Io e mia sorella non ci
siamo mai
separati. Da quando siamo nati, abbiamo sempre fatto tutto assieme.
Due gemelli perfettamente
identici, che
continuamente si tenevano la mano.
I nostri parenti hanno
sempre ammirato
la nostra bellezza, i passanti erano colpiti dalla nostra
strabiliante somiglianza. Tutti rimanevano inteneriti da quanto
fossimo attaccati l'uno all'altra.
La mamma era sempre
così orgoliosa di
noi: sorrideva, carezzandoci le guance o i capelli e con gli occhi
colmi di gioia diceva:
“I miei
piccoli si vogliono un
mondo di bene. Non riescono a stare ognuno per conto proprio”
E poi
ci prendeva
in braccio, e ci baciava teneramente la fronte. Il suo abbraccio era
così morbido e caldo, e sapeva di frutta e di bucato. E noi
appoggiavamo la nostra buffa testolina bionda sulle sue spalle, con
le ditina paffute intrecciate saldamente.
“Siete
proprio inseparabili eh?”
Ci
cullava
dolcemente e sorrideva. Ci amava davvero tanto. Era così
contenta
che non fossimo come gli altri fratelli, sempre a scannarsi per chi
dovesse usare quello o l'altro giocattolo, per chi avesse diritto
alle sue coccole. Amava il fatto che ci volessimo tanto bene.
Io e
mia sorella ci
siamo sempre voluti bene, sempre di più man mano che
crescevamo.
Troppo
per gli
standard fraterni.
Ogni
sera, dopo
cena, ci rinchiudevamo nella nostra stanza a parlare, lasciando il
mondo fuori, stesi nel nostro grande letto dalle lenzuola dorate. E
ridevamo, scherzavamo, era il momento più bello della
giornata,
perché eravamo solo noi due e il nostro mondo.
Alle
medie, siamo
finiti in classi diverse “Per abituarli ad essere
indipendenti
dall'altro” dicevano gli insegnanti, che non vedevano di buon
occhio questo attaccamento.
Ma di
notte, quando
nessuno poteva dirci cosa fare, o con chi dovessimo stare, ci
sfogavamo a vicenda. E poi accadde. D'improvviso, senza capire come.
Rin
singhiozzava
forte. Io la stringevo fra le braccia. Era stata rifiutata da un
ragazzo più grande, un tizio dal volto gentile e la voce
amichevole.
Un senpai che tutti ammiravano per la sua disponibilità.
L'avevo
intravisto
una volta, con la sua sciarpa azzurra, dirigersi verso l'uscita della
scuola cartella in mano, in perfetta solitudine.
A
quanto avevo
capito dalle parole confuse e frammentarie di Rin, quel Kaito aveva
già qualcun altro per la testa.
Io non
riuscivo a
sopportare l'idea che qualcuno avesse potuto farle del male a tal
punto, ma allo stesso tempo, tutta la faccenda mi faceva sentire
sollevato.
Non mi
avrebbero
portato via la mia dolce Rin.
E la
strinsi,
ancora di più, premendo le labbra sui suoi capelli arruffati
e umidi
di sudore, sulla sua fronte, sul suo naso a punta, sulle sue labbra
morbide.
E
lì rimasero per
un bel po'. Ad assaporare il gusto delle sue lacrime e del suo
burrocacao alla
banana.
Lei non
ricambiò
il bacio, rimase immobile, interdetta. Quando mi separai da lei, era
sgomenta: i limpidi occhi azzurri mi fissavano cercando una
spiegazione a quell'asurdità che avevo appena commesso.
Io non
risposi,
continuai a guardare i lineamenti del suo viso – del nostro
viso –
stravolto, e cercai la sua mano, tenendola stretta fra le mie.
Fui
quando lei mi
sfiorò titubante la mascella con la punta delle dita,
rilassandosi
gradatamente, compresi una verità che sarebbe stato meglio
non
venisse mai fuori.
