Prima Ryden scritta dal punto di vista di Brendon.
Prima di leggere dovete sapere che i Panic! At the disco e i The Young Veins non sono di mia proprietà( ma
dai xD) e nulla è scritto a scopo di lucro.
Altra informazione: i pezzi in corsivo si riferiscono
al presente, gli altri sono tutti flash back.
Ps:
questo è diciamo il continuo di “ I know it's sad that I never gave a
damn about the weather, and it never gave a damn about me.” Solo dal
punto di vista di Brendon, e con flashback differenti che raccontano della loro storia.
Buona lettura ^^
“Take a chance, take your shoes off, dance in the
rain… we're splashing around, and the news spread all
over town…”
Quella
mattina la sveglia suonò fastidiosamente alle sei e mezzo del mattino.
Non
ero lucidissimo per colpa di Pete che la sera prima mi aveva portato a bere per
tutti i locali presenti a Las Vegas. Ed ero rientrato solo due ore prima.
Ehi,
non era colpa mia, okay?
Mi
ha trasportato di peso.
E
io ho solo ritenuto che ribellarmi sarebbe stato troppo poco carino.
L’idea
iniziale era di bere fino a dimenticare ogni cosa.
Ovviamente
non fu così, perché appena guardai la stanza notai il vestito elegante pronto
per essere usato, che mamma mi aveva portato la sera prima. Così arrivai alla conclusione
che la serata appena passata mi aveva procurato solo un mal di testa
incredibile e il vago ricordo di me amoreggiante addosso a un lampione.
Mi
alzai per spegnere il suono insistente della sveglia che avevo posizionato
strategicamente sul comò in fondo alla stanza.
Non
servì a nulla, perché mi ributtai a peso morto sul letto.
Fischiettai
con tono lugubre una canzoncina, mentre affondavo la testa sotto il cuscino.
In
realtà doveva essere il giorno più bello della mia vita.
Il
matrimonio è una delle più belle leggi della chiesa, che ti permette di vivere
per sempre affianco alla persona amata, promettendole fedeltà eterna.
Dovevo
essere agitato e in preda alla più sconvolgente delle crisi isteriche per una
piega del vestito mal stirata.
E
invece, mi sentivo vuoto.
Totalmente.
Mia
sorella maggiore entrò nella stanza con prepotenza, alzando con forza e
allegria la serranda della finestra.
“Che
lo sposo si svegli!!” urlò, agitando le coperte
per infastidirmi.
“Preferisco
morire, grazie.” Ribattei tragicamente.
“Nervoso?”
la sentii sedersi al mio fianco e ridacchiare per le mie condizioni.
“Sì…”
mentii.
Ma
quale nervosismo prematrimoniale?
Avevo
l’attività emotiva e celebrale di un morto in decomposizione.
“Vedrai
è solo un momento, poi quando la vedrai venirti incontro tutte le tue paure
svaniranno.” Mi rassicurò, mentre la mia mente viaggiava verso una chiesa
gremita di gente e la mia attesa colmata dal suo arrivo. I capelli lisci che
gli ricadono morbidi sul collo, la camicia bianca, il gilet rosso con quelle
bellissime rose e i suoi occhi castani cerchiati di nero.
Aprii
gli occhi di scatto.
Avevo
seriamente immaginato Ryan attraversare la navata per sposarmi?
Il
mio cuore mancò un battito e le guancie si colorarono di rosso.
Sarebbe
stato meraviglioso.
Sorrisi
inconsciamente, mentre il mio sogno ad occhi aperti si allargava, immaginando
una vita intera al suo fianco.
“Che
splendida visione…” commentai, assolutamente assorto dalla mia
fantasia.
“Cosa ti avevo detto? Ti basta
immaginare Sarah per farti sparire ogni problema!” esclamò.
“Sarah?”
chiesi, guardandola come se fosse pazza.
Sarah
chi?
Ah!
Sì, Sarah, giusto…
Mia
madre fece la sua trionfale entrata, prima che mia sorella potesse rispondere.
Era seguita da una ragazza che con fatica le stava alle calcagna per sistemarle
una strana acconciatura.
Sembrava
un nido di piccione, ma rimasi zitto.
Si
sapeva che l’unico con il reale senso del gusto in quella casa ero solo
ed esclusivamente io.
“Tesoro! In piedi! Non lo vedi com’è
tardi?” strillò, cominciando a trafficare per al
stanza.
Alzai
gli occhi al cielo.
Non
sarei riuscita a sopportarla un minuto di più.
“Mamma,
per favore sono a mala pena le sette del mattino e devo solo farmi una doccia e
infilarmi un vestito.” Ribattei, portandomi le mani hai capelli.
“Ma
abbiamo il rinfresco, le foto, devi accogliere gli invitati!” esclamò,
assumendo un’aria melodrammatica assolutamente pessima.
Sbuffai.
Devi,
devi, devi.
Da
quando sono nato è sempre stata una continua guerra con gli obblighi.
“
Deve essere tutto perfetto. E devi sposarti con Sarah e vivere felice.”
Non
voglio più farlo. “Sarà tutto perfetto, mamma.” Mi sforzai di
sorriderle per riuscire a togliermela di torno il più preso possibile.
Mia
sorella la seguì poco dopo, dopo aver posato le fedi su comodino.
Presi
la scatoletta di velluto blu fra le mani e aprendola ne accarezzai il dorso
morbido.
Immaginai
una di queste attorno all’anulare di Ryro, con la sua mano stretta nella
mia.
Non
potevo andare avanti in quel modo.
Non
ci sarei più riuscito.
Ero
arrivato fino a lì e la cosa più saggia era concludere quello che era stato
prefissato.
Mi
vestii in silenzio, sistemandomi i capelli e appuntando un fiore alla giacca
nera.
Una
rosa.
Sfiorai
i pelati delicati e profumati e mi sembrò di sentire ancora la consistenza
morbida della sua pelle.
Ce
l’avrei fatta a sposarmi con l’immagine di Ryan davanti agli occhi?
Perché
non era comparsa prima questa paura? Perché l’avevo costantemente
repressa?
Uscii
dalla stanza scontrandomi con Spencer, il mio testimone, che mi guardava
radioso.
“Ecco
lo sposo!” urlò, facendo voltare verso di noi gli invitati al rinfresco
che già si stavano ingozzando come dei maiali.
La
maggior parte erano parenti che non avevo mai visto.
Pete
mi venne incontro, trascinandosi dietro Pat e la sua bella moglie Ashlee.
Sorrideva.
Sadicamente.
“Pronto per sposare Ryan? Ops,
volevo dire Sarah!” disse schiaffandosi una mano in fronte.
L’avrei
ucciso in quel momento.
“Pete,
mi stupisce che tu abbia sbagliato, infondo i nomi, come le loro personalità
non si assomigliano molto.” Pat, rincarò la dose, posandomi un braccio
sulla spalla.
“Che
vuoi che sia, sarà la forza dell’abitudine o il fatto che ieri stavi
sbaciucchiando un lampione chiamandolo Ryan e dicendogli di sposarlo!”
Spencer
al mio fiancò oramai si rotolava sul pavimento dal ridere.
“Avete
finito di prendermi per il culo?” ringhiai, mentre Pete mi scompigliava i
capelli.
“Susu
ragazzo mio, forza e coraggio!”
E
ce ne voleva, perché mia madre stava trotterellando nella nostra direzione, con
un sorriso che ritenevo la cosa più irritante del mondo.
Al
suo fianco, mio padre salutava e stringeva mani che gli facevano le
congratulazioni.
