neverleaveme
Never Leave Me
«
Questa è la promessa che si sono fatti Alice e
Jasper,
questa è la promessa che verrà infranta.
»
Avevamo
fallito, miseramente fallito. Stavamo tornando a mani vuote, come
quando ce ne
eravamo andati. Stavamo andando incontro alla morte.
Non
avevo
mai pensato di morire, prima di allora. Non così seriamente.
Ero certa che
invece sarebbe successo qualcosa. Un sesto senso che mi diceva
“Non andare Alice,
non andare”.
Ma
non avrei
abbandonato la mia famiglia. Anche se questo avrebbe significato morire.
Stavano per
iniziare a combattere, quando arrivammo. Entrammo nella radura
silenziosi,
passando da dietro, sentendo i mormorii cupi che ci lasciavamo alle
spalle,
mentre attraversavamo le file dei nostri.
Quando
arrivai davanti allo sguardo di Edward, per poco non mi misi a
singhiozzare.
Ci
abbiamo provato, Edward. Ma
non ci siamo riusciti.
«Non
è colpa tua, Alice», mi rassicurò con un
mormorio
basso.
Avremmo
combattuto. E saremmo morti tutti.
Fu così che
iniziò il combattimento. Tutti contro tutti, pregando che
almeno uno di noi si
salvasse. Jake e Nessie erano partiti. Ringraziai Bella, che aveva
seguito il
mi consiglio.
Non ci era
mai andata così male. Non avevamo mai dovuto combattere
contro di loro. Non in
modo così violento.
«Demetri
lo voglio io»,
mormorò
Edward.
« Jane
è mia», continuò Bella.
«Felix
è mio», mormorò Jasper.
«Alec
è mio», sibilai. Se dovevo morire, tanto
valeva morire per qualcuno che odiavo davvero. Tanto valeva provarci.
«Io
penso a Chelsea», continuò Rose.
Rimanemmo a
fissarci in cagnesco, fino a quando Aro non alzò lentamente
la mano destra. Era
il segnale. Era l’inizio della fine.
Il campo di
battaglia era enorme. Riuscivo a sentire le grida degli sconfitti, il
ringhiare
torvo degli avversari, la risata fragorosa di qualcuno.
Non mi
voltai alla ricerca della persona che amavo, no. Non potevo dirgli
addio.
Perché in qualunque luogo fossimo finiti dopo la nostra
morte, l’avrei rivisto.
Quella certezza, mi fece sentire un po’ meglio.
«Sbaglio
o hai chiesto di me?», sussurrò suadente Alec,
mentre
si avvicinava.
Sorrisi,
beffarda. «Che
c’è, preferivi qualcuno di
più grosso?», mormorai
sprezzante. Mentivo. Ogni parola, era una menzogna. Ogni parola era
calcolata
nel mio cervello, per non far capire quanto in realtà fossi
terrorizzata.
Perché lo ero, si. Ero terrorizzata. Completamente.
«Uno
vale l’altro …».
Stava
cercando di usare il suo potere, lo sentivo chiaro. Si stava sforzando
di
superare il muro di Bella. Mi chiesi quanto poteva resistere mia
sorella con il
muro alzato. Non ci sarebbe voluto molto.
Eppure non
accadde niente. Rimasi a osservarlo, quasi più sorpresa di
lui quando intuii
che era più forte di quanto mi aspettassi. Almeno, non sarei
morta senza
provare né sentire nulla.
Da quel
momento, il suo bel visino, si fece più contratto, mentre
cercava di prendermi.
Povero illuso. Una volta tanto che il mio potere serviva, pensava di
raggirarlo
così facilmente?
Schivai una
sua mossa a sorpresa per un pelo, andandomi a schiantare contro
qualcosa.
Contro qualcuno. Non riuscii a voltarmi, perché mi ritrovai
davanti mio marito,
che parò un colpo di Alec.
«Che ci
fai qui?», mormorai a voce bassa.
«Felix
sembrava più potente di
quanto non fosse», mormorò in risposta. «Vai
ad aiutare Rose. Chelsea è in gamba …».
Annuii,
mentre mi voltavo. Mi resi conto che mi ero schiantata contro Emmett.
Stavo
quasi per andarmene, quando misi a fuoco Bella. Jane la stava per
colpire.
Rimbalzò più indietro, senza scomporsi. Ma vidi
il terrore nei suoi occhi. Poteva
esserci soltanto una risposta, a quel terrore. Lo scudo. Glielo lessi
negli
occhi. Rimbalzava
attorno a lei,
lasciando scoperti i nostri famigliari. Si ricompose subito,
allargandolo di
nuovo. Ma era troppo tardi.
