clarissa
Eccomi qui!
A furia di spremermi le meningi, il "parto" di questo capitolo è
avvenuto! Anche questa è andata, via! Il ritardo rispetto ai
tempi standard è avvenuto per via dell'inizio dei corsi
all'università, un pò di stress e la totale mancanza di
voglia, ma voi lettori non dovete preoccuparvene, il vostro compito lo
dice la vostra stessa definizione...
Che altro dire? Ehm, sono a corto di parole...
Ah, sì: buona lettura!
***
Le settimane passarono, piene di lavoro, di stimoli, di concentrazione e di stress.
Senza che né Clarissa,
né Danny avessero avuto anche solo il tempo di accorgersene, la
tensione saturò lentamente il loro rapporto, iniziando dalle
cose più piccole…
“Allora, abbiamo detto che tua madre è un’appassionata di candele aromatiche e affini, giusto?”
“Sì…”
“Ottimo, abbiamo un sacco di
opzioni, ci sono le fragranze più assurde tra cui scegliere, e
poi per ogni aroma c’è un effetto terapeutico ben preciso!
Dici che ne avrebbe bisogno per… non so, lo stress, conciliare
il sonno, come energizzante…?”
“…Eh?”
Anne puntò i piedi in mezzo
alla corsia degli oggetti per la casa nel centro commerciale e
sbottò, infastidita: “Claire! Non ho un pene, ho venti
chili di grasso superfluo piuttosto che di muscoli e non parlo con
l’accento di un fascinoso contadino dedito alla mungitura, ma non
per questo devi snobbare la mia presenza!”
La parola “pene” fece
voltare verso di loro molte delle persone presenti nei dintorni, anche
se solo per un attimo; tanto bastò a Clarissa per sbottare a sua
volta con aria stanca: “Lo sai che non ti snobbo! Non dire
stronzate!”
Lo sguardo spento dell’amica e collega portò Anne a ridimensionare i propri toni.
“Si può sapere cosa
c’è che non va stavolta? Che è successo, non
è tornato neanche stanotte?” domandò, prendendola
cautamente a braccetto, come per sostenerla.
Clarissa scosse la testa e rispose:
“Mi aveva detto che tutto sarebbe finito nel giro di due
settimane, ed è passato quasi un mese… Mi aveva detto che
si sarebbe liberato un pomeriggio per comprare il regalo di Barbara
insieme a me, e invece quando gliel’ho ricordato al telefono, ha
detto che se n’era dimenticato e che era alle prove…”
“Ma lo sai che quando sono
così impegnati è già tanto se si ricordano dove
hanno la loro stessa testa…” provò a contraddirla
l’altra con il suo sarcasmo.
“Due giorni fa sono stata da
Giovanna… e c’era anche Tom. Stavano guardando un
film… E l’altra settimana sono uscita con Doug e
Frankie…”
“Sei andata da sola?”
La vide annuire.
Anne si morse il labbro inferiore, rammaricata.
“Vorresti dire che… tutti riescono a conciliare vita privata e lavoro… a parte Danny?”
Clarissa le puntò gli occhi addosso e confermò la sua versione con un cenno di assenso della testa.
“Va in studio con gli altri
la mattina alle nove” aggiunse “Verso le sei, tornano quasi
tutti a casa. Lo so perché Tom me lo ha detto. E lui se ne sta
lì… con i produttori… a fare… non lo so
cosa fanno… E quando torna… io sto già dormendo, o
faccio finta di dormire…”
“Fai finta di dormire?” chiese Anne stupefatta.
“Faccio finta di dormire, sì” ripeté la ragazza, amareggiata, senza poi aggiungere altro.
L’amica sembrò non
capire e, preoccupata, osò domandare a voce bassa: “Voi
non… Da quanto non state insieme… biblicamente,
intendo…?”
La bionda arrossì
violentemente e non volle rispondere, si strinse soltanto nelle spalle
e riprese a camminare lungo la corsia. Anne la fissò da ferma e
sospirò, intristita.
“Ascoltami, Claire.
Guardami…” la richiamò con gentilezza mentre lei
passava con lo sguardo apatico dalle candele al lampone ai suoi occhi
neri.
“Questa non è la prima
volta che Danny gioca a fare l’artista egocentrico e lo sai anche
tu, mi hai sempre detto che in passato è stato anche peggio di
così, con tutte le sue responsabilità di cantautore,
produttore e-“
“Ma allora non stavamo ancora insieme, Anne…” la interruppe Clarissa.
“Fammi finire…”
obiettò l’amica “Stavo dicendo… Sì,
insomma, quando decide di drogarsi di lavoro è qualcosa di
insostenibile, e tu lo hai tollerato di buon grado a suo tempo solo
perché eri amica sua e degli altri. Adesso la situazione
è ben diversa, è vero, ma in fondo cos’altro
è cambiato? Andrà a finire così anche stavolta,
non dirmi che non lo sai… Danny con la chitarra appiccicata al
petto come se fosse un’appendice per un mese intero… Danny
che rompe le palle al mondo quando qualcosa non gli torna, anche la
più insignificante… Danny che fa le ore piccole in
studio… Ma poi gli passa, e lo sai anche senza che io te lo
spieghi! Devi soltanto avere un po’ di pazienza, è inutile
che tu ti strugga per qualcosa che non puoi combattere… Non
c’è partita! Tu se tu e la musica è la
musica…”
La ragazza ascoltò senza
avere troppa voglia di farlo e replicò con una punta di fastidio
nella voce: “Io sono la sua ragazza!”
L’altra si affrettò a
chiarire: “E lui non amerà mai nessun’altra come te.
Lo so. Sì. Hai perfettamente ragione. Ma come la metti con la
musica, eh? Strimpella e si sgola da quando ne ha memoria… Ci
sono uomini che hanno il calcio, il rutto libero o altre cazzate come
priorità… Lui ha la musica…”
Clarissa si massaggiò le
tempie, sentendo il cervello esploderle in una serie di sentimenti
discordanti e martellanti che da qualche tempo riusciva sempre
più raramente a controllare.
Aveva la sensazione che tutto
stesse andando a rotoli con Danny, ma allo stesso tempo riteneva di non
avere motivo di pensarla così, dato che non avevano litigato per
nessuna ragione.
Era furiosa con lui, che non aveva
mai tempo e voglia di parlare con lei della loro situazione,
però subito dopo si sentiva in colpa all’idea di
rinfacciargli il fatto di lavorare troppo, quando tutto poteva essere
frutto di una delle sue tante paranoie o della sua eccessiva ricerca di
attenzioni.
Pensava che un bel giorno sarebbe
esplosa in un attacco di rabbia a causa di quel penosissimo mese che
stava trascorrendo, e intanto tentava di farsi forza, convincendosi del
fatto che alla successiva occasione sarebbe stata più preparata,
più forte e quindi più serena.
Sapeva quanto la musica fosse
fondamentale per Danny, però si sentiva quasi inferiore nella
sua posizione di partner sentimentale, secondo lui la più
importante, la più bella, la più… qualsiasi cosa
le avesse detto da quando si erano messi insieme.
La sua invisibile, astratta rivale
era più micidiale di qualsiasi altra ragazza al mondo e lei
stava miseramente perdendo terreno. Perché se Clarissa era
presente da tanto tempo nella vita del suo chitarrista, la musica
c’era sempre stata. Sempre.
Prima che un’ennesima ondata di demoralizzazione la investisse, Anne le tese una mano.
“Distraiti, tesoro mio”
la incoraggiò, determinata “Per adesso è
così e devi metterti il cuore in pace. Appena potrai, lo
placcherai al muro e gliene dirai quattro, dopo averlo picchiato con
una spranga di ferro magari…”
Clarissa allargò la bocca in
una piccola risata di fronte a quella battuta e si lasciò
coccolare dalla sua amica, che la strinse sul seno con fare materno.
“Allora, vorresti
cortesemente darmi un parere sul regalo per quella povera donna di tua
madre? Perché andrà a finire che glielo comprerò
io soltanto, se continui a friggerti il cervello
nell’acqua!”
“Sì, sì,
dài, diamo un’occhiata anche ai portacandele, non voglio
regalarle solo un paio di ceri a caso…”
~~~
Tom chiamò a sé tutta la pazienza che possedeva.
“Danny…”
esordì, cercando di mantenere un tono pacato e diplomatico
“Adesso sono le tre passate e per sistemare questo pezzo abbiamo
mangiato a velocità supersonica. Cominciamo ad essere un
po’ stanchi, mi spieghi che cosa cambia se adesso stacchiamo per
una mezz’ora? Non ce li dimentichiamo gli accordi nel giro di
trenta minuti…”
“Io sono qui fuori a
fumare!” annunciò Harry, posando le bacchette della sua
batteria “O inizierà il mio cervello a farlo! Con
permesso…”
Dougie gli rivolse un’occhiata preoccupata prima di constatare che il chitarrista lo aveva fulminato con lo sguardo.
Tom ignorò quel frenetico
incrociarsi di furtive sbirciate e tornò a parlare con Danny,
sperando di distrarlo: “Prendiamo un po’ d’aria, che
ne dici? Siamo qui dentro dalle nove e-“
“Io… chiamo Frankie,
ho… tre sue chiamate perse!” intervenne il bassista, che
si allontanò un po’ esitante con il cellulare in mano.