Le
afferrai il
volto, premendo le mie dita sulle morbide guance rosee e lo avvicinai
al mio. Lei chiuse gli occhi, e avvicinò tutto il corpo,
fino ad
incontrare il mio. Poggiai di nuovo le labbra e lei mi
ricambiò
esitante.
Passammo
tutta la
notte a scambiarci dei bacetti casti, a stare semplicemente
abbracciati, senza alcun pensiero per la testa.
“Mi
sento più al sicuro ora,
Len.”
Mi si
accocolò
vicino, e io la cinsi con un braccio, tenendole il morbido fianco.
Poco dopo si addormentò, e io pensai di amarla da morire. Di
amarla
davvero.
Avrei
voluto
baciarla ancora e ancora. Con la coda dell'occhio, seguii la curva
del suo corpo sinuoso, già piuttosto sviluppato per la
nostra età,
e trasalii.
La
canottiera del
suo pigiama era troppo, troppo scollata.
Mi
costrinsi a
chiudere gli occhi, per cercare di dormire, pensando che fosse solo
un impulso protettivo il mio, che fossi solo stramaledettamente
geloso di una mia proprietà.
Che
insomma, avessi
solo un semplice complesso della sorella.
Ma i
giorni
passavano, e i baci e le coccole continuavano: lei era felice, si
sentiva tranquillizzata da tutto questo, mentre io perdevo la testa
per lei ogni giorno di più.
Mi
sentivo un
mostro a sognarla mentre mi baciava con molta più foga, mi
facevo
schifo da solo quando in bagno, dopo una doccia, mi ritrovavo a
pensare a lei e a toccarmi.
Non
potevo
sopportare l'idea di essermi perdutamente innamorato della mia
gemella.
Tuttavia,
questi
pensieri svanivano ogni volta che le nostre bocche si incontravano e
i nostri occhi si scambiavano occhiate dolci e complici.
Perché fra
noi non c'era bisogno di parole.
E per
tre lunghi
anni, le nostre giornate si conclusero così, ogni volta con
più
desiderio di avere quel contatto che cominciava ad avere il sapore
del proibito.
Io mi
trattenni per
tutto quel tempo, per amor suo. Lei non credo se ne fosse mai resa
conto.
Non
volevo che il
suo sorriso caldo svanisse per causa mia.
Ma tre
anni erano
davvero troppi e il mio autocontrollo cedette una calda notte
d'agosto.
Lontani
dalla
famiglia, in vacanza con i compagni di classe, ci ritrovammo a dover
stare in una stanza doppia con un grande letto matrimoniale, in
un'atmosfera soffusa e sensuale.
Lei si
buttò sul
materasso, tastando con gioia la comodità e la morbidezza
del
materasso.
“Vieni
qui, Len! E' bellissimo!”
Io non
me lo feci
ripetere. Mi sedetti al suo fianco, carezzandole i capelli appena
lavati.
Fuori
si sentiva il
rumore lontano delle onde che si infrangevano contro gli scogli e
arrivava dal mare una brezza leggera che sapeva di sale.
Il
cuore cominciò
a battermi forte quando Rin mi si avvicinò gattonando,
sorridendo in
maniera cattivella. In quella posizione le si vedeva praticamente
tutto. Deglutii.
Scoppiando
in una
sonora risata, mi saltò addosso, stringendomi il collo fra
le sue
braccia.
La
lasciai fare,
ridendo assieme a lei, giocando un po' a farci il solletico e a
punzecchiarci o tirarci i capelli. Ci prendemmo anche a cuscinate
sulla testa e lottammo per finta, come dei wrestler.
Dopo
una lunga
battaglia, si ritrovò cavalcioni su di me, con le mani
poggiate sul
petto, trionfante sul mio corpo stanco.
“Ti ho
in pugno!”
