Helleborus
(dal latino, Elleboro)
è una
long-fiction incentrata sui fatti prettamente
“visivi” del trailer di lancio presentato alla E3
2010.
La narrazione – che si colloca poco tempo PRIMA di quel
trailer – comprenderà una ventina di capitoli
centrali, un prologo e un epilogo.
Saltando la conclusione che Brotherhood non è ancora uscito
– e perciò nessuno di noi sa cosa aspettarsi prima o dopo quel beneamato
trailer – ho voluto creare un “What
If…” tutto mio, caratterizzato da un primo
tentativo di assassinio di Cesare/Rodrigo e un presunto fallimento.
Pertanto, le scene da me di seguito descritte non ricalcano
assolutamente parti del gioco, ma sono frutto della fantasia della
sottoscritta. Gli unici spoiler saranno unicamente di carattere
storico. :) Amando
entrare molto nei dettagli, buona parte della fan fiction vi
parrà, sì e mi dispiace dirlo, una pallosa
analisi psicologica dei cinque assassini – Ezio compreso.
Non
c’è un vero e proprio protagonista. La mia
attenzione di narratore esterno cadrà una volta sui nuovi
personaggi, una volta sui soggetti di questa immagine [link]
ai quali
mi sono divertita ad affibbiare dei nomi provvisori, con il cento per
cento di certezza che, quando uscirà Brotherhood e
scopriremo quelli veri, farò una
‘sìddetta figura di miedda. Ma vabbe’,
vorrà dire che chi leggerà questa storia dopo
l’uscita del gioco si farà quattro risate! XD
Vorrei ringraziare, per
la pazienza dimostrata nel sopportare le mie confessioni, Elkade
e manga_darling.
Mi sono lamentata con entrambe sulla mia incompetenza nel tenere al
guinzaglio la fantasia, quando questa mi sveglia alle 2 di notte con
una storia tutta nuova da scrivere.
Dedico
la fan fiction, inoltre, a tutti quei fans sfegatati che, come
me, non riescono a togliersi dalla mente il personaggio di cui
vestiranno i panni nel multigiocatore. (E ve lo dice una che ha provato
la Beta ;) Ci becchiamo tutti lì :3
Detto
ciò, come Ezio Auditore il suo Requiescat, recito:
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della
Ubisoft (fatta eccezione per il profilo degli Apprendisti ed eventuali
nuovi personaggi);
questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo I
Prologo: In
Anima Vili
“Tu
non tentar l’avvelenatore, e il veleno non sarà
tentato da te.”
La chiamavano Locusta, come l’avvelenatrice che nel I secolo
dopo Cristo servì Agrippina nel suo assalto al trono
imperiale. Cesare aveva ordinato che fosse scovata e condotta in
Vaticano giusto quella notte. Gli scopi del Valentino erano simili o
ancor più subdoli alla madre di Nerone.
La donna, coperta da un pesante mantello di lana e scortata da due
guardie a cavallo, giunse nel cortile sotto uno squarto di limpido
cielo stellato. La sua figura proporzionata cavalcava
all’amazzone un asino picco e tozzo che, pure affiancato da
due possenti palafreni rivestiti di cotte da guerra, non si azzardava a
fiatare mantenendo lo stesso contegno della padrona. Ella
smontò agilmente di sella e s’avviò
spedita sulle scale, sapendo già dove dirigersi, pedinata da
tre alabardieri.
Cesare si staccò dal balcone e tornò nella stanza
illuminata solo da qualche candela. Giunse le mani dietro la schiena e
si posizionò al centro del tappeto, in attesa che la sua
ospite varcasse la soglia a lui di fronte.
Erano in pochi a conoscerla di persona, ma ancor di meno a permettersi
di pronunciarne o raccomandarne i servigi. Durante la sua permanenza a
Roma, Cesare ne aveva ignorato l’esistenza come,
d’altronde, il basso popolo romano faceva da secoli. Per
questo motivo persino il figlio del Papa aveva faticato a rintracciare
chi sapesse indicargliela.
