Capitolo
1
Camminavo
per le strade di Los Angeles in preda alla rabbia, ero uscita di casa
solo per non vedere quella faccia da stronza di mia madre. Mio padre
aveva deciso di andarsene in 2 giorni, anche se per me lo pensava da
molto tempo. Mia madre era una fottuta fallita, di me e mio fratello
non gliene fregava un bel cazzo. Quel pomeriggio di fine dicembre mi
aveva proprio rotto. A lei interessava solo andare a farsi qualche
bottiglia al club delle sue amiche ancora più puzzolenti di
lei. Mio fratello si faceva i cazzi suoi, viveva solo per sé
stesso, e così iniziai da un po’ a farlo anche io. Mio padre
ci mandava i soldi ogni mese, ma si assicurava sempre che non li
prendesse mia madre, bensì solo noi due, non voleva più
niente da quella stronza, se non il divorzio più immediato.
Attraversai
la strada e quasi un coglione mi mise sotto, il clacson mi fece
spaventare, ma non me ne fregava nulla, ero solo una giornata di
merda in cui avevo bisogno di farmi i cazzi miei, e dovevo trovare un
modo per sfogarmi. Accesi l’i-pod e mi misi ad ascoltare gli
Smashing Pumpkins. Billy Corgan era sempre stato il mio idolo,
l’unico a dimostrare i miei stati d’animo in ogni momento della
mia vita, triste, incazzata o felice che fossi. La sua musica mi
rimbombava nelle orecchie quando decisi di svoltare in un vicolo che
mi avrebbe portato fino al mare. Mancavano due giorni a capodanno e
mi sarei aspettata davanti un altro anno d’inferno con quella
fottuta stronza in casa che non sapeva altro che dirmi “tesoro…vai
a comprarmi le sigarette?!” oppure “vai tu a fare la spesa, i
compiti lasciali per dopo…ah, non scordarti la vodka alla pesca e
il bayleis, sai, è tanto dolce…”.
Puttana,
avevo sempre maledetto il giorno in cui mi aveva messa al mondo.
Giunsi alla spiaggia mentre canticchiavo tra me e me “despite of my
rage I am still just a rat in a cage”. E aveva fottutamente ragione
il mio Billy. Ero solo un topo in gabbia, e non potevo scappare, non
sapevo dove andare, i nonni materni li odiavo, davano sempre ragione
a mia madre, e i nonni paterni stavano in Canada, a Montreal. Ma non
potevo accollarmi a loro, con tutte le spese, la scuola ecc.. non
volevo essere più un peso per nessuno, nemmeno a mio fratello,
che speravo un po’ di bene me lo volesse.
Mi
sedetti su una torretta chiusa e mi accesi una sigaretta. “cazzo”
pensai… le avevo anche quasi finite, dovevo passare a prenderle.
Non vivevo senza le mie Winston Blue, stavo diventando una fottuta
accanita di fumo… ma almeno speravo di non diventare come mia
madre. Non me lo sarei mai perdonato, non volevo fare del male ad
altre persone ancora. Perché ero arrabbiata? Beh, quella
schifosa aveva vomitato in camera mia dopo una delle sue nottate
passate con le amichette, ormai non la sopportavo più…proprio
per niente. “I’ll be your stumbleine…I’ll be your super
queen”. Billy e le sue canzoni…la mia vita, il mio sangue, il mio
ossigeno. Neanche la scuola mi interessava più come una volta.
Dopo aver fissato il sole che tramontava e aver lasciato che mi
violentasse bene gli occhi ripresi la strada per tornare a casa.
Aprii il cancello ed entrai sospirando, non avevo voglia di andare a
pulire la mia stanza, in fin dei conti non era la mia merda che
puzzava là dentro. Avrei dormito sul divano. La luce in cucina
era spenta, quella del salotto pure; salii le scale e vidi la porta
della stanza di mio fratello semi aperta. Bussai, ma avevo paura di
rompergli, era un tipo riservato, ma molto deciso, dovevo ringraziare
solo lui se ero ancora lì, avevo sempre contato su di lui.
“Avanti” disse a voce bassa. Entrai a testa bassa, stringeva un
sigaretta tra le labbra mentre infilava una maglietta nella sua
grande valigia blu.
“Che
stai facendo?” gli chiesi.
Bob
mi guardò con il suo sguardo profondo “giusto te
cercavo…preparati la borsa…metti l’essenziale...stanotte alle 4
ce ne andiamo…” disse con tono serio e aspirando dalla cicca.
Non
capivo, dove cazzo aveva intenzione di andare?? Sotto a un ponte
forse?! O sulla torretta abbandonata all’inizio della spiaggia?!