Esclamò
poi lei,
alzando le braccia. Era così buffa quando giocava e
così tenera.
Aveva le guance e le orecchie arrossate e un po' di fiato corto. Si
accasciò poi su di me, col viso vicino al mio.
Le
infilai una mano
fra i capelli sottili, e le posai un lieve bacio sulla punta del
nasino.
“Ti amo
Rin.”
Le
sussurrai piano,
sfiorandole l'orecchio con le labbra. Lei lasciò andare un
sospiro
basso e caldo, e io mi avventai su di lei, cercando la sua bocca
rossa e appetitosa, con più fame e audacia del solito.
Avevo
la mente
annebbiata, un solo pensiero che martellava rumorosamente e
dolorosamente contro le tempie, che mi toglieva il respiro
più di
quanto non lo facessero già le sue labbra morbide.
In un
momento, fui
sopra di lei, le dita che correvano lungo la linea del suo collo
magro, sulla pelle vellutata delle spalle e della braccia; tremanti,
si insinuarono fra i capelli dorati e sottili, carezzandole il capo e
sfiorandole le orecchie. Rin emise un mugolio, e strizzò gli
occhi:
il mio ginocchio si era insinuato fra le sue gambe, senza che me ne
accorgessi.
Mi
afferrò la
maglia all'altezza delle spalle, stringendo fra le dita la stoffa
leggera, provocandomi una scossa di piacere, non appena le sue unghie
mi artigliarono la pelle.
Avevo
caldo, troppo
caldo. Sentivo la testa esplodere, il corpo bruciare: Rin era
così
bella sotto di me, con i capelli disordinati sulla fronte, gli occhi
semichiusi e la maglietta sollevata sopra il seno, che ogni
preoccupazione, ogni paura o divieto svanirono nel nulla, volarono
via insieme alla brezza estiva, accompagnati dal profumo di salsedine
e balsamo alla frutta.
Lei mi
guardò
attraverso le lunghe ciglia, coprendosi timidamente il petto con le
piccole braccia, e arrossì leggermente quando le sfilai
piano i
pantaloncini di jeans che le circondavano i fianchi snelli.
Era
tutta per me.
Vinta
la timidezza
iniziale, mi aiutò a spogliarmi. Rimanemmo non so per quanto
tempo a
baciarci, a morderci, accarezzarci. Rimaneva solo un passo da fare,
ma nonostante ci stessimo desiderando come mai prima di allora, c'era
ancora una barriera piuttosto spessa che divideva i nostri corpi.
Le mani
calde e
minute di Rin si appoggiarono sui miei pettorali, e mi spinsero via
dolcemente, e allo stesso tempo le sue labbra scivolarono via dalle
mie, lasciando però fra di noi un umido ricordo
del
bacio appena
interrotto.
“ Len,
io ho paura.” mi
confessò candidamente, guardandomi negli occhi. Mi
carezzò
lievemente la pelle, e io poggiai la mia mano sulla sua, ricambiando
su di essa il gesto affettuoso.
“E se...
ci scoprissero?”
Sorridendo,
le
risposi che avevo preventivamente chiuso la porta a chiave e che
nessun pazzo si sarebbe arrampicato alla finestra del quarto piano di
un hotel come tanti.
La sua
espressione
non mi convinse del tutto, così mi sollevai di mala voglia a
chiudere le veneziane in legno dei grandi finestroni che davano sul
mare. Tirai anche le tende, giusto per rassicurarla ancora.
Lei
rise,
rotolandosi un po' sul letto, poi tese le braccia verso di me, a
richiamare la mia attenzione.
“Così
va
molto meglio.” commentò infine, quando
tornai da lei, un po'
contrariato per aver interrotto un momento quasi perfetto.
“Len...”
chiamò il mio nome con un tono quasi implorante,
cercando sul
mio viso un minimo di conforto, o sicurezza forse: le sue iridi
azzurre mi scrutarono febbrilmente.