Si pensava che fosse la diretta discendente della fattucchiera che
aveva miscelato il veleno per Claudio, e che pertanto ne portasse lo
stesso nome. In realtà era stata l’ignoranza
locale ad affibbiarle quel diritto di sangue, alimentando oltremodo il
mito. Tutto ciò che componeva la sua leggenda era stato
tramandato per sentito dire. Si sapeva con certezza che la donna
abitava fuori dalle Mura Aureliane, lontano da controlli di guardia o
vicini spioni. A quel punto le opinioni raccolte dai suoi informatori
si ramificavano in più parti: alcuni avevano riferito che
viveva in una fetta di campagna abbandonata alla mercé di
rovi e d’erbacce, così che nessuno potesse
avvicinarvisi facilmente; altri avevano sussurrato ch’era
accampata sulle sponde del Tevere, tra rospi e canneti, in un piccolo
quartiere paludoso. Nonostante l’infecondità o
l’ostilità del terreno, in entrambi i casi, le
visioni pubbliche concordavano sul fatto che in qualche arcano modo
coltivasse da sé tutti gli ingredienti a lei necessari,
piantandone un giorno il seme e cogliendone il giorno dopo la pianta.
Il mito, per Cesare, l’aveva alimentato chi sosteneva di
averla vista assemblare e smontare a piacimento la sua casa con
l’uso della stregoneria.
Sommando il tempo che c’era voluto per trovarla, il Valentino
l’aveva attesa per settimane nella stanza che avrebbe
ospitato il loro segretissimo incontro; poiché neppure
l’Alessandro VI, in quei primi anni del ‘500 Papa e
principe d’inganni, o Lucrezia sospettavano che Cesare,
figlio per uno e fratello per l’altra, avrebbe ordinato il
più infido tra gli omicidi al più insormontabile
dei nemici.
Gli anni all’apice del potere erano volati via e la colpa era
degli Assassini, che come parassiti si erano impuntati a sabotargli le
forze. Se nessuno fosse intervenuto, si sarebbe avviata una discesa
lenta e inesorabile, ma Cesare avrebbe fatto qualsiasi cosa per
impedire che accadesse.
La sua coscienza di generale di guerra splendeva unicamente
dell’idea che, a cose fatte, i suoi alleati
l’avrebbero guardato col doppio del rispetto - da non
confondere col timore - e i suoi nemici non l’avrebbero
guardato affatto. Mai più. Dopo quella e la notte
successiva, Cesare avrebbe potuto ammirare dal suo balcone la fuga
degli Assassini con la coda tra le gambe. I suoi epocali avversari si
sarebbero dispersi per la Romagna come formichine, sul cui formicaio
s’era divertito a saltare personalmente. Avrebbe fatto dare
loro la caccia in tutt’Italia e all’estero, se
necessario, fin quando anche l’ultimo di quegli insetti
ammorbanti non fosse perito sotto la suola dei suoi stivali.
Nei minuti che restavano cercò di svuotare la mente,
domandandosi semplicemente che aspetto avesse una strega capace di tali
nefandezze. S’immaginò di tutto: una vecchia col
bastone, un’asiatica con serpenti attorcigliati su polsi e
caviglie, un’anziana fattucchiera greca; oppure -
l’idea gli strappò un respiro profondo - una
piacevolissima e giovane dama dalle forme prorompenti e la lingua
biforcuta, come Cesare ne aveva domate poche.
Fu allora che Locusta fece la sua apparizione, sorprendendo il
Valentino con quel ghigno ambiguo che la visione di una bella donna gli
stampava in faccia. Al contrario, l’impressione che si fece
di lei, non appena la vide avvolta in quella mantella pesante, fu di
estrema povertà. La lana era grezza, sciupata e scolorita, e
le dava inoltre un aspetto gobbo. Il largo cappuccio, opera di un sarto
alle prime armi, copriva la maggior parte della piccola testa.
Là sotto, azzardò Cesare, poteva nascondersi una
capigliatura altrettanto deforme.