I due chitarristi lo guardarono
chiudersi la porta alle spalle: Tom lo supplicò invano di
rimanere con lo sguardo, Danny lo fulminò come aveva fatto con
Harry.
“Credo di sapere cosa non
volete dirmi…” insinuò con fare irritato, poggiando
delicatamente la sua Telecaster su un piedistallo.
Il suo amico di una vita sospirò rumorosamente e mise le mani avanti con cautela…
“Siamo stanchi, ma non della
tua musica, ok? Siamo semplicemente… un po’ provati dalla
giornata. E a volte non riusciamo a starti dietro, sei così
entusiasta che-“
“Ah, dunque adesso sarebbe colpa mia!” lo sovrastò l’altro in tono sarcastico.
“Non sto dicendo
questo!” si oppose Tom, esasperato “Dio, ma che problema
hai? È un tuo progetto, ma ci siamo dentro tutti!!! Non crederai
che noi ce ne sbattiamo e che tu sei l’unico che ci tiene sul
serio!”
“Non vorrei arrivare a
crederlo!” lo affrontò il chitarrista, stizzito mentre
impilava alcune pagine di spartiti senza guardarlo.
L’altro alzò le
braccia in segno di resa e fece per allontanarsi, giusto perché
non voleva dargli la soddisfazione di iniziare un litigio.
Sulla porta, si bloccò.
“Se c’è qualcosa che non va… puoi parlarne, lo sai…” gli disse, serio.
Dopo aver ricevuto il mutismo
ostinato di Danny come risposta, sospirò rumorosamente e lo
lasciò da solo nello studio.
Si sgranchì le gambe e si
scrocchiò le dita indolenzite di fronte ad una tazza di
caffè retta da Dougie, che nel frattempo stava dividendo una
sigaretta con Harry.
“Cosa cazzo
avrà… lo sa solo lui…” osservò il
batterista, riprendendosi la cicca dalle labbra del collega.
Tom scosse la testa, scoraggiato, e
prese la tazza tra le mani replicando: “Non può essere
così insopportabile solo per tutta questa storia della
produzione, ne sono sicuro… ma non sono riuscito a farlo
parlare…”
“Dici che è Claire il problema?” si inserì il bassista, perplesso.
Il biondo arricciò il labbro
e scosse la testa. “Ho visto Clarissa in questi giorni, non
sembrava… arrabbiata o comunque in pensiero per
qualcosa…” dichiarò, meditabondo.
Harry sorrise divertito: “E fu così che in realtà progettava un omicidio!”
“Sì, l’omicidio di Jones!” rincarò Dougie, ridacchiando.
“Parli del diavolo…”
I due amici si voltarono verso
l’entrata, dove Tom stava guardando dopo aver attirato la loro
attenzione con le sue ultime parole.
Mani in tasca, viso tirato e occhi bassi.
Danny stava camminando incerto verso l’uscita, verso tutti loro.
Harry estrasse una sigaretta dal
proprio pacchetto, chiese a Dougie l’accendino e appena il
chitarrista gli passò accanto senza l’intenzione di
fermarsi, lo incalzò in tono rilassato: “L’ultima te
l’ho fregata io stamattina, Dan… Tieni, saldo il mio
debito…”
“Ti senti un po’ meglio, vero?”
Danny annuì espirando il fumo dalle narici. Tom si agitò davanti al suo sguardo vuoto fisso nel nulla.
“Ma dì qualcosa! E che
cazzo!” proruppe, stringendogli l’avambraccio sinistro con
le mani per poi scuoterlo.
“Fletcher ha detto Cazzo, Dan, io vuoterei il sacco!” sdrammatizzò Harry.
Dougie intervenne per ultimo, in
modo più diretto: “Abbiamo malignato e concluso che
Clarissa non te la da più da un pezzo!”
Subito il diretto interessato reagì con ostilità: “Cosa ne sapete voi?! Un cazzo!”
“Io non voglio saperlo!” si difese Tom, quasi scandalizzato.
“E’ ovvio che c’è qualcosa che non va al riguardo e che muori dalla voglia di dircelo…”
Dougie aveva rigirato il dito nella piaga.
Come da lui previsto, Danny
gettò il mozzicone di sigaretta nella grata di un tombino e si
passò le mani tra i capelli con stanca lentezza. Stava per
cedere.
“Non c’è…
tempo” sentenziò, lasciando penzolare le braccia mentre si
voltava verso i suoi amici, che lo fissarono perplessi, in attesa di
ulteriori spiegazioni.
“Ultimamente, quando sono a
casa io, è lei che deva andare a lavorare… o viceversa. E
quando magari torno la sera tardi… la trovo addormentata, non
posso svegliarla e chiederle se…”
“Dovete farlo la mattina
presto, quando siete belli carichi!!!” gli consigliò
animatamente il bassista, facendo trattenere a stento una risata da
parte di Harry.
“Chiudi il
becco…” gli intimò Tom senza sorridere, per poi
tornare a rivolgersi al chitarrista: “Dan, io ho visto Clarissa
qualche sera fa. È venuta a trovare Gi e… poi mi ha detto
di quando è uscita con Doug…”
“Confermo” asserì il biondino.
“Insomma… Non è
che non c’è tempo: casomai tu non ne hai per
lei…” azzardò Harry “Perché non state
un po’ più insieme, anche solo per uscire un po’ il
pomeriggio, Jones? Ormai sono settimane che ti rinchiudi qui dentro e,
francamente, rischi soltanto di diventare insopportabile, sia per noi
che per la tua ragazza…”
Danny cercò di non dare a
vedere la stizza di fronte alle parole del collega, che si era portato
l’onnipresente nuova fidanzata da casa allo studio, e si
limitò a dire in tono piatto: “Ah. Se lo dici
tu…”
“Ragazzi! Vi ho portato un
po’ di caffè, ho fatto bene?” squillò la voce
di Cassie alle loro spalle. Harry fu il primo a voltarsi verso di lei
con un sorriso riconoscente.
“Arrivi giusto in tempo!” le disse, facendosi da parte per farla fermare accanto a lui.
“L’ho preparato un
secondo fa, è caldo caldo, e ho anche i bicchierini di
carta!” continuò la ragazza, offrendo la caraffa di vetro
piena a tutti. Tom si negò, avendo già assunto abbastanza
caffeina per quella giornata, ma il resto del gruppo accettò ben
volentieri.
“Vi vedo un po’
taciturni. Siete solo stanchi o devo preoccuparmi?” avanzò
la ragazza del batterista davanti alle facce meditabonde della band.
Harry scosse la testa e la
tranquillizzò dicendo: “Niente di che, è Danny che
ci fa lavorare come muli…”
“Che palle!”
esclamò l’amico, sentendosi preso in causa. Cassie se ne
uscì con una piccola risata e ribatté: “Non dargli
retta, Dan… ma in effetti dovresti pensare seriamente di
prenderti un po’ di tempo libero…”
Dougie e Tom concordarono
immediatamente con un sorriso eloquente rivolto al collega, un ghigno
che parlava chiaro: “Te l’avevamo detto”…
Ignorandoli bellamente, Danny ribatté: “Ci stavo pensando, solo che non è facile…”
“Siete praticamente alla fine
del progetto, cosa vuoi che sia qualche ora di libera uscita? Clarissa
non ne sarebbe contenta?”
“Già, Clarissa non ne
sarebbe contenta?” ripeté Dougie con un sorrisetto
insolente stampato sulla faccia; Tom gli tirò uno scappellotto
sul collo con disinvoltura per ridimensionare i suoi sfottò.
Con le spalle al muro, il ragazzo rispose: “Certo, ne sarebbe contenta, di sicuro…”
“E allora, che problema
c’è?” insistette Cassie “Sai, capisco che con
il lavoro che fa e con il vostro… codice di
comportamento… lei non sia mai stata presente qui negli
studi… Infatti io mi sento decisamente una clandestina
illegale!”
“Non sei una
clandestina!” intervenne il batterista, abbracciandola con un
sorriso “Non mi avevi mai sentito suonare e abbiamo risolto il
problema!”
La ragazza lo baciò a stampo
sulle labbra per sciogliere la stretta affettuosa subito dopo e
continuare il suo discorso…
“Sono sicura che affronterai
meglio anche questa cosa del nuovo progetto musicale se ti fermi e
pensi un po’ a te, se trascorri più tempo a casa, con
Clarissa… L’ho detto anche a lei, qualche volta potremmo
uscire tutti insieme e farvi distrarre un po’!”
Tanto disse e tanto persuase quella
singolare ragazza… che alla fine Danny si lasciò
convincere, anche grazie all’aiuto dei suoi amici e colleghi, che
lo rassicurarono sul progetto e lo invogliarono a prendersi più
serate libere, magari da alternare: a volte goliardiche uscite tra
amici, a volte qualche romantica cena con Claire, magari anche un
cinema…
Si ricordò proprio di quanto
la sua ragazza gli aveva annunciato di recente: era questione di dieci
giorni, poi sarebbe arrivato il compleanno di Barbara; secondo gli
aggiornamenti provenienti direttamente da lei, avrebbe organizzato la
festa qualche giorno dopo la data ufficiale della sua nascita per
comodità e per avere più amici possibili presenti, lui e
Clarissa compresi.
