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Sproloqui:
Credo che molti sanno che i Padri Pellegrini arrivarono con la
Mayflower nel 1620 sulle coste dell'America del Nord e che rischiarono
di morire di fame e di stenti, per fortuna loro i nativi del luogo
decisero di aiutarli.
Il mio OC si chiama Matoaka -era il vero nome di Pochaontas <3-
e
incarna il popolo dei Nativi Americani. Non ho molto da specificare se
non che ho amato questa bambina e l'ho rappresentata come tale per
l'innocenza e la purezza spirituale di questi popoli, che rispettavano
completamente il mondo che li circondava.
Accarezzare
il mondo
Quando America, quel giorno, vide la piccola barca di Inghilterra
sparire in lontananza, si sentì perduto.
Era sempre stato abituato a vivere da solo in quei territori
sconfinati, ma dopo così tanto tempo passato con quel suo
nuovo
fratellone, non riusciva più a sopportare l'idea di stare
solo.
Per lo meno, non così solo.
Fissò a lungo l'orizzonte, aspettando che calasse il sole e
quando questo calò, il bambino attese con pazienza che la
luna
salisse.
Non voleva tornare a casa. Certo, Arthur gliene aveva costruita una
piccola e graziosa, con tante assi di legno una sopra all'altra e dei
piccolo balconcini, da dove i fiori estivi scendevano rigogliosi.
Era semplice, sì, ma così calda e familiare che
per lungo
tempo Alfred aveva deciso di non uscire finché Inghilterra,
curioso e voglioso di esplorare nuovi territori, non lo aveva
trascinato fuori.
Ora, però, non ci voleva tornare.
L'idea che quella casa fosse vuota e senza Arthur lo teneva lontano.
Così calò la notte e il freddo e Alfred rimase
lì, sperando -ingenuamente- che suo fratello tornasse.
Il giorno dopo si ritrovò infreddolito e intirizzito a
terra, si
era stretto al suo mantello di lana, ma il freddo pungente delle ultime
sere di estate lo aveva congelato.
Starnutente e tremante corse fino a casa, una volta lì cerco
in
tutti i modi di riscaldarsi. Accese il fuoco, si avvolse in coperte
pesanti di pelliccia, chiuse ogni finestra, si rintanò sotto
il
letto.
Ma niente, quel freddo, quel tremendo freddo gli era entrato dentro e
chissà quando se ne sarebbe andato.
Passarono delle settimane e presto i viveri lasciatogli da Inghilterra
finirono, per quanto Alfred si sforzasse di cucinare, gli ingredienti
non erano adatti e non aveva un'esperienza tale da permettergli di
creare piatti con radici o quant'altro.
Fissando piccole bacche e mangiucchiandole rannicchiato tra le
pellicce, per la prima volta provò nostalgia per la cucina
di
Arthur.
Quando iniziò a scendere la neve, Alfred era ormai
così
debole da non riuscire neanche più ad alzarsi dal suo
piccolo
giaciglio. Sfinito e emaciato, fissava le assi del soffitto,
continuandosi a ripetere che il fratellone sarebbe arrivato, negando
anche l'evidenza più lampante.
Non sentì lo scricchiolio della porta mal oliata,
né i
passi felpati e silenziosi di quella creatura minuta che era entrata.
Non la vide neanche nitidamente, in realtà. Era
già
svenuto quando la piccola Matoaka gli sfiorò la fronte ormai
bollente.
Si ritrovò in una piccola capanna, con tutte le giunture del
corpo indolenzite, la fronte coperta da una pezza bagnata e delle
manine leggere e rapide affaccendate a spalmare una strana crema sul
suo torace, che si abbassava e si alzava ad un ritmo lento e regolare.
La bambina gli sorrise, guardandolo un attimo, gli occhi neri
brillarono e tornarono subito a occuparsi del loro paziente.
Alfred chiuse gli occhi. E dormì.
Matoaka lo svegliò la mattina dopo, porgendogli una ciotola
con
dentro del latte caldo. Alfred lo bevve con avidità e la
guardò, porgendole il recipiente. Le fece segno che aveva
fame e
lei sorrise, facendogli capire che aveva inteso. Gli porse delle
piccole focaccine di pasta di mais e lui le trangugiò con
gola e
voracità.
Le gallette di Arthur facevano schifo, a loro confronto. Era dolci e
salate, morbide, e calde, si scioglievano sul suo palato. Quando
finì di mangiare, si rese conto che non aveva più
freddo
e che quella ragazzina dai lunghi capelli color dell'ebano era
compostamente seduta a gambe incrociate e lo fissava.
La pelle color del rame era liscia e morbida e il visino tondo e
schiacciato nascondeva due enormi occhi neri, ma che, grazie al bianco,
contrastavano magicamente con il resto del viso.
Gli sorrideva, mostrando delle piccole perle, quali erano i suoi
dentini tondi.
Alfred si mise seduto meglio e cercò di analizzare la
situazione razionalmente, proprio come avrebbe fatto Inghilterra.
Perché quella bambina lo aveva aiutato?
Forse perché anche lui era piccolo, e stava male.
Sì. Ma perché?
Non aveva denaro né gioielli né possedimenti. E
dove si trovava, perché stava in una capanna?
Matoaka le sfiorò leggemente il viso, poi si
batté una mano sul petto e mormorò:
«Matoaka»
Alfred sbatté le palpebre, non capendo subito.
La bambina ripeté e nuovamente lui non capì. Solo
dopo la terza volta afferrò che quello era il suo nome.
Fece come lei e le disse che si chiamava Alfred.
Non poteva dire altro, non lo sapeva dire. Così rimasero in
silenzio, lei stringendogli una mano e lui guardandola.
Era così bella, pensava.
Dopo circa due giorni America fu nuovamente in grado di camminare,
anche se un po' fiacco, si imbardava in pesanti pellicce che Matoaka
gli porgeva e iniziava a camminare lentamente nella neve fresca che
scendeva un poco ogni notte.
Lei gli stava sempre a fianco. A volte cantava, a volte sussurrava
semplici parole indicando degli oggetti e rimanendo poi in silenzio,
aspettando che lui le dicesse, nella sua lingua, come chiamava la
quercia e poi le foglie e infine i rami. E tutto il mondo.
Gli mostrò il mais, le pannocchie abbrustolite, i bufali che
pascolavano.
Matoaka viveva in un piccolo villaggio, dove tutta la gente sorrideva,
e trattava Alfred come se fosse uno di loro.
Passarono giorni e giorni, e Alfred continuava a vivere insieme a
Motoaka, ad imparare da lei, a vivere come lei.
Quando Inghilterra arrivò, la primavera dell'anno
successivo, lo
trovò intento a parlare con una pianta e, sconvolto, rimase
a
fissarlo per un lungo tempo.
Lo guardò mentre cantava e sistemava la casa, mentre usciva
e
ringraziava il mais appena nato, e altre mille stramberie che lo
lasciarono senza fiato.
Ma, mentre lo osservava, deciso da farlo rinsavire, non riusciva a
capire la cosa più importante: Motoaka gli aveva insegnato
ad
accarezzare il mondo.
Angolo Autrice:
questa è probabilmente la più bella che abbia
scritto sul
fandom. È quella che mi piace di più e tu,
Frè,
prendila come il regalo principale.
Non ho molto da dire, solo che mi è piaciuta scriverla e mi
farebbe piacere sapere se anche a voi è piaciuto leggerla.
Auguri, moglie adorata <3
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