La donna gli si posizionò dinnanzi e proferì un
mezzo inchino. Quando tornò retta, Cesare si accorse che in
altezza li separavano pochi centimetri, mentre guardandola dal balcone
gli era parsa una differenza più considerevole. Il Valentino
congedò le guardie, dopodiché invitò
la sua ospite ad accomodarsi.
La donna rifiutò, impuntandosi al centro della stanza.
“Limitatevi ad avanzare la vostra richiesta, mio Signore,
senza offrirmi i vostri favori”
disse freddamente in un latino stretto e dall’accento
nordico.
“Un uomo come me cosa potrebbe volere da una donna come
voi?”
Locusta sostenne il suo sguardo ambizioso. “Di che genere e
applicazione?”
“Non troppo immediato, con sintomi anomali. Da
freccia.”
“Da freccia?” persino Locusta metteva in
discussione il suo onore, ma notando il viso del Valentino contorcersi
in una smorfia contrariata, impiegò poco a trasfigurare
stupore in interesse: “La quantità?”
“Un solo utilizzo.”
“Avventato” commentò la fattucchiera.
“L’affidabilità dei miei uomini non vi
riguarda.”
“Fino a quanto sapete contare, mio signore? Per
più archi non basterà una sola freccia”
ironizzò con un risolino.
Cesare tacque. Se avesse continuato ad essere così irritante
l’avrebbe strangolata personalmente. Non gli piaceva che
quella donna si ponesse al suo stesso livello, usufruendo di una
confidenza non autorizzata. Il Valentino si stava irritando e non
poco. “Cosa vi occorre?”
domandò direttamente. Era ufficialmente già stufo
di quella cagna e voleva togliersela dai piedi il prima possibile.
La fattucchiera recitò una serie d’ingredienti
comuni che sulle prime screditarono la sua infallibilità.
Per ultimo lasciò il nome di una pianta che guariva,
piuttosto che uccidere.
“Salderete il debito del fallimento con la vostra
vita,” ringhiò Cesare, “tenetelo a
mente.”
La notte successiva Locusta tornò in Vaticano, ma questa
volta in buona compagnia.
Si presentò a Cesare con un serpente del deserto dalla testa
sottile, bianco, attorcigliato sul braccio. Mostrò la
creatura al Valentino dopo averla tenuta nascosta alle guardie di
scorta, durante il viaggio, sotto il mantello. Intenzionato a non
lasciarsi stupire oltre, Cesare congedò le guardie ordinando
che nessuno li disturbasse fino all’alba. Per
quell’ora Locusta sarebbe stata fuori dalle Mura Vaticane con
il suo mulo carico d’oro, lontano da Roma ma soprattutto dal
suo committente.
Quando la donna si fu accomodata al tavolo imbandito, la bestia si
srotolò dal suo polso e prese posto autonomamente accanto al
resto degli ingredienti. A quel punto la fattucchiera si
levò il cappuccio, mostrando un volto raffinato e di pelle
chiara. Occhi azzurri e labbra sottili, caratteri tipicamente nordici
come i capelli biondi, tagliati cortissimi.
“Quanto tempo ci vorrà?”
domandò Cesare, avvicinandosi, meravigliato da tanta
bellezza.
Locusta non rispose. Passò in rassegna le piante e gli oli
disposti ordinatamente sul tavolo, verificando che fossero tutti quelli
da lei richiesti.
Cominciò col tagliare e bollire in un pentolino di rame il
“serpente
dagli occhi blu” tanto fedele. Nel frattempo
ridusse in polvere del muschio e bulbi di narciso, per poi gettare il
tutto ad acqua e fuoco.
La professionalità con la quale aveva confezionato
l’infuso avrebbe fatto invidia a Lucrezia. L’ultimo
ingrediente aggiunto, una pianta dagli enti curativi, Locusta lo
trattò con la massima delicatezza, come se fosse stato un
prezioso e raro rubino.
Appena fu ultimato, Locusta mostrò al Valentino come
applicare il veleno sulla punta di una freccia. Dopodiché si
affacciarono entrambi dal balcone della stanza. Puntando una guardia
qualunque tra quelle che facevano la ronda nel cortile, Cesare
scoccò il dardo avvelenato che colpì solo di
striscio il malcapitato.