Si sentì improvvisamente in
colpa per non essere riuscito ad accompagnare la sua ragazza a comprare
un regalo alla festeggiata: sapeva che ci teneva molto e l’aveva
delusa, come aveva fatto più di una volta in quelle ultime
settimane.
Quella sera prese coraggio e alle
sei decise di staccare i jack dalla sua chitarra: aveva finito. Avrebbe
ripreso il giorno dopo, con calma e senza nessuna ansia di arrivare in
ritardo.
~~~
Stava combattendo con discreto
successo i dolori mestruali, armata di una tisana dal sapore poco
gradevole ma accettabile dal momento che vi aveva immerso tre
cucchiaini di zucchero dentro. Stava cercando di scegliere con la
massima cura la carta da regalo più adatta al suo acquisto per
Barbara, ma le risultava difficile, visto che Anne le aveva fatto
comprare le fantasie più belle!
Voltò di scatto la testa non
appena udì la porta d’ingresso aprirsi ed un mazzo di
chiavi tintinnare in maniera familiare.
“Londra chiama Dublino!”
Il cuore mancò un battito.
Cercò immediatamente di
riprendersi e trattenne il respiro per poi assumere
un’espressione fredda e distaccata, soprattutto irritata.
Non riusciva a credere che fosse
tornato nel tardo pomeriggio, dopo tutte quelle cene trascorse da sola,
spesso in casa, davanti a un piatto pre-cotto.
Ma non riusciva neanche a
perdonargli la promessa non mantenuta che le aveva fatto: non
l’aveva accompagnata a comprare il regalo per sua madre.
Capriccio infantile o meno, doveva fargli pesare quel grosso cruccio.
Non rispose al suo scherzoso
richiamo ed incrociò le braccia sotto il seno in attesa di
vederlo varcare la soglia del salotto.
Pochi secondi e si
ritrovarono a dieci passi di distanza, come in una buffa riproduzione
di un duello in stile western. Solo che Danny non capiva di farne
parte. Sorrise amabilmente e le andò incontro, intuendo dalla
sua faccia adirata solo la punta dell’iceberg.
“Amore. Com’è
andata oggi?” le domandò prima di stringerla a sé,
sorridendole vagamente nervoso.
Clarissa rimase impassibilmente rigida nel suo abbraccio e rispose freddamente: “Benissimo”.
Aveva voglia di prenderlo a
schiaffi, di tirargli addosso qualche mobile, di effettuare un
body-slam sul suo stomaco e, infine, di abbracciarlo fortissimo.
“Sei furiosa e ne hai tutto
il diritto…” obiettò il chitarrista mentre le
incorniciava il viso nelle grandi mani, con delicatezza.
“Perché sei tornato?” ribatté lei, lapidaria.
Vagamente disorientato dal tono
della domanda, il ragazzo rispose conciliante: “Ho parlato con i
ragazzi, c’era anche Cassie… e sono riusciti a farmi
capire che ho bisogno di staccare un po’ la spina… Secondo
loro, sono diventato paranoico e non mi fa bene, tanto più
perché ormai il progetto che abbiamo iniziato è
praticamente finito e… quindi… ho pensato Ma sì, adesso me ne vado a casa, mi rilasso per qualche giorno, sto con il mio amore…”
“Che premura…” commentò sarcastica l’altra, alzando un sopracciglio.
Danny incassò anche quel
colpo e continuò, accarezzandole una guancia con il pollice:
“Lo so cosa vuoi dirmi. E te lo dico subito: hai ragione. Non ci
sono stato, avrei dovuto e invece sono rimasto a suonare per tutto il
tempo… Scusami, davvero… Vedo che ci hai già
pensato, al regalo!”
Ebbe un tuffo al cuore quando notò una scatola sul tavolo accanto a dei nastri colorati e alla carta da regalo.
“Sono stata al centro
commerciale. Con Anne. Abbiamo preso il regalo, sì.”
replicò la ragazza, telegrafica e tagliente “E’ un
candelabro in argento. Con due candele. Al patchouli.”
Lesse tra le righe di quella dettagliata descrizione, decifrando un rancoroso “Anche tu sapresti queste cose se fossi venuto con me”. Sospirò mestamente, con un senso di colpa sempre più acuito.
“Posso fare qualcosa per
essere perdonato?” chiese in tono triste “So che è
colpa mia e delle mie fissazioni, odio vederti così quando
faccio qualcosa di sbagliato…”
Vide Clarissa allentare
impercettibilmente la tensione sul proprio volto: la ruga in mezzo alla
fronte, inconfondibile segno di rabbia, divenne meno evidente, e gli
occhi guardarono altrove, smettendo di penetrarlo sadicamente.
Dalla sua bocca non uscì una parola. La sua schiena rimase dritta e rigida come quella di un despota.
Danny tentò la sorte facendo leva sulla propria vena comica.
“Mi bevo il tuo schifosissimo
intruglio di erbe, alla goccia, giuro! Guarda, lo faccio…”
la avvertì, e pochi secondi dopo stava davvero vuotando la
grossa tazza della fidanzata e ingurgitando la nauseabonda tisana.
Davanti alla sua smorfia di estremo disgusto, Clarissa si lasciò
scappare un principio di risata che tentò immediatamente di
reprimere, ma era troppo tardi: Danny l’aveva già vista
cedere.
“Beccata! Hai riso, adesso
non hai scampo!” l’ammonì, tornando ad abbracciarla,
stavolta ricevendo una reazione, seppur non del tutto positiva: la
ragazza puntò i pugni contro il suo torace, come per spingerlo
via, ed abbassò lo sguardo per non farsi vedere mentre ancora
ridacchiava.
“Insisterò
finché non mi avrai ufficialmente perdonato, andrò
incontro a prove ancora più terribili!” gracchiò il
ragazzo prima di aggiungere: “Come questa!”
Clarissa lanciò un piccolo
grido sentendosi sollevare sulla schiena di lui. Cominciò a
tempestare di colpi il dorso del fidanzato protestando animatamente, ma
ridendo tra un insulto e l’altro.
“Idiota, lasciami
immediatamente! Mettimi giù, smettila di… Danny, cazzo,
non sono un sacco di patate! Sei sordo?! Ho detto di mettermi
giù, razza di scemo!!!”
“Se ti metto giù, mi perdoni?!”
“Mettimi giù!!!”
“Ti amo tanto, anche quando mi rompi la schiena con il tuo dolce peso e i tuoi pugnetti malefici…”
La sentì ridere, forse sorpresa, e poi dire, stremata: “Mollami subito, voglio scendere…”
Obbedì, facendole toccare di
nuovo il pavimento con i piedini ridicolamente minuscoli rispetto ai
suoi. Era un po’ spettinata e ansante per via
dell’agitatissima protesta che aveva messo su poco prima.
“Se non ti avessi già
picchiato abbastanza, ti tirerei un ceffone…” gli disse,
puntandogli un indice contro il petto “Tu, i tuoi orari del
cazzo, le tue promesse non mantenute e… e vaffanculo, ok?”
Ghignava nel dirgli tutte quelle
parole come in una presa in giro, ma riusciva a sentire una nota
dolente nella sua voce, una punta di vero rancore che non voleva
andarsene.
Sopportò la colorita
ramanzina, la lasciò finire di parlare, poi le prese le mani,
ostinatamente chiuse come due piccoli martelli, e le disse a bassa
voce: “Lo giuro, è la prima e ultima volta che ti tratto
così. Ho capito il mio errore e voglio rimediare. Mi dai una
possibilità?”
La ragazza lo scrutò in
silenzio, serissima per qualche istante, poi scosse la testa in un
tentativo maldestro di gettare indietro alcune ciocche ribelli e
sorrise tiepidamente…
“Non farlo più, Jones. Chiaro? Perché è stato frustrante.”
Le baciò la fronte, contento, e le promise: “Chiaro, piccola. Chiarissimo…”
Si abbracciarono, dopo che finalmente Clarissa aveva teso le braccia verso il suo collo.
Danny baciò ripetutamente i
suoi capelli, facendola sorridere e arrossire, e assaporò il
sapore della sua pelle tepida mentre con le labbra aveva raggiunto
anche le guance morbide.
“Cosa ti va di fare stasera?” buttò lì, il naso che sfiorava il suo profilo.
Lei alzò gli occhi al cielo
con un sorrisetto e rispose: “Ho il ciclo… Ho voglia di
mangiarmi il mondo intero, meglio se ricoperto da zucchero, glassa,
caramello, qualcosa di dolce da far schifo…”
Si sentì replicare con fare
accomodante: “Allora ci vestiamo… e cerchiamo un
ristorante come si deve da svuotare… ok?”
Riuscì a farle recuperare il
sorriso e a riconquistarsi la sua fiducia dopo una cena, due ciambelle,
un gelato, una cialda affogata nel caramello (divisa a metà con
lui, perché “cominciava ad essere piena”) ed un
massaggio sulla schiena leggermente indolenzita a causa dei dolori
mestruali.