“Che
cazzo stai dicendo Bob?! Dove pensi di andare? Non abbiamo un cazzo
di posto dove stare..” “questo lo dici tu piccola…” prese tra
le dita la sigaretta e soffiò fuori il fumo. Si voltò e
mi mise una mano sulla spalla, facendomi un po’ rabbrividire; non
lo avevo mai visto così fottutamente serio, ne stava pensando
una di grossa stavolta. “Ho un amico nel Jersey, uno che ho
conosciuto a un concerto a Chicago, e ci siamo sempre tenuti in
contatto, gli ho detto che me ne voglio andare..mi ha detto che
vicino a Newark c’è una scuola abbastanza grande, anche con
vitto e alloggio…ce ne andiamo lì, ho già fatto le
iscrizioni via internet. Poi ho risparmiato un po’ di soldi questo
mese e ho comprato i biglietti dell’aereo, ce ne andiamo Mony”.
Rimasi senza parole. Una parte di me esultava, finalmente me ne
sarei uscita da quella topaia e sarei scappata da
quell’arteriosclerotica di mia madre, l’altra parte di me però
aveva paura, di quello che avrei trovato. Mio fratello si accorse
della mia espressione un po’ titubante. “Mony, tesoro…stai
tranquilla…sei l’unica cosa che ho al mondo ora…e ti porterò
via con me, via da questa merda, via da quella donna che dice di
averci messi al mondo”. Avevo una voglia di gridare, di picchiare
qualcuno, di spaccare tutto, ma mi limitai a farmi stringere forte da
quell’orso di mio fratello, perché sì, lui era un
orso buono, con due spalle grandi così da far paura, ma era
tanto tanto buono.
“Sta
tranquilla…andrà tutto bene, devi solo fidarti del tuo
fratellone” mi sussurrò in un orecchio dandomi un bacetto
sulla fronte. “Ora va…preparati la borsa…non dimenticarti le
cose essenziali…poi per il resto compreremo tutto lì”.
Annuii “va bene…ma a papà l’hai detto?!” “certo….non
ti preoccupare…ha detto che è d’accordo…”.
Me
ne andai in camera mia mordendomi le labbra dal nervoso, appena
accesi la luce dovetti correre ad aprire la finestra, non ce la
facevo a sopportare quell’odore schifoso. Buttai sopra alla
schifezza qualche foglio di un vecchio giornale e feci tutto in
fretta. Misi nella valigia più grande che avevo tutta la mia
roba, tralasciando quello che non usavo più. Infilai anche le
mie foto, tutto, perché sapevo che lì non ci sarei più
voluta tornare. Misi il portatile nella valigetta, e qualche libro
nello zaino. Poi portai tutto in camera di Bob. Infilai infine il
caricabatterie, le sigarette e i miei cd più preziosi nella
borsa e chiusi la porta della mia stanza, anzi, ormai ex stanza.
Portammo tutto in cucina… la troia non sarebbe scesa a vedere che
facevamo, se ne stava in camera a farsi le unghie sul suo letto
puzzolente con una sigaretta in una mano e una bottiglia nell’altra.
Mi
versai un bicchiere di latte e lo buttai giù tutto d’un
sorso, poi accesi la tv e senza cena mi buttai sul divano a
sonnecchiare. Belle giornate del cazzo, e avevo appena passato il
Natale più squallido della mia vita, mamma mi aveva regalato
un quaderno e due penne, a Bob invece un cd…e pure masterizzato.
Maledetta morta di fame, la odiavo con tutta me stessa, e anche di
più. Ma ora gliel’avremmo messa in culo e l’avremmo
lasciata marcire sul suo letto, quella alcolizzata del cazzo, buona a
niente.
Capitolo
2
Sentii
qualcuno scuotermi per le spalle facendomi svegliare. La tv era
ancora accesa, ne sentivo i suoni pacati. Aprii gli occhi e Bob
seduto accanto a me mi disse di alzarmi. Mi stiracchiai un po’ sul
divano, poi mi alzai, andai a svuotare la vescica e misi in bocca una
gomma da masticare.
“Dai
piccola, sono le tre…tra un’ora parte l’aereo!!” disse
mettendosi la giacca. “Ma chi cazzo ci porta all’aeroporto Bob?!”
chiesi in procinto di fare uno sbadiglio.
“hey
calmina ragazza, ti si sono viste anche le budella da quanto hai
aperto la bocca…comunque ci porta David…mi ha fatto questo grande
favore..”. David era un suo grande amico, forse il migliore che
aveva. Misi la giacca anche io e uscimmo a scoprire la notte. “Cazzo
aspetta, ho dimenticato l’i-pod…” dissi fermandomi di scatto
sul cancello e intralciando il passaggio anche a Bob, a cui caddero
tutte le cose che aveva in mano. “Monyyyy….muoviti corri…cazzo…”.
David comparve sorridente dal cancello e gli diede una mano. Corsi
dentro e recuperai l’i-pod che avevo lasciato sul divano
incustodito…il mio gioiellino. Avevo una tentazione di andare di
sopra e vedere per l’ultima volta la faccia in decomposizione di
quella donna che voleva farsi chiamare mamma, ma Bob mi chiamò
e mi mise fretta, così dovetti uscire. Salutai David e
accertandomi di non aver dimenticato nulla, o quasi salii nel suo
minivan.