“E’ sufficiente” lo rasserenò
Locusta.
Quando giunsero nel cortile, l’uomo stava per essere soccorso
dai compagni allarmati. “Fermi” ordinò
Cesare vedendo che qualcuno si apprestava a portarlo via.
“Non avvicinatevi, lui non va da nessuna parte”
decretò.
Le guardie ammutolirono e, ad un secondo comando, tornarono a fare la
ronda ignorando le grida del compagno.
Il soldato, in preda alle vertigini, si dimenava in terra continuando a
strillare di essere cieco.
In due ore circa, molto dopo che Cesare aveva già ordinato e
assistito alla decapitazione della donna, il veleno di Locusta ebbe
effetto e la guardia morì.
.:Angolo
d’Autrice:.
La
figura misteriosa di Locusta, che la storia degli Imperatori ha
macchiato col sangue degli stessi, rimase a lungo nell’ombra
del secondo piano. La donna, chiamata prima in causa da Agrippina,
ordinando l’avvelenamento del vecchio Imperatore Claudio,
avrebbe spianato la strada per figlio di lei, Nerone. Alla dichiarata
morte dell’Imperatore, restava da far fuori l’erede
legittimo, Britannico. Sempre a questo scopo fu richiesta Locusta. Alla
fine Agrippina aveva visto realizzato il suo sogno, prima di sentirsi
bruciare la gola dallo stesso veleno confezionato ai parenti. Il
figliol prodigo, infatti, non aveva esitato a togliersi di mezzo anche
quell’incomodo. Potendo regnare indisturbato, Nerone aveva
ripudiato i servigi di Locusta non senza ordinare la sua cattura e la
sua esecuzione, affinché nessuno potesse trarne altrettanti
servigi e la verità sprofondasse con lei nella tomba.
Il
mio Cesare è un po’ il Nerone della situazione
:) anche se la storia ce lo dipinge capacissimo di confezionarsi un
veleno da solo. In extremis, avrebbe potuto chiedere aiuto alla
sorella, direte voi, la cui fama di avvelenatrice si è
sospinta nei secoli fino a noi. Ma la figura di Lucrezia, in questa
storia, va molto fuori quella che conosciamo noi e probabilmente
conosce anche la Ubisoft, per necessità
d’intreccio.
Ed
eccomi tornata a rompervi le scatole! Avevo annunciato che storie
passate, presenti e future avrebbero visto capitoli pubblicati solo al
completamento delle stesse, ma la verità è che
sono una gran bugiarda! :D Non ho resistito alla tentazione (o al
bisogno) di cominciare la pubblicazione di questa storia prima
dell’uscita di Brotherhood, così da non dover
riscrivere determinati capitoli al fine di farli combaciare al gioco.
Non per fare razzia o vantarmene, assolutamente, ma questa storia in
particolare per me vale molto più delle altre. Ci sbatto la
testa contro tutte le notti, prima di andare a dormire, sognandomene
poi una determinata scena o un determinato personaggio. Helleborus
è nata, sì e no, circa due mesi fa, quando
scoprimmo in grande spoiler e per la prima volta, che Ezio, al suo
fianco, avrebbe avuto degli “apprendisti.” Da quel
momento la mia fantasia è entrata in una frenetica spirale
che sta portandomi verso il più grande sogno mai partorito
fino ad ora. Gli aggiornamenti di Helleborus non saranno costanti
quanto i miei episodi di vita, ma Helleborus è un pezzo
della mia vita :)
Cos'è
Helleborus (non)
in breve...
Ci
sarà
qualche sprazzo di storia della famiglia Orsini, un nobile casato
romano che rifornì la Chiesa Cattolica di Papi, Vescovi e
Cardinali per generazioni. Non furono tutti o in parte fedeli al Papa
spagnolo *sorisetto malvagio*.
Le
vicende legate a questa famiglia, tra cui l’avversione per
i Colonna e il sottomesso/dovuto rispetto ai Borgia, mi hanno colpito
molto. Presto scriverò anche un full immersion nella storia
della dinastia Orsini, in questi anni Signori rispettivamente di
Anguillara, Cerveteri, Oriolo Romano, Ladispoli, Monterotondo,
Bracciano, Trevignano ed altri, e la battezzerò come
“Le Cronache di Gentil Virginio”.
