- Andrai a finire nei guai,
sicuramente! – mi sussurrò
Nathalie, mentre io aprivo lentamente la pesante porta grigia.
Dall’altra parte
era più buio della notte del vicolo nel quale eravamo
addentrate. Feci
spallucce ed entrai ugualmente, voltandomi verso la mia amica.
– Non mi
interessa, è l’unica occasione che ho!
…Che avremmo, se tu venissi con me. -
Mi guardò implorante,
appoggiandosi al muro dell’edificio. –
Non ci penso nemmeno. E nemmeno tu dovresti! –
Scossi il capo: come poteva anche
solo pensare che il
pensiero di venire acciuffata dalla security mi potesse fermare dal
raggiungere
la mia band preferita nel backstage dopo un concerto da paura?
– Non aspettarmi
– conclusi freddamente.
- Angel? – mi
chiamò prima che avessi modo di richiudere la
porta – Fai attenzione -.
Annuii soltanto dopo aver alzato la
maniglia, arrancando nel
buio del largo corridoio. I miei passi sui tacchi a spillo erano
incerti per
via del troppo alcol bevuto prima, durante e dopo il concerto e
rimbombavano in
tutto l’ambiente, mentre mi muovevo lateralmente al muro con
le mani protese in
avanti, prevenendo lo scontro con qualsiasi ostacolo il buio pesto non
mi
permettesse di vedere.
La testa mi girava, ma ero ancora
abbastanza lucida da
rendermi conto di ciò che facevo.
Aspettavo un concerto degli Skid Row
da troppo tempo, non
ero mai riuscita a vederli live nella mia città nonostante
fossero in assoluto
il mio gruppo preferito. Erano all’apice del successo ed
anche quella sera lo
show era sold-out. Mi ero prefissata l’obiettivo della prima
fila e l’avevo
raggiunto appostandomi davanti al locale fin troppo presto quella
mattina,
avevo aspettato tutto il giorno sotto al sole per godermi Sebastian
& co a
pochi metri da me. Sarei anche potuta morire dopo il concerto oppure
andarmene
subito, sarei stata ugualmente felice, ma non resistetti alla
tentazione di
cercare un modo per intrufolarmi nel backstage. Ero fatta
così, cercavo sempre
di ottenere il meglio, senza perdere un’occasione.
Così, mentre camminavo nel
buio, mi ritrovai a pensare che
ce l’avevo fatta davvero e che nonostante questo non riuscivo
a rallegrarmi,
per la paura di venire presa e perché l’alcol in
circolo mi stava distruggendo
lo stomaco.
Una ventina di metri più
avanti, il corridoio volgeva verso
destra e una volta
girato l’angolo
potei finalmente rivedere uno spiraglio di luce fioca, proveniente dal
vetro
opaco di una porta in fondo. Quando la raggiunsi, mi accorsi che la
finestrella
era posta più in alto di quanto pensassi e dovetti alzarmi
in punta di piedi
per vedere attraverso il vetro: era una sala vuota, con un tavolo di
legno
sulla sinistra. Nessuna star, nessun bodyguard, niente di niente.
Provai ad abbassare la maniglia, ma
mi accorsi ben presto
che la porta era chiusa a chiave.
- Cazzo! – esclamai
sottovoce, mentre fallivo l’ultimo
tentativo con una forcina per capelli. Mi guardai intorno, ma non vidi
altre
porte, così mi accasciai seduta sul pavimento, con la
schiena poggiata contro
una delle pareti fredde del corridoio e decisi di aspettare.
Stavo per accendermi una sigaretta,
ma ringraziai il cielo
di non averlo fatto quando sentii una chiave che girava nella
serratura.
Velocemente ma cercando di fare il minor rumore possibile, tornai nella
parte
di corridoio in ombra e mi appiattii contro il muro. Quando la porta si
aprì
chiusi addirittura gli occhi, cercando di immedesimarmi il
più possibile nel
ruolo di una parete, pregando con tutta me stessa che chiunque fosse
lì non
richiudesse a chiave e non si accorgesse della mia presenza.
Non riaprii gli occhi fino a quando
non fui certa che anche
la porta dalla quale ero entrata si fosse richiusa, ed ero nuovamente
sola. Le
mie preghiere erano state esaudite, la porta si aprì
facilmente non appena
abbassai la maniglia. Mentre mi guardavo intorno osservando gli oggetti
presenti nella stanza mi maledissi per non aver aperto gli occhi e
osservato
l’uomo che aveva aperto la porta: se fosse stato uno della
band?
