Ero appena
arrivata dal dottore. Il mio amato strizza cervelli. Adora prendermi
per il culo, ormai l’ho capito. Mia madre non è
d’accordo.
Mamma:
“Dovresti dare ascolto a quello che ti dice. Sai che ha
ragione”
Io:
“…”
Il dottore dice che
non dovrei starmene troppo a casa, che invece dovrei uscire con i miei
amici e divertirmi.
Detto così
chi gli darebbe torto? Peccato mi manchino due cose fondamentali. Gli
amici. Il divertimento.
Come faccio a
divertirmi senza amici? Matematicamente parlando, sono direttamente
proporzionali. Più amici ho, più mi diverto. Meno
amici ho, meno mi diverto. Se avessi usato questo esempio durante
l’interrogazione di matematica, di sicuro sarei riuscita ad
arrivare al 6, anziché il mio solito 4-.
Ma lui questo non lo
capisce. E mamma si arrabbia ancora di più.
Mi assento con la
mente per un po’, mentre il dottore parla di qualcosa
sull’essere felici. Stronzate. Tutte stronzate. La
felicità non esiste, esattamente come l’amore.
Sono invenzioni dell’uomo per trovarsi uno scopo nella vita.
Lo stesso vale per la religione.
Dottore:
“Credi veramente che l’amore non esista solo
perché non l’hai mai provato?””
Io:
“…” sospiro.
Allora comincia a
parlare del più e del meno. Mi racconta del suo cane,
Whisky, del casino che fa in casa e mi chiede qualcosa di me.
È troppo gentile e ci casco. Ho parlato. Oh dio. Abbiamo
parlato di religione, di politica. Mi sono aperta. A quello
sconosciuto. E mi sento quasi male.
Devo vomitare ma mi
trattengo. Quando esco dalla stanza mi gira la testa. Fox,
(sì, adesso so anche il nome del nemico) mi sorride e fa
l’occhiolino a mia madre. È contento, ho fatto dei
progressi.
Mi siedo in macchina e
non parlo.
Mamma sta zitta,
lascia che mi sfoghi in silenzio. La ringrazio con il pensiero. Ho
già dovuto parlare troppo per oggi, ed è solo
colpa sua.
Entro in casa e mi
spoglio. Completamente. Mi guardo allo specchio di camera mia. Riesco a
vedermi dalla testa ai piedi. I lividi sulle braccia sono quasi del
tutto scomparsi, ma ne rimane uno viola sul ginocchio. I tagli sui
polsi e sulle caviglie sono diventati bianchi e lucidi. È
difficile vederli adesso.
Sto ferma qualche
secondo. I capelli non sono sporchi, tenuti in una coda alta
spettinata, esattamente come piace a me. Sono completamente struccata,
le occhiaie viola si notano più del solito.
Vado in bagno e mi
butto sotto la doccia. L’acqua calda mi brucia la pelle. Le
braccia mi fanno male quando ci passo sopra la spugna.
Tieni duro. Ce la puoi
fare, tieni duro. Ormai me lo dico da sola. Ma non sono molto
convincente.
Mi asciugo i capelli e
mi infilo una vecchia tuta logora e informe. La adoro in tutto e per
tutto. Se Dorian Gray aveva il dipinto che logorava al posto suo, io ho
la mia tuta.
Scendo le scale
lentamente e mi preparo una tazza di cereali.
“Almeno
mangia!” è la risposta che mia madre da sempre a
tutti quelli che incontra. Racconta tutto quello che mi succede, che
non parlo molto, che a scuola faccio schifo, che mi manda dallo strizza
cervelli, proprio il contrario di ciò che farebbe un
genitore normale. Chiunque farebbe di tutto per non ammettere che il
proprio figlio ha dei problemi. Ammettere che ha sbagliato qualcosa.
Lei non la pensa così.
Torno in camera mia e
accendo la tv. Non c’è nulla da vedere che sia
come minimo interessante, metto un canale che trasmette solo musica, ma
prima che possa arrivare inceppo su un altro. È un canale di
moda, dove mandano sfilate su sfilate. Centinaia di modelle anoressiche
ogni santo giorno.
Pur di non ascoltare
né vedere le schifose collezioni che mandano comincio a
pensare. Pensare sul serio. Penso a quando oggi, dal dottor Fox dallo
strizza cervelli ho parlato. Per la prima volta. Perché?
Forse ho deciso. Forse voglio essere aiutata, in qualche modo. Forse ho
voglia di vivere.
La testa ricomincia a
girarmi. Ho paura. Paura di vivere. Mi sono fatta male, sono caduta, e
rialzarmi è difficile.
Spengo la tv. Rimango
un attimo in piedi, accanto al letto, poi mi avvicino
all’armadio e ne prendo dei jeans ed una maglietta. Me li
infilo, mi metto le scarpe ed esco. Non guardo in faccia nessuno ed
esco, da casa mia.
Erano quasi sei mesi
che non uscivo di casa. Almeno non per andare da qualunque parte che
non fosse la scuola o lo strizza cervelli. L’aria era troppo
pulita. Il sole mi pungeva gli occhi. Non era il mio ambiente, quello.
Continuo a camminare,
mandando a quel paese tutto il lavoro, tutte le precauzioni che mi ero
autoimposta.
Niente uccellini
canterini, niente fiori colorati né alberi centenari a cui
appoggiarsi per schiacciare un sonnellino, sia chiaro, ma il centro
commerciale va benissimo comunque. È anche per questo che
odio la città. Ma niente è meglio che una bella
canzone tranquilla mentre scegli qualunque cosa possa essere
commestibile. All’improvvisa la fame mi attanaglia lo
stomaco. Devo mangiare qualcosa.
Controllo di avere
qualche soldo in tasca. Nel caso non ne avessi sarei disposta a rubare.
Fortunatamente trovo
una banconota da 20. non mi ricordavo di averne. Deve essere stata
mamma a mettercela. Deve essere disperata, quella donna.
Prendo dei pasticcini
con la glassa al cioccolato e un cappuccino e mi faccio un altro giro.
mi avvio verso casa
solo quando mi ricordo di mia mamma. Ero uscita senza neanche
avvertirla. Magari adesso pensa che sono scappata di casa.
Nell’ultimo
isolato che mi divide da casa quasi mi metto a correre. Entro in casa
che ho il fiatone.
Mamma è in
cucina che prepara la cena. Si gira e mi squadra.
M. : “Sei
uscita?”
Io:
“Sì.. sono andata al centro commerciale..
“
M: “Bene..
sai, questa maglietta non la metti mai, ma ti sta
d’incanto..”
Siamo entrambe molto
imbarazzate. Arrossisco e faccio per andare in camera mia. Mi ricordo
dei soldi dentro i jeans. Mi giro per tornare in cucina e ringraziarla.
Sulla soglia della cucina mi fermo.
Potrei
giurarlo. La sento fischiettare. È felice. Qualcosa di caldo
mi bagna la guancia e corro in camera mia senza farmi
sentire.
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