Riuscii a
sentire il gemito soffocato di qualcuno. Un secondo. Due secondi. Lo
schianto.
Non
è lui, non è lui. Pregavo, nella mia testa di non
avere avuto l’intuizione giusta. Mi voltai piano, mentre
smettevo di respirare.
Fu allora
che lo vidi. Ranicchiato e dolorante, affianco a un albero, mentre
tentava di
rialzarsi. Mentre Alec gli correva incontro, un sorriso perfido sulle
labbra.
Fu allora
che mi crollò il mondo addosso.
«NO!», gridai. Si voltarono tutti,
tutti verso di me. Tutti tranne Jasper e Alec.
Feci per
iniziare a correre, ma qualcuno mi stringeva. Non mi voltai a
controllare. Quel
profumo poteva appartenere solo a Edward.
«Mollami», ringhiai.
«Alice,
no».
«Lasciami
andare! Lasciami andare
a salvare mio marito!»
Non mi
mollò, rimase a fissarmi.
«Dio,
Edward, mollami subito!»
Ma era
troppo tardi. Spostai lo sguardo da Edward e lo posai su Jasper. Era
steso,
dolorante. «No no
no!», strillai sempre più
forte.
Mi scrollai
Edward di dosso, mentre gli correvo incontro. Mi chinai su di lui e lo
baciai.
«No,
Jazz, no. Non lasciarmi, ti
prego. Ti amo», mormorai con voce soffocata.
Edward mi
corse incontro e mi prese via, prima che Alec riuscisse ad attaccare.
Non riuscii
più a muovermi. Non sentivo le gambe, non sentivo nulla. Non
sentivo i rumori.
Non sentii lo schianto, né le grida. Ma il mio cuore si
accorse subito di ciò
che era successo, anche senza vederlo. Riuscii quasi a sentirlo
rompersi,
spezzarsi e volare via, in un qualche paradiso. Solo allora capii di
cosa
davvero avevo paura.
Non era la
mia morte, no. Era la sua. Avevo sempre avuto paura di questo. Senza di
lui la
mia vita non aveva senso. Ero morta quando lui era morto. Ero morta
quando
Edward mi aveva salvato. Ero morta. Non desideravo altro che morire.
No, non era
esattamente così. Non desideravo altro che Alec morisse. Poi
sarei morta anche
io. Alec sarebbe morto. Quello sarebbe stato il mio obbiettivo. Finito
quello,
mi sarei tolta la vita. Tanto non aveva più un senso, senza
di lui.
Non so per
quanto tempo rimasi ferma, in quella posizione. Gli occhi e le labbra
serrate,
persa nel mio dolore. Le mani che stringevano l’erba sulla
quale Edward mi
aveva appoggiato. Le ginocchia appoggiate a terra, immobili da
chissà quanto
tempo. Le spalle curve, tremanti.
Udii i
gridolini di gioia dei nostri famigliari, ma non mi unii a loro.
Avevano vinto,
si. Ma io avevo perso tutto.
Ringraziai
che Peter e Charlotte se ne fossero andati, prima della battaglia.
Farmi vedere
in quello stato, li avrebbe insospettiti. E mi avrebbero fatto mille
domande. A
cui avrei dovuto dire la verità, dire cosa era accaduto ad
alta voce. Non sarei
mai stata in grado di farlo, no. Mai.
«Alice …», mormorò
una voce lontana. Esme.
L’unica persona
che sembrava ricordare che lui …
Non mi
voltai, non ero in grado di farlo.
Sentii le
sue mani calde che mi sfioravano il capo.
«Mi
dispiace, Alice», sussurrò
singhiozzante. «Mi
dispiace davvero».
Mi strinse,
goffa, dato che non avevo cambiato posizione.
«Non
… non è colpa tua», mormorai in un sussurro
così
basso che non ero certa che mi avesse sentito.
Sentii Bella
avvicinarsi. Quanto tempo sarebbero rimasti a guardarmi? Non potevano
lasciarmi
lì? Non mi sarei mai più ripresa, lo sapevo
benissimo. Ma loro, non se ne
rendevano conto?
No. Nemmeno
io sarei mai riuscita a immaginare che un dolore così grande
mi lacerasse il
petto. Avevo sempre
dato … lo avevo sempre
dato per scontato. Io e
lui per sempre. Per l’eternità.
Ora non era
più così. Ora era “Alice e il suo
dolore”. Alice senza il suo Jasper.
Bella non
disse niente. Si sedette accanto a me e mi sfiorò i capelli
dolcemente. Pensava
di riuscire a capire. Pensava di immaginare cosa provassi in quel
momento.
No, non lo
immaginava. Nessuno di loro lo immaginava.
