SCORPIUS
HYPERION MALFOY
- Capitolo unico -
Per chi viveva nei pressi di
Villa Lestrange, sapeva bene cosa significava svegliarsi nel cuore
della notte da un urlo agghiacciante.
Non sapevano di preciso da dove arrivasse, e da chi arrivasse, ma erano
sicuri che, in qualche modo arrivasse.
Eppure, la risposta al loro quesito era ovvia, ma non per loro, sparuti
e spauriti animali che scappavano, cercando un rifugio lontano da
quell’orrore. Però, puntualmente, con la luce tornavano nelle loro
vecchie tane, fin quando non ci fu un’esplosione che fece crollare
l’ala est della grande villa.
Da quel momento solo i corvi si avvicinarono, ma presto smisero anche
loro di frequentare quel posto che trasudava Magia Oscura da tutte le
parti, lasciando cadere l’enorme villa in una prigione di distruzione e
solitudine.
In lontananza ancora si potevano sentire le urla disumane di un
ragazzino torturato fino alla morte.
O quasi.
Scorpius Hyperion Malfoy si svegliò nel cuore della notte, con l’eco
dei suoi incubi che gli riecheggiavano nella testa.
Ancora una volta era tornato indietro con il pensiero.
Si strinse un po’ la coperta pesante sul corpo.
Aveva quindici anni, e quegli incubi avrebbero dovuto lasciarlo da
circa sei anni, ma quattro anni erano difficili da dimenticare. Un
bambino lasciato in balia di una zia cattiva.
Detta così, gli veniva da ridere. Sembrava la storia di Harry Potter,
che aveva letto in un libro in libreria. Sebbene avesse aperto solo la
quarta per leggere di che si tratta e poi l’aveva chiuso con garbo, il
padre glielo aveva strappato dalle mani.
- Cos’è questa robaccia?- lo aveva rimproverato – Guai se ti ritrovo
ancora una volta in mano un libro che parla dello Sfregiato!-
Scorpius da allora, cercò di non prenderne in mano nessuno, ma ce
n’erano giusto una quindicina, forse più, in biblioteca, e così si era
dedicato alla sua lettura proibita, divorando un libro dopo l’altro.
Ma la storia sua e di Harry Potter non aveva nulla di simile, solo
poche coincidenze.
Lui era stato affidato a sua zia, che non lo sopportava molto solo
perché era rimasta una babbana, mentre la sorella era diventata una
strega. Al contrario, lui era stato affidato a Bellatrix Lestrange ma
non era previsto che le facesse da cavia.
Si rigirò nel letto, cercando di non pensarci, ma il sonno non lo
voleva.
Così decise di alzarsi e vestirsi.
Alle quattro del mattino di un gelido giorno di fine Dicembre aggirarsi
in mutande e scalzo per i sotterranei dei Serpeverde non era certo una
gran cosa. Anzi, lo aveva ancora di più svegliato.
Si rivestì in fretta e uscì per i corridoi.
Credeva di aver scorto un elfo che puliva, ma quando aveva controllato
meglio, vide solo un giubbino appeso a una sedia, momentaneamente
abbandonato e ignorato. Come avevano fatto tutti, lo ignorò anche lui e
uscì dalla parete a muro.
Il silenzio, a volte, è ancora più fastidioso del rumore, perché ti
lascia in balia di pensieri che non vorresti mai avere.
E lui, camminando con passo quasi svelto, sembrava volesse chiedere a
tutti di parlare, di fare un caos così tremendo che sperava non avesse
più pensato a niente.
Ma i pensieri si fecero strada subdolamente dentro di sé.
In fondo lui non chiedeva altro che essere amato, invece con la nascita
di Oberon, suo fratello minore, il padre era andato in escandescenza. E
la verità si abbatté su di lui come se ci fosse stata una frana e una
montagna di neve gli era caduta addosso, mozzandogli il respiro all’età
di cinque anni. E ricordò che divenne grande all’improvviso, strappato
da un’infanzia breve e tormentata.