“Non stiamo
facendo nulla di male, vero?”
Non
seppi
rispondere a quella domanda: mi limitai ad abbracciarla, più
forte
possibile, e a coccolarla con piccoli baci sulle spalle, sul collo,
sul viso, sui capelli.
Quando
tornammo a
guardarci negli occhi, sospirammo assieme, con un rantolo basso.
Lasciammo che l'aria liberata si esaurisse del tutto prima di
ritrovarci e continuare quell'opera distruttiva.
Eravamo
diventati
una cosa sola, io e lei. Perfette metà di un solo essere
plasmato
nell'amore più puro. Dipendenti totalmente l'uno dall'altra,
vivevamo nel nostro piccolo universo fatto di emozioni clandestine e
sogni irraggiungibili, dove contava solo ciò che provavamo
noi.
Dove
non importava
quanti anni avessimo, che fossimo fratelli, che fossimo uguali. Dove
non c'era nessuno che potesse dirci che fossimo disgustosi, immorali,
totalmente sbagliati.
E ci
cullavamo in
questa utopia, chiudendo gli occhi, stretti fra le braccia
dell'altro, sognando di poter essere semplicemente noi stessi,
là
fuori.
Immaginando
di non
dover più cercare un angolo buio per poterci dedicare a noi
stessi,
come invece eravamo costretti a fare ogni qualvolta sentissimo il
bisogno incontrollabile di sentire il calore dei nostri corpi, il
sapore delle nostre labbra, così dolci, così
amare.
Ed era
un bisogno
che sentivamo troppo, troppe volte al giorno per riuscire a
nasconderlo.
Un
giorno, infatti,
fallimmo la nostra missione.
Era
più bruciante
del solito, più impellente. Non facemmo caso allo spiraglio
che la
porta lasciava intravedere dall'andito.
Fu un
attimo, una
frazione di secondo. Sentii un tonfo sordo provenire dall'andito e un
urlo acuto che mi raggelò il sangue. Ci voltammo di scatto,
in
perfetta sincronia.
Mia
madre si
artigliava il viso con le unghie, sconvolta e inorridita, ci guardava
con gli occhi sgranati e gli angoli della bocca piegati
innaturalmente verso il basso.
Rin si
scostò
subito da me, tenendosi le mani al petto, facendosi minuscola. Io mi
alzai, dirigendomi verso di lei, tentando di dirle qualcosa, cercando
di accampare scuse, cercando di trovare qualche parola adatta a
spiegare perchè.
Ma non
riuscii a
dire nulla. Quando la raggiunsi, tendendo una mano verso di lei, feci
solo in tempo a dischiudere le labbra.
Lei
più veloce di
me, e la sua mano destra volò velocissima contro la mia
guancia,
forte.
Tanto
violenta da
farmi girare la testa di lato. E a farla rimanere lì.
Il
volto mi andava
in fiamme, sentivo il dolore di quella sberla triplicato dallo
sguardo schifato e disperato della donna che ci aveva messi al mondo.
Rin
sconvolta cadde
sulle ginocchia. La sentii singhiozzare, mentre nostra madre
martoriava le mie gote ripetutamente, sempre con più rabbia.
“IO...
LO SAPEVO!” mi
urlò contro, inviperita “LO
SAPEVO!!! CHE C'ERA QUALCOSA
DI STRANO IN VOI!”
Io la
lasciai fare.
Mi beccai una decina di schiaffi, o forse anche di più.
Ognuno più
rovente dell'altro. Come se mi avesse colpito con una griglia
incandescente.
Quando
si fermò,
dopo aver imprecato in ogni modo possibile, averci dato degli
“incestuosi”, “figli degeneri”,
e aver pianto come mai
l'avevo vista fare prima, stravolta, mi guardò con sguardo
spento e
vuoto.
“...
dove sono i miei bambini? Che
fine hanno fatto i miei figli?”