Sarei stata
una Alice diversa. Più chiusa, solitaria. Una Alice meno
vivace, meno
trasgressiva. Una Alice che, come un fantasma, si aggirava in un mondo
che non
sentiva più suo. Una Alice che aveva fretta di raggiungere
il suo obbiettivo,
per tornare finalmente dal suo amore.
Erano
passati tre giorni, dalla mia morte. Dalla sua morte. Nessie era appena
tornata. Jacob era insopportabile, intollerabile. Più cane
del solito. Oppure
ero io che non sopportavo più nulla.
Tutte le
volte che mi voltavo, lo vedevo lì, mentre si aggirava nella
stanza,
sorridente, mentre giocava con Emmett a scacchi, mentre si stendeva sul
letto,
invitandomi ad imitarlo. E non stavo pensando a Jacob.
Il primo
giorno dopo la battaglia, l’avevo passato in camera nostra,
distesa sul letto.
Persa fra i ricordi, persa nel mio dolore. Avevo preso una sua maglia
dall’armadio e l’avevo stretta a me, annusata fino
allo sfinimento. Il suo
odore era dolce ma forte lì, in quella stupida maglia. Mi
ero stesa sul letto
ed ero rimasta lì tutto il giorno, a singhiozzare,
stringendola. Poi, Bella era
entrata in camera e si era seduta accanto a me. Da quel momento non mi
aveva
più perso d’occhio.
La mia
famiglia, ormai, si era quasi abituata al mio silenzio. Rispondevo solo
se
qualcuno mi poneva una domanda. Non parlavo, non giocavo, non facevo
niente.
Ero inutile alla comunità.
Avevano
anche imparato a non pronunciare il suo nome. In fondo, anche loro
soffrivano.
«Zia
Alice! Sei tornata!»
Una voce mi
fece ritornare alla realtà. Nessie, la mia piccola nipotina,
mi chiamava,
correndomi incontro, felice di riabbracciarmi. Beata lei, che era
all’oscuro di
tutto.
Mi diede un
bacio sulla guancia e mi spettinò i capelli. Poi si
allontanò leggermente da
me, guardandosi attorno, accigliata.
«Dov’è
zio Jasper?»
Un coltello
affondò nell’ultima parte del mio cuore, quando
pronunciò il suo nome. Domanda
sbagliata.
Milioni di
ricordi riaffiorarono nella mia mente. Lui in costume da bagno, lui
mentre cacciava.
Il suo respiro, la sua voce. Le sue labbra sulle mie. I suoi riccioli
spettinati. L’espressione con cui mi guardava. I suoi occhi
caldi, invitanti.
Il suo sguardo preoccupato, ogni volta che avevo una visione.
Pensare al
passato. Ecco, ora ero morta. Di nuovo.
Lanciai
un’occhiata a Edward, mentre correvo fuori dalla stanza.
«Che
c’è?», mormorò Renesmee
perplessa. «Che
ho detto?»
Chissà cosa
le avrebbero raccontato. Forse la verità. Forse le avrebbero
detto che mi aveva
lasciata. In fondo era così. Mi aveva lasciata. Se ne era
andato, lasciando in
me i ricordi indelebili della sua presenza.
Erano
passati giorni, forse mesi dalla sua morte.
E la situazione, almeno per me, non era migliorata.
Mi sentivo
uno schifo.
Costringevo
Bella a farmi da babysitter, privando Reneesmee di sua madre e Edward
di sua
moglie. E per questo mi sentivo ancora peggio.
Sentivo lo
sguardo di Edward su di me in ogni minimo istante. Speravo che non
seguisse il
corso dei miei pensieri, ma non ne ero troppo convinta. Quindi,
teoricamente,
stavo costringendo Edward a subire la disperazione dei miei pensieri,
facendolo
andare sempre più giù di morale.
Esme e
Carlisle erano sempre più disperati. Non sapevano
più cosa inventarsi.
Era dal
giorno della battaglia,
che non andavo a
caccia. E non avevo nessuna intenzione di andarci, in
realtà. Perciò diventavo
sempre più intollerante agli inutili sforzi di Bella di
tenermi su di morale e
a quelli di Emmett, che tentava di farmi ridere.
Nei pochi
momenti in cui riuscivo a sfuggire a Bella, cercavo di trovare un modo
per
portare a termine la mia promessa. Cosa che risultava alquanto
impossibile,
considerando che Alec aveva quel potere. E che io, purtroppo non ne ero
immune.
E l’unica in grado di aiutarmi, sarebbe stata Bella
…
«Perché
non vieni a caccia con
noi, Alice?», mi chiese
per la terza volta Emmett, distogliendomi di nuovo dai miei pensieri.