Sul tavolo c’era una pila
di locandine del concerto e alcuni
volantini più piccoli. Ne sfiorai uno con l’indice
destro e cercai di mettere a
fuoco la foto della band, azione difficoltosa per via della vista
traballante,
ma rimasi ad osservare i loro volti per un po’, convincendomi
pian piano che io
li avevo appena visti dal vivo, che ero sotto al loro palco e che mi
ero
divertita un sacco.
Infilai un volantino in borsa,
raggiunsi la porta dall’altro
lato della stanza e sforzai la serratura con la forcina: stavolta si
aprì al
primo colpo e mi sorpresi delle mie doti di scassinatrice. Mi si
presentò davanti
un altro corridoio in penombra ed improvvisamente ebbi una prova
inequivocabile
di essere davvero arrivata nel backstage: Rob Affuso mi
passò davanti senza
degnarmi di uno sguardo, mentre io richiudevo la porta dietro di me e
mi
sentivo mancare. Lo osservai mentre percorreva il largo corridoio fino
a
sparire dentro una delle stanze sulla sinistra. Mi appoggiai alla
parete per
qualche secondo e respirai profondamente anche per reprimere la nausea,
decidendomi ad andare nella sua stessa direzione.
Mi accertai di essere di nuovo sola e
mi diressi verso la
prima porta aperta lungo il corridoio, che neanche a farlo apposta era
abbellita da un cartello scritto a mano riportante il nome
“Sebastian Bach”.
Cercai di mantenere un respiro regolare mentre mi addentravo
silenziosamente in
quello che dedussi essere il camerino dell’uomo dei miei
sogni.
La luce era accesa, ma nella stanza
non c’era nessuno, così
mi fermai ad osservare i vestiti di scena indossati da Sebastian
durante il
concerto di quella sera: sfiorai i pantaloni di pelle appoggiati al
divanetto e
raccolsi da terra il gilet nero, appoggiandolo vicino allo specchio
dopo averlo
portato accanto al mio naso per inalarne la fragranza: dopobarba,
birra, fumo e
sudore, un mix da capogiro.
Mi stavo ancora guardando intorno
girando su me stessa,
quando sentii dei passi avvicinarsi e una voce fin troppo famigliare
canticchiare “Rock’n’Roll” dei
Led Zeppelin. Presa dal panico, non trovai un
nascondiglio efficace e mi appiattii semplicemente contro la parete
dietro la
porta mentre il cuore mi martellava nel petto.
Trattenni il respiro quando fui certa di non essere più sola
nella stanza e di
avere a poco più di un metro da me Sebastian Bach, ma non
riuscii a chiudere
gli occhi e a resistere alla tentazione di sbirciare: l’uomo
che amavo stava
piegando i pantaloni di pelle fischiettando, con addosso solo un paio
di
pantaloncini ciclisti blu.
Sentii nuovamente le gambe deboli e
lo stomaco che si
contorceva ed ebbi bisogno di sorreggermi alla parete accanto per non
perdere
l’equilibrio, ma me ne pentii subito quando sentii il
fischiettio che cessava e
lo sguardo irritato di Sebastian addosso.
- E tu chi cazzo sei? –
chiese con la voce alta ma provata
dalle due ore di concerto. Ci guardammo negli occhi per una manciata di
secondi
e non riuscii a dargli una risposta, mentre gli occhi mi si bagnavano
di
lacrime. Scivolai lentamente contro la parete e sentii il dolore allo
stomaco
farsi sempre più forte. Dovevo immaginarlo: avevo sbattuto
per due ore contro
una transenna fredda avendo addosso solo un top corto e scollato, avevo
mangiato e bevuto tanto e il mio corpo non era in grado di affrontarlo.
Sentii
una nausea insopportabile e l’unica cosa che riuscii a
singhiozzare coprendomi
la bocca con una mano fu – Non mi sento bene -.
Mi guardò inclinando la
testa da un lato e ravviò con una
mano i lunghi capelli resi mossi dall’umidità del
sudore. Non disse nulla, ma
aprì una porta secondaria del camerino che io non avevo
nemmeno notato.