“Ti andrebbe bene
partire… diciamo il prossimo sabato? Se riesco a trovare un volo
in giornata lo prendo subito, così non dobbiamo svegliarci a
un’ora assurda per il check- in…” gli propose
Clarissa, alzando leggermente la testa dal materasso su cui stava per
cadere nel dormiveglia.
Danny si fermò con le mani
qualche istante per riflettere, poi rispose: “Sì! Per me
va bene! Se ci aggiudichiamo un volo pomeridiano è meglio,
sì… Sai, volevo uscire un po’ con i ragazzi nel
fine settimana…”
“Ok, speriamo bene…
Dan, mi sto… addormentando…”. La ragazza
sbadigliò per poi sorridere pigramente al fidanzato.
“Grazie del massaggio…”
Il chitarrista chinò la
testa sulla curva della spina dorsale e vi stampò un bacetto
prima di lasciar alzare Clarissa per farle rimettere la T- Shirt del
pigiama.
Una volta sotto le lenzuola, si
rannicchiarono in un abbraccio tutto loro che vedeva la biondina
sommersa dalle braccia di lui, a sua volta “legato” dalle
sue gambe dalle cosce in giù.
Quell’abbraccio divenne una
lunga serie di baci e di carezze a fior di pelle, una tortura a cui
entrambi si prestarono volentieri e senza freni, almeno finché
Clarissa non sentì la mano di Danny andare oltre
l’elastico del morbido pantalone scuro che indossava.
Con poca convinzione nel suo
sussurro, si oppose più per istinto che per vera resistenza:
“… No… Dan, ho il-“
“Ssshhh… Tranquilla…” la rassicurò lui sottovoce per poi baciarla piano sulle labbra.
Lo lasciò continuare, si
aggrappò a lui, ai lembi della sua canotta, ai sospiri che le
regalava, in sincronia con i suoi.
Chiuse gli occhi mentre lo stringeva e le mani l’aiutarono a immaginarlo, a vederlo nonostante il buio.
Era bellissimo con i capelli da lei spettinati.
La sua bocca aveva un buon sapore, anche nella sua vaga nota di fumo che aveva imparato ad amare, come tutto il resto di lui.
Nonostante si conoscessero bene
nella loro intimità e in quasi ogni centimetro dei loro corpi,
le sue dita a volte ancora sbagliavano o si perdevano, colpa
dell’eccitazione che lo rapiva, così lei si ritrovava a
guidarlo con la mano, paziente e intenerita dal suo essere imperfetto,
per questo ancora più bello.
Un suo movimento leggermente
maldestro la fece irrigidire, ma entrambi cercarono di passare oltre
quel gesto poco importante: Danny tornò a toccarla con
più delicatezza e Clarissa iniziò a fantasticare per
stimolare le reazioni positive del suo stesso corpo.
Non vedeva alcun reato nel pensare
anche a qualcun altro mentre era a letto con il suo ragazzo, anzi, la
considerava una fantasiosa soluzione ai momenti in cui il contesto
doveva essere ravvivato in qualche modo, se voleva raggiungere
l’apice del piacere con meno sforzo e in modo… diverso dal
solito, così lo definiva.
Lo sconosciuto che la possedeva nel
suo immaginario mentre faceva l’amore con Danny non aveva quasi
mai avuto un volto ben preciso o familiare e non era mai stato la
stessa persona per due volte di seguito. Era tutti e nessuno, era un
ragazzo carino entrato in libreria o un bel signore di mezza età
intravisto in metropolitana, a volte era persino Dougie, ma solo per
brevissimi e sfuggenti fotogrammi, stralci del passato che ogni tanto
tornavano a farsi vivi nella sua mente, tirandole buffi scherzi.
In quel momento, Danny
era… solo Danny. Era più che sufficiente, stava
cominciando a farle girare la testa e a muoversi dentro di lei come
più le piaceva.
Con due dita l’aveva penetrata in entrambi gli orifizi e la stava facendo gemere sempre più forte.
Lui amava sentire quel suo lamento appagato e appagante.
Lei amava sentirlo muoversi ed espandere dentro di lei quella sensazione oscenamente immensa di goduria mescolata alla lussuria.
Nella sua fantasia, qualcun altro stava stuzzicando il suo ano, ma ancora non aveva dei lineamenti ben definiti…
Doveva pensarci, osare ancora un po’…
“Sì…”
ansimò, sentendo come irriconoscibile la propria voce. Danny
mosse le dita ancora più velocemente e cercò le sue
labbra per un lungo e profondo bacio che la fece gemere nella sua bocca.
La fantasia si fece più
delineata e spinta: era incastrata tra due ragazzi, uno di loro era il
suo fidanzato, voleva che fosse lui perché era sempre presente
nei suoi trip erotici, se lo meritava, ne era più che degno:
fare l’amore con lui, come anche solo i preliminari, era
fantastico.
Ma non c’era solo lui al mondo.
Di nascosto, quasi vergognandosene,
ma con una punta di malizia che rendeva la sua fantasticheria ancora
più eccitante, volle vedere un’altra persona alle sue
spalle.
Quella con cui stava facendo sesso anale, mentre Danny la scopava davanti.
L’orgasmo arrivò improvvisamente in un’unica grande vampata di calore partita dallo stomaco.
“Daniel!” gemette Clarissa prima di contorcersi sotto le mani di Danny.
Il chitarrista la baciò
intensamente, coprendo i suoi gemiti, e sospirò con voce roca:
“Se ridici il mio nome completo in quel modo…
impazzisco…”
Con gli occhi spalancati nel buio,
calmò il proprio respiro ma non riuscì a replicare. Si
limitò ad abbracciarlo spasmodicamente per nascondere il viso
nel suo petto, come se avesse potuto vederla, scoprirla.
Il chitarrista ricambiò la
stretta, vedendovi un gesto tipicamente affettuoso e romantico, il
platonismo trionfante dopo la materiale fisicità. Le cinse le
spalle con un braccio e sorrise nel baciarle la nuca e
nell’ascoltare il suo respiro che si stava regolarizzando.
La ragazza sbatté finalmente
le palpebre, atterrita, e dopo aver sentito il bacio sulla testa le
richiuse e le strinse forte, decisa a dimenticare quella stupida
fantasia che aveva sviluppato poco prima.
Daniel.
Che assurdità.
Non sapeva perché le aveva dato tanto fastidio immaginarsi con lui.
Forse perché…
Ti è piaciuto pensare che fosse lui a buttartelo nel culo, non è vero?
Il suo cuore non accennò a rallentare i battiti.
Troietta.
“Amore… Tutto bene?”
Alle premure del fidanzato, rispose con voce apparentemente serena.
“Certo, sto bene…”
Tremava dentro.
~~~
Iniziò a preparare la
valigia con entusiasmo, soddisfatta della sua prontezza, ma anche della
fortuna che aveva avuto nel prenotare il volo con così poco
anticipo: sarebbero partiti sabato pomeriggio a mezzogiorno e mezzo.
Ancora 48 ore e avrebbe finalmente rivisto Barbara, Nora, la sua terra
natale, quella sorta di “sconosciuta” che,
inspiegabilmente, le mancava nonostante avesse fatto da cornice alla
sua sgangheratissima vita, piena di momenti da dimenticare.
Anche se qualche ricordo si salvava, prezioso e brillante in mezzo a quel pesante grigiore della sua esistenza.
Erano la sua consolazione, il
motivo per cui non aveva paura di tornare ogni tanto, anche se lei
aveva percorso una strada diversa.
Non vedeva l’ora di respirare
ancora una volta quella bizzarra atmosfera fatta di amarezza e calore:
sapeva che all’impatto iniziale, brusco e carico di repulsione,
sarebbe seguito l’abbraccio di Barbara e dopo anche quello di
Nora, e allora tutto sarebbe tornato a posto nella sua anima scossa;
l’aspro sapore nella sua bocca sarebbe diventato dolce e infine
frizzante grazie alla festa, sicuramente paragonabile ad una sagra dei
dolciumi locali, colma di chiacchiere di attempate signore sedute nelle
loro sedie di plastica in giardino, un po’ acciaccate ma ancora
arzille e sempre in vena di spettegolare un po’, con leggerezza,
specie se in presenza di volti semi- nuovi, come quelli di Clarissa e
Danny, che sarebbero stati sicuramente coccolati, viziati e farciti a
dovere dalla festeggiata e non solo.
Quando si accorse che il suo turno
pomeridiano si stava avvicinando, mise da parte il suo trolley in
camera da letto e pranzò velocemente da sola con
un’insalata preparata in due minuti.
Mangiando, fece uno scrupoloso
elenco mentale di che cosa mancava ancora da mettere in valigia; per un
attimo si preoccupò anche di quella di Danny, ancora vuota, ma
lasciò subito perdere: inutile sprecare tempo ad avvisare uno
che faceva i bagagli all’ultimo momento e che, miracolosamente,
non si dimenticava mai niente a casa!