“Tesoro! Sei bellissimo!”
urlò, stampandomi un bacio in fronte.
Mi
rimase il segno del suo rossetto rosso, finchè non decisi di andare in bagno e
togliermelo.
In
realtà era una scusa bella e buona.
In
bagno c’era una finestra che dava direttamente sul giardino.
Certo
era un po’ alto, ma rischiare era la mia parola d’ordine.
Mi
tolsi in fretta il rossetto dalla fronte e mi affrettai a spalancare la
finestra.
Fuori
l’aria di metà mattina era fresca e limpida, ne respirai per qualche
secondo il profumo, poi misi un piede sul davanzale.
La
signora Watson, la mia vicina, mi guardava con gli occhi spalancati dalla
finestra di fronte alla mia, così le feci l’occhiolino e le mandai un
bacio, prima di vederla sparire dietro le cortine verde acido.
Contai
fino a tre, prima di posare anche l’altro piede sul davanzale.
Era
una fuga perfetta.
Non
avrei saputo organizzare meglio qualcosa.
“Brendon?
Che stai facendo?!”
Mio
padre mi guardava con gli occhi spalancati dallo stupore.
“Papà!
Ehm, nulla. Stavo controllando il nido di api sopra la grondaia e…”
Non
era una bugia, c’era davvero un nido di api sopra la mia testa.
“Stai
per caso scappando?” chiese, chiedendo la porta alle sue spalle.
“Chi? Io? Figuriamoci! Brendon Urie
non fugge mai!” risposi attaccando a ridere istericamente.
“sì, stavo scappando.” Aggiunsi, ritornando composto.
“Figliolo,
è naturale voler fuggire.” Iniziò, posandomi le mani sulle spalle.
“quando sposai tua madre tentai anche io la fuga, ma come vedi ora sono
qui.”
Certo,
ma lui non stava fuggendo per andare a rifugiarsi tra le braccia della persona
che aveva sempre amato. Che non era la sua futura moglie, ma addirittura un
uomo.
Mio
padre non poteva capirmi.
Nessuno
della mia famiglia poteva.
Erano
tutti così assurdamente convinti che mi ero dimenticato così facilmente del mio
amore per Ryro.
“Vieni, torniamo di là. Tra poco dobbiamo essere in
chiesa.” Mi feci trasportare in salotto, dove nascosi la mia aria
afflitta con un sorriso.
Mi
avvicinai a Spence e mi appoggiai alla sua spalla come un appiglio.
“Voglio morire…” mormorai, tragico.
“Dopo
quello che ti sto per dire morirai sul serio.”
Disse, addentando un pasticcino alla crema.
“Sono
pronto, uccidimi!” esclamai.
“Ross
vuole vendere l’appartamento.”
Fu
un colpo.
Micidiale
in mezzo agli occhi.
“COSA?!”
“Abbassa
la voce!” mormorò, mangiucchiando l’ennesimo dolce. “me
l’ha detto un uccellino.”
“Ti
senti ancora con Jon?”
“Chi
lo sa…” disse, alzando la mano in modo vago. “comunque, mi ha
dato il numero della sua agente immobiliare, nel caso
tu voglia impedire questa cosa.”
Non
gli risposi, ma afferrai il pezzetto di carta e me lo infilai in tasca.
“Ci
penserò.” Dissi poi, cercando di mostrarmi non interessato alla cosa.
“Certo,
come se non ti conoscessi, probabilmente fingerai di andare in camera per
chissà quale cazzata e una volta dentro telefonerai per un appuntamento.”
“Non
sono così prevedibile!” Spence alzò un sopracciglio nella mia direzione,
facendomi sbuffare.
Poi
fui rapito da mia madre per fare il giro dei parenti e scattare foto su foto,
dove io sorridevo a malapena.
Quando
arrivò l’ora di partire, l’ansia cominciò a impadronirsi di me.
Volevo
legarmi al letto e non muovermi più.
Fortunatamente
quel genio di Pete aveva convito mia madre perché fosse lui a portarmi in
chiesa.
“Okay, ma non fate tardi. Io ti aspetto
all’entrata tesoro.” Mi lanciò un bacio prima di salire
nell’auto insieme a papà.
“Peter
Wentz, io ti amo!” urlai saltandogli al collo. “grazie a te ho
evitato un lungo e doloroso viaggio con quella donna!”
Pete
ghignò soddisfatto, poi con un gesto cavalleresco aprì la portiera ad Ashlee
che con un sorrisetto entrò, seguita dal marito, Patrick, Spencer e me.
“Credo
che Gabe e gli altri siano già in chiesa.” Lo sentii borbottare, mentre
la strada verso la chiesa si accorciava sempre di più.
Non
volevo farlo.
Volevo
stare con Ryro, su nostro divano a coccolarci o sul letto a fare l’amore.
“Pete? Potresti prendere la strada
più lunga per favore?” dissi, incrociando il suo sguardo attraverso lo
specchietto.
“Certo.”
Il
risultato fu prendere una strada assurdamente trafficata.
Avevo
spento il cellulare per non continuare a sentire le ripetitive chiamate di mia
madre, che mi facevano salire il nervoso alle stelle.
“Brennybear,
siamo arrivati.” Annunciò Pete.
Non
mi ero accorto che la macchina si era fermata davanti alla bella chiesa che
mamma e Sarah avevano scelto.
Patrick
e Spence iniziarono a intonare la marcia funebre, mentre controvoglia scendevo
dall’auto.
Scoprii
che Sarah era arrivata e mi aspettava già all’altare. Mentre raggiunsi
mia madre davanti al portone centrale, che aveva un sorriso sollevato, sulla
faccia da prima preoccupata.
“Fatti
sistemare la cravatta…” mormorò, mentre le sue dita laccate di
rosso, sistemarono la cravatta nera lievemente stropicciata, poi afferrò il mio
braccio, compiendo i primi passi verso la navata.
Sarah
era meravigliosa, davvero.
Aveva
un bel vestito di seta bianco che le fasciava il corpo e le lasciava le spalle
scoperte accarezzate leggermente dal velo appuntato sotto una coroncina di
diamanti.
Mi
sorrise, felice.
E
mi sentii una merda.
Le
mani mi tremavano mentre quei suoi occhi chiari cerchiati di eye-liner non
facevano che mutare per diventare quelli caldi e sinceri di Ryro.
Fu
forse quello che mi spinse ad attraversare metà navata, sotto un silenzio
religioso.
Poi
qualcuno tossì e la rosa appuntata alla mia giacca cadde hai miei piedi.
La
fissai perdere diversi petali nella caduta e rovinarsi leggermente, non mi
accorsi di essermi fermato e nemmeno di mia madre che mi chiedeva a bassa voce
cosa c’era che non andava.
Ritornai
a guardare Sarah, che ricambiava il mio sguardo con apprensione.
Poi
ritornai a guardare la rosa, sotto il borbottio agitato degli invitati.
Quella
rosa mi ricordava così tanto Ryro, mi ricordava quanto ancora ero follemente
innamorato di lui e quanto mi mancava.
Riposai
il mio sguardo sulla mia futura moglie, che aveva fatto cadere il bouquet di
fiori a terra.
“Io…”
Quella
singola parola rimbombò come un terribile eco tra le pareti della chiesa e mi
investirono.
Lasciai
di scatto il braccio di mia madre e cominciai ad arretrare lentamente.
Cosa
ci facevo lì?
Perché
non ero con Ryan? Perché non ero al mio posto, insieme a lui?
“Io…
mi dispiace…” poi scappai.