“Bob…ne
sei davvero sicuro? Guarda che ce n’erano posti più vicini
dove poter andare” gli disse, un po’ triste per la nostra
partenza. Mio fratello deciso gli rispose “se sto nei dintorni
quella vacca verrebbe ancora in cerca di romperci, non mi va…e poi
Mony sta male…devo portarla via da tutta questa merda…”.
Parlavano come se io non ci fossi o se fossi una bambina di appena 7
anni. “Beh, lo so che sei cocciuto, fai come ti pare, ma almeno
ricordati dei tuoi amici…” “certo David, me ne ricorderò…”.
David mi sorrise e partì a tutto gas verso l’aeroporto.
Dalla sua autoradio provenivano bassi suoni di canzoni di Muse e Red
Hot Chili Peppers. Bob forse un po’ nervoso la spense; in effetti
la tensione si faceva sentire anche sui miei di nervi. David mi
chiese che ne pensavo. “Che dovrei pensare…?! Che non vedevo
l’ora perché quella troia mi ha rovinato l’adolescenza?!”
Rimase un po’ spiazzato dalla risposta alquanto nervosetta che gli
avevo dato. Dopo pochi minuti di silenzio Bob si voltò e mi
sorrise passandomi una mano dietro, che strinse forte.
“E’
l’unica cosa che ho cara David, la mia sorellina, voglio il suo
bene, ce ne hanno spalata tanta di merda addosso i nostri
genitori…mio padre è un buono, ci manda i soldi perché
quella fallita non ha voglia di lavorare e apre il suo salone di
parrucchiera solo quando ha voglia, però la rabbia che ho
anche con lui è tanta…poteva portarci via…no?!”. Bob
lasciò di nuovo David spiazzato. Si misero a parlare di
automobili, così, per non addormentarmi mi misi ad ascoltare
il mio Billy Corgan.
“Mony
alzati!! Muoviti!” aprii gli occhi, incosciente di averli anche
chiusi. Spensi la musica e presi la mia roba dal portabagagli. Bob si
accese una sigaretta e caricò mezze cose in spalla. Appena
David chiuse il portellone Bob lo abbracciò forte. “grazie…
sei un amico vero…”. Abbassai la testa e attesi il mio turno di
salutarlo. David mi passo una mano dietro alla schiena.
“Ciao
baby, ricordatevi di chiamare quando arrivate…e anche ogni tanto
magari…”. Gli passai le braccia attorno al collo. “Non
dubitarne…lo faremo..”. Gli diedi un bacetto sulla guancia e
presi le mie valigie. Dopo quell’attimo di tenerezza mi ricomposi e
tornai a fare la cazzona di sempre, con la faccia da dura e l’aria
scocciata.
Io
e mio fratello ci prendemmo le valigie e ci incamminammo verso
l’entrata sotto lo sguardo di David, ma non ci voltammo, né
io né Bob. Eh, eravamo fatti della stessa pasta.
Dopo
aver lasciato giù le valigie e aver fatto tutta la solita
tiritera, ce ne andammo ai nostri posti. Io avevo quello vicino al
finestrino. E Bob quello accanto.
“Che
ne dici…posso dormire un po’?” feci a Bob. Lui mi sorrise e mi
scompigliò un po’ i capelli.
Appena
dopo il decollo presi sonno neanche a dirlo.
Dormii
proprio di gusto, senza rigirarmi tanto come facevo di solito come
una ribelle e non sognai neppure.
“Hey
scema….siamo arrivati…apri gli occhi…” Bob mi scosse
violentemente per le spalle.
“Hey!!!
Faccia da orso!! Sta un po’ fermo…” gli tirai un pugno sulla
spalla e sentii l’aereo toccare terra. “Porca troia che
colpo…potevi svegliarmi almeno 10 minuti prima, che mi preparavo
all’impatto”.
Scendemmo
dall’aereo un po’ con le gambe traballanti dalla stanchezza.
Recuperammo le valigie e uscimmo dall’aeroporto. Il sole mi accecò
gli occhi.“Cazzo
Bob, e adesso dove andiamo?!”. Non ottenni risposta, ma vidi che
prese il suo cellulare.“Pronto…ciao
Ray…si sono arrivato…ti ringrazio…ok ciao…” mise giù.
Breve, conciso e determinato. Non osai chiedergli altro. Dovevo solo
andare al bagno.Lasciai
lì la mia roba ed entrai di nuovo in aeroporto. Già che
c’ero mi lavai anche le mani e la faccia e passai a prendere due
bicchieroni di caffè.Lo
trovai seduto sulla sua valigia che fumava una sigaretta. Gli porsi
il caffè e mi accesi una cicca anche io. Poggiai le labbra sul
bicchiere. “Aspetta un attimo…brindiamo…” “Ahaha, Bob sei
matto??Col caffè?!”. Sorrise anche lui “in mancanza di
champagne…allora…a noi due sorella…e alla nostra nuova vita.”.
facemmo sfiorare i bicchieri e bevemmo il caffè.
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