A proposito di dimenticanze,
proprio quel testa di rapa aveva scordato accanto alla finestra
l’accendino, di nuovo. Ne avrebbe comprato uno nuovo, convinto di
averlo perso, così la sua collezione si sarebbe arricchita per
l’ennesima volta al suo ritorno.
Aveva ancora la testa un po’
tra le nuvole, ma da quella sera aveva seriamente iniziato a darle
più attenzioni, era ritornato il solito Danny, quello
equilibrato ed imbranato tutto musica, amici e complicità
silenziosa appena si scambiava un’occhiata con lei.
Era contenta del fatto che quello strano senso di panico fosse sparito, ora che lui era tornato ad essere più presente.
Certo, non aveva potuto fare a meno di pensare a Daniel, a come lo aveva pensato senza un apparente motivo.
Era carino, con un accento
straniero che quasi le faceva tenerezza, affabile, sempre pronto ad
ascoltarla quando l’accompagnava a casa dal lavoro,
spiritoso…
Ma sì, e allora? Cos’è, non posso pensare a lui come a un ragazzo carino? si rimbeccò da sola mentre si preparava per uscire di casa.
Una volta scesa in strada,
camminò a passo sostenuto e liquidò quell’ultimo
sprazzo di negatività dal suo cervello con una solida
giustificazione dettata dalla razionalità, nonché da un
pizzico di umanità…
Mai
fantasticato su un tuo collega di lavoro? Ebbene, adesso sai che si
può. Contenta? Adesso vai a lavorare e ricordati quanto sei
felice con Dan.
E poi anche lui è fidanzato.
“Ciao a tutti!” esordì allegramente avvicinandosi al bancone.
“Ciao! Siamo pimpanti oggi!” la salutò Anne, sorridendole.
“Bonjour,
Clarissa!” esclamò Daniel, in equilibrio su una scala
mentre stava impilando dei libri sugli scaffali più alti.
Agitando le mani per mimare il suo
buongiorno, la ragazza andò nel retrobottega per sistemarsi e
poco dopo accorse per aiutare lo studente nella sistemazione dei volumi.
“Sai che quel locale di cui
ti avevo parlato settimane fa è stato inaugurato lo scorso fine
settimana?” la informò il francese mentre Anne stava
servendo un cliente.
Clarissa rimase perplessa qualche
secondo per poi ribattere: “Ah, sì, mi ricordo! Ma non
doveva aprire tra… una settimana o due?”
“Credo che i lavori di
ristrutturazione siano finiti in anticipo! Dicono sia stata una cosa
fichissima, il tema scelto per la festa inaugurale era… il
futurismo! Ho visto alcune foto su Facebook, erano tutti vestiti da
urlo!”
Clarissa ridacchiò e disse:
“Sarebbe piaciuta molto ai miei amici e al mio ragazzo! Per il
loro ultimo album si sono dedicati ad una cosa simile!”
“Perché una volta non ci andiamo?”
La proposta giunse inaspettata e la diretta interessata alzò le spalle con un’aria spiazzata.
“Ma… non
saprei…” borbottò, incerta “Che ne sappiamo
di come vestirci, quanto si paga per entrare…?”
“Io sono iscritto al gruppo
ufficiale su Facebook!” puntualizzò Daniel “Le donne
non pagano il venerdì, altrimenti sono dieci sterline per questo
primo mese di promozione! E le feste in costume si svolgono una volta a
settimana, mi aggiornerò sul tema su Internet!”
“Ma… ma sai già
tutto!” constatò l’altra, stupita; venne ricambiata
con uno sguardo sorridente che la pregava di farlo contento.
“Daniel, non lo so se…
Senti, comunque se dicessi di sì, non posso venirci questa
settimana né la prossima, perché vado in Irlanda da mia
madre per qualche giorno!”
“Ok, ok, però
andiamoci, ti prego!” la implorò il ragazzo senza smettere
di sorridere “Non voglio chiederlo a Pilar, ti ho spiegato
perché…”
“E che mi dici di Anne? Lei non ha accettato?”
“Anne… Lo chiederò anche a lei, certo!” mentì lui “Però vieni anche tu!”
Davanti a tanta insistenza, Clarissa preferì tagliare la testa al toro.
“Va bene, va bene!”
confermò, esasperata “Ma prega che il tema non sia al
limite dell’assurdo, perché altrimenti ti tiro un bidone,
ti avverto!”
Lui la ringraziò nella sua
lingua, contentissimo, e non la disturbò più, anzi,
divenne persino più collaborativo e silenzioso.
Clarissa si ritrovò a
fissarlo di nascosto in alcuni momenti, vagamente frastornata dai suoi
modi gentili e discreti, dal suo bizzarro entusiasmo per quella
discoteca in cui voleva trascinarla, bardata in chissà che modo.
Ad un certo punto, si decise a fare
due chiacchiere con Anne e la trovò alle prese con alcune carte
della contabilità.
“Ci vuoi venire con me e Daniel a ballare?” buttò lì.
La ragazza alzò lo sguardo per risponderle ironica: “Si va a caccia o a bere?”
“E’ un locale in cui si
fanno feste a tema, scema, si fa per ridere…”
obiettò l’amica “Daniel dice che sembra la fine del
mondo, se non ci andiamo ce ne pentiremo per il resto dei nostri
giorni… Qualcosa del genere, insomma, mi ha fatto une testa
così e volevo sapere se-“
“Ferma i lavori, cara!”
la interruppe l’altra “Non so se ne sei al corrente, ma io
a breve me ne andrò in ferie, e si dia il caso che parta
Domenica! Me ne vado, levo le tende per una decina di giorni!”
“Ah…” replicò Clarissa in tono deluso “E… dove vai?”
“Mi unisco ai miei per una
capatina in Scozia, niente di che! Vorrà dire che farete
baldoria senza la sottoscritta! E poi lo sai che io vado a ballare solo
per provarci coi tipi carini, bel culo e portafoglio possibilmente
gonfio…”
“Posso prestarti Dan ogni tanto, se vuoi!” propose la bionda scherzosamente.
“Non dirlo! Clarissa, non
dirlo neanche per scherzo! Pazza, sei solo una pazza!”
sbottò Anne prima di scoppiare a ridere, rossa come un peperone.
“Ma davvero non vuoi venire a fare due salti in compagnia?” insisté ancora una volta la ragazza, speranzosa.
“Vedremo dopo le mie vacanze,
ok? Nel frattempo tu e Daniel potreste andare fare un giro di
perlustrazione, un collaudo, così se anche io vorrò
venirci non avrò brutte sorprese!”
“Usurpatrice!”
l’apostrofò Clarissa prima di tornare al suo daffare con
aria rassegnata, anche se col sorriso sulle labbra.
Anne in ferie. Non ci voleva.
Ma del resto, perché
disperarsi? Anche se sapeva che non avrebbe potuto invitare i ragazzi,
Danny compreso, per evitare spiacevoli epiloghi imbarazzanti fatti di
folle di fan isteriche, avrebbe potuto portare con sé Frankie, o
magari Gi, giusto per non rimanere soltanto con Daniel.
Perché, doveva ammetterlo, stare sola con lui avrebbe potuto farla sentire non poco a disagio.
Quando chiudere i battenti per
quella giornata fu compito di Clarissa, Daniel terminò di
spazzare il pavimento, si assicurò che la libreria fosse in
ordine e raggiunse la collega per accompagnarla lungo il consueto
tratto di strada da percorrere insieme.
“Allora, quand’è che parti esattamente?”
“Sabato, in tarda mattinata! Non vedo l’ora!” esclamò la ragazza.
“E’ da molto che non vedi tua madre?”
“Non la vedo da un anno, sì… La sento spesso per telefono, ma non è la stessa cosa…”
“Ma non poteva rimanere a Watford? Mi avevi detto ci viveva da un sacco di tempo!”
“Sì, il problema
è che poi sono successe così tante cose… La
signora che dava vitto e alloggio a Nora è morta, quindi lei
è voluta tornare a Dublino… Barbara si è
trattenuta qui per qualche mese dopo la sua partenza, però poi
ha deciso di partire per occuparsi di lei: aveva capito che io stavo
bene, che mi ero sistemata, avevo trovato una casa e un lavoro…
e così adesso sono entrambe laggiù…”
“Si direbbe che vi volete molto bene…” osservò Daniel con un sorriso intenerito.
Clarissa annuì e
ribatté con serenità: “Sono tutta la mia famiglia,
non potrebbe essere altrimenti…”
“Rivedrai anche il tuo autista di famiglia alla festa?”
“Elroy? Credo di sì, Nora mi ha detto che ci sarà anche lui…”
“Mi piacerebbe conoscerlo, sembra un tipo simpatico da come me ne hai parlato!”
“Ti porterò qualche foto allora!”
“Grazie! E fai anche qualche fotografia al paesaggio, se non ti dispiace: non sono mai stato in Irlanda!”
“Sarà fatto, ok!”
“Merci!”
Giunti al bivio, si salutarono con
due veloci bacetti sulla guancia, gesto in cui Daniel aveva preso
l’iniziativa e a cui lei non si era sottratta per buona
educazione.
