Teardrops on Fire
Il silenzio della
notte - sovrano ovunque - era interrotto dal leggero crepitio delle
fiamme e da grida che, simili a schegge di ghiaccio, si disperdevano
all’intorno.
Il falò che era
stato acceso al centro della piazza principale di un villaggio poco
distante da Londra gettava tremuli bagliori rossastri sul terreno
polveroso e sulla folla che lo attorniava.
L’attenzione della
gente era concentrata su tre figure femminee legate ad altrettanti pali
posti al centro del fuoco. Era verso di loro che uomini e donne stavano
rivolgendo urla inferocite di scherno, miste a bestemmie e maledizioni,
mentre alcuni bambini, in piedi vicino alle sottane delle madri,
scagliavano verso le tre donne pietruzze raccolte qua e là.
Le vittime erano state accusate di essere streghe e - in concordanza con le usanze - condannate alla morte sul rogo.
Le due presunte streghe
poste ai lati già iniziavano a sentire il fuoco lambire loro i
piedi e i capelli, segno che rimanevano loro solo poche manciate di
minuti da vivere.
Era atroce osservare i loro
compaesani, con cui avevano vissuto praticamente tutta la vita e con i
quali avevano condiviso tante ore a lavorare nei campi, trasformarsi in
un’orda di nemici che non volevano altro che la loro morte
giungesse al più presto.
Si sentivano tradite, in un certo senso.
La donna al centro aveva
lunghi capelli ramati ed era vestita con abiti di stracci, molto
più miseri persino di quelli consuetamente indossati dalle
contadine.
Era l’unica che
ostentava una sicurezza ed un orgoglio - che traspariva soprattutto
dallo sguardo - piuttosto strani, considerata la situazione in cui si
trovava. Molti, notando i suoi occhi, pensavano che volesse affrontare
a testa alta la morte ed il suo incontro con Satana - il creatore suo e
di tutte le altre streghe, secondo le dicerie popolari. Forse fu
proprio per questa superficialità nell’osservarla che
nessuno notò che in realtà i suoi occhi erano corrugati
in un’espressione seria, sì, ma fissa su un obiettivo che
non perdeva mai di vista, ossia una figura vestita di nero che, dal
fondo della calca, la osservava in silenzio - ed apparentemente era
l’unico.
Era un uomo alto, coi
capelli neri, i tratti facciali duri e molto virili, gli occhi dorati e
l’espressione pacatamente seria di qualcuno che si sente
superiore al resto delle persone e per questo immune ad ogni loro
influenza. Il suo sguardo era incatenato a quello della donna ed era
fisso: nemmeno lo sbattere delle palpebre offuscava il loro contatto
visivo.
Stava attendendo qualcosa
da parte sua, un cenno, una parola a fior di labbra o un battito di
ciglia, per iniziare ad assolvere ai termini posti da lei per il
contratto.
Ricordava ancora bene - non
era passato neppure un mese - quando era stato invocato da lei: era
avvenuto durante una notte senza stelle. Era apparso ai margini di una
strada, vicino ad una casa dove la donna era seduta, quasi
rannicchiata, tremante e ridotta pelle e ossa.
Appena rivolta la parola
alla fanciulla, quella gli aveva subito posto, chiaro e tondo, il suo
desiderio. Quando lui le aveva riferito che, al termine del contratto,
si sarebbe preso la sua anima, lei aveva riso di una risata sguaiata e
alquanto folle.
«Pensa
che m’importi qualcosa di cosa sarà della mia anima,
signor demone? A questo punto, voglio solo che lei realizzi il mio
desiderio, poi potrà prendersi tutto quello che vuole!!» gli aveva detto.
E, dinanzi ad una spavalderia simile, lui aveva semplicemente replicato un pacato: «Io sono Claude».
