You
belong with me.
Capitolo
1.
«Joseph
Adam Jonas, non è possibile che tu sia sempre in
ritardo!» strillò Angela
Jonas, battendo sulla porta della camera del ventenne.
«Un
attimo, zia, i capelli non mi stanno bene»
si lamentò Joe, urlando, mentre continuava a mettersi a posto
la capigliatura spettinata.
Angela,
i capelli biondi stetti in una treccia lunga e fluente e un abito
celeste che le avvolgeva il fisico esile, sbuffò, ticchettando
le dita lunghe e affusolate sul legno della porta.
«Tua
madre si risposa e tu pensi ai capelli?!»
domandò. Suo nipote era vanitoso,
lo sapeva perfettamente, ma non sino a quel punto.
«Voglio
farle fare bella figura»
ribatté il ragazzo, irritato.
«Peccato
che la cerimonia inizi tra tre minuti e tu non sei ancora pronto.
Cosa pensi che accadrà quando tua madre si ritroverà
senza testimone di nozze?»
«Angie,
sei vagamente nevrastenica, te l'ha mai detto nessuno?»
chiese Joe, aprendo finalmente la porta
e mostrandosi nel suo smoking nuovo di zecca.
La
donna trattenne appena un sorriso al tono che aveva usato il ragazzo
e montò una finta espressione di irritazione.
«Muoviti!»
«Sissignore,
signora!»
disse lui, facendo un saluto militare e
scappando via, incespicando.
Angela
lo seguì per qualche istante con lo sguardo.
«E
cerca di non cadere!»
gli gridò dietro, ricevendo in
cambio un pollice alzato, come per indicare che aveva capito.
Joe
corse per i corridoi semi deserti della sua casa in Texas, a Dallas,
e si maledì per il ritardo. Erano già tutti in
giardino, pronti per cominciare il matrimonio e lui, il testimone di
sua madre, non c'era. Tipico.
Schizzò
fuori dalla porta principale, rischiò di inciampare in un
tavolino vicino alla piscina, e raggiunse di corsa il prato dove era
stata posizionata qualche decina di sedie e, in fondo al tappeto
bianco in mezzo ad esse, c'era un gazebo dove un uomo vestito di nero
aspettava con un piccolo libro di cuoio scuro in mano.
Joe
lanciò un'occhiata veloce agli invitati, tutte persone
conosciute, per lo più parenti e amici stretti, vestiti con i
loro abiti migliori. Sotto al gazebo, accanto a suo padre, Paul Kevin
Senior, c'era suo fratello ventiduenne Kevin, vicino a una delle
damigelle d'onore, nonché sua moglie, Danielle.
Nick
non c'era. Non ancora, almeno, sarebbe entrato più tardi,
accompagnando loro madre, Denise, all'altare.
Di
nascosto si infilò nel gazebo, accanto a Maya, la migliore
amica di Nick, nonché altra damigella al matrimonio.
«Dov'eri
finito?»
sibilò la ragazza, bellissima nel
suo abito di seta rossa, i capelli corvini raccolti in uno chignon e
il viso elegantemente truccato.
«Lascia
perdere.»
Sbuffò,
per poi montare un sorriso di perfetta serenità sul suo volto
da bambino e fu come se fosse stato sempre lì.
Per
il loro venticinquesimo anno di matrimonio suo padre e sua madre
avevano deciso di rinnovare i loro voti matrimoniali, risposandosi
con una cerimonia semplice, solo con gli amici più stretti e
la famiglia, nella loro casa di Dallas. Se l'avessero svolta a Los
Angeles ci sarebbe stato troppo scalpore.
Paul
Senior voltò la testa e gli rivolse un'occhiata piena di
rimprovero per la sua solita apparizione all'ultimo minuto, ma prima
ancora che potesse dire una parola il pianista prese a suonare la
marcia nuziale.
Di
colpo tutti gli invitati si guardarono alle spalle e dopo pochi
secondi apparve Denise, stretta a braccetto con il figlio
diciassettenne Nicholas.
Denise
non era mai stata così bella. Indossava lo stesso abito del
suo primo matrimonio, di raso bianco, semplice anche se elegante, che
sfiorava il tappeto in terra. Non portava veli sulla testa o diademi,
ma aveva una pettinatura complicata con una spilla incastonata di
rubini regalatele da sua madre, Cinzia.
