They designed her to be the perfect soldier...
a human weapon... then she escaped.
In a future not far from now... in a broken world...
she is haunted by her past.
She cannot run, she must fight... to discover her destiny.
1.X5-498
“Come
possiamo dubitare di essere
tutti liberi per natura, dato che siamo tutti uguali?
A nessuno può venire in mente che la
natura, che ci ha fatti tutti uguali, abbia costretto qualcuno in
servitù.
Ne consegue quindi
che la libertà è un
diritto naturale,
e a mio avviso bisogna aggiungere
che siamo nati non solo padroni
della nostra libertà, ma anche
inclini a difenderla.”
Étienne
de La Boétie
Un anno.
Era passato
un anno o poco più.
Più di
trecentosessantacinque
giorni di libertà.
Di
speranza.
Di vita.
Una nuova vita.
Lontana da
Manticore, lontana da quella che per 20 anni era stata la mia casa o,
come
sarebbe meglio definirla, la mia prigione. E con me, non si sa
esattamente di
quante altre persone, perché nonostante fossimo stati creati
in laboratorio da
stupide provette, noi esseri geneticamente modificati, siamo persone.
Soffriamo, moriamo, gioiamo e viviamo come tutti gli altri umani.
Eppure non
era questo quello che ci insegnavano in quel centro governativo.
Manticore
era un progetto segreto del Governo Americano che creava soldati,
attraverso la
manipolazione genetica, per potenziarci e renderci il più
vicino possibile alla
perfezione. Ma in primo luogo creava umani. I primi 20 anni della mia
vita li
ho passati nella convinzione di essere un automa che svolgeva solo le
funzioni
che ci venivano impartite. Sono nata da una madre, di cui neppure
ricordo il
volto, a cui sono stata strappata subito dopo il parto per essere
cresciuta da
uomini meschini, che mi hanno insegnato come uccidere, come ingannare,
come
spiare, come portare a termine le missioni affidatemi. Mi hanno
insegnato che
tutto quello che c’era fuori da quel centro fosse nemico,
qualcosa da
sconfiggere per poi tornare nella mia cella di pochi metri quadri ad
addestrarmi per un’altra missione. Mi hanno insegnato che, in
quelle quattro
mura con una piccola finestra, sarei stata al sicuro, protetta dalla
malvagità
che regnava sul mondo, senza in realtà essere a conoscenza
del fatto che vivevo
nel seno della menzogna e della crudeltà. Oggi so uccidere
un uomo in meno di cinque
secondi, senza che lui se ne accorda neppure. So come rendere la vita
degli
altri impossibile con torture sia fisiche che mentali.
Sono una
macchina da guerra perfetta che non dovrebbe neppure conoscere il
significato
delle parole “compassione”,
“pentimento” e “dispiacere”. Le
uniche immagini che
ci permettevano di conoscere erano quello che ci portavano a terminare
la
missione. Ancora oggi mi sveglio nel cuore della notte, dopo aver
sognato con
paura e terrore, di trovarmi dietro un banco mentre il colonnello
Donald
Michael Lydecker continuava ad impartirci le sue nozioni in una stanza
semi
buia, illuminata solo da un pannello che supportava le sue parole con
immagini.
“Enemy”
“Discipline”
“Duty”
A 15 anni
mi venne affidata la mia prima missione con omicidio. Loro la
chiamavano
missione Beta3, era molto semplice. Mi prepararono per un mese
facendomi vedere
le foto dell’obbiettivo che avevo il compito di uccidere, non
conoscevo il
motivo, sapevo solo che era un nemico per la salvaguardia della base,
un nemico
di Manticore. Mi avevano insegnato i suoi spostamenti e quale era il
momento e
il modo adatto per togliergli la vita. Dovevo essere solo
un’ombra nel mondo,
uccidere il soggetto e tornare alla base a missione completa, senza
farmi
vedere o riconoscere in alcun modo. Quando uscì feci come mi
era stato detto,
senza pormi domande perché cosi mi era stato insegnato.
Uccisi quell’uomo, di
cui non conoscevo neppure il nome, in un parco devastato dalla
sporcizia e
dall’incuria, durante le prime luci del mattino. Prima
stordì, senza farmi
vedere, le guardi che lo accompagnavano a fare jogging e dopo un
attimo, gli
era dietro con la sua testa tra le mani dopo averlo fatto cadere in
ginocchio.
