Frammenti
in soffitta
[Prompt
#295: “Scatolini in soffitta”]
Sua
madre non gli aveva mai raccontato della sua giovinezza, della sua
infanzia, né tanto meno della sua adolescenza.
Non
immaginava che avesse perso così tante foto del passato, tutte
le storie scritte e poi dimenticate.
Ma
un giorno si ritrovò in soffitta, in un luogo polveroso ed
enorme che non credeva di possedere nella sua minuscola casa.
Sua
madre era morta l'anno precedente, aveva appena tredici anni. Viveva
con la nonna da quel giorno. In realtà non credeva nemmeno di
avere nonna, sua madre gli raccontava che era morta per darla alla
luce. La donna gli spiegò che aveva viaggiato da Napoli fino a
Milano soltanto per prendersi cura di lui, sarebbe stato un piacere
conoscerlo. Era una brava signora, gli preparava dei piatti squisiti,
gli mostrava delle immagini di sua madre da piccola. Non se l'era mai
chiesto come fosse da giovane: la vedeva semplicemente com'era, una
trentenne indaffarata che gli carezzava la testa spessissimo e ogni
notte piangeva nel suo letto a due piazze.
Il
ventisei agosto provò ad aprire la porta che gli era stato
sempre detto fosse murata. Invece lì sopra c'era di tutto:
tutto quello che sua madre gli aveva tenuto nascosto. Capì,
comprese che tra lui e lei c'era un muro invalicabile del passato che
si ostinava a tenere stretto a sé più di quanto facesse
con il bambino. CD, cornici, abiti, quaderni pieni di disegni e
parole, un computer funzionante appoggiato su una cassapanca, diari
segreti, annotazioni, uno stereo nel quale era inserito un album di
musica rock, riviste, poster; c'erano pile di foto in scatoline:
paesaggi, una folla di persone accaldate, una band musicale su un
palco, il volto di una ragazza che sembrava proprio sua madre e un
microfono stretto nelle mani sudate vicino alle labbra gli occhi
socchiusi, ragazzo alla batteria con i capelli bagnati, chitarra
lucida, occhi commossi, accendini nel cielo, telefonini che
proiettavano luce, abbracci stampati su carta, un salto in un
corridoio bianco e i corpi stanchi, sorrisi rubati e sorrisi di posa,
braccia morbide braccia muscolose, cappellini di “My chemical
Romance” ed “Escape The Fate”, una libreria come
sfondo, indicare un CD in una vetrina, sua madre con una donna dai
capelli rossi, sua madre con un uomo con un tatuaggio sulle nocche:
“Halloween”, l'amica – che era quasi in ogni foto –
e un ragazzo con una giacca di pelle e la faccia da bambino, sua
madre baciava un uomo. Era l'unica in cui sembrasse innamorata, era
l'unica con quegli occhi aperti pieni di emozione e distrutti dal
dolore più grande del mondo: la felicità. Non era mai
stata umana come in quel ritratto, con le mani che cercavano la pelle
dell'uomo che non era abbastanza, con le anime che provavano a
fondersi e non ci riuscivano e sanguinavano. Veniva da domandarsi,
spontaneamente: “Perché?” e da piangere, piangere
fino all'alba del nuovo mondo e la fine dell'altro; allacciarli,
bisognava allacciarsi, e ancora non sarebbe bastato. La colla più
potente del mondo.
Lo
osservò meglio quell'uomo prima di rubare la foto e
infilarsela nei jeans: gli era familiare, gli sembrava di averlo già
visto.
E
ancora tazze, felpe, magliette, promesse, giuramenti, DVD di estati e
inverni e autunni, videocassette di film d'epoca, lattine di
coca-cola conservate con scritte di pennarello indelebile nero, un
pezzo di legno con una frase disarmante “Not afraid to keep
on living”, ritagli di giornali: cronaca nera di morti,
alluvioni, uragani, crolli di governo, povertà, morte. E
ancora bigliettini, appuntamenti, lettere senza risposta –
inviate, ricevute – autografi sbiaditi, pezzi di carta con
macchie di lacrime, libri distrutti dalla pioggia, foto scolastiche,
quaderni di matematica italiano filosofia greco latino e inglese,
traduzioni di canzoni mai ascoltate, lettori musicali impolverati,
scatoloni pronti per essere riempiti.
Tutto
quello era vuoto, vuoto per lui, non c'era spazio per un figlio, non
c'era neanche un centimetro per chiunque che non facesse parte di
quei ricordi: lui, lui non era figlio della donna.
In
quella confusione di vita, un giorno, avrebbe trovato una lettera
indirizzata proprio a lui, sotterrata da pacchi di fumetti: la madre
gli chiedeva perdono perché non era stata degna del suo
compito, desiderava una redenzione da tutto il male che gli aveva
causato, tutto ciò che c'era in quella soffitta non valeva
neanche un grammo di lui. C'era una copia della foto
dell'uomo: la madre gli diceva che era suo padre.
Ma
strappò quelle parole, credendo che fossero menzogne, perché
fino a quel momento aveva nuotato nell'oblio di una vita che gli era
stata ripudiata.
Angolo
dell'autrice:
Fanfiction partecipante al “2010:
a year together”, indetto dal «
Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, «
since 01.06.08 ».
La
citazione “Not afraid to keep on living” fa parte
della canzone “Famous last words” del gruppo musicale My
Chemical Romance.
Fatti,
luoghi e persone sono completamente inventati, tranne i gruppi citati
come Escape The Fate e My Chemical Romance; ogni corrispondenza alla
realtà è puramente casuale.
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