Nick,
al suo fianco, sostituiva il padre scomparso anni prima per un
malore, il volto serio e composto come sempre ma con un sorriso dolce
che gli inarcava le labbra, con lo stesso modello dello smoking dei
due fratelli maggiori.
Nick
pose la mano della madre su quella del padre e si ritirò,
mettendosi vicino al più piccolo dei fratelli Jonas, Frankie,
che teneva tra le mani un cuscinetto di velluto le vecchie fedi dei
genitori, che si erano sfilati per l'occasione.
Il
pastore sorrise a Denise e Paul Senior ed iniziò a parlare.
Fu
una cerimonia breve, e quando entrambi dissero “sì”
la folla scoppiò in urla e battiti di mani festosi, alzandosi
quando i due coniugi si scambiarono un tenero bacio.
I
quattro fratelli Jonas sorrisero felici alla scena ed istintivamente
gli sguardi di Danielle e Kevin si incrociarono, ricordando quello
stesso momento accaduto a loro sei mesi prima.
Il
matrimonio conseguì in un elegante banchetto sul retro della
casa, con un paio di camerieri che giravano tra gli invitati versando
champagne e tortine, mentre una canzone dolce e romantica iniziava e
Paul e Denise iniziavano il loro primo ballo, seguiti dopodiché
da Joe, a braccetto con una delle sorelle di Danielle, sua grande
amica, Nick insieme a Maya ed infine Kevin con Danielle. In poco
tempo la gran parte degli invitati stava danzando.
My
heart has wings, oh you take me away.
And
every prayer I’ve ever prayed was answered today.
So
I’m standing here, with my hand held out,
Knowing
that my love will never leave.
My
heart on my sleeve and now I believe.
{Coffey
Anderson.
Sabrina
si sedette stancamente su un vecchio muretto di pietra, osservando il
cielo azzurro sopra di lei. La leggera brezza estiva le scompigliò
i capelli, facendo in modo che dalla crocchia in cui aveva costretto
i lunghi capelli lisci color cioccolata le cadesse una ciocca proprio
davanti agli occhi. Sbuffando, la scostò velocemente
portandola dietro al suo minuscolo orecchio, conscia che non sarebbe
rimasta lì a lungo. Aveva delle orecchie davvero minuscole,
come non mancava mai di ricordarle Alice, la sua migliore amica.
Sorrise. Tra pochi minuti
l’avrebbe riabbracciata. Era solo qualche settimana che lei e
la sua famiglia era partita per le vacanze e già ne sentiva la
mancanza. Da che ricordasse avevano sempre fatto tutto assieme: prime
parole, primi passi, stessa classe dall’asilo, compleanni,
festività, vacanze, ma soprattutto pazzie. Tante, belle,
storiche, pazzie che avrebbe potuto condividere solo con lei. Eppure
quell’anno, causa il troppo lavoro che teneva occupato Daniele,
il compagno di sua madre, era stata costretta a rimanere a Milano
senza partire, come di consueto, insieme ai genitori e fratelli, per
le vacanze (che quell’anno sarebbero dovute essere in Egitto),
con la promessa però che si sarebbero riviste a metà
Giugno, nella casa estiva che le loro due famiglie avevano comprato
da quando avevano cinque anni, in uno sperduto –e meraviglioso-
paesino tra le colline Toscane.
Lanciò uno sguardo
alla strada sterrata davanti a lei, sperando di vedere l’ormai
familiare “Toyota” grigio scuro, naturalmente invano.
Perché accidenti
il tempo non passava più? Era da soli cinque minuti che si era
seduta ad aspettare la sua amica, eppure sembrava un’eternità!
Per un attimo si lasciò
cullare dal vento, chiudendo gli occhi e ascoltando il silenzio
assoluto che la circondava. Come previsto, la ciocca di capelli le
sfuggì ancora una volta, ma lei non se ne curò, anzi,
con un gesto veloce liberò il resto dei capelli permettendo al
vento di scompigliarglieli più del dovuto, più di
quanto avrebbe mai permesso a chicchessia: i suoi capelli erano
assolutamente sacri. Toccarli equivaleva a un vero e proprio
desiderio di morte, figuriamoci scompigliargli. Il lontananza sentiva
le voci di sua madre e Daniele, colui che considerava ormai un vero e
proprio padre, che discutevano su un qualcosa che da quella distanza
non riusciva a capire.