“Ci vediamo quando torni! Io domani ho lezione in facoltà…” la informò il ragazzo.
Clarissa ribatté scherzosa: “Allora non combinare troppi disastri in libreria in mia assenza!”
“Donna di poca fede!”
la rimproverò con una risata l’altro, prima di aggiungere:
“Piuttosto, pensa alla proposta che ti ho fatto sul locale!”
La ragazza alzò gli occhi al
cielo, poi si ricordò di informarlo delle ferie di Anne. Lo
studente fece spallucce, praticamente disinteressato al fatto che la
loro collega non avrebbe tenuto loro compagnia, poi riprese: “Ci
andremo io e te, no?”
“Bè…”.
Esitò la biondina… “Possiamo riparlarne quando
torno, con più calma, ok?”
Daniel sorrise, conciliante, e annuì per poi salutarla definitivamente.
Guardandola allontanarsi di soppiatto, le fissò il fondoschiena.
Alzò l’angolo sinistro della bocca in un ghigno malizioso, poi prese a pedalare sulla sua bicicletta.
Decise di aspettare prima di sentirsi trionfante al cento per cento.
Il bello doveva ancora venire.
~~~
“Non capisco perché hai bisogno di preparare i bagagli un mese prima di partire…”
“Ho iniziato solo ieri, ci ho messo dentro due cose!”
“Ma partiamo domani a mezzogiorno!”
“Sì, e se io non mi
organizzo per tempo, finisco sempre per fare casino e metà delle
cose che voglio portarmi dietro rimarrà a casa!”
“Ok, come vuoi… Io la preparerò domattina…”
“I biglietti ce li hai tu?”
“Sono nel cassetto del mobile nell’ingresso…”
“Sicuro?”
“Claire, sì!”
“Ok, calmati!”
“Ma…”
Danny rimase bloccato in un sorriso
spiazzato mentre fumava alla finestra; Clarissa lo fulminò con
lo sguardo e si difese dicendo: “Ti conosco, spesso e volentieri
tu le cose le perdi!”
“Ce li ho messi un minuto fa, in quel cassetto, Clarissa, sono più che sicuro…”
“Sarà meglio! Mi passi quel paio di jeans?”
“Ma non volevi metterli domani per la partenza?”
La ragazza rimase interdetta
qualche secondo, poi scosse la testa e sospirò:
“Sì, è vero…”
“Guarda che stasera hai tempo per finire di sistemare tutte le tue cose…”
“No” si oppose subito
l’altra, alzando l’indice destro con aria saputa “No,
perché stasera voglio andare a letto presto, al contrario di te.
E al massimo voglio aggiungere al bagaglio quelle due o tre cosette che
sicuramente adesso non sto ricordando! Niente di più, niente di
meno!”
“Non farò tardi
neanche io, se è per questo!” puntualizzò il
chitarrista “Una birra, due tiri al biliardo e sono a casa!”
“Già, peccato che parti da casa alle dieci e mezzo!”
“Sì, ma solo perché danno da bere la birra gratis dopo le undici…”
“Dan. Tornerai all’alba, già lo so.”
“Donna di poca fede!” la schernì lui con un sorrisetto per poi gettare il mozzicone dalla finestra.
Clarissa per tutta risposta lo
fissò inebetita, tanto che il chitarrista fu costretto a
chiederle: “Ehi… Tutto ok? Che ho detto?”
“… Niente. No,
niente…” gli rispose lei, frettolosa “Stavo pensando
a… a cosa prendere dal bagno per la valigia…”
Donna di poca fede. Pensano entrambi la stessa cosa di te, non lo trovi… bizzarro?
Si impose la calma ed il sangue
freddo davanti allo specchio del bagno, mentre stava scegliendo quali
prodotti raggruppare sul ripiano, in bella vista, prima di spostarli
nel suo bagaglio.
Hai notato che hanno tutti e due gli occhi azzurri?
“Quelli di Danny sono
azzurri. Daniel ce li ha più scuri. Non sono come i
suoi…” sussurrò tra sé e sé,
infastidita.
Ti metterai ne guai, Clarissa.
Si puntò gli occhi addosso, nella superficie vetrata. Inspirò rumorosamente, le narici ben dilatate.
“Stà zitta” intimò a denti stretti.
Sbatté gli sportelli che
aveva aperto ed uscì dalla stanza, decisa a distrarsi in cucina:
si sarebbe messa a preparare la cena, così non avrebbe pensato a
niente.
Sentì i passi di Danny farsi sempre più vicini alle sue spalle.
“Ti metti già
all’opera? Che prepari di buono?” curiosò,
appoggiando il mento sulla sua nuca; la ragazza si scostò con
una piccola risata e rispose: “Credo che
improvviserò… Mettiti pure comodo…”
Una grossa bistecca al sangue
così grossa da dover essere divisa in due e una porzione
generosa di verdure grigliate a testa, il tutto accompagnato da un buon
vino rosso; Clarissa ne bevve tre abbondanti bicchieri con grande
stupore di Danny, che invece lo assaggiò soltanto, in attesa di
bere con gli amici più tardi.
“Era tutto buonissimo! Anzi,
più buono del solito!” si complimentò, alzandosi
per aiutarla a sparecchiare.
La fidanzata replicò con un
grande sorriso soddisfatto e con le guance arrossate
dall’imbarazzo - o dal vino – e commentò:
“Avevo voglia di svagarmi un po’… in cucina!”
“Vedo che ci hai dato dentro
anche con il vino… Hai l’occhio brillo!” le fece
notare lui, picchiettando l’indice sul suo naso e facendola
traballare.
“Ho bevuto un po’ solo
per calmarmi, lo sai che sono sempre nevosa prima di un viaggio!”
si giustificò l’altra, mentendo spudoratamente.
Danny rise e la baciò sonoramente su una guancia, poi entrambi si dedicarono alle ultime faccende in cucina.
Un paio d’ore più
tardi, dopo aver guardato un film stesi sul divano, il ragazzo si
preparò velocemente per la sua uscita tra amici: nel giro di una
scarsa mezz’ora era già pronto.
“Non restare sveglia per aspettarmi, ok?” la avvertì, premuroso.
“Certo che no!”
concordò con ironia la fidanzata “Farete l’alba, ve
lo dico io! Prima una birra, poi un biliardo, poi lo champagne per
brindare al progetto che state realizzando, poi un’altra birra
perché domani partiamo, poi Dougie con le sue barzellette sceme
di cui riderete come matti, poi forse uno di voi
vomiterà… e prima di tornare a casa, kebab delle cinque
del mattino, perché altrimenti non sapreste come far assorbire
tutto l’alcool ingerito! Sentito che bel programma?”
Danny sospirò, ma senza
arrabbiarsi; piuttosto sorrise e prima di salutarla con un bacio a
stampo le disse: “Ti stupirò! Come ho sempre fatto!”
“Divertiti! Scemo!” lo canzonò lei, ridendogli in faccia.
Si sentì chiamare dalla porta di casa dopo neanche cinque secondi.
“Claire?”
“Mmmhhh?”
“E dài, affacciati!”
Obbedì, facendo capolino dal salotto.
“Ti amo…” le disse dolcemente.
“Ooohhh!” esclamò di rimando la ragazza con aria smielata “Fai proprio bene, mio caro!”.
Per impedirgli di vendicarsi di
quella sua uscita così inaspettata, gli andò incontro per
prima, unendo le mani nascoste nelle maniche della felpa dietro al suo
collo per poi mettersi in punta di piedi e baciarlo.
“Ti amo anch’io…
E adesso vattene!”. Lo salutò così, con un sorriso
sincero, innamorato. E infine tornò alla sua televisione,
ripromettendosi di andare a letto nel giro di un’ora al massimo.
Le tre del mattino.
Aprì gli occhi a causa di
una pipì impellente: colpa del vino e della birretta fresca
trovata in frigo poco prima, mentre non riusciva ancora a prendere
sonno.
Non era ancora tornato.
Sbuffò, mostrando allo
specchio del bagno un broncio assonnato e contrariato, ma tutto sommato
molto tollerante, perché era abituata alle uscite di Danny che
sfociavano in albe e, in un paio d’occasioni, in tarde mattinate.
Si ributtò nel letto subito dopo aver svuotato la vescica e si riaddormentò in pochi minuti.
La sveglia sarebbe suonata alle otto e mezza.
Le sei. La timida luce del sole la svegliò molto prima del previsto, infiltrandosi attraverso la finestra.
Alla vista della parte sinistra del letto ancora intatta, sbatté il palmo sul materasso in un gesto di stizza.
“Ma allora è cretino…” gracchiò con la voce impastata dal sonno.
Il telefono di casa squillò e per poco non le perforò un timpano, vicino com’era al letto.
Si rizzò subito a sedere e nell’afferrare la cornetta pensò preoccupata che fosse successo qualcosa…
“Pronto?”
“Claire? Dormivi?”
Tom.
“Mi sono svegliata adesso… Tom, che è successo?”
“Non è niente di grave, devi stare calma…”
Automaticamente, Clarissa si agitò.
“Tom, dove sei? Dove siete tutti?”
Lo sentì schiarirsi la voce nervosamente…
“Al pronto soccorso…” ammise.