Il
filo principale,
sperando che catturi la vostra attenzione, è la storia di
come Ezio, nel passaggio da AC II a Brotherhood, capisce che il
sostegno del popolo è importante sotto tutti i punti di
vista. L’Assassino imparerà dai propri errori e
vedrà crescersi ai fianchi amici preziosi, più
che veri e propri scagnozzi. Le circostanze spietate – la
cecità e il fallimento della missione – fungono
solo da cornice all’ideale centrale della fan fiction.
La
lotta personale contro Cesare Borgia ha rinchiuso Ezio in quel
“cinismo fatale” dei più spietati serial
killer – qualcuno ha mai visto Criminal Minds? E per questo
motivo, in un primo momento, l’ho immaginato mentre agisce
impulsivamente, come una bestia affamata che, di fronte alla preda, non
si ferma ad ascoltare le sue supplice di pietà, tantomeno
perde tempo a guardarsi le spalle dando tutto troppo per scontato:
nessuna trappola, nessun tradimento, nessun veleno… solo tu
e il target, nient’altro. Il mio Ezio sarà
determinato a tal punto da ignorare addirittura il Credo
stesso… vi ricorda qualcuno? ;) Esatto, sto parlando
dell’Altair d’inizio game. Ve lo ricordate quello
spietato assassino che pur di conseguire il suo obbiettivo –
o applicare una vendetta personale – manda a puttane la
missione nel Tempio di Salomone con le varie conseguenze? Questo
sarà Ezio nella prima parte della mia fan fiction. Poi
accadrà qualcosa che lo sconvolgerà quanto basta
per farlo tornare sulla retta via.
Pensiero
egoistico il mio: pretendere di poter manipolare i personaggi
della Ubisoft come pongo, intendo, sporcando di veleno la fama
magistrale di Ezio; quale fan accanito tra voi non preferirebbe tirarmi
addosso un’accetta piuttosto che proseguire nella lettura? Ma
avanti, cos’altro sono le fan fiction se non distorsioni
della trama
originale? Io ho
creato la mia, una da aggiungersi alle
tante :) Si capisce che mi manca tanto il cazzuto assassino che fa
arrabbiare Malik? :D
Ma
tornando ad Ezio…
Per
garantire il fallimento
alla base della storia, tralascerà ovvi dettagli che invece,
i suoi fedeli assistenti, tenderanno a considerare e circoscrivere per
lui, pur non potendo ribaltare gli ordini del loro superiore. Ezio,
infatti, vi parrà freddo, inconsistente e, da un punto di
vista umano,
insensibile; un suo adepto lo nominerà addirittura
“senza
cuore”. Divenuto
da poco Maestro degli
Assassini, Ezio è solo una parte di quell’uomo
determinato, valoroso e fatale che vediamo nel trailer di lancio.
L’altra metà saranno i miei nuovi personaggi a
donargliela…
Il
popolo di Trevignano
– frazione di Bracciano, paese stupendo, tutt’ora
esistente e celebre per lo storico circolo di vela 3V che
frequentò st'estate mio fratello XD – sosterranno
la causa degli Assassini non potete nemmeno immaginare quanto,
arrivando addirittura a dare la vita per Ezio e i suoi compagni.
I
turbolenti anni del primo ‘500 sono caratterizzati dalla
fama di potere di un Tiranno e del suo Cardinal Prodigo. Il popolo che
vi descriverò vive in una quasi condizione di
schiavitù e certo non appoggia il fatto di dover dipendere
da un simile “cancro”. Anche quando studiai questa
parte di storia alle medie vidi sempre nel Valentino – Cesare
Borgia – una figura negativa. Certo, all’epoca ne
parlammo ed io me ne interessai pochissimo, ancora tutta presa dalle
Crociate, ma ero inconsciamente già schierata con gli
Assassini! Ora basta, credo di avervi rotto a sufficienza! XD
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