Mi
chiese, il volto
rigato dalle lacrime. Mi afferrò la maglietta all'altezza
delle
spalle, che ormai superavano le sue di una decina di centimetri.
“Ridatemi
i miei angioletti.”
Afferrò
la stoffa
con forza, strattonandomi, continuando a piangere. Rin le si
avvicinò, un po' titubante.
“Mamma,
siamo sempre noi. Siamo
noi i tuoi figli” si sollevò
una manica della maglia che indossava, mostrandole il braccialetto
che ci aveva regalato quando avevamo dieci anni. “Ecco,
vedi? Siamo noi!” le
fece vedere anche il mio. Erano identici, salvo la lunghezza del mio,
modificata per assecondare la crescita.
Rin sorrideva, nonostante gli occhi spalancati e il viso
congestionato, umido di lacrime e sudore.
In risposta, nostra madre diede uno schiaffo anche a lei.
La afferrai per le braccia, e mi parai davanti a lei, per evitare che
la colpisse ancora.
Lei ci fissò per dei secondi interminabili, poi si
accasciò contro
la parete, e scoppiò a piangere nuovamente, dando piccoli
pugni al
pavimento, accartocciata su sé stessa.
Lasciai Rin sulla porta della stanza, stravolta e in lacrime quanto
mia madre, e afferrata un po' della mia roba e gettata alla rinfusa
dentro una borsa da palestra, senza dire una parola, mi avviai verso
il piano inferiore della nostra grande casa.
Rin mi seguì fino all'ingresso, a passi svelti e mi
afferrò il
polso prima che potessi aprire la porta.
“Len...
dove...? Dove stai andando? Non... andare... non...”
Mi
voltai verso di lei. I suoi limpidi occhi azzurri, i nostri
limpidi
occhi azzurri,
mi fissavano imploranti.
“Non
lasciarmi... che ne...” cominciò
a tremare, e mi strinse ancora di più il polso “...
che ne sarà di me? Di noi?”
Mi scansai, senza rispondere a nessuna delle sue domande. Le baciai
piano la fronte, accarezzandole i capelli madidi di sudore, poi
lievemente le labbra salate di lacrime. Aprii la porta, buttandomi la
sacca su di una spalla.
“E'
meglio
che tu vada a stare dalla zia o da qualche tua amica, Rin.”
Inforcai il vialetto, lasciando alle spalle mia sorella, la mia dolce
piccola Rin, sulla soglia di casa, che urlava, mi pregava di tornare,
di stare con lei. Gridava che non sarebbe riuscita a vivere senza di
me.
“IO
TI AMO,
LEN!!!”
Furono le ultime parole che io sentii della mia gemella. Se solo
l'avesse ripetuto un'altra volta, probabilmente, sarei tornato
indietro e l'avrei stretta a me, ricoperta di baci. Sarei rimasto con
lei per il resto della mia vita.
Ma deglutii, strizzando gli occhi, cercando di ignorare il lacerante
dolore al petto e al viso e la voce di Rin che mi rimbombava nelle
orecchie.
Non la vidi mai più. Non vidi più nemmeno mia
madre.
Io scappai dal mio passato, dalla mia vita, mi lasciai alle spalle
tutto.
Fuggii come un codardo, abbandonando la persona che più
amavo al
mondo.
Note
dell'autrice:
E' stato più facile di quanto pensassi scrivere questa fic.
L'idea
di partenza era strutturata in maniera diversa
ma mentre scrivevo, come al solito, è tutto cambiato XD
Mi scuso per eventuali errori (non l'ho ricontrollata, sorry
>.<)
e spero che venga apprezzata.
E' stata una scelta audace quella di scrivere sui gemelli, ma sono
soddisfatta del lavoro nonostante tutto!
Quella che trovate qui è la versione "allegerita" della
fic. Se avete curiosità di leggere quella integrale,
contattatemi e
ve la invierò :)
|