Venni
bloccato da Pete davanti all’entrata che mi porgeva le chiavi della sua
auto. “Vai dal tuo Ryro.” Esclamò, scatenando il putiferio.
A
me non importava di cosa pensava ora quella gentaglia che nemmeno conoscevo.
Non mi interessavano più le imprecazioni di mio padre o i pianti di mamma.
Me
ne andai solo con il rimorso di non aver detto prima a Sarah come stavano
veramente le cose.
Salii
in auto velocemente, e percorsi diversi kilometri fino a trovarmi davanti a
quella casa.
Le
serrande erano chiuse, e in una di esse stava ancora attaccato il cartello
“vendisi”. Sospirai, felice di essere arrivato in tempo.
Rivolevo
la mia vita.
La
mia vita insieme a Ryan.
C’è
stato un periodo della mia vita, dove nulla per me era certo.
Mi
sentivo un po’ come la pallina di metallo del flipper che veniva
sballottata da una parte all’altra senza la ben che minima cura.
Dovevo
prendere una decisione, certo.
E
non potevo continuare a vivere in quella situazione assolutamente ingestibile.
Mia
sorella maggiore si era sposata il giorno prima e ne era venuto a conoscenza
solo dopo una chiamata di un lontano parente, che a mala pena poteva
considerarsi cugino, preoccupato per la mia assenza alla cerimonia.
Era
stata forse la goccia che aveva fatto crollare ogni cosa.
Anche
il mio rapporto con Ryan.
Non
sapevo più come comportarmi, come reagire a quella indifferenza.
Dalla
mia famiglia non era nemmeno considerato come membro. Ma io amavo la mia
famiglia, l’amavo follemente, ma mai come Ryro.
Era
arrivato alla consapevolezza che se i miei genitori non accettavano il mio
chitarrista, era come se non volessero accettare nemmeno me.
Mi
ero detto: okay vedrai che con il tempo andrà meglio.
Ma
non fu così.
Chiamate
senza risposta, porte sbattute, sguardi carichi di un sentimento che faceva
quasi paura pronunciare.
Odio.
Poteva
essere esagerato, ma lo sentivo così.
Non
sapevo cosa era giusto fare e cosa non lo era. Mi sentivo diviso in due.
Ryro
dal canto suo non si pronunciava più di tanto e questo mi avviliva. Speravo che
desse più forza al nostro amore.
Presi
una decisione mentre tornavo a casa dopo un’intensa giornata a girovagare
con Pete.
Mi
aveva praticamente costretto a uscire di casa alle sette del mattino, con Ryro
che ronfava dolcemente al mio fianco e la sua voglia improvvisa di fare
jogging.
“Sono
a casa!” borbottai, togliendomi di dosso il cappotto per appenderlo
nell’ingresso, scuotendo le spalle per un lungo brivido di freddo.
La
casa era calda e nell’aria si aggirava un odorino niente male.
Ryro
mi accolse correndo dalla cucina, con un sorrisone stampato sul viso e le
guancie rosse.
“Bentornato!”
strillò.
Mi
venne da ridere.
Sembravamo
una brutta versione di un telefilm anni settanta con la mogliettina che
accoglie il marito dopo una lunga giornata di lavoro.
“Niente
grembiulino rosa, Ryan?” scherzai, accogliendolo fra le mie braccia,
mentre mi pizzicava un fianco.
“Simpatico!”
scimmiottò, prima di staccarsi e indicare il salotto agghindato di candele
profumate e una, da quello che sembrava, squisita cena. “ ho una sorpresa
per te.”
Gli
sorrisi, grato della sorpresa, baciandolo su una tempia. “Ho ordinato
tutto in rosticceria, puoi stare tranquillo.” Disse, prima che potessi
far qualsiasi domanda sul cibo.
“Devo
parlarti.” Dissi all’improvviso, quasi senza accorgermene.
Lui
sorrideva ancora, dolce, con gli occhi nocciola che brillavano.
“Dimmi.”
“Ho
paura che questo sia il capolinea, Ryro.” Iniziai, sedendomi sul divano
evitando accuratamente il suo sguardo.
Non
disse nulla, vidi solo le sue braccia penzolare sui fianchi e le mani che
tremavano, strette in una morsa.
Io
congiunsi le mie, sospirando.
“Cosa
vorresti dire?” mormorò, mentre la voce già aveva assunto toni più acuti.
“Ci
ho pensato, davvero, e non credo sia giusto continuare così.” Rimasi con lo
sguardo basso, senza avere la forza di alzarlo.
Sarebbe
svanita anche la mia ultima briciola di controllo.
Ero
convito, stupidamente, che abbandonare i migliori anni che la vita mi avesse
mai offerto avrebbe fatto tornare quella normalità famigliare che credevo di
averne bisogno come l’aria.
“Si
tratta della tua famiglia, vero?” chiese, sospirandosi e sedendosi al mio
fianco.
Io
annuii, prendendomi un attimo di silenzio per formare un discorso di senso
compiuto che non mi facesse sembrare così maledettamente indeciso.
“Vedi, io non sopporto il loro rancore nei miei confronti.
Non riesco ad accettarlo.” Cominciai. “il fatto che, stare con te,
mi ha allontanato da quella che è la mia famiglia.”
“Quindi
è colpa mia?!” strillò Ryro, irrigidendosi come
pietra.
No,
amore non è colpa tua.
È
tutto a casa mia, solo mia…
Ma
non lo dissi e questo silenzio fece supporre a Ryro che veramente pensavo che
fosse lui la causa di tutto.
“Allora
perché sei qui?” chiese, facendo un gesto plateale con la mano.
“perché hai permesso che costruissimo tutto questo? Solo
per vederlo crollare?”
Mi
portai le mani nei capelli in un gesto disperato.
Così
non andava.
“Perché
mi sono innamorato di te!” risposi, come se la cosa fosse ovvia.
Ma
oramai sentivo che per lui anche la consapevolezza che davvero lo amavo, più di
tutti, più di qualsiasi cosa, stava scivolando via con fumo fra le dita.
“ Solo che ora…Non riesco a guardarti senza pensare quanto male ho
fatto alla mia famiglia, amandoti.”
Non
mi rispose, e rimase in silenzio per diversi minuti, nascondendo a mala pena
dei singhiozzi, mentre il mio cuore andava a comprimersi in una morsa così
dolorosa, che afferrai il maglione con forza, come se lo volessi strapparmi il
cuore.
“Non
te ne andare…” lo sentii mormorare.
Era
una supplica.
Ryro
non aveva mai fatto una cosa del genere, orgoglioso
com’era e com’è anche oggi.
Si
tratteneva alcuni ciuffi di capelli con le lunghe dita affusolate, mentre
piangeva.
“No
ci resisto più in questa situazione…” mormorai, finchè me lo
ritrovai in ginocchio davanti a me.
Mi
prese il viso fra le mani e accennò un breve sorriso, con le lacrime che
bagnavano copiosamente le sue guancie.
“Possiamo
farcela insieme, gli faremo capire quanto ci amiamo. E quando capiranno, ti
accetteranno di nuovo.”
“Non
è così semplice Ryro!” esclamai, afferrandogli i polsi per stringerli
forte. Volevo che si allontanasse, che andasse via, prima di farmi cambiare
idea e vivere ancora un inferno.
Poi
mi baciò, si sporse verso di me e appoggiò con forza le sue labbra sulla mie.
Sentivo
il sapore amaro delle lacrime, mischiato al suo sapore e non resistetti. Gli
circondai il viso con una mano per approfondire quello che avrei giurato essere
l’ultimo bacio.
“Resta
con me…” mormorò, toccandomi le labbra con la punta delle dita.
