte le qualità richieste.-
La
donna spiegò nei dettagli il lavoro. La casa non era molto grande, il lavoro in
ogni caso non sarebbe stato durissimo, Lei doveva accertarsi che tutto
funzionasse e che tutto fosse in ordine per i periodi in cui sarebbe stata
abitata. Non poteva tenere animali e non poteva ricevere visite nei periodi in
cui la casa era occupata. Doveva sempre controllare che tutto funzionasse a
dovere e se riscontrava qualche cosa di anomalo doveva occuparsi di chiamare un
tecnico. Il giardiniere sarebbe venuto in ogni caso una volta a settimana, casa
abitata o no. Insomma, era in effetti casa sua, ma doveva diventare un fantasma
quando la casa era abitata. Non era difficile, anzi, era fantastico come lavoro.
Le avrebbe lasciato parecchio tempo libero. Inoltre lo stipendio non era affatto
così basso come la signora Doyle aveva detto.
- Che
le sembra signorina Paxton?-
-
Tutto bene, ho capito. Solo vorrei sapere di chi è questa casa.-
-
Questo potrò dirglielo solo quando avrà firmato accordi vincolanti a lavoro
accettato. Adesso perché non va a vedere la casa? Così mi farà sapere con
precisione se intende accettare o no. La faccio accompagnare in macchina, anche
se è a poca distanza da qui.-
Chiamò
qualcuno al telefono, dopo pochi minuti arrivò un ragazzetto al quale fu chiesto
di accompagnare Emily alla famosa casa. Nel breve tragitto il ragazzo spiegò che
chi la occupava era appena andato via e che forse ci sarebbe stato un po’ di
disordine. La persona che si occupava del lavoro aveva dovuto lasciarlo
improvvisamente.
La
casa era bellissima e anche il mini appartamento che lei avrebbe dovuto
occupare. Emily decise all’istante che avrebbe accettato il lavoro. Non le
sarebbe mai più capitata un’occasione del genere. Avrebbe praticamente avuto un
appartamento per se, era bellissimo!
La
riaccompagnarono in ufficio e tornò nell’ufficio della Johansonn, disse che
aveva deciso di accettare il lavoro. Firmò quello che c’era da firmare, per lo
più le famose clausole che la vincolavano alla riservatezza. Ringraziò e fece
per uscire, quando la donna in carriera la bloccò:- Non vuole più sapere per chi
lavorerà?- A Emily in effetti era completamente uscito di testa dopo aver visto
la casa. – E’ vero – rispose. –Me n’ero dimenticata.-
-
Orlando Bloom. Capisce ora il perché di tanta discrezione?-
Emily
guardò perplessa la donna in carriera, non aveva mai sentito quel nome.
-
Veramente no, signorina. Chi sarebbe?-
La
donna in carriera rise di gusto, poi aggiunse:- E’ già entrata nella parte, eh?
Si, è proprio la persona che fa per noi.-
Emily
continuava a non capire. Non sapeva davvero di chi si trattasse! E del resto,
non è che le importasse un granché.