Aprì gli occhi,
lanciando un’occhiata dietro di lei, ma tutto quello che riuscì
a vedere fu una figurina di non più di un metro e venti, dal
sorriso sincero e lo sguardo vispo.
Suo fratello. Sei anni di
pura vivacità, furbizia e intelligenza. Dire che l’adorava
era a dir poco, avrebbe dato la vita per quello scricciolo.
«Hai
bisogno di qualcosa, Lore?»
Lui
annuì, serio e risoluto, come se stesse portando a termine
un’importante missione.
«Mamma
ha detto che devi sistemare le valigie prima che arrivi Alice»,
rabbrividì al pensiero delle due valigie e mezzo –senza
contare il beautycase, eh- che l’aspettavano in camera,
sadiche, pronte ad essere svuotate dalle migliaia di vestiti, scarpe,
accessori e trucchi. Senza parlare dei suoi libri, che occupavano un
intero borsone. Accidenti a lei e alla sua tendenza a farsi prendere
la mano. «… io ho già sistemato la mia! Te l’ho
detto che quest’anno divido la stanza con Matteo? Eh, Sabri?»
Lei annuì
velocemente al fratello, ancora persa nei suoi pensieri, senza capire
cosa stesse realmente dicendo, finché non si concentrò
su una terrificante quanto lieta parola: Matteo. Se avrebbe
diviso la stanza con Lorenzo significava che anche lui, a discapito
di quanto le avevano detto, avrebbe passato l’estate con loro,
ohcazzo.
Diverse sensazioni le
attraversarono, da una parte c’era la felicità di
rivedere il suo amico, dall’altra la consapevolezza che,
quell’amico, oramai, non poteva più essere definito
tale, e ciò le faceva non poca paura.
Non riuscì a
formulare altri pensieri che il rumore familiare di una macchina la
fece girare, provocandole un sorriso sincero e una strana sensazione
allo stomaco. Lentamente, più lentamente di quanto riuscisse a
sopportare, la macchina frenò davanti a loro e, in un attimo,
come una furia, una figura dai capelli biondi e il fisico magro,
scese dalla macchina stritolandola in un forte abbraccio. Alice.
«Hey…
Ali… così… mi… strozzi!»
La
suddetta interessata sembrò non averla sentita e, a discapito
di quanto le aveva detto, la strinse ancora di più.
Finalmente, quando si staccarono, si ritrovò davanti lo
sguardo sincero e allegro, che tanto le era mancato, gli occhi verdi
striati di grigio, molto più in alto di quanto lei, bassa e
minuta, potesse mai arrivare, la pelle bianca, i capelli color miele,
mossi e sbarazzini, proprio come lei. Dopo di lei, con
atteggiamento da piccola diva, scese la sorella minore di Alice,
Melania, che, dopo averla salutata con un cenno veloce, si incamminò
altezzosa verso casa. Lei e Alice si guardarono, alzando in
contemporanea le sopracciglia, per poi scoppiare a ridere
convulsamente.
Quasi in contemporanea
Alessandra fece la sua comparsa, salutandola con un dolce abbraccio e
un buffetto amorevole, era come una seconda madre, per lei, la
conosceva praticamente da sempre e non poteva non considerarla tale.
In fine, eccolo scendere
lentamente dall’auto, con una lentezza esasperante. D’altro
canto lei seguiva la scena in ogni dettaglio, quasi come se fosse un
rallenty, osservando ogni suo piccolo particolare. Le gambe magre, la
pelle chiara come quella della sorella, il fisico scolpito dopo anni
di nuoto, i capelli corti, quasi rasati, i lineamenti fini e ancora
infantili, nonostante avesse ormai diciassette anni, i vestiti
semplici ma d’effetto, e infine i suoi occhi: azzurri e
profondi. Capaci di farla perdere in mondi lontani senza che nemmeno
lei se ne accorgesse. Matteo.
«Ciao
Sabri!» Un sorriso sincero e allegro, tanto grande da riuscire
ad illuminare tutto ciò che lo circondava; lei compresa,
ovviamente e, forse, inevitabilmente. Sorrise di rimando,
timidamente, in un modo che non era decisamente da lei, sempre
allegra e solare, avvicinandosi al ragazzo per farsi stringere in un
caldo –e rassicurante- abbraccio.
Quella,
ne era sicura, si pronosticava l’estate più incredibile
che avesse mai passato.