“Forse
non ti amo abbastanza per farcela…”
Abbassò
il capo, scostando le sue mani da me come se si fosse scottato.
E
senza pensarci, allungai una mano per passarla nei suoi capelli morbidi, volevo
cercare di alleviargli un po’ il dolore, ma fu una cosa stupida perché
lui si scostò così in fretta che rimasi un attimo senza parole.
Ma
cosa speravo ancora? Che si facesse toccare?
Addirittura
consolare?
“Vattene
allora.” sibilò. “prendi le tue fottute cose ed esci da quella
fottuta porta.” Concluse mentre il tono della voce si alzava, lievemente
arrochito.
Non
dissi più nulla, e mi alzai da quel divano per marciare lentamente verso la
porta.
“Non
pensare di tornare Urie, perché se solo ci provi non troverai più il tuo Ryro,
pronto ad accoglierti e ad amarti come se nulla fosse.” Lo guardai per
l’ultima volta in volto, in quel volto che sentivo ancora di amare alla
follia.
“Non
tornerò indietro.”
Non
ne ero affatto sicuro.
Mi
richiusi la porta alle spalle, appoggiandomi ad essa per poter riordinare le
idee.
Avevo
appena lasciato Ryan.
La
consapevolezza di averlo veramente fatto mi colpì così forte da farmi crollare
a terra, lasciando finalmente che le lacrime uscissero dai miei occhi, incapace
di trattenermi oltre.
Poi
sentii un urlo, e un rumore forte, come se qualcuno stesse buttando
all’aria un intero appartamento.
Mi
raggomitolai sulla porta, ascoltando i frastuoni che la rabbia e il dolore di
Ryro provocavano e mi sentii una vera merda.
Però
mi sentii sollevato quando capii che da quel momento, ogni cosa tornava al suo
posto.
Esattamente
dove credevo dovesse stare.
Fu
in quel momento che mi venne in mente una cosa importante.
Era
il 23 febbraio.
Il
nostro quarto anniversario.
Innamorarmi
di George Ryan Ross III è stata la cosa più spontanea e naturale che abbia mai
fatto.
Lo
conosco da molto certo, ma il sentimento che nutrivo per lui era apparso e
maturato nel tempo.
Non
saprei dare un momento esatto, dove mi sono detto, sì, è lui il solo e unico.
Lo
amavo così tanto da essere in grado di annullare ogni cosa, perfino me stesso.
Prima
metterci insieme, mi ricordo che accoglievo ogni singolo secondo passato
insieme a lui come un dono da non sprecare, timoroso di poter sentirne la
totale mancanza.
Era
il 24 dicembre del 2008 e il Natale avevamo deciso di passarlo in famiglia.
Okay,
non una famiglia normale, anche perché se un certo Pete Wentz ne era il capo
famiglia tutto ciò che c’era di normale spariva, diventando
improvvisamente anomalo.
Va
bene, okay lo ammetto.
Non
che io fossi così, come dire… comune.
Avevo
i miei difetti e troppi zuccheri nel corpo per riuscire a rimanere fermo per
più di un minuto.
Comunque
sia, il fatto è un altro.
A
quei tempi ero un ragazzo affascinante, pieno di carisma e di un umorismo
strabiliante.
Tu
lo sai, io lo so, Ryro lo sa (anche se non vuole mai ammetterlo) e pure il mio
cane ne è a conoscenza. Inoltre ero romantico. Non un romantico qualunque sia
chiaro. Un romantico vero.
Come
quelli che scalano edere per arrivare dalla loro bella con una rosa rossa tra
le labbra e le spine conficcate nella lingua.
Chiaro
il concetto?
Quindi,
io volevo fare qualcosa che Ryro avrebbe ricordato anche sul punto di morte.
Il
punto era, cosa?
Avevo
talmente tante idee in testa da non essermi accorto dell’arrivo del
Natale e io ero rimasto con un solo pacchetto contenente un peluche con le
sembianze di un koala.
Ero
veramente deluso di me stesso.
Arrivammo
nell’enorme casa di Pete, un po’ in ritardo e il mio morale sotto
le scarpe.
Ryan
fischiettava allegro una canzoncina di Natale, mentre scendeva dall’auto
saltellante.
“Si
può sapere che c’è?” mi chiese, afferrando la mia mano per
intrecciare le nostre dita.
“Nulla…”
borbottai, affondando il naso nella sciarpa.
“Ancora
pensi al regalo?” esclamò lui, alzando gli occhi al cielo.
Sì,
alla fine gli avevo detto del mio piano mal riuscito. Anzi, non iniziato.
Ero
così avvilito che lui mi aveva chiesto cosa c’era che non andava e così
gli ho detto tutto.
Non
aveva insistito molto, perché si sa, sono uno che riesce a stare in silenzio.
“Ti
ho detto che non è importante! E poi i fuochi d’artificio dell’anno
scorso mi bastano ancora per una ventina d’anni.”
Sospirai
soddisfatto.
Quello
si che era un regalo.
Raggiungemmo
la grande porta di legno addobbata a festa e mi allungai per suonare il
citofono.
“Oh,
oh, oh, Buon Natale!”
Rimanemmo
in silenzio a guardarci.
Il
citofono aveva appena parlato.
Suonai
ancora una volta, praticamente ipnotizzato da quell’aggeggio natalizio che
quel genio di Pete aveva fatto istallare a casa sua.
“Oh,
oh, oh, Buon Natale!” lanciai un grido isterico, cominciando schiacciare
quel bottoncino rosso che aveva attirato la mia attenzione, invadendomi di
gioia.
Almeno
finchè Ryan non mi diede un calcio negli stinchi. “Ma la vuoi piantare?! Sembri un mongoloide!”
Mugugnai
delle scuse, abbassando lo sguardo pentito. Anche se una piccolissima parte di
me voleva suonare il campanello ancora una volta.
“A volte mi sembra di avere a che fare con un bambino
dell’asilo! E poi dici di essere l’uomo in
questa relazione!” stava dicendo Ryro, imbronciandosi improvvisamente.
“Non è colpa mia! È Pete che mi tenta!” provai di difendermi.
“Sì
certo, certo…”
Ryro
era così, si arrabbiava per le minime cose, ma poi gli tornava il sorriso e non
si ricordava mai perché ce l’aveva con me l’attimo prima.
Gabe
venne ad aprirci con un sorrisone enorme stampato sulla sua faccia da Gangster.
“Oh eccoli i ritardatari! Stavamo aspettando solo voi!”
“Colpa
della Diva Ross che era in piena crisi premestruale.”
A
quel punto un altro calcio me l’ero meritato sul serio.
Come
aveva detto Gabe, la sala era già piena di gente. Tutti addobbati a festa e con
i calici pieni di champagne.
Patrick
ci venne incontro già barcollante e ci stampò un bacio sulla bocca prima di
andarsene a parlottare con una sedia che aveva per caso urtato.
Insomma,
normale amministrazione.
Ryro
mi si strinse addosso, allargando le labbra in un sorriso. “Pete ha fatto
le cose in grande!” mi sussurrò, mentre Gabe si era allontanato per
rincorrere William Beckett.
“Non
poteva essere diversamente!” ribattei, lasciandogli un bacio sul collo
scoperto.
La
musica era davvero alta e più che una festa di Natale sembrava un party di
Halloween.
Non
eravamo riusciti a beccare il padrone di casa nemmeno per un saluto, così io e
Ryro decidemmo i rintanarci in una stanza per festeggiare a modo nostro.
Ryro
era davvero la sensualità fatta a persona. Ogni cosa di lui per me era
meravigliosa e mi attirava come una calamita.