Maria - così si
chiamava quella donna - gli aveva poi raccontato più
dettagliatamente la sua storia: fin da piccola aveva vissuto nella
miseria più nera con due fratelli e i genitori. Dopo
l’improvvisa morte della sua famiglia in seguito ad una malattia
alla quale era miracolosamente sopravvissuta, aveva iniziato a
mendicare e prostituirsi per cercare di mantenersi. Il villaggio era
sempre stato contro di lei per il suo modo spudorato di trovare
sostentamento: l’avevano sempre vista come una donnaccia, un
elemento da cui tenersi ben lontani.
La vicenda, poi, aveva
subito - durante la “permanenza” di Claude al suo fianco -
degli sviluppi inaspettati: negli ultimi tempi, Maria era riuscita ad
attirare su di sé le attenzioni di un signorotto che viveva
appena fuori del villaggio, con il quale aveva consumato diversi
rapporti sessuali, finché la moglie non l’aveva scoperta.
Per salvarsi, l’uomo l’aveva accusata di averlo incantato
con la magia.
Per questo era là, assieme a quelle due donne, a perire.
Lo sguardo di Maria mutò improvvisamente, assumendo connotati folli e alquanto inquietanti.
Alzò il viso al
cielo e dalla sua gola eruppe una risata gracchiante che a Claude
ricordò il rumore delle unghie che graffiavano il vetro.
Alcune persone - notò - sobbalzarono e si ritrassero, cessando il loro ininterrotto spillare maledizioni.
Sulle labbra della bionda
si allargò un ghigno carico di malvagio divertimento, mentre ai
lati delle palpebre tracimavano lacrime.
«Adesso, Claude! Fallo! Fallo!!» gridò, inquietando gran parte dei presenti.
Sembrava che stesse
supplicando con forza, anziché imporsi. La voce adesso le usciva
rotta da singhiozzi, mentre le lacrime le scivolavano sulle guance.
All’improvviso sgranò gli occhi, tanto che quasi pareva che le pupille dovessero schizzarle fuori dalle orbite.
«Uccidili! UCCIDILI TUTTI, CLAUDE!!!» urlò con inattesa foga.
L’ordine che gli era stato appena impartito era impossibile da contrastare.
Non che lui volesse farlo,
anzi, tutt’altro: era ansioso di portare a termine il requisito
che separava lui da quell’anima pregna di desiderio di rivalsa e
di drammaticità.
Iniziò a lavorare:
spezzò con nonchalance assoluta il collo di un contadino vicino
a lui, troncò la spina dorsale di una donna poco distante;
raccolse un sassolino da terra e lo lanciò con forza tale da
perforare non uno, ma ben tre crani, anche se in punti diversi.
Prese quindi ad avanzare
verso la folla che si disperdeva alla rinfusa, gridando e cercando di
mettersi in salvo dal carnefice che, senza alcuna esitazione, uccideva
vecchi, donne e bambini.
Il sangue iniziò a tingere del suo candore scarlatto il terreno, disseminato di corpi abbandonati scompostamente.
Le donne sul rogo erano rimaste intoccate e continuavano la loro lenta avanzata verso la morte.
Claude si stava occupando di un bambino, quando un brusco fruscio ne attirò l’attenzione.
Balzò via di lato,
andando a fermarsi istantaneamente dinanzi al palo ove era legata
Maria, quindi alzò un braccio in un gesto come ad allontanare
qualcosa.
Effettivamente, qualcosa aveva gettato via, ossia quattro dardi che andarono a conficcarsi nel muro di una casa.
Il demone dagli occhi
dorati focalizzò la propria attenzione sul punto dal quale erano
pervenute le frecce, incontrando un profilo slanciato posto sul tetto
di una casa poco lontana.
Nel viso brillavano due
iridi simili a braci ardenti, di un colore che gli era troppo familiare
perché non lo riconoscesse.
Scurì lo sguardo e si rimise in una posizione composta, quindi si avvicinò.
«Sei... un demone?» chiese, inquisitorio e pacato ad un tempo.
Lo sconosciuto saltò
giù dal tetto e gli si piazzò innanzi: a dispetto del
vestiario, povero e lacero, il portamento declamava al mondo
un’eleganza che aveva poco a che vedere con quella raggiungibile
da un comune umano, di qualsiasi ceto fosse.