Lui implorava di non ucciderlo, di lasciarlo libero, che aveva una
famiglia, ma
per me quella parola non aveva ancora un significato.
Ci misi dieci
secondi più di quelli che mi era permesso per ucciderlo,
sentivo la tristezza
della sua voce, la paura e la pietà e ne avevo timore. Con
un colpo secco gli
spezzai il collo, osservando il suo corpo che si accasciava al terreno
umido di
rugiada, dalla tasca cadde un portafoglio scuro di pelle che si
aprì e mi
permise di vedere un’immagine colorata.
Un
fotografia che raffigurava l’uomo che avevo appena ucciso
sorridente mentre
teneva tra le braccia una bambina allegra e una donna che lo
abbracciava di
lato. La bambina era così piccola, poteva avere sette anni e
sembrava avere
un’espressione cosi spensierata e felice che mai mi sarei
sognata di poter
assumere io, neppure quando era nelle camerate con il mio gruppo.
Qualcosa di
caldo, umido e salato uscì dai miei occhi rigandomi le
guancie. Fu la prima
volta che piangevo dopo anni e anni mentre un’orrenda
sensazione scombussolava
il mio petto, qualcosa di oppressivo. Non feci in tempo ad analizzare
quella
sensazione sconosciuta che il calco di un fucile mi colpì
dietro la testa e mi
risvegliai a Manticore in un’ala del laboratorio. Per la mia
prima missione
Beta3, gli agenti mi seguirono e non furono per niente soddisfatti del
mio
operato. Quelle lacrime mi costarono sei mesi di torture mediche e
psicologiche, per non parlare dei lavaggi di cervello che subii.
Da allora
mi vennero affidate altre missioni Beta3 che riuscì a
svolgere correttamente,
ma ogni volta mi ritrovavo nella mia cella a piangere e a pentirmi di
quello
che mi avevano imposto a fare. Scappare era inutile da quando un gruppo
di dodici
X5 era fuggito nel 2009 evadendo da Manticore. A tutti, soprattutto a
noi serie
X5, avevano detto di aver messo un microchip nascosto nel corpo che, ad
un
singolo comando dell’organizzazione, ci avrebbe fatto
esplodere non lasciando
neppure la polvere. Continuavano a farci vedere le immagini dei
fuggitivi insegnandoci
che erano dei disertori, che avevano disonorato Manticore, che erano
stati
contaminati dal male del mondo esterno, che ormai erano nemici e
dovevamo
ucciderli se li avessimo incontrati. Ma in realtà, sapevamo
tutti, o quasi, che
loro avevano trovato la libertà. Che erano fuggiti dalla
prigione che ci aveva
creato.
Un anno e
mezzo fa catturarono vari X5 che erano fuggiti tra cui 452. Casualmente
vidi
questa splendida ragazza trasporta su una barella, in fin di vita, nei
laboratori di Manticore. Non so come riuscirono gli scienziati, ma poco
tempo
dopo quell’X5 era in piedi, viva e più combattiva
che mai. Dai suoi occhi
traspariva, in ogni singolo istante, la rabbia per essere di nuovo
prigioniera
del luogo da cui era scappata.
Nel breve
periodo che tornò a Manticore mi venne ordinato di
combattere contro di lei per
allenarci. Io non volevo. Se da un lato la odiavo perché per
colpa sua e del
suo gruppo il resto do noi aveva subito dolorosissimi esperimenti,
dall’altro
vedevo il lei la speranza. Lei era stata fuori, aveva visto il mondo
reale,
aveva vissuto veramente.
Fui
costretta ad attaccarla, dopo una violenta scarica di corrente
elettrica
proveniente da uno di quel maledetti aggeggi che avevano le guardie, ma
il
nostro non fu un vero combattimento. Non volevo colpirla e lei non
voleva farmi
del male anche se non so il perché. Vinse l’X5, mi
lasciai cadere a terra dopo
appena cinque minuti sotto gli occhi poco soddisfatti del nostro nuovo
addestratore, Madame X. Non so che fine avesse fatto Lydecker ma se lui
era
stata crudele Madame X non aveva rivali, era spietata e malvagia.
L’X5
mi
diede la mano e mi aiutò ad alzarmi da terra con un sorriso
sulle labbra. Non
dimenticherò mai le parole che mi disse mentre mi guardava
gentilmente.