Mi
baciò a lungo, mentre mi teneva bloccato sullo stipite della porta e quelle sue
mani così perfette e lisce che mi accarezzavano il petto sopra la camicia
bianca. Cercai a tentoni la maniglia della porta che
si aprì con un cigolio sinistro. Eravamo troppo impegnati a consumarci le
labbra per accorgerci che la stanza era illuminata e che aveva già due
occupanti, che si stavo rotolando come matti nelle coperte.
Poi
uno di loro urlò e ci fece staccare.
Spencer
ci guardava con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli arruffati.
“Cos’hai
da urlare?” borbottò una voce.
Era
sotto le coperte e io avevo seriamente timore di vedere la sua faccia. Poi il
viso rosso di Jon apparve dal nulla, assumendo lo stesso identico sguardo da
pesce fuor d’acqua di Spence.
Calò
un silenzio talmente profondo, da sembrare quasi irreale e mi girai verso Ryro
che era rosso fino alle punte dei capelli.
“Scusate!”
Urlò, prima di afferrarmi per la sciarpa che portavo ancora al collo e
trascinarmi fuori da quella stanza.
Ci
rifugiammo in un’altra stanza, fortunatamente libera. Ryan aveva il
fiatone e lo sguardo sconvolto.
“Ma
li hai visti?!” esclamò. “erano,
erano…”
“…intenti
a scopare, sì.”
“Non
lo dire!!” urlò, alzando le braccia e agitandole
con veemenza. “ non è normale!!!”
Alzai
un sopraciglio, mentre mi sedevo su una comoda poltrona posta hai piedi del
letto. “ Non capisco, spiegati.”
“Sono
due uomini!” strillò, guardandomi come se fossi matto. “due persone
dello stesso sesso! Maschi!”
Okay,
Ryro era partito per la tangente.
“Ryro,
tesoro… vorrei metterti al corrente che anche noi siamo uomini e stiamo
insieme.” cercai di dire con più tatto possibile. Non volevo essere
sbranato da nessun Ryan Ross inferocito.
Il
mio amore si blocco per un attimo, prima di balbettare qualcosa e sedersi sul
letto a peso morto. Si scompigliò i capelli, sospirando.
“Ma
tra noi è diverso…” provò a dire.
Lo
osservai per un attimo in viso, ancora rosso di
imbarazzo, e notai la sua indecisione negli occhi.
Mi
piaceva il fatto che lui considerasse la nostra storia differente da qualsiasi
altra. Non perché sbagliata, ma perché speciale.
Mi
ripeteva sempre che noi avevamo un mondo a parte dove poter rifugiarci per
vivere e ritagliarci momenti solo nostri.
Su
questo non avevo mai avuto dubbi, era sempre stato diverso.
Non
che avessi avuto molta esperienza prima di lui, certo.
Rimase
in silenzio per un po’, torturandosi le mani con la testa incassata nelle
spalle.
“Senti, non stare a tormentare il cervello per questo.
Sono fatti loro con chi vogliono fare l’amore,
no?” dissi, avvicinandomi per passargli una mano nei capelli per
riordinarli.
Lui
annuì, poi alzo lo sguardo sul mio, sorridendo. “Cos’è questa
improvvisa razionalità, Mister Urie?” mormorò.
“Non
fare domande sarcastiche, per una volta che dico qualcosa di
sensato…!” borbottai prima di essere baciato a lungo.
Pete
venne a cercarci neanche venti minuti dopo, quando la situazione si era fatta
davvero interessante e per colpa della sua insistenza avevamo interrotto.
Ryro
mi diede un bacio sulla punta del naso, sorridendomi, prima di trascinarmi per
le scale e raggiungere gli altri che erano pronti per il brindisi natalizio.
La
festa si trascinò fino alle prime luci dell’alba e aveva reso me e Ryro
piuttosto alticci.
Okay,
non è certamente la più classica delle visioni natalizie ma ehi… cosa
c’era di più spettacolare di avere accanto a me la persona più importante
della mia vita, in uno dei giorni più belli dell’anno?
Era
il nostro secondo concerto dopo l’uscita di Pretty Odd. Eravamo piuttosto
nervosi, ancora incerti di quel cambiamento così radiale nella nostra musica.
Jon
stava in silenzio, intendo a ripassare i suoi accordi, mentre Spencer
saltellava qua e là per riscaldarsi.
Io
invece, mi stavo letteralmente drogando di Red Bull. Quella che stava bevendo
doveva essere la terza, o la quarta?
Ryan
era rintanato nello spogliatoio da un’ora, intento a provarsi non so quante camice.
Lui
era un maniaco delle camice, era impressionante quante
ne aveva, tutte di tonalità diverse o trame differenti.
Mi
ricorda Jon. Solo che lui era un maniaco delle infradito.
Mentre
io, io ero un maniaco a basta.
“Okay,
come sto?” mi chiese, uscendo dallo stanzino, allargando le braccia per
farsi guardare meglio.
“Lo
sai?” iniziai osservandolo dalla testa hai piedi e viceversa.
“tutto di te, partendo dal cappello, per passare alla camicia e a quella
giacca marrone coordinata con i pantaloni, grida solo una cosa.”
Lui
portò le mani sui fianchi, pronto a scattare. “Cosa, sentiamo.”
“Sono
Gayyyyy!” esclamai alzando le mani a mezz’aria.
Ryan
si guardò con circospezione nello specchio dietro di me. “Devo
cambiarmi?”
“No,
così stai benissimo.” Replicai, alzandomi per posargli un bacio sulle
labbra.
Era
vero, anche se a volte mi mancava lo stile del vecchio Ryro. Adoravo i suoi
gilet ricoperti di pizzi e volant e il suo trucco colorato. Quella era una
versione spensierata e perversa che veramente amavo.
Non
che la sua conversione all’hippie fosse un male, anzi.
“Ragazzi,
muovete il culo il pubblico non aspetta.” Zack entrò come una furia
nel camerino, spronandoci a scattare.
Diedi
un ultimo bacio a Ryro che non si lamentò almeno finchè non lo trascinai in un
caschè molto artistico.
“Volevi
farmi sbattere la testa sul pavimento?!”
strillò, aggiustandosi la giacca, prima di uscire.
“Ma
amore volevo fare una cosa romantica!” lo inseguii.
“Tentando
di uccidermi?!” non potei rispondere perché il
boato dei fan ci investì con la potenza di un uragano.
Spencer
si accomodò dietro la sua batteria, seguito da Ryro e Jon che dopo aver afferrato
gli strumenti. Io mi avvicinai a Ryro, sporgendo il labbro all’infuori
cercando di attirare su di lui un po’ di compassione. Lui si limitò a
spintonarmi, ma accennò un sorriso.
Trotterellai
felice verso la mia chitarra, mentre Jon già incitava il pubblico a cantare.
Suonare
era sempre stata la passione più grande della mia vita, (okay, molto
probabilmente dopo ogni cosa che riguardava Ryro) non molto approvata dai miei
genitori, ma sempre inseguita, senza abbandonarla mai.
Avevo
iniziato quel sogno proprio insieme a lui, con Spence e Brent al seguito.
Non
era la mai idea quella di cantare inizialmente, io volevo solo suonare.
Poi
siamo arrivati qua.
Non
avevo mai scritto testi in vita mia, cioè solo parole abbozzate su pezzetti di
carta e lasciate al caso.
Finchè
non ho scritto la sua canzone.
Era
sua in tutti i sensi. Parlava di lui, di noi.
Folkin’around.