Il pallore della sua
carnagione era molto più spettrale di qualsiasi potesse essere
quello di una qualsivoglia persona: era semplicemente diafano, cadaverico per l’esattezza.
Era molto più alto
della media e snello, senza però cadere nello scheletrico; il
viso affusolato aveva tratti tutto sommato delicati ed in esso
ciò che più spiccava erano senza dubbio le iridi, di un
surreale ma vivido rosso scarlatto.
Le labbra dell’uomo
si incresparono in un malizioso e divertito sorrisetto che
infastidì Claude senza un motivo apparente: il solo fatto che
fosse comparso sulla sua bocca lo disturbava.
«Immagino che anche tu lo sia» disse, con voce calma e profonda, vagamente sensuale.
«Perché hai cercato di ucciderla?» lo interrogò il demone dagli occhi d’oro.
«Perché mi
è stato ordinato» replicò, senza fare una piega
«Chi sei tu, piuttosto?» domandò subito dopo,
prevenendo altre domande.
L’altro esitò un solo istante.
«Claude. Faustus» si decise a rispondere «E tu?».
«Un diavolo di servitore» rispose lo sconosciuto, con indifferenza.
«Sebastian
Michaelis» precisò dopo un poco, come se solo allora
avesse finalmente deciso di rivelargli la propria identità.
A quel punto, Sebastian estrasse un altro set di frecce, che alzò come a minacciare il demone innanzi a lui.
«Togliti» gli ordinò, in tono d’avvertimento.
Claude affilò lo sguardo.
«La sua anima è mia» disse, arrogante.
«Eseguo solo un ordine» ribatté l’altro, neutro.
«Anche io» esclamò Claude.
Come ad un tacito segnale convenuto, i due demoni si avventarono l’uno contro l’altro.
Claude afferrò
l’avversario per il collo, ma l’altro gli conficcò
una freccia nel polso, facendo sprizzare del sangue, che andò a
chiazzare i loro volti.
Faustus ritrasse la mano
per togliere il dardo, e Sebastian ne approfittò per
avvicinarglisi ulteriormente e conficcargliene un altro nel petto.
Rimasero uno addosso
all’altro per alcuni minuti, durante i quali il demone dagli
occhi rossi affondò e torse la sua arma nel petto
dell’altro.
«Hai mancato il
cuore» gli sussurrò nell’orecchio Claude, in tono
beffardo, quindi estrasse un pugnale che teneva nascosto in un fodero
appeso alla cintura e glielo affondò con forza nello stomaco.
Sebastian
indietreggiò, poi ambedue si tolsero le armi che avevano
conficcate in corpo, sanguinando, ma senza mostrare neppure un briciolo
di tentennamento: era come se non fossero mai stati feriti.
Per tutta l’azione non si erano persi di vista neppure per un secondo.
Nel vincolo venutosi a
creare tra l’oro e la brace dei due demoni era chiaramente
percepibile un principio d’odio, un astio che nasceva - almeno da
una parte - dalla consapevolezza che la propria preda era
l’obiettivo di un altro.
Claude non avrebbe lasciato
che la “sua” anima gli fosse sottratta da un altro demone;
Sebastian, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione - né
possibilità - di sottrarsi all’ordine ricevuto.
In definitiva, il tutto si riduceva ad un semplice gioco di resistenza di volontà.
Nel frattempo, le due
compagne di condanna di Maria erano ormai abbandonate contro i pali cui
erano legate, i muscoli totalmente inerti. Il petto non
s’innalzava e s’abbassava più già da svariati
minuti.
Se non fosse stato per quel
piccolo particolare, sarebbero parse semplicemente addormentate, mentre
un lago di fuoco ne mangiava lentamente i corpi, come una bestia che
non riusciva mai a saziarsi della loro carne.
Eppure, a differenza loro, Maria ancora resisteva.
Era come se fosse mantenuta
magicamente in vita da una qualche misteriosa forza che le ardeva senza
tregua in petto e le impediva di spegnersi definitivamente.