- Qui c’è il
bagno, se vuoi – disse facendomi segno con la
mano di seguirlo. Non avevo le forze né la voglia per
tirarmi in piedi, così
raggiunsi la stanzetta trascinandomi per terra, sentendomi una perfetta
idiota.
Sentii il sapore del vomito in bocca ed appoggiai le mani al water,
mettendomi in
ginocchio. Con il primo conato arrivò anche la crisi di
pianto, il mascara e la
matita nera mi colarono rovinosamente lungo le guance, mentre mi davo
della
stupida per aver bevuto e mangiato così tanto e per aver
deciso di addentrarmi
nel backstage. Sentii la figura di Sebastian che si chinava accanto a
me e le
sue mani grandi che mi spostavano i capelli dalla faccia per evitare di
sporcarli. Mi voltai per due secondi verso di lui e l’unica
cosa che vidi fu
che slacciava dal suo braccio destro un bracciale elasticizzato, quello
che poi
usò per legarmi i capelli mentre io vomitavo
l’anima. Era l’ultima cosa che
volevo che il mio idolo mi vedesse in quelle pessime condizioni, ma non
avevo
altra scelta, mi arresi alle reazioni del mio corpo.
Non riuscii a smettere di
singhiozzare nemmeno quando non
ebbi più nulla da rimettere, per il mal di stomaco e per la
testa che girava,
ma soprattutto perché ero sembrata così
maledettamente vulnerabile davanti a
lui.
Non ebbi la forza di spostare la sua
mano dal mio viso, ma
mi spostai leggermente da lui, sedendomi contro la parete di quel
piccolo
bagno.
- Stai meglio? – mi chiese,
alzandosi per aprire la
finestrella sopra di noi, facendo entrare il freddo e il buio della
notte di
Los Angeles.
Annuii lentamente, sciogliendomi i
capelli e porgendogli
l’elastico. – Grazie -.
- E di cosa? – rise,
riallacciando la cordicella al braccio
– vuoi un po’ d’acqua? -
Non aspettò risposta e
prese dal mobiletto vicino al
lavandino un bicchiere di plastica, riempiendolo d’acqua per
metà,
porgendomelo. Lo ringraziai una seconda volta e sorseggiai
l’acqua fresca,
cercando di pulire le guance dai residui di mascara. Ancora in piedi
davanti al
lavandino, lui prese una salvietta e la inumidì, per poi
inginocchiarsi di
fronte a me ed alzarmi il viso con l’indice.
- Lascia, faccio io –
disse, iniziando a pulirmi il viso
dalle tracce nere di trucco. Tremavo ancora, ma forse non era
più per le
condizioni fisiche: avevo gli occhi fissi in quelli di Sebastian, che
sorrideva
lievemente e non mi sarei mai aspettata che lui facesse tutto questo
né per me,
né per nessun altro. Nel frattempo, mi scervellavo per
trovare una qualunque
cosa sensata da dirgli, ma l’unica cosa che mi
uscì dalle labbra fu – Sei
magnifico -.
Sorrise, gettando la salvietta che
aveva utilizzato per
struccarmi nel cestino, senza rispondere. Per l’ennesima
volta nel giro di un
paio d’ore offesi mentalmente me stessa con i peggiori
appellativi che riuscivo
a trovare. Come mi era saltato in mente di fargli un complimento
così maledettamente
diretto? Ero convinta che mi avrebbe sbattuta fuori dal camerino e
fatta
cacciare in malo modo dai bodyguard, considerandomi una ragazzina
idiota che
gli sbavava dietro come tutte le altre.
- Non mi hai ancora detto cosa ci fai
qui – incalzò, sedendosi
a gambe incrociate di fronte a me e questo bastò per farmi
tirare un sospiro di
sollievo: non mi aveva cacciata.
Sospirai e ricambiai il suo sorriso
per un istante. – Sono
una persona che non ne ha mai abbastanza di nulla -.
- Come dire che non ti è
bastato il concerto e hai voluto…
approfondire? – chiese, osservando in maniera piuttosto
attenta i miei
indumenti: indossavo un paio di stivali texani, le calze a rete, un
paio di
shorts in pelle e un top corto, ricavato ritagliando una maglietta
della band
il necessario per farci stare solo il logo.