Non
so bene come sia iniziata, ma ancora ricordo il suo viso sorpreso a ogni parola
che cantavo, cercando di abbozzare una melodia con una chitarra.
Non
l’avrei fatta sentire a nessuno se lui non avesse insistito così tanto
per inserirla nel cd. Tutte le volte pompava il petto orgoglioso e diceva che
era sua. E io ridevo, abbracciandolo.
Oltre
a quella, anche se Ryro negava spesso, altre canzoni mi riportavano alla mente
un sacco di momenti che nella mia mente saranno sempre presenti, che non vorrei
mai scordare o lasciarli incustoditi.
Mi
piaceva cantarle e guardarlo mentre lo facevo. Aveva tutt’altro
significato, scorgere quei occhi scuri, un po’ imbarazzati, un po’
estasiati, con il solo suono della mia chitarra e del suo tamburello e tante
promesse nascoste dietro a una melodia.
Quella
sera Ryro fu più permissivo del solito, concedendomi di fargli una carezza sui
capelli dopo un bacio sulla tempia. E lui addirittura baciò me, okay sulla guancia, ma quell’iniziativa mi rendeva davvero
felice, tanto che presi a saltare e scuotere il capo così forte da dover
scacciare, successivamente, un capogiro.
Non
sapevo cosa la gente pensava di noi, non mi importava, anche se ero veramente
fissato con l’esibizionismo.
Mi
piaceva provocare chi ci chiedeva se tra noi c’era qualcosa. Una battuta
maliziosa, un sorriso furbo…
E
Ryro che stava in silenzio facendo finta di nulla, ridendo e imbarazzandosi,
lanciandomi occhiate di avvertimento che non facevano altro che aumentare il
mio divertimento.
Quando
il concerto finì, dopo un gran fracasso, scendemmo dal palco
abbracciati, sorridendo a tutti. Tornammo in camerino, stanchi e sudati,
con Pete alle calcagna con un sorriso soddisfatto sulle labbra e ci abbracciò a
lungo, dicendo di amare le sue “gioie”.
Lanciai
la giacca su una poltrona, dirigendomi a passo spedito verso il frigo bar per
attaccarmi a una lattina di Red Bull. Bevvi velocemente, per poi ricominciare a
cantare una canzone inventata sul momento che professava il mio amore per gli
Energy Drink.
Ryro
stava già accogliendo la calca di parenti che con urla e risa faceva
complimenti sulle nostre performance.
Kate
abbracciò suo fratello per poi dirigersi verso di me e darmi pacche sulle
spalle, prima di fregarmi la lattina dalle mani e andarsi a sedere sul
divanetto insieme a Spence. Rimasi indignato per qualche secondo, finchè la
risata di Ryro non mi accolse. Mi stava guardando divertito, avvicinandosi
sempre di più per scompigliarmi capelli sudati e lasciarmi un bacio al lato
delle labbra.
Volevo
catturarle e farle mie, ma non mi sembrava il caso, nonostante quella piccola
cerchia di persone sapesse di noi.
Come
chiamata dal cielo mia madre spuntò al mio fianco, con un' ingiustificata
espressione di rimprovero.
“Vi
pare il caso?” mormorò, afferrandomi il braccio con forza. “state
dando uno spettacolo non gradito.”
“Grazie
mamma, sono contento che ti sia piaciuto il concerto.” Esclamai,
sorridendo sarcasticamente e avvinghiando con un braccio la vita sottile di
Ryro.
La
stavo sfidando, volevo mettere alla prova il suo autocontrollo e non mi
bastavano le proteste sussurrate del mio ragazzo per fare smettere quella
battaglia che durava oramai da mesi.
La
mia famiglia era l’unica che non aveva accettato la mia relazione con
Ryan. Non che gli altri l’avessero accolta a braccia aperte, ma avevano
compreso alla fine.
“Lascia
perdere Bden, è okay.” Disse Ryan, abbozzando un sorriso triste.
“Non
è okay finchè non la smetteranno di disprezzarti!” esclamai, facendo
azzittire la stanza, mentre uno dei miei fratelli abbassava il capo, seguito da
mio padre.
Era
diventata ingestibile quella situazione. Non c’era un momento dove non
sentivo quel disprezzo così insensato verso la persona che più in assoluto
amavo.
“Ehi, ehi! Non me li strapazzate troppo, questi
ragazzi hanno appena fatto uno dei live più belli
della loro carriera!” Pete, entrò con un’enorme bottiglia di champagne,
distribuendo sorrisoni.
Pete
diceva sempre così, per lui ogni live era qualcosa di meraviglioso da
festeggiare.
Il
suo entusiasmo fu subito seguito da Jon e da Spencer, che sogghignavano
soddisfatti.
Poi
partirono i festeggiamenti, spostati poi in un locale vicino all’hotel.
Per
tutta la serata non vidi più i miei genitori.
La
serata era stata notevolmente movimentata, e dopo una trentina di brindisi
dopo, Ryro, stranamente più stabile di me, mi sorreggeva mentre a piedi ci
apprestavamo a raggiungere l’hotel.
Ci
beccammo diversi sguardi contrariati dal portiere che dopo diversi tentativi di
non ridergli in faccia capì che la nostra stanza era la 309.
“Quando
siamo a letto, voglio fare l’amore tuuuuutta la notte!” urlai,
arrancando per le scale.
“Ma
se oramai è mattina!” lo sentii borbottare.
“Allora
vorrà dire che lo faremo fino a domani mattina!”
Stavo
dicendo, va bene... urlando frasi senza senso, ma Ryro
doveva essere fuori di testa abbastanza da non accorgersi che stavo davvero alzando
la voce in un hotel silenzioso alle quattro del mattino.
Appena
varcammo la porta della stanza, Ryro la chiuse con un calcio, mentre io mi
buttavo con assoluta sgarbatezza sul letto assaporando la freschezza delle
coperte sulla pelle accaldata delle mie guancie.
Stavo
per cadere in un lungo stato di dormiveglia e quasi non mi accorsi che Ryan
stava gattonando sul letto, fino a raggiungere la mia schiena e sedersi a cavalcioni sul mio bacino.
Mi
soffiò in un orecchio, facendomi rabbrividire di piacere.
Mi
massaggiò le spalle dolenti per qualche secondo, prima di baciarmi il collo.
Mugugnai rilassato, sul punto di addormentarmi.
“Se
ti addormenti, te ne pentirai Urie.” Lo sentii minacciare al mio
orecchio, mentre strusciava il bacino verso le mie natiche.
“Dormire? Sono sveglissimo!”
risposi, agitandomi tutto, prima di arrossire delle movenze di Ryro su
di me.
Gemette
lascivo al mio orecchio, facendo salire l’adrenalina che prima si stava
tramutando in sonnolenza.
Volevo
voltarmi per baciarlo e togliermi quei vestiti che stavano fastidiosamente
diminuendo le scariche di piacere che mi facevano formicolare le mani, ma solo
un pazzo sarebbe stato in grado di fermare quei movimenti.
Fu
lui a girarmi bruscamente, giusto per guardarmi negli occhi e riprendere a
muoversi, mentre io cercavo di sfilargli la camicia già aperta.
Lo
sfiorai come se non lo facessi ad anni.
Le
braccia, le spalle, il petto, lo stomaco, ogni cosa di lui mi chiedeva, mi
supplicava di essere sfiorata, baciata, leccata.
Mi
sollevai a sedere giusto per attirarlo più vicino e mi dedicai a mordicchiare
dolcemente quel collo, per farne una mia proprietà.
Ryro
era bello.