Everyone
knows it's meant to be, falling in love, just you and me 'Til the
end of time, 'til I'm on her mind It'll happen. I've been making
lots of plans, like a picket fence and a rose garden I'll just
keep on dreaming… but it's cool cause we're just friends.
{Jonas
Brothers.
«Danger, hai finito
di preparare le valigie?»
Joe Jonas era adirato.
Suo fratello era entrato in casa solo due ore prima,
annunciando che aveva prenotato i biglietti aerei per l’Italia
per l’indomani, e osava chiedere se, in sole due ore, aveva
finito di preparare i bagagli per tre mesi? Gli ci voleva come minimo
una settimana di anticipo!
Appena finito il
matrimonio, a Denise era venuta la brillante idea di spedire tutti i
suoi quattro figli, senza ammissione di replica, poco importava se
due quarti erano maggiorenni e totalmente capaci di badare a se
stessi, in Italia con la loro nonna materna, Cinzia, momentaneamente
in America, che riuscivano a vedere assai poco a causa della distanza
e dei loro impegni lavorativi. Tutti ne erano stati entusiasti,
ovviamente. Avevano proprio bisogno di una vacanza lontano da fan
impazzite e giornalisti inopportuni, e inoltre l’Italia l’aveva
sempre affascinato… Ma era materialmente impossibile per lui
preparare dei dannati bagagli in due dannate ore!
«Kev, se non
volessi bene a tua moglie, ti saresti già ritrovato morto.
Quindi taci.»
Kevin entrò in
camera del fratello e rimase scioccato. Il letto era completamente
ricoperto di borsoni e valigie di pelle, pressoché
completamente piene di vestiti e oggetti non ben definiti, tra cui
riconosceva alcuni degli occhiali preferiti di Joe, un portatile,
degli spartiti e una telecamera. La cabina armadio, una volta
contente i suoi amati vestiti, era aperta e ormai completamente
vuota, Kevin supponeva che i vestiti sparsi per tutta la stanza, tra
cui il pavimento, provenissero proprio da lì. Il resto della
camera poteva benissimo essere riassunto con la parola porcile.
«Joe ma che hai
combinato? La terza guerra mondiale per caso!?»
Il diretto interessato,
però, non solo non rispose ma lanciò un’occhiataccia
al fratello.
«Mi devi aiutare.»
«A fare…?»
«Le valigie.»
Questa volta fu il turno
del maggiore a guardare male l’altro. «Joe, caro
fratellino mio, ho una casa e una moglie da cui tornare. Non posso
rimanere qua tutto il giorno a fare una cosa che potresti benissimo
fare da solo.»
Joe Jonas, a quel punto,
sfoggio l’arma internazionale, di incredibile efficacia, per
persuadere chicchessia: gli occhi dolci. Come poteva, vi chiederete,
Kevin non provare pena per un ragazzo così dolce tale era Joe?
Ebbene, che ci crediate o meno, quella sera Joseph rimase in totale
solitudine a cercare di fare in tempo i bagagli.
Una
notte insonne, due crisi isteriche, una corsa a prova di film
d’azione per arrivare in tempo all’aeroporto, quindici
ore di volo e due di macchina dopo, alla prime ore di una tiepida
mattinata estiva la famiglia Jonas intravide, in lontananza, il
paesino di cui avevano tanto sentito parlare ma che non avevano mai
avuto la possibilità di vedere.
Nick Jonas non era mai
stato un tipo loquace o estroverso, anzi, preferiva di gran lunga
starsene rinchiuso in camera a suonare che andare a quel insulsa
festa, eppure suo fratello Joe non era dello stesso avviso. Quando i
loro genitori gli avevano dove sarebbero andati in Italia, aveva
espressamente detto loro di non farsi riconoscere, di non fare le
cose in grande, ma evidentemente, nonostante le raccomandazioni, a
Joe il concetto di “rimanere in incognito” non gli era
arrivato. Fu così che i Jonas arrivarono nel piccolo paesino
nei pressi di Pienza accompagnati da un piccolo, si fa per dire,
camion guidato da Big Rob e contente tutto ciò che Joe
riteneva di vitale importanza per sopravvivere; non quella che si
chiama un’entrata sobria insomma.
«Allora, che ve ne
pare?» chiese tutta sorridente Cinzia, certa che sarebbero
rimasti a bocca aperta.