- Esatto – risposi,
cercando di rendere la mia lieve risata
quanto più convincente possibile. Anche io posai lo sguardo
sul suo corpo, ma i
pantaloncini aderenti che indossava lasciavano ben poco spazio
all’immaginazione
e non me la sentii di risalire con lo sguardo lungo il petto, quindi mi
incatenai direttamente ai suoi occhi.
- Bene, sei felice ora? –
mi chiese, mantenendo il sorriso
ma con un briciolo di acidità nel tono, senza distogliere lo
sguardo dal mio.
Non sapevo se fosse una domanda a cui
si aspettava la palese
risposta “sì” o se fosse realmente
curioso; ad ogni modo, optai per la
sincerità: - Non sono felice che tu mi abbia visto in
quelle… queste
condizioni. Ma sto parlando con Sebastian Bach, diavolo! E’
sempre stato il mio
sogno. –
- Non ti preoccupare, ho visto
ragazze in condizioni
peggiori – ammise, mantenendo il tono di distacco con il
quale mi aveva fatto
la domanda. Dov’era finito il Sebastian che mi aveva pulito
il viso dai residui
di trucco? – Immagino… -
- Cosa vuoi fare? – mi
chiese, alzandosi ed allungando le
braccia in alto per stirarsi i muscoli. – Lo sai che io
dovrei chiamare i
bodyguard e farti buttare fuori? Insomma, ti sei intrufolata nel mio
camerino…
-
Lo guardai dal basso in alto,
stringendo le ginocchia al
petto – Lo so -.
- Non lo farò –
mi rassicurò, tendendomi la mano per farmi
alzare. Mi tirai in piedi e la testa mi girò vorticosamente,
senza farlo
apposta mi appoggiai al suo petto per rimanere diritta. – Ah
no? -
- Hai appena sboccato e sei pallida
come un foglio di carta:
se quelli ti mettono le mani addosso arrivi fuori con le ossa rotte
– si
giustificò, staccandosi da me. Lo guardai mentre apriva la
porta del camerino e
ruotando il braccio mi faceva segno di uscire. – Ti
accompagno -.
Presi la borsa da terra e uscimmo,
camminando lungo il
corridoio che avevo percorso in un istante che mi parve lontano anni
luce da
quel momento, mentre andavo a passo spedito a fianco di Sebastian Bach
dopo
aver passato più di mezz’ora nel suo camerino.
- Bach! Te le porti anche in camerino
le groupie adesso? -
Ci voltammo nello stesso istante
verso chi aveva appena
fatto la battuta di pessimo gusto al vocalist, scorgendo dietro di noi
niente
meno che Scotti Hill, con indosso solo i boxer e una maglietta: si
erano messi
d’accordo per farmi impazzire, forse?
- Non… sono una groupie
– sibilai fra i denti, guardandolo
con aria di sfida. Sebastian rise, mettendo le mani sui fianchi.
Scotti mi squadrò dalla
testa ai piedi, osservando
minuziosamente i vestiti e i capelli rossi e cotonati. – Sei
sulla buona strada
per diventarlo, honey –.
- Vaffanculo Hill! –
esclamò Sebastian, dandogli una spinta,
ma io risi ed incrociai le braccia sotto il seno. – Bene, sto
realizzando il
sogno della mia vita, quindi – dissi, con ironia.
Sorrisero entrambi, ma Scotti
tornò serio nel giro di una
manciata di secondi. – Sul serio, chi sei tu? – mi
chiese.
Guardai Sebastian con espressione
implorante, chiedendogli
tacitamente di rispondere per me. Lui mi appoggiò il braccio
sulla spalla e mi
fece l’occhiolino. – Una tipa che è
venuta a sboccare nel mio camerino, in
pratica -.
- Troppo alcol? – si
incuriosì il chitarrista, estraendo da
Dio solo sa dove una lattina di birra. Annuii e sorrisi, ora stavo
molto meglio
e potevo ridere di me stessa per aver bevuto. Sebastian si fece passare
la
lattina, ma invece di bere la birra, se la rovesciò di
proposito sul petto,
calciando poi la lattina fino in fondo al corridoio. Improvvisamente
ebbi sete
di birra.
- Non guardarlo così, che
lo consumi! – rise Scotti,
alludendo al modo in cui stavo palesemente ammirando il corpo di
Sebastian.