Coglieva
gli sguardi di tutti e io ne ero fottutamente geloso, perché lui era mio. Solo
io volevo avere la possibilità di vederlo così arrendevole, appassionato,
intraprendente.
“Comando
io questa volta.” Sussurrò, afferrando i lembi della camicia e
togliendomela bruscamente di dosso.
Lo
lasciai fare e mi stesi nuovamente sulle coperte, diventate troppo calde per dare
sollievo a quelle improvvise vampate di calore.
Mi
lasciai spogliare, senza smettere di guardare i suoi occhi e le sue labbra
continuamente mangiucchiate per il desiderio represso.
Non
l’aveva mai fatto in quel senso.
Di
solito i ruoli era invertiti, ma non mi dispiaceva essere sotto le sue
possessive cure.
Il
sesso l’avevo scoperto con Ryro, anche se a detta personale ( e non solo)
ero davvero un talento naturale.
Fin
da piccolo mi era stata data una strana importanza al sesso.
Ne
ero quasi impaurito per i divieti imposti.
“Quanto
ti sposerai, Brendon, avrai una donna che per te sarà tutto. Anche
la tua compagna di letto.”
Credevo
fosse realmente così, aspettare di sposarsi per mettere in atto tutti i doveri
matrimoniali.
Ma
fare l’amore non doveva essere un dovere, né qualcosa imposto da un pezzo
di carta o da un prete.
Sentivo
il desiderio, l’amore per Ryan montare ogni giorno di più, fino a
desiderare di fare l’amore. E così è stato.
L’avrei
addirittura sposato. E non era solo questione di sesso, ovviamente.
Anche
perché sarei sembrato solo un maniaco sessuale.
Era
diventata necessità il nostro contatto, necessitava come l’aria.
Quando
sentii il suo corpo aderire al mio fu come essere catapultati in un altro
mondo, in un’isola dove l’unica cosa che era necessaria era la
nostra vicinanza, la nostra unione.
Era
meglio di qualsiasi suono di chitarra o di un qualsiasi pianoforte.
Era
come stare sospesi nel vuoto e ricadere all’improvviso su morbidi cuscini
di seta.
Il
mio essere totalmente dipendente da lui talvolta mi spaventava.
Mi
faceva sentire matto, o forse solo più del solito.
Così
accolsi le sue spinte, le sue braccia con devozione, mentre mi ansimava
all’orecchio parole sconnesse, che a volte non avevano nemmeno un
significato.
Ci
buttammo nel piacere con forza, mentre tremavo, stringendo la sua vita con le
gambe.
Ryro
mi accarezzò i capelli umidi di sudore con dolcezza, districandoli con quelle
sue lunghe dita morbide e meravigliose.
Gli
baciai la spalla umida, confessandogli ancora una volta il mio amore per lui.
E
mi baciò.
Baciarci
dopo aver fatto l’amore era diventato qualcosa di meravigliosamente
simbolico che ci ricordava quanto profondamente appartenessimo l’uno
all’altro. Ripeto, non era solo un’unione di corpi, una
soddisfazione personale.
Era
molto di più.
Ci
addormentammo quasi subito, Ryro ancora sopra di me, che non era affatto un
peso, ma una soffice coperta.
Il
mattino ci accolse impreparati e le tende lasciate aperte fecero bruscamente
entrare il sole nella stanza. Ryro nella notte si era spostato nella sua parte,
fregandomi tutte le coperte, così mi alzai scacciando un capogiro e un
fastidioso dolore al sedere.
Mi
bloccai sulla porta del bagno, arrossendo.
Avevo
permesso a Ryro che mi facesse… quello.
E
io mi ricordavo solo di quel dolore? Nient’altro?
Mi
ripromisi di diventare astemio.
Promessa
mai mantenuta.
A
scuola tenevano diversi corsi pomeridiani di musica.
C’era
chi si esercitava con il pianoforte, chi provava con la banda scolastica e chi
come me voleva imparare a suonare un nuovo strumento. Chitarra mi piaceva e
quando ero più piccolo avevo imparato a strimpellarla solo un poco, anche
perché la mia priorità era il piano.
In
quel corso non c’era tanta gente, eravamo sì e no una decina e la metà se
ne andò dopo la prima lezione, stanca di imparare oltre.
Il
ragazzo che sedeva accanto a me si chiamava Brent, e oltre a essere un tipo
piuttosto taciturno era anche uno che non rideva mai.
Mi
ero ripromesso di parlarci e provare a stabilire un rapporto di amicizia.
Provai a comunicare con lui durante tutte le lezioni di chitarra, sedendomi
vicino a lui e sorridendogli sempre allegro.
Era
una vetta ardua da raggiungere, anche perché sembrava che lui avesse paura di
me.
Non
demorsi e quando, finalmente mi parlò, mi prese in disparte, spostandosi il
pesante ciuffo castano dagli occhi e abbozzando quasi, dico quasi un sorriso.
Feci
quasi i salti di gioia, abbracciandolo urlando come un matto.
“Urie!”
sbraitò Brent, diventando rosso dalla vergogna.
“Sì,
Brent?” gli sfarfallai le ciglia davanti al naso, mentre gli strappavo un
vero sorriso.
“Ascolta, io e un amico abbiamo messo su una band.”
Iniziò, aggiustandosi con maniacale cura il giubbotto di pelle. “ma ci
manca la seconda chitarra.”
“Mi
dispiace, non conosco chitarristi così bravi che hanno voglia di entrare in una
band.” Dissi, rattristandomi per non essere stato di nessun aiuto a
quello che consideravo già un amico.
“Ma
sei stupido o cosa?” disse, alzando gli occhi al soffitto. Brontolò da
solo per qualche secondo poi, tornò a guardarmi negli occhi. “a te
andrebbe di provarci?”
Sgranai
gli occhi, portando il palmo aperto della mano sul petto. “Io?”
“Vedi
altri in questa stanza?” era sarcastico e sapevo che si stava
infastidendo e forse pentendosi di avermi chiesto di entrare nella sua band.
“Beh,
non so cosa dire…” borbottai, grattandomi la testa.
“Un:
sì accetto, sarebbe gradito.” Rispose, Brent.
“si tratta solo di una prova, una specie di audizione, facciamo qualche
cover e poi decidiamo.” Specificò.
Mi
portai un dito alle labbra, picchiettando con insistenza.
Una
band voleva dire coronare un sogno, fare musica, avere amici e sogni in comune.
Gli
sorrisi.
“Ci
sto!”
Quello
stesso pomeriggio, dopo essermi perso almeno una ventina di volte trovai
l’indirizzo che Brent mi aveva scritto sulla mano prima di sparire di
gran carriera.
Aveva
detto che provano nel garage a casa sua e io avevo l’ansia mischiata alla
gioia che mi attanagliava le viscere.
Ero
abbastanza in anticipo e decisi di aspettare fuori, anche se il garage era
aperto e gli strumenti facevano la loro bella figura.
Mi
abbracciai alla chitarra acustica che mi ero portato dietro, cercando di
diffondermi un po’ di coraggio, mentre dal silenzio assoluto nasceva una
melodia. Un suono dolce di chitarra, che si prolungava nel tempo mentre io
rimanevo lì, in silenzio, ad ascoltare ad occhi chiusi, cercando di imprimere
dentro di me ogni nota.
E
in qualche modo mi entrarono dritte nell’anima.
Quando
la musica finì, mi riscossi da quella specie di dormiveglia, scuotendo il capo.
“Cazzo!”
borbottò una voce.
Non
era quella di Brent, aveva un tono più caldo, molto British. Parolaccia a
parte.