Quel posto era a dir
poco… magnifico. C’era un senso di totale pace,
serenità, che sarebbe potuto rimanere per sempre a osservare
il panorama senza stancarsi mai. Il villaggio era composto da poche
abitazioni e qualche negozietto, sembrava di essere finiti in un film
anni venti tanto era isolato dal resto del mondo, i contadini erano
cordiali e, dovunque andassi, tutti ti riservavano un sorriso
sincero. Tutt’intorno non si vedeva che campi, verdi colline, e
animali al pascolo. Sì, quel posto era il luogo ideale per
alleviare lo stress accumulato durante l’anno.
«Wow».
Sussurrò Joe, con la bocca schiusa in una smorfia di stupore.
Cinzia sorrise alla loro
reazione, anche a lei, nonostante abitasse in quel luogo da più
di cinquant’anni, ne rimaneva ogni volta affascinata. Si poteva
sentire la magia scorrere attraverso gli alberi, la storia in ogni
vecchio edificio, la semplicità nei passi della gente.
Non avrebbe mai cambiato
quel posto con qualsiasi grande città. Mai e poi mai.
«I Jonas sono qua!»
Gridò il mezzano, aprendo il finestrino, contro il cielo.
«Joe, te ne vuoi
stare zitto!?!» Malgrado l’acido commento, il ragazzo
sorrise al fratello e lo abbracciò «Su, Nicky, non
essere triste… E’ estate!» Nick cercò di
fare il serio per non darla vinta a quella sottospecie di essere
vivente che aveva come consanguineo, davvero, ma come poteva restare
serio davanti a una faccia come quella? E insieme scoppiarono a
ridere. Oh, come era bello stare in famiglia.
In
our family portrait we look pretty happy we look pretty normal,
let's back to that.
{Pink.
Sabrina,
le mani incrociate al petto, osservò divertita Alice che si
stendeva sul muretto su cui erano sedute da più di
un'ora. Alice la guardò dal basso verso l'alto,
ridacchiando senza perché, vedendo l'espressione di
Sabrina. «Cosa c'è di divertente, ora?»,
domandò la mora, scostandosi i capelli scuri dagli occhi blu.
«Hai
una strana faccia vista da questa angolazione», disse molto
intelligentemente Alice, i capelli corti e biondi sparsi a ventaglio
sui mattoni duri del muretto. Sabrina scosse il capo, ridendo di
gusto, voltando il viso sottile verso il sole che, lentamente, stavo
calando dietro le colline toscane. Ecco cos'era che amava di quel
posto, la calma, la serenità, il silenzio e soprattutto quello
spettacolo meraviglioso che era il tramonto. A Milano non avrebbe mai
potuto ammirarne uno simile. Si strinse le spalle nella sua
maglietta larga a maniche corte, rabbrividendo per una veloce folata
di vento, guardando di nuovo la migliore amica. Le loro famiglie
non sapevano mai dove loro due andavano a cacciarsi durante le loro
gite, e non gli importava, dicevano soltanto di essere puntuali alle
otto per cenare, ed era sempre stato così. «Davide mi
ha chiamata di nuovo», disse Alice, a un certo punto, nel loro
silenzio quasi innaturale. Sabrina sgranò gli occhi,
stupita, guardandola bene. «Cosa dice?», domandò,
incuriosita da quel gesto così insolito. A scuola sapevano
tutti che Davide stravedeva per Alice, non perdeva occasione per
invitarla ad uscire, seppur in comitiva, e un paio di volte anche da
soli, ma tra loro non era successo mai niente, anche a causa
dell'inizio dell'estate e nessuno dei due voleva cominciare una
relazione sapendo che si sarebbero a malapena visti per tre mesi
interi. Davide, solitamente, poi, l'estate spariva, e solo in
Settembre ricominciava a farsi sentire. Era strano, quindi, che si
fosse fatto sentire con Alice. «Mi ha chiesto dove sono, con
chi... Lui è a Milano», sospirò, «dice che
gli manco». Sabrina spiò l'espressione della migliore
amica con cipiglio curioso a causa del suo tono di voce spento,
scontento. «E non ti fa piacere? Ti piaceva fino a un mese
fa...», tentò di capire la mora. «Ma è
stato un mese fa, io... Non lo so, penso che se due persone stanno
bene anche quando sono separate e provano qualcosa di forte l'uno per