Distolsi lo sguardo e feci finta di niente, sicura di essere arrossita,
e
nemmeno il cantante diede a bado a Hill, fortunatamente. –
Beh, dove stavate
andando? -
- Mi stava accompagnando fuori
– risposi, indicando
distrattamente la porta dalla quale ero arrivata in quel corridoio.
- Fuori dove? Ormai sei qui, vieni un
po’ di là! –
Sebastian lo fulminò con
lo sguardo, scotendo la testa. –
Non so se sia una buona idea -.
- E perché? –
chiese il chitarrista – Se gli armadi della
security si lamentano, basta dire che è con noi!
L’abbiamo già fatto, no? -
Il cantante sospirò ed
abbassò lo sguardo su di me – Ti va
di rimanere? –
Sentii un piacevole brivido lungo la
schiena e non riuscii
ad evitare di sorridere della sua rassegnazione, mentre annuivo e
Scotti alzava
l’indice ed il medio in segno di vittoria per poi indicarci
una stanza in fondo
al corridoio. La raggiunsi camminando fra Sebastian e Hill, cominciando
lentamente ad abituarmi all’idea di essere nel backstage con
i miei idoli.
- E’ qui la festa?
– chiese Bach bussando alla porta
spalancata dello stanzone, dove Rob, Dave e Rachel erano accomodati su
due
divani in pelle, bevendo e fumando. Sul tavolino un giradischi suonava
un
Greatest Hits degli Aerosmith e accanto ad esso, ammucchiati
l’uno sopra
l’altro, c’erano i regalini lanciati sul palco
dalle ragazze durante il
concerto.
Quando Rachel avvertì la
presenza di una ragazza, afferrò la
bandiera con il logo della band appoggiata al muro e la
utilizzò per coprirsi,
avendo anche lui indosso solo un paio di boxer. – Tu chi sei?
– chiese
fintamente allarmato.
Risi, scotendo la testa –
Ho già visto Sebastian e Scotti
mezzi nudi, se vedo anche te non fa molta differenza. Comunque piacere,
Angel
-.
Sebastian sprofondò su uno
dei divani, accanto a The Snake -
Cristo, non ti avevo nemmeno chiesto il nome -.
- Te la sei scopata senza chiederle
il nome? – chiese
ironicamente Rachel, mentre baciava la mano che gli avevo porto da
stringere.
Il cantante allungò un
braccio per spintonarlo - Chiudi
quella cazzo di bocca, Bolan! Non le ho fatto niente. E smetti di fare
il
cascamorto! –
Affuso trangugiò la
metà di birra rimasta nella lattina e
poi la buttò a terra, rivolgendosi a Sebastian –
Non ci hai ancora detto chi è questo
Angelo -.
- Una rossa da urlo che è
venuta a vomitare nel mio camerino
– rispose ridendo e facendomi segno di sedermi accanto a lui.
Mi passò un
braccio dietro le spalle ed io rabbrividii. Scotti si sedette
sull’altro
divano.
Sorpresi Snake a fissarmi,
così mi incuriosii – Che c’è?
–
- Nulla… E’ che
sei pallida come un fantasma tesoro! –
rispose, allungando una mano come per accarezzarmi la guancia, ma
Sebastian
provvide prontamente a dargli uno schiaffo – E tieni le mani
a posto, cazzo! -
Risi nuovamente del loro
comportamento, sentendomi
stranamente a mio agio fra i membri della mia band preferita che
sembravano
anche piuttosto attratti da me. Accidenti, peccato che il trucco mi era
tutto
colato, altrimenti chissà che impressione avrei fatto loro.
Afferrai dal tavolo
una delle lattine di birra rimanenti e staccai la linguetta –
Beh, lasciate che
riprenda un po’ di colore -.
- Hai capito tutto della vita,
ragazzina! – esclamò il bassista,
allungandosi per brindare con le lattine
–All’enorme successo di questa sera! -
La cosa più intelligente
da fare in quel momento mi sembrò
complimentarmi con loro – Ottimo concerto, sicuramente
all’altezza delle mie
aspettative. Era la prima volta che vi vedevo e, cazzo, ho amato la
serata in
ogni suo particolare. Siete perfetti -.
Fui sinceramente felice di vedere sui
volti di tutti un
sorriso radioso, il mio complimenti aveva fatto centro. –
Grazie tesoro –
mormorò Sebastian, lasciando uscire dalle labbra il fumo,
che mi invase le
narici e mi fece pensare che da quel momento in poi, avrei associato
l’odore
delle sigarette accese a quel particolare istante della mia vita.