Presi
un po’ di coraggio e mi feci avanti, entrando nel garage con passo lento,
quasi avessi paura.
Seduto
a terra, stava un ragazzo magro, magrissimo, con i capelli che gli coprivano
gli occhi scuri e il viso concentrato ad accordare al meglio la chitarra. Aveva
dita lunghe e perfette, che si muovevano con sicurezza e armonia, mentre
solleticavano le corde con dolcezza.
“Ehm…
ciao!” esclamai, alzando una mano per mimare un saluto.
“Tu
chi saresti?” chiese, scostandosi un ciuffo ribelle dalla fronte,
guardandomi torvo.
“Sono
Brendon, sono venuto per le prove.” Spiegai, indicando gli strumenti.
“Ah,
l’amico di Brent.” Disse, prima di tornare a riservare tutta la sua
attenzione alla chitarra.
“Già…”
risposi, facendo dondolare le braccia in serio imbarazzo.
“Cosa fai lì impalato? Prendi la
chitarra e inizia a suonare!” esclamò il ragazzo, che ancora non mi aveva
detto il suo nome.
“Oh! Certo, certo!” presi
a togliere la custodia rigida frettolosamente, riuscendo a farla cadere ben tre
volte prima di appoggiarla in un angolo.
Sentii
il ragazzo che dietro di me aveva smesso di suonare e stava ridacchiando.
Una
risatina piuttosto maligna in effetti.
“Quando
avrei finito di distruggere tutto, siediti e cerca di venirmi dietro.”
Disse, mentre io raccoglievo l’asta del microfono che avevo fatto
accidentalmente cadere.
“Non
aspettiamo gli altri?” chiesi, guardando con apprensione il vialetto
deserto.
“Non
credo verranno. Brent ha una nuova tipa e Spencer è in punizione per aver
marinato la scuola già sei volte dall’inizio dell’anno.” Mi spiegò, scrollando le spalle. “però sua
madre ci ha permesso di utilizzare lo stesso il garage.”
Annuii,
serrando le dita sul legno liscio della mia chitarra.
Quel
tipo mi metteva timore.
Avevo
le dita che tremavano e non riuscivo più a ricordarmi come si usava lo
strumento e quando lui cominciò a far vibrare le prime note, io rimasi immobile
a fissarlo, mentre si mordeva lievemente il labbro inferiore per la
concentrazione.
Riconobbi
la canzone, una vecchia dei Blink, e seppur con eccessivo timore, cercai di stargli dietro.
Quando
iniziò a cantare mi venne da sorridere.
Aveva
una voce incerta, bassa, con una dolce cadenza inglese.
Era
la cosa più bella che avessi mai ascoltato.
Quando
compresi la realtà di quel pensiero, arrossii sbagliando un paio di accordi e
guadagnandomi l’ennesima occhiataccia storta.
Sorrisi
a mo di scusa e lui distolse lo sguardo dal mio.
Scrollai
le spalle, con lui pareva una partita persa già dall’inizio e ancora non
lo conoscevo.
Cercai
di distrarmi, iniziando a cantare l’unico pezzo della canzone che
conoscevo a memoria. Chiusi gli occhi e dopo aver aumentato il ritmo, anceh il
tono della mia voce diventò spaventosamente alto.
Era
una cosa che succedeva spesso a quei tempi, se volevo cantare non mi importava
dove mi trovavo o cosa facevo.
L’importante
era farlo.
Non
ero certo di avere tutte queste doti canore, ma a me piaceva.
Cantai
il ritornello per ben due volte, senza accorgermi di aver sovrastato la voce
del ragazzo.
Quando
la canzone finì, assieme alla musica, mi ritrovai con il fiatone e un gran
sorriso stampato sulle labbra.
“Tu…”
lo sentii sussurrare con un’espressione sconvolta sul viso.
“tu sei…wow!”
Per
la prima volta lo vidi sorridere, sorridere davvero. Rimasi un attimo spiazzato
mentre mi buttava le braccia al collo urlando.
“Ryan! Porco cazzo ma chi era?!”
un ragazzo in pigiama e pantofole stava davanti al garage con il fiatone, due
occhi grandi come monetine e i capelli scompigliati tirati indietro da un
cerchietto rosa.
“Spence,
ti presento il nuovo cantante dei Panic at the disco!” disse Ryan, questo
pareva essere il suo nome, mentre si staccava da me per sorridere
all’amico.
“Cosa?! Un attimo, non era un provino per la seconda chitarra?!” dissi, mettendo le mani avanti e guardando Spencer
che aveva gli occhi che brillavano di gioia.
Poi
un urlo infernale lo fece scattare sull’attenti “Cazzo è quella
sclerotica di mia madre!” borbottò prima di sparire.
“Non
pensavo che Brent avesse avuto così occhio!” continuò Ryan, lodandomi.
Aveva le guancie rosse e il sorriso scintillante.
“Io
non so se so cavarmela…” borbottai in risposta, ricevendo uno
scappellotto dietro la testa.
“Cavartela?
Vuoi forse prendermi in giro o stati giocando la carta del finto modesto?!”
“No,
davvero!” esclamai, portandomi una mano al petto.
Lui
sembrò pensarci un attimo, poi torno a sorridere. “ In
teoria sono io il cantante, ma se accetti di entrare ti cedo il posto. Non conosco voce più bella della tua!” urlò, arrossendo per
il complimento appena fatto.
Io
ridacchiai, mentre sentivo al cuore una strana fitta.
Non
faceva male, era qualcosa di intensamente piacevole.
“Se
le cose stanno così, potrei anche accettare…” mormorai vago,
cercando di contenere la felicità.
Cosa
che non avvenne, visto che poco dopo stavo correndo per il vialetto caricandomi
un Ryan urlante sulle spalle.
Stava
per iniziare l’avventura più stupefacente della mia vita.
Un’avventura
che sarebbe diventata sogno e poi una splendida realtà.
****
Mi
sveglio di soprassalto, gli occhi spalancati e la
mente svuotata.
Non
è la prima volta che mi capita di sognare la mia vita, quella passata con o
senza Ryro.
Ryro.
Mi
volto per scoprirlo ancora vicino a me, i capelli castani che mi solleticano il
collo e il suo viso immerso nel sonno.
È
così bello riaverlo al mio fianco, sapere che c’è che esiste e che non è
una futile immaginazione di occhi troppo stanchi per guardare ancora una volta
la realtà.
Sono
felice che mi abbia perdonato, che abbia voluto ancora una volta provarci,
lasciando da parte paure e sospetti.
Sono
un cretino, un deficiente, un idiota, un pazzo, chiamatemi come volete.
Non
riesco ancora a pensare come, in tutto questo tempo io sia riuscito a
sopravvivere sotto le cure di un altro amore.
Un
amore non ricambiato, ma altrettanto dolce.
Per
Sarah nutro davvero un profondo sentimento d’affetto, che sono sicuro al
momento è ricambiato con odio profondo.
Non
la biasimo. Mi merito questo e anche di più.
Per
ora voglio guardare al mio futuro. E solo Ryro ha la chiave per aprire tutte le
porte.
Ripensandoci la mia vita è stato un disastro continuo, ma arrivato a questo punto non riesco a pentirmi
di nulla.
Okay, forse di un paio di cose.
Sorrido tra me, accarezzando la spalla nuda di Ryro con
la punta delle dita, mentre le pareti della nostra camera sono abbagliate dai
primi raggi del mattino.
È questo il mio posto.
Finalmente so dove stare.
Grazie
a chi è arrivato fino a qui.. me lo lasciate un
commento? ^^