“Cos’è successo?” domandò immediatamente la ragazza, lapidaria, alzandosi in piedi.
“Dan e Harry. Si sono…
Claire, c’è stato un po’ di casino, sono venuti alle
mani, ma erano ubr-“
“DIMMI SUBITO DOVE SIETE, STO ARRIVANDO!” le gridò nell’orecchio l’amica.
Tom l’accontentò subito e gli venne riattaccata la cornetta in faccia.
“E’ incazzata
nera…” commentò abbattuto di fronte allo sguardo
interrogativo di Dougie, che sedeva accanto a lui nella sala
d’aspetto.
“Oh, santa merda…” sospirò il bassista, le mani tra i capelli “E adesso?”
“… E adesso… e
adesso mi piacerebbe tanto sapere dov’è finita
quell’altra stronza…”
“Forse è meglio che non sia qui, non credi?”
“Già… ma vorrei lo stesso vederla, giusto per sapere cosa cazzo le è preso!”
“Io non vorrei essere nei panni di Jones…”
“Cristo santo…”
La videro percorrere a enormi
falcate il corridoio: aveva indossato una tuta in fretta e furia,
s’intravedevano le chiavi dell’automobile spuntare dalla
sua mano destra chiusa a pugno.
Lei odiava guidare, lo faceva solo se strettamente necessario.
I capelli raccolti in una coda alta
e disordinata lasciarono in vista i suoi occhi, più grandi del
solito e carichi di sonno, ma anche di un qualcosa di esplosivo che
Dougie e Tom cercarono di trattare con i guanti.
“Stanno bene, adesso stanno
bene” esordì il suo coetaneo, mettendogli le mani sulle
spalle; lei si scostò, seccata, e domandò con un filo di
voce: “Dove sono adesso?”
“Sono nella stanza a fianco,
c’è il dottore che li sta visitando, ci ha detto di
aspettare, tornerà presto…” provò
tranquillizzarla il chitarrista, ma invano: Clarissa scoppiò in
un pianto improvviso e isterico.
“Cosa cazzo devo
aspettare!!!” abbaiò tra le lacrime mentre cominciava a
camminare freneticamente in cerchio, così che i due ragazzi non
riuscivano ad avvicinarla.
“Clarissa, erano coscienti
quando li abbiamo portati qui, non è niente di serio!”
esclamò Dougie, che a fatica le stava dietro.
“E’ stata una stronzata
da niente, avevano bevuto troppo e poi le cose sono
degenerate…” aggiunse Tom, cercando di afferrarle le mani,
incollate al viso.
In risposta ebbero solo dei
singhiozzi, ma se non altro la loro amica si fermò in mezzo alla
stanza, stanca di camminare; Tom ne approfittò per abbracciarla
forte e le disse a bassa voce: “Dan sta bene. Tra poco ti ci
lasceranno parlare, vedrai…”
“Vuoi che ti
spieghiamo… com’è andata?” le propose con
cautela Dougie, allungando una mano per accarezzarle un braccio.
La ragazza annuì debolmente per poi abbassare le mani e rivelare il volto sconvolto.
“Harry aveva portato anche
Cassie… Anche se nessuno di noi glielo aveva chiesto, neanche
accennato…” iniziò il suo migliore amico.
Dougie, sedendosi accanto a lei con
un bicchiere d’acqua da darle, continuò: “Ci siamo
fatti una birra, poi abbiamo cambiato locale e abbiamo giocato a
bowling… Verso le tre ci siamo spostati di nuovo e siamo finiti
in un disco- pub, dove abbiamo continuato a bere per un
po’…”
“Ci siamo messi a ballare,
Dan era a pochi passi da me, ognuno di noi si stava facendo gli affari
propri… E mentre Harry era fuori a fumare da solo…”
Clarissa trasalì davanti all’esitazione di Tom.
“Cos’è successo? Dan si è sentito male?” domandò con voce tremula.
Dougie scosse la testa e le disse
direttamente: “Cassie ha iniziato a strusciarsi addosso a lui,
Claire. E’ stata lei a prendere l’iniziativa. Jones stava
soltanto ballando e non la notava nemmeno!”
La ragazza lo fissò
inebetita, a bocca aperta; cercò una risposta diversa da parte
di Tom, ma anche lui si ritrovò a confermare: “E’
vero. L’ho vista anch’io. Ci stava provando. E Danny ha
provato a respingerla più volte, ma non ce la faceva,
perché… perché era troppo ubriaco e credeva che
lei stesse solo… scherzando… le rideva in faccia, faceva no con la testa, ma…”
“E Harry dove cazzo era nel frattempo?!” sibilò l’amica, furibonda.
“Judd è arrivato quasi
subito! E appena ha visto cosa stava succedendo… non ha
più capito un cazzo. Anche lui aveva bevuto un po’ troppo,
quindi invece di limitarsi a mandare a fanculo Cassie, ha attaccato
briga con Dan…”
“Non è durata molto la cosa, comunque: siamo riusciti a bloccarli…” intervenne il bassista.
La loro amica fece scorrere gli occhi su entrambi i loro visi, disorientata ed incredula.
“Si sono picchiati? E’ questo che volete dirmi? Hanno fatto a botte?”
Dopo aver cercato invano con lo sguardo di delegare a Dougie quella risposta, Tom annuì gravemente senza dire una parola.
Clarissa si alzò in piedi per poi voltarsi verso di loro, con le braccia che le penzolavano inerti lungo i fianchi.
“Danny e Harry hanno fatto a
botte perché… perché quella zoccola ha
tentato… Io non…” balbettò, sull’orlo
di una crisi di nervi.
“Tieni presente che erano
sbronzi, Clarissa” puntualizzò il bassista “Non
stavano certo ragionando…”
“E poi non è stato
difficile fermarli” aggiunse Tom “E’ solo che prima
che ci fossimo accorti di qualsiasi cosa, se le stavano già
dando di santa ragione sul pavimento e… Harry ha fatto battere
la testa a Dan, che a sua volta gli ha aperto un labbro con un
pugno…”
L’amica li ascoltava in
silenzio, quasi insensibile nel suo doloroso stupore, nella sua
stanchezza fisica e mentale, nel suo stress schiacciante che le era
piombato addosso tutto d’un colpo.
“Comunque adesso hanno fatto qualche lastra a entrambi, stiamo aspettando i risultati…” concluse Dougie.
“Il dottore ci ha detto che sono svegli, la sbronza è passata del tutto…” la informò Tom.
Lei annuì lentamente, senza
essere sicura di aver capito tutto. Ma aveva compreso abbastanza per
sentirsi in diritto di essere nello stato in cui si trovava.
“Ok…” sospirò, esausta “Aspettiamo il dottore…”
Un’ora più tardi, verso le sette e trenta, il medico curante li chiamò a sé.
Clarissa ascoltò nei minimi
dettagli le diagnosi: il labbro inferiore spaccato per Harry e un lieve
trauma cranico per Danny, che doveva rimanere in osservazione per le
successive 24 ore.
Le caddero le braccia davanti a
quel responso, ma l’irremovibilità del dottore la
trattenne dal porre domande scomode o richieste eccezionali.
Fu Tom il primo a preoccuparsi della sua situazione.
“Claire… Ma non dovevate partire oggi…?”
La sua amica annuì lentamente guardando il vuoto davanti a sé. Il chitarrista desiderò sotterrarsi.
Dougie provò ad intervenire: “Forse, se ne parlate, potrai andare tu da sola…”
“Sarà meglio che gli
resti vicino…” mormorò la ragazza in tono piatto
“Cercherò di ottenere il rimborso dei biglietti quanto
prima…”
Nessuno dei due le suggerì più niente.
Pochi minuti più tardi poterono entrare nella stanza doppia in cui avevano sistemato i ragazzi.
Si stavano chiedendo scusa a vicenda, come due ragazzini stupidi.
Harry parlava a denti stretti per
non muovere troppo la bocca e Danny non lo guardava mentre replicava,
perché se muoveva la testa sentiva dolore.
“Mi dispiace per il casino, Judd… La prossima volta, però, non portare Cassie…”
“Giuro su quanto ho di più caro al mondo che appena la trovo mi sentirà, quella stronza…”
“Che cosa le è saltato in mente non lo so, te lo dico sinceramente!”
“Ma io ti credo! Non è stata colpa tua! Sono io che non ci ho visto più!”
“E io di certo non ti ho fermato, anzi… Siamo stati due coglioni…”
“Sì, due coglioni fatti e finiti… Non vedo l’ora di essere fuori di qui…”
“Harry, tu puoi andartene, se
vuoi! Così magari scopri dov’è scappata
Cassie” precisò Tom con un sorriso sarcastico.
“E io? Me ne sto qui come un coglione?” domandò il chitarrista.
Dougie gli rispose: “Hai battuto la testa, stupido, certo che devi restare qui…”
Clarissa fu riconoscente al suo
amico per aver esplicitato le condizioni in termini pacati: lei non ci
sarebbe riuscita. Né in quel preciso istante, né in
quelli a venire.