Nel giro di qualche decina di minuti
ci ritrovammo a fare
della birra e della nicotina la nostra unica ragione di vita, mentre
discutevamo di musica e di concerti. La mano di Sebastian non era
più sulle mie
spalle ma sulla mia coscia ed io, come Scotti ebbe modo di notare,
fremevo di
desiderio.
- Seb, se lasci quella mano
lì ancora per un po’, puoi
cuocerci le uova sul viso di Angel – disse, facendo ridere
tutti compresa me.
- Che ore sono? – chiesi,
tanto per mettere fine al momento
di imbarazzo. Non che avessi voglia di tornare a casa, ma mi ero
accorta di
aver totalmente perso la cognizione del tempo.
- Ora di andare a dormire, direi!
– esclamò Sebastian
alzandosi. I ragazzi risero, ma non ne capii immediatamente il motivo.
Il
cantante mi fece segno di alzarmi e mi prese la mano, mentre io
avvampavo e
fissavo il soffitto per evitare di incontrare lo sguardo di un membro
qualsiasi
della band.
- Buonanotte – dissi
stupidamente agli altri, mentre
uscivamo dalla stanza. Quando fummo nuovamente sul corridoio, mi
accorsi che
non c’era più musica, ma non mi ricordavo come o
quando il giradischi avesse
smesso di suonare.
Forse perché ero di nuovo
brilla, quando arrivammo davanti
alla porta attraverso la quale ero arrivata nel backstage mi voltai
automaticamente verso di essa, sicura che il bel sogno fosse finito e
di
dovermene andare. Contrariamente a ciò di cui ero convinta,
Sebastian mi prese
per le spalle e mi voltò dalla parte opposta, facendomi
entrare in camerino con
lui.
- Pensavo mi volessi accompagnare
fuori – mormorai,
mettendomi di fronte a lui. Scese con le mani lungo i miei fianchi e mi
abbracciò con inedita dolcezza – Sei ubriaca, qua
fuori è pieno di brutta gente
-.
Sospirai e mi strinsi al suo petto
appoggiandoci la testa,
mentre le sue mani si avvicinavano lentamente al mio fondoschiena, fino
a
finire nelle tasche posteriori degli shorts. Solo in quel momento mi
accorsi
della ventina di centimetri che ci dividevano in altezza: io non ero
poi così
bassa, ma pur avendo i tacchi arrivavo con la testa a livello del suo
mento.
Alzai il viso ed incrociai il suo sguardo, alzandomi quasi
inconsciamente in
punta di piedi, fino a raggiungere le sue labbra. Fu un bacio caldo e
lento, ma
molto passionale: bastarono pochi secondi per farmi perdere
completamente ogni
buon proposito, quando le mani di Sebastian salirono sotto al mio top
per
sfilarlo. Tenevo gli occhi chiusi e assaporavo al meglio quel momento,
la
realizzazione di uno dei miei sogni nel cassetto. Lui
camminò contro di me
facendomi indietreggiare fino ad inciampare in uno dei braccioli del
divano,
cadendo su di esso e trascinando Sebastian sopra di me. Mi aggrappai ai
suoi
capelli e lasciai che scendesse lentamente a baciarmi il collo in
maniera
esperta, facendo dei piccoli cerchi sulla mia pelle con la punta della
lingua.
Passai le mani lungo la sua schiena
fino a raggiungere
l’orlo dei pantaloncini, per poi introdurmi al di sotto della
stoffa e
stringere le sue natiche con entrambe le mani. Spostava in maniera
frenetica i
miei capelli rossi dal viso e dal collo che baciava con crescente
avidità.
– Te l’ho mai
detto – mormorò fra un bacio e l’altro,
- che
le rosse mi fanno impazzire? -
Mi morsi il labbro con aria
provocante, slacciando il
bottoncino dei miei shorts – Dimostramelo -.
Emise un lungo verso gutturale e un
sospiro voglioso per poi
ricominciare a baciarmi con veemenza, tenendomi il viso fermo con una
mano,
mentre con l’altra provvedeva a sfilarmi i pantaloncini in
pelle e a buttarli a
terra; potevo sentire chiaramente la sua erezione premere contro il mio
ventre. La sua
lingua s’impadroniva
della mia bocca con movimenti frenetici e quasi aggressivi,
così come i morsi
che lasciava sul mio labbro inferiore, che ben presto iniziò
a sanguinare.