Il viso era solcato da
lacrime che cadevano a bagnare - senza successo - le fiamme che
iniziavano a lambirle seriamente i piedi, tanto che qualche scottatura
già si poteva intravedere sulle caviglie nude.
Le mani, legate dietro la
schiena, erano ricoperte di vesciche e la pelle delle dita iniziava ad
arroventare. La punta di un mignolo era già stata quasi divorata
completamente dal fuoco.
Eppure, Maria non esalava
neppure un fiato, nonostante il dolore fosse intenso, molto al di
là di qualsiasi umana sopportazione, ma a lei pareva non
importare pressoché niente del suo corpo che stava bruciando: la
sua attenzione era concentrata su Claude, che l’aveva protetta.
In quel momento, aveva
pensato che per qualcuno, nel mondo, la sua esistenza era veramente
importante ed il suo cuore si era gonfiato di una gioia, offuscata
lievemente dal pensiero che era seguito quasi subito: «Mi ha protetta perché gli servo».
Nonostante fosse crudele da credere - e soprattutto da provare - Maria sentiva che in verità non le importava molto del perché si fosse messo tra lei e quelle frecce, quanto piuttosto dell’azione in sé.
Era stata protetta, e ciò la riempiva di gioia.
Sebastian e Claude avevano
ripreso il loro duello, il quale - adesso che si erano
“spogliati” delle loro armi - si stava svolgendo a mani
nude.
I colpi che si scambiavano
reciprocamente erano duri, sì, ma non erano sferrati con il
preciso intento di ferire: sapevano ambedue perfettamente che nessun
tipo di danno fisico era permanente - o letale - per i demoni.
Gli attacchi di Claude
iniziarono ad essere più precisi e a prendere di mira le
articolazioni: doveva fermare Sebastian, anche se per pochissimi, e
portare altrove Maria, prima che morisse.
Sebastian era agile,
perciò non era poi così difficile, per lui, schivare i
colpi. Oltretutto, era ben determinato a portare a compimento
ciò che doveva.
Tuttavia, quel gioco iniziava a stufarlo.
Un attacco imprevisto alle
ginocchia lasciò Faustus non solo dolorante, piegato a terra, ma
anche enormemente sorpreso: la rapidità d’azione del suo
nemico era stata formidabile a dir poco.
Il demone dagli occhi rossi
scartò di lato, superando l’avversario con un fulmineo
scatto, dirigendosi verso il rogo.
Claude si rialzò e, nonostante il dolore ad una gamba, s’avventò contro il nemico.
Lo afferrò da dietro e gli strinse saldamente la gola, rinsaldando la presa in una parvenza di strangolamento.
«Ormai è tardi» sussurrò Sebastian, sorridendo malizioso.
D’istinto, l’altro alzò gli occhi, portandoli sulla pira: Maria stava bruciando sul serio.
Le fiamme erano arrivate a lambirle le ginocchia, scoperte a causa del vestito già distrutto.
Claude lasciò senza
pensarci il demone e corse verso di lei; in quell’istante,
Sebastian estrasse uno stiletto da uno dei suoi logori stivali e lo
lanciò con forza.
L’arma fendette
l’aria come una scheggia, superò Faustus e andò a
conficcarsi - con una forza ed una precisione impareggiabili - nel
petto della donna.
«NO!».
Il demone dagli occhi
d’oro si fermò a pochi passi da lei, osservandola: nei
pressi del cuore si stava allargando una chiazza rossa.
Maria gemette.
«Claude...!»
esclamò, a denti stretti, in una supplica mista a sibilo, prima
di afflosciarsi, inerte, contro il palo.
Morta: il demone
avvertì la sua anima svanire come polvere nel vento, e con essa
il pasto che aveva così pazientemente atteso di gustare.
Si volse indietro: del suo avversario nessuna traccia. Se n’era andato.
Alla fine, lui era riuscito nel suo intento, mentre a lui non era rimasto niente.
Il suo sguardo divenne di ghiaccio ed i muscoli s’irrigidirono in palese manifestazione di rabbia.
«Sebastian Michaelis.... un giorno mi vendicherò».
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