Lui e Oberon avevano solo tre anni di differenza, e di diverso avevano
tutto. Scorpius era, in pratica, la copia spiccicata del padre, a parte
per il colore dei capelli, biondo più scuri di quelli platino de padre,
mentre Oberon aveva i capelli neri e gli occhi azzurri. Erano stati i
capelli neri di Oberon a far indagare Draco, scoprendo che la moglie lo
aveva tradito.
E da lì, apriti cielo. In preda ad un’ira furibonda, il padre uccise la
madre davanti agli occhi sgranati dei tre figli che avevano avuto e di
Oberon.
Lei era caduta all’indietro, con gli occhi tristi e la bocca dipinta in
un sorriso amaro.
Jamie e Nash lo avevano trattenuto, nel momento in cui scattava verso
la madre, urlando e piangendo. Draco, poi, con gli occhi spiritati, si
avventò su Oberon, che non capiva molto all’epoca, essendo solo un
bambino, e lo maledisse.
Da quel giorno, Draco si rinchiuse in se stesso, lasciando i quattro
orfani di madre a doversela cavare da soli.
Jamie e Nash se la cavavano egregiamente, facendo una marachella dietro
l’altra, grazie al loro dono: potevano leggersi nella mente e
comunicare, anche se la distanza tra loro potesse essere pari alla
distanza che c’è tra New York e Mosca.
Oberon fu allevato dagli elfi, e conobbe la compassione e tutto quello
che i Malfoy non avrebbero potuto insegnargli.
A lui, invece, pupillo di casa Malfoy, capitò il destino peggiore: fu
preso in custodia da zia Bella, che lo torturò fino a quando non aveva
cercato di contattare i gemelli.
Non ci riuscì, di fatto, ma loro vennero a fargli visita, approfittando
del momentaneo allontanamento della zia, e lui gli raccontò tutto,
confusamente.
La zia faceva esperimenti genetici su di lui, e dovevano andarsene
subito, per dirlo al padre. Li supplicò di portarlo via al loro ritorno.
Qualcuno, in effetti, tornò. E lo fece nel momento più inopportuno per
la strega, ma arrivò come una manna dal cielo e una maledizione per lui.
Era Draco Malfoy, ed entrò quasi non credendo ai suoi occhi in una sala
che metteva i brividi.
Scorpius tornò al presente, abbandonandosi lungo la parete di pietra.
Non voleva di nuovo immergersi nelle tenebre del suo passato. Il
passato, però, perdurava nel presente.
Quando chiuse le palpebre meccanicamente, gli sembrò di rivedere quella
stanza, in cui la zia sbagliò il dosaggio di un’iniezione, a causa
dell’improvvisata del nipote. E non capì più nulla.
Scorpius non aveva più il ricordo di nulla. Fino a che non si trovò in
un inferno di provette rotte e sostanze maleodoranti che aleggiavano
nell’aria. Lontano, la strega giaceva, probabilmente uccisa da un’Avada
Kedavra, ma il padre era vicino alla porta d’ingresso, e dei tagli
profondi erano incisi su tutto il corpo. Il suo petto si alzava, sempre
più piano.
Non capì perché era così stanco, perché faticasse a rimettersi in piedi.
Raggiunse il padre dopo un’estenuante nuotata tra schegge di vetro e
liquidi che lo facevano scivolare e farsi sempre più male.
- Papà…- sussurrò.
Era calmo, a dispetto della situazione.
- Sc…o…pu…-. Il padre fece arrivare gli occhi argentei e insanguinati
sul figlio. Sembrava quasi come se stesse piangendo, solo che le
lacrime venivano giù dello stesso color del sangue.
–Scu…s…scus..sco..pus..- balbettava.
Scorpius gli prese una mano e la strinse nella sua.