l'altra c'è qualcosa che non va; dovrebbero sentirne la
mancanza, non il contrario», spiegò stancamente. «Lui
non mi manca affatto, anzi». Sabrina non seppe aggiungere
alcunché. Rimasero in un silenzio sospeso alcuni minuti,
osservando il cielo colorato di rosso e di arancione. «Te,
invece, che mi dici?», domandò la bionda, negli occhi
una nuova malizia, sbattendo le ciglia e osservando Sabrina con un
sorrisetto ammiccante. Sabrina arrossì appena, scostando il
capo verso il basso mentre le gote le si tingevano di rosse. «Cosa?»,
chiese con finta innocenze, rialzando gli occhi solo quando fu certa
che il rossore di fosse spento. «Oh, andiamo», fece
Alice, mettendo le ginocchia sotto il mento, di nuovo allegra. «Sai
benissimo di chi sto parlando». La mora si mise una ciocca
di capelli in bocca, grattandosi la punta del naso alla francese,
dondolandosi sul muretto nervosamente. Era vero, sapeva
esattamente di chi Alice stesse parlando, solo voleva evitare anche
solo di fare il suo nome. Ma Alice la conosceva meglio di chiunque
altro, da sempre, e sapeva che non avrebbe resistito a lungo alla sua
occhiata di traverso mista a quel sorriso malizioso. «Cosa
ti devo dire?», cedette la mora, come da copione, riprendendo a
torturarsi le mani. «Ti ha chiesto di uscire? Vi siete
baciati? Che avete fatto quel pomeriggio quando vi ho lasciati
soli?», iniziò a chiedere a raffica Alice,
trionfante. «Sì, mi ha chiesto di uscire; no, non ci
siamo baciati; quel pomeriggio ci siamo solo tenuti per mano»,
rispose Sabrina, rievocando nella sua mente le immagini di quella
meravigliosa giornata in cui ogni cosa pareva essere al suo posto.
Matteo che la stringeva, la abbracciava, le teneva la mano e giocava
con i suoi capelli, che la prendeva per la vita, che cercava le sue
labbra sfuggenti. Matteo, il fratello maggiore di Alice. Il
fratello della sua migliore amica. Il suo migliore amico. Alice
stravedeva per loro due come coppia, era come se il fatto che il suo
adoratissimo fratello maggiore fosse completamente innamorato
della sua migliora amica che, tra l'altro, ricambiava fosse il sogno
di una vita. Non perdeva occasione per lasciarli soli, sperando
magari in un bacio o, anche, qualcos'altro; era quasi ossessionata
tant'è che quando, qualche tempo prima, Matteo aveva osservato
quanto fosse carina Beatrice, un'altra sua amica, poco era mancato
che gli tirasse uno schiaffo. «Beh, siamo in vacanza
insieme», disse Alice, senza demordere. «Non vi sarà
difficile starvene un po' da soli, o uscire solo voi due». Sabrina
annuì poco convinta; Alice, su quel punto, era più
testarda del solito perché non voleva capire come mai lei e
Matteo non si mettessero insieme. Era accecata, quasi, dall'idea di
amore eterno tra la mora e il fratello. Ma era proprio quello il
punto. Matteo era il fratello di Alice. Sabrina anche. Matteo era il
migliore amico di Sabrina. Se le cose non avessero funzionato –
e dato l'età era quasi sicuro al cento per cento – il
rapporto si sarebbe incrinato a tal punto da dover mettere anche
Alice di mezzo. E poi il rapporto d'amicizia che avevano lui e la
mora era qualcosa di unico, non volevano perderlo. Sabrina non si
sentiva pronta. Alice lanciò un'occhiata all'orologio che
aveva al polso e scese dal muretto, pulendosi il retro dei jeans
dalla polvere. «È meglio se ci avviamo», disse
allegramente, porgendo una mano a Sabrina per farla scendere. La
mora la prese e la seguì, mettendosi a braccetto, iniziando a
parlare del più e del meno, chiedendosi cosa fare il giorno
dopo. Ma anche se con il corpo era a braccetto con Alice, con la
mente Sabrina si trovava tra le braccia di Matteo.
Keep
smilin’, keep shinin’ Knowin’ you can always
count on me, for sure That’s what friends are for For
good times and bad times I’ll be on your side forever more
That’s what friends are for.
{Dionne
Warwick.
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