Quando decise che c’era
ancora troppa stoffa a dividerci,
strappò letteralmente le mie calze di rete e mi
sfilò gli slip neri, mentre io
mi preoccupavo di lasciare del tutto scoperto anche il seno. Sebastian
lasciò
le mie labbra per scendere a baciarlo con bramosia, facendo scorrere
insistentemente le mani lungo le mie curve, per poi far giungere le
lunghe dita
della destra al loro scopo: mentre provvedeva a baciarmi ogni lembo di
pelle,
iniziò a masturbarmi con due dita, facendomi inarcare sotto
di lui. Mi lasciai
sfuggire un gemito ed afferrai il suo viso spingendolo più
in basso, fino a far
arrivare il suo viso fra le mie cosce. Mentre mi dava piacere movendo
la lingua
sul punto più sensibile senza smettere di prepararmi con le
dita, io fissai il
soffitto e pensai alla cosa più stupida a cui potevo pensare
in quel momento:
la mia amica Nathalie. Nat, Nat, non sai che ti stai
perd..ahhh..endo.
Risalì baciandomi i
fianchi e l’ombelico, raggiungendo
infine le mie labbra e riprendendo il gioco di carezze audaci che le
nostre
lingue si scambiavano. Immaginai che lui volesse essere ricambiato,
così gli
sfilai del tutto i pantaloncini e presi il suo sesso fra le dita,
movendo la
mano con ritmo veloce. Sorrise e mi baciò una spalla, quando
capì le intenzioni
che avevo, lasciando che io ribaltassi le posizioni facendolo stendere
sotto di
me, raggiungendo velocemente il suo basso ventre con il viso. Senza
smettere di
masturbarlo, presi in bocca la punta del suo pene, movendo la lingua in
cerchi
precisi, lasciando che lui stringesse fra le dita i miei capelli
sospirando
velocemente il mio nome.
Quando ne ebbi abbastanza gattonai
sopra Sebastian, che
prontamente mi fece stendere nuovamente sotto di lui allargando le mie
cosce
con le mani. Contrariamente a ciò che mi aspettavo per via
della discreta
brutalità con la quale avevamo assaporato gli ultimi
momenti, entrò in me con
una spinta lenta, accarezzandomi il viso con una mano. Sorrisi e chiusi
gli
occhi, intenta a fargli capire che ero preparata ad una violenza
maggiore, e
lui sembrò cogliere il messaggio: le spinte che seguirono
furono più decise e i
baci che lasciava sul mio viso divennero più famelici. Mi
morse le labbra
un’ennesima volta e nel bacio lascivo che ne seguì
sentii il sapore metallico
del sangue che si mischiava a quello delle nostre salive, mentre il
piacere
arrivò mandandomi letteralmente in paradiso sotto alle
movenze esperte di
Sebastian Bach. Lui raggiunse l’orgasmo poco dopo, uscendo
dal mio corpo in
tempo per venire sulla mia pancia e stendersi di fianco a me respirando
affannosamente.
- Sì, cazzo! –
esclamò sorridente, con la voce ancora
provata dallo sforzo – è stato fenomenale! -
Risi stupidamente, afferrando una
salvietta dal tavolino
accanto a noi, per ripulirmi della sua essenza.
- Grazie – dissi,
voltandomi anche io sul fianco per vederlo
bene in viso: dopo un orgasmo era quasi più eccitante di
quando stava sul
palco.
Schioccò la lingua sul
palato e mi abbracciò, avvicinandomi
a lui. Si sdraiò a pancia in su, permettendomi di appoggiare
la testa al suo
petto. – Grazie di che? Vieni qui… -
Chiusi gli occhi ed ascoltai il suo
battito cardiaco che
lentamente ritornava normale ed intrecciai una mano alla sua,
sistemandomi
meglio fra le sue braccia. Mi accarezzò i capelli
lentamente, facendomi
sprofondare lentamente in uno stato di dormiveglia. Passai
ciò che restava di
quella notte nel suo camerino stretta a lui e l’ultima cosa
che gli sentii
sussurrare fu: - Domani ti accompagnerò davvero fuori di
qui. Ma per il
momento, buonanotte Angelo -.
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