- Va tutto bene- disse, con voce rotta, iniziando a capire la
situazione.
Draco mosse impercettibilmente la testa.
Aprì la bocca per parlare ancora una volta, ma gli occhi si fecero di
colpo distanti. E non stringeva più la mano del figlio.
Un altro vuoto.
Scorpius si passò una mano tra i capelli biondi e prese un respiro,
cercando di calmarsi.
Quei vuoti erano diventati una costante, dopo quell’incidente. E ben
presto ebbero un significato.
Era diventato un mostro, che non poteva provare più nulla.
Era un mostro che gridava ancora come quando era rinchiuso in quelle
segrete, in quei laboratori.
Salvatemi.
Ma nessuno giunge ad aiutarlo. Chi poteva non c’è più, e una tristezza
immensa gli occupò il posto del cuore.
Chi sarebbe giunto se il suo paladino era morto per mano sua?
Quei graffi…capì ben presto che era stato lui a procurarli al padre,
perché erano gli stessi che ritrovava sulla tappezzeria sbrindellata di
Malfoy Manor dopo i suoi vuoti.
Non poteva eccedere nei sentimenti, altrimenti avrebbe continuato a
fare del male.
Chiunque, però, non conoscendo cosa si cela dietro il silenzio glaciale
dei Malfoy, è convinto di conoscerli: una banda di orfani scapestrati,
pronti a combinare i guai peggiori. Alzò le spalle. Voleva urlare loro
che non era colpa sua, né dei fratelli, se il loro destino era stato
segnato da chissà quale maledizione. Loro non cercavano i guai, bensì
erano i guai a cercare loro. Eccola, un’altra analogia con Harry
Potter, segnata dalla grande differenza dei loro destini.
L’ex Grifondoro era ancora vivo, mentre al giovane Serpeverde erano
negati alcuni sentimenti che l’avrebbero fatto sentire vivo.
Anche se nessuno lo sentiva, Scorpius Hyperion urlava ancora.
Ridatemi le emozioni, ridatemi la mia vita, perché non posso vivere
senza eccessi.
- Scorpius?- lo chiamò una voce, strappandolo dai suoi ricordi
dolorosi, che tentava di abbandonare.
Di chi era quella voce melodiosa, un po’ preoccupata, che gli aveva
impedito di riprovare un dolore eccessivo?
Alzò la testa e incontrò due iridi azzurre come le sue, solo che quelle
dell’altra persona non erano segnate da eventi tanto nefasti.
- Lily - rispose lui, prendendo un respiro e alzandosi, quasi a fatica.
Sentiva il piede sfrigolargli e punzecchiargli.
La giovane Potter gli sorrise e piegò la testa di lato, inconsciamente,
come era solita fare. I lunghi capelli neri ondulati le ricaddero
dietro la schiena.
- Tutto bene?-
Scorpius ritrovò i muscoli del collo che avevano voglia di collaborare
e se ne compiacque. Annuì.
- Cosa ci facevi qui, tutto solo?- chiese ancora, ma lui non le rispose.
Lei sospirò.
- Vieni, Scorpius, andiamo nella Sala Comune che qui si gela-, quasi
ordinò, prendendolo per mano e trascinandolo.
Com’è strana a volte la vita. Aveva fatto conoscenza con l’unica Potter
ad essere finita a Serpeverde, l’unica figlia di Harry Potter,
l’acerrimo nemico di suo padre. Lei era così dolce che a volte
dimenticava che poteva cacciare dai denti un veleno più pericoloso del
serpente più temuto.
Lui le si avvicinò e le mise una mano sulle spalle, cercando di
controllare il battito del suo cuore. Non le voleva certo far del male.
- Lily, cosa farei senza di te?-
La ragazza rise, e sembrarono tante campanelle risuonare.
- Non lo so, Scorpius. Probabilmente moriresti-.
E solo lui sapeva che quelle parole, dette così per ironia, potevano
essere vere.
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