Lo stava odiando. Gli avrebbe preso
volentieri la testa tra le mani per poi scuoterla apposta per sentirlo
urlare dal dolore, e magari anche per verificare se gli era rimasto
ancora un briciolo di cervello.
Si era spaventata a morte per colpa sua, era convinta che avesse fatto un incidente.
E invece era lì, in quel
letto, vestito di tutto punto, com’era uscito, con i capelli
completamente spettinati, la camicia macchiata di vino, un monumento di
lagne e lamenti per una botta in testa che avrebbe richiesto, seppur
nel suo piccolo, un periodo di riabilitazione che andava anche oltre
quelle semplici 24 ore al pronto soccorso.
“Amore…” la chiamò con voce stanca e uno sguardo da cane bastonato.
Gli si avvicinò, inespressiva.
Lui le prese una mano fredda, la baciò e le sussurrò: “Mi dispiace tanto…”
Per quanto potesse sembrarle sinceramente mortificato, non volle rabbonirsi.
Aveva rovinato tutto.
Niente più Irlanda, niente più festa di Barbara, niente più regalo di compleanno.
Aveva aspettato quel momento per più di un anno.
“Cercherò di farmi rimborsare i biglietti” disse laconica.
“Ma perché, tu non vai?” le domandò lui, stupito.
Scosse la testa.
Il ragazzo provò ad opporsi: “Claire, devi andare! È tua madre!”
“Tu hai più bisogno di me” lo bloccò la fidanzata, senza cambiare tono di voce.
“Ma come sarebbe a dire, è soltanto uno stupido bernoccolo…” scherzò lui, poco convinto.
“Anche volendo, non potrei
partire e presentarmi là da sola” continuò la
ragazza, per poi puntargli gli occhi addosso con freddezza “Con
che faccia spiegherei cos’è successo? Dovrei pur dire la
verità, no? Mi sembra il minimo, con Barbara. E come spiegherei
che il mio ragazzo non è potuto venire perché si è
ubriacato, ha picchiato un suo caro amico e si è quasi spaccato
la testa?”
Aveva alzato la voce senza rendersene conto e tutti si erano voltati a guardarla.
Le occhiaie le rendevano gli occhi vitrei. Sotto di lei, appoggiato al cuscino, Danny era muto e spaventato.
“Claire…”. Harry
tentò prudentemente di inserirsi, ma senza successo: lei lo
ignorò completamente, come se non lo avesse neanche sentito.
“Tu non vai in Irlanda e
neanche io ci vado. Resteremo qui. Così quella tua grossa testa
di cazzo guarirà e tu ti sarai fatto le tue meritatissime ferie.
Spero tu sia contento di questo…” concluse con aria
sprezzante.
“Vieni via, Clarissa…” la richiamò con calma Tom.
Danny balbettò di rimando,
sentendosi in tremendo imbarazzo: “Se… se per te è
un problema così… così grave, ecco,
potresti… sì, puoi anche partire senza di me e, insomma,
cosa vuoi che ti dic-“
“Jones!” lo rimproverò Dougie “Stà un po’ zitto…”
“Ragazzi, potreste ascoltarmi
un attimo?” Harry cercò inutilmente di attirare
l’attenzione per dire la sua.
“Sei uno stronzo!!!”
sbottò Clarissa, divincolandosi con violenza dalla stretta
gentile di Tom “Avevi detto che non saresti tornato tardi e mi
hai fatto prendere un colpo!!! Hai mandato tutto a puttane, tutto a
puttane, maledizione!!!”
“Basta! Basta, Claire!” gridò Dougie nel tentativo di placare la sua rabbia che fallì miseramente.
“Non te n’è
fregato un cazzo di quello che ti ho chiesto!!!” continuò
la ragazza, le lacrime che scendevano sulle guance, lacrime di rabbia
“Hai bevuto come una spugna e ora guardati! Guardati!!! Bravo,
complimenti! Sei stato davvero il miglior coglione dell’anno!!!
Io non ho parole, sul serio, non ne ho più per insultarti!”
“Clarissa, finiscila!”. Anche Tom si ritrovò costretto ad alzare la voce.
“E vaffanculo pure tu!”
gli sputò in faccia lei, prima di spintonarlo da parte per
uscire, ancora più furiosa di prima.
Senza la minima esitazione, il chitarrista le corse dietro.
Doug rimase allibito a fissare
Danny e Harry di fronte a sé. Il batterista abbassò lo
sguardo con un sospiro sconfortato; l’altro iniziò a dire:
“Io davvero n-non…”
“Chiudi il becco, Dan. È meglio…” lo ammutolì il bassista, scuro in volto.
“Claire!! Claire!!!”
“Lasciami in pace, Tom!!!”
“No, fermati subito! Subito, ho detto!”
“Vai a farti fottere!!!”
“Questa non l’ho sentita, ok?!”
Finalmente la raggiunse, anche se
ormai Clarissa era arrivata alla sua macchina. Tom riprese fiato per
qualche secondo dopo quella corsa che gli aveva fatto fare e poi disse:
“Non devi guidare in queste condizioni. Ti accompagno io a
casa…”
L’amica fece per opporsi, ma
appena fece per aprir bocca si portò una mano alla fronte e si
lasciò sfuggire l’ennesimo singhiozzo… Si mise
nuovamente a piangere, ma sommessamente.
“Io… Io non lo
so…” provò a spiegarsi “Io mi domando
perché ha voluto…”
“Ssshhh” la
zittì dolcemente il ragazzo, avvicinandosi “Ascoltami. Sei
molto stanca, sei sotto stress e hai bisogno di dormire un po’.
Fammi guidare. Che ne dici?”
Le prese con gentilezza le chiavi
dalla mano e l’accompagnò a casa, rispettando il suo
tormentato silenzio insieme al suo sguardo bagnato e assente che
guardava fuori dal finestrino.
Una volta
nell’appartamento le preparò una camomilla e gliela fece
bere, anche se all’inizio lei mostrava qualche resistenza.
Finita la bevanda calda, le rimboccò le coperte in camera da letto e le chiese: “Vuoi che resti qui?”
L’ombra di un sorriso le attraversò il viso.
“No, stai tranquillo, vai pure… Non voglio che Gi stia in pensiero…”
“Se vuoi, posso dire a Doug di passare…”
“No, no, adesso voglio solo… dormire un po’, o almeno provarci…”
“D’accordo, ma non mi piace che tu stia qui da sola fino a domattina…”
“Chiamerò Frankie più tardi, ok? Le chiedo se vuole pranzare con me…”
“Perfetto. Fammi sapere se hai bisogno di qualcosa, tengo il cellulare a portata di mano…”
“Grazie… Non preoccuparti, davvero… Adesso mi riprendo…”
Tom le sorrise, rincuorato, e la baciò sulla fronte prima di salutarla.
Rimasta da sola, Clarissa telefonò a Barbara.
“Come sarebbe a dire, non vieni?”
“Scusami, Barb, davvero… Io non posso proprio…”
“Ma avevi prenotato l’aereo e…”
“E’ che… mi vogliono con urgenza… in libreria…”
“Ma insomma, Claire, non potevi… non so, dire di no? Non è tua amica Anne?”
“Barbara, non ho potuto rifiutare, scusami, te lo sto dicendo!” esclamò a ragazza, spazientita.
Quel tono non convinse la sua mamma adottiva.
“Dimmi la verità, tesoro…”
“Barbara, io…”
“Davvero, Claire. Dimmi come
stanno le cose. Cos’è successo? Sai che non mi arrabbio se
me lo racconti…”
“E’ che… è successo tutto all’improvviso e…”
“Tu e Danny avete litigato? È lì con te adesso?”
“Scusa, è che…
non voglio parlarne adesso… Posso richiamarti io? Devo calmarmi
e al momento ti direi solo un sacco di stupidaggini senza
senso…”
“Va bene, d’accordo…”
“Mi dispiace tantissimo, Barb… Io volevo venire sul serio…”
“Lo so, angelo mio, lo so.
Dài, non prendertela così. richiamami quando sarai un
po’ più tranquilla, ok? Ci penserò io a dirlo a
Nora ed Elroy…”
“Grazie… Si arrabbieranno di sicuro…”
“Non se gli spiego che la tua voce al telefono mi è sembrata molto triste…”
Clarissa tirò su col naso e sbuffò in una piccola risata.
“Te ne accorgi sempre, vero?”
“Certo, tesoro… Adesso
cerca di tirarti un po’ su, va bene? Ci risentiamo quando vorrai,
cerca di non farmi aspettare troppo, ti dispiace?”
“Ti richiamo appena possibile, promesso… Grazie e scusa ancora…”
“Stai serena, tesoro mio, ciao…”
Qualche lacrima solcò ancora il suo viso per un tempo indefinito di cui lei non tenne conto.
Poi si addormentò
Sognò.
Era su un aereo per Dublino, tra le mani aveva il regalo di Barbara e la soddisfazione si leggeva chiaramente nei suoi occhi.
Nel sedile accanto al suo, posto- finestrino, c’era Daniel.
Le sorrideva, invitante.
“Ci andremo io e te, no?”
***
Il titolo del capitolo è tratto da "Silence is a scary sound", no lucro!!!
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