-Tirati su,
piacere io sono Max.-
-X5-498.-
Le dissi la mia designazione rimettendomi in piedi senza abbassare lo
sguardo,
anche se ero un po’ imbarazzata. L’avevo fatta
vincere e se ne era accorta, non
mi ero neppure sforzata di combattere decentemente.
-Dovresti
avere un nome.- Era buona e dolce, cosa non permessa a Manticore che ci
aveva
insegnato ad essere freddi e rigidi. Stava per dire altro ma Madame X
ci
interruppe gettandomi nuovamente a terra schifata, avrei potuta
ucciderla in
meno di tre secondi ma sapevo fin troppo bene quali sarebbero state le
conseguenze. Max la guardo truce mentre mi spingeva e la donna non fu
da meno,
mentre le diceva delle cattiverie che non potevo capire, tirando fuori
un certo
Solo Occhi. Quando ho potuto
respirare la libertà ho scoperto chi fosse e cosa facesse.
Solo
un’altra volta vidi Max, la notte dell’incendio a
Manticore, la notte che ci
diede la libertà. Era preoccupata ma mi sorrise e mi
urlò di fuggire via e di
vivere e cosi ho fatto da un anno a questa parte. Non so cosa sia
successo a
Manticore ma sono sicura che, se adesso sono fuori di lì,
è sicuramente grazie
a lei e con me tutti gli altri transgenici. Ci siamo divisi e ognuno
è fuggito
per la sua strada, nascondendoci in quello strano e decadente mondo.
Noi che
siamo simili a umani ci siamo inseriti bene, cercando di coprire il
nostro
codice a barra identificativo, ma quella notte durante la fuga,
creature lontane
dal pensiero umani sono venuti con noi. Transgenici con DNA animale
diverso dal
mio. Loro sono i più sfortunati perché la gente
ha paura di quello che non
conosce e non capisce.
Io
e la mia
squadra siamo fuggiti dal Wyoming diretti a San Francisco, ma ci siamo
dovuti
separare in maniera straziante perché Manticore non ci ha
permesso di vivere
neppur dopo la sua caduta. Siamo ricercati da agenti governativi e in
costante
pericolo. Ho perso di vista tutti i miei amici, tutti coloro con cui
sono
cresciuta e a cui voglio bene. Vivo nella speranza che siano salvi e di
poterli
vedere un giorno.
Anche
San
Francisco è stata colpita dall’onda
elettromagnetica che ha devastato il mondo,
spesso sento delle persone che raccontano di come era prima di quel
disastro
immaginandomi come potesse essere migliore, ma a me piace cosi come
è. Forse
perché sa di libertà.
Sono
riuscita ad introdurmi bene nella società ma sono sempre in
ansia per occultare
la mia vera identità. Sono diffidente di natura e adesso ho
anche un nome,
proprio come voleva Max. Mi chiamo Annie, so che è un nome
maschile ma mi è
piaciuto subito. L’ho preso in prestito da un film che venne
fatto prima che il
mondo diventò decadente grazie all’ IMP.
Ed
è grazie
ai bollettini Streaming Freedom di Solo
Occhi che adesso ho un nuovo obiettivo. Non so per quale
motivo ma questo
cyber-giornalista ha preso a cuore la questione di noi transgenici
cercando di
cambiare la pessima opinione pubblica, ma è grazie a lui che
ho scoperto dell’esistenza
di Terminal City, una zona disabitata di Seattle, in cui si sono
riuniti tutti
i miei simili dando inizio a una resistenza. Ho intenzione di andare
lì perché
sono stufa di avere paura a causa di chi non ci accetta e non ci
capisce. Per
questo ho abbandonato San Francisco per andare lì a far
valere la nostra causa
.
Voglio
vivere, voglio essere libera e poter sentirmi pari al resto del mondo.
--- Autrice ---
Salve a tutti e principalmente grazie a chi ha
avuto voglia di leggere questo primo capitolo.
Ho visto per la prima volta
Dark Angel quando lo trasmettevano in TV in seconda serata, ormai 7
anni fà, e da allora non ho resistito al suo fascino. Ogni
volta che fanno le repliche corro a vederlo. La delusione
più grossa è che dopo solo due stagioni
sia stato cancellato.
Questa storia la avevo in mente
da secoli cosi mi sono messa al pc e ho cominciato a scrivere.
Quello che avete letto è solo l'introduzione della
protagonista, Annie. Nel prossimo capitolo si entra nel vivo della
storia.
Bye^^