«Vai
Emmett», mormorai piano.
«E dai,
Alice! Dieci minuti …».
«Emmett,
vuoi cortesemente andare
a caccia e lasciarmi in pace?»
Rimase a
fissarmi, leggermente sconvolto e poi se ne andò.
Mi lasciai scivolare a terra, le spalle contro al muro. Era strano da
dire, ma
la persona che sopportavo di più era Rose. Almeno,
ignorandomi completamente,
mi lasciava i miei spazi.
E intanto,
il mio pensiero fisso era sempre uno: Alec, Alec, Alec. Devo uccidere
Alec.
Mi alzai
lentamente e uscii dalla porta, sbattendo contro alla sagoma di Edward.
«Scusa», mormorai abbassando lo sguardo.
«Dove
vai, Alice?», sussurrò.
«A
cercare un modo per mantenere
la mia promessa», mormorai.
Rimase a
fissarmi per un istante, senza capire. «Quale
promessa?»
Scossi la
testa. «Lascia
stare …», risposi poco convinta e mi
avviai verso il ruscello.
Mi prese per
un braccio, obbligandomi a fermarmi.
«Quale
promessa?», ripeté.
Mi voltai
verso di lui e trassi un sospiro. «Quella
di uccidere Alec».
«Non te
lo permetterò, Alice. Non
lo farai. Non è questo che lui vorrebbe.»
«Ti
ringrazio Edward. Perché so
che lo fai per il mio bene. Perché so che lo fai
perché non vuoi che me ne vada
anche io. Ma non riuscirai a trattenermi per sempre».
«Tu
l’hai fatto», mormorò sottovoce.
Scossi
lentamente la testa. «Non per
sempre. Bella è qui, ora,
e ci sarà per sempre. Spero davvero che non vi succeda mai
quello che è
capitato a me, a noi. E non dire di capirmi, Edward. No, non puoi
capirmi.
Nessuno di voi può capirmi».
«Hai
ragione, Alice. Nessuno di
noi può capirti. Ma pensa a lui. Credi forse che vorrebbe
questo?»
«Credo
in poco, ora, Edward.
Avevamo promesso di rimanere uniti per sempre, di non lasciarci mai. Ha
fatto
del suo meglio per mantenere la sua promessa, me ne rendo conto. Ma lui
ora non
è qui. E non tornerà mai più.
L’unica cosa in cui credo ora più che mai
è nel
futuro. Nel dopo. E se questa è l’unica maniera
per incontrarlo, lo incontrerò.
Prima ucciderò il suo assassino e poi raggiungerò
il mio cuore. Questa è
l’unica mia ragione di vita. Lo è sempre stato e
sempre lo sarà», conclusi voltandomi di nuovo.
Lasciò la
presa sul mio braccio e io fuggii, libera, verso il ruscello.
Erano
passati meno di due minuti, che Bella subito si avvicinò a
me. Dall’odore
inebriante che riuscivo a percepire, doveva essere completamente
inzuppata di
sangue. Il raschiare grottesco della mia gola, quando Bella si sedette
a un
centimetro da me, si fece sempre più insistente. Cercai di
controllarmi e, con
un certo sforzo, ci riuscii.
«Alice,
senti … non sono venuta
qui a farti la predica. Ma … se tu almeno cercassi di
… sfogarti, forse ti
sentiresti …».
«Non
credo proprio».
«Potremmo
… potremmo andare a fare
un po’ di shopping …», propose piano.
«Bella,
tu odi andare a fare
shopping …».
«Nella
vita si cambia».
In quel
momento un’idea mi balenò in testa. Io e Bella
sole a fare shopping. Chiederle
un favore, dicendole che poi sarei stata meglio … non
avrebbe potuto dirmi di
no.
Alzai
immediatamente lo sguardo. «Però,
pensandoci bene, un po’ di
shopping non farebbe male …».
Rimase a
fissarmi, sconcertata. «Potrebbe
venire anche Rose,
magari …».
«No, no,
no!», borbottai troppo in fretta. «Litigo
sempre con Rose».
Sorrise. «Quando?»
«Sabato
e domenica?»
Mi fissò
stranita. «Sabato
è domani …».
«Lo so!», mentii spudoratamente.
«Okay,
allora … Scusa ma ora …
vado a cambiarmi».
Annuii.
Dovevo
sbrigarmi. Prenotare due coincidenze per un aereo in modo che
riuscissimo a
tornare entro domenica notte. Cosa complicata ma non impossibile. Ma la
parte
più complicata era ricordarsi di non pensare a niente quando
c’era Edward nei
paraggi. Pensieri oscurati sempre.
Mi alzai
malvolentieri e entrai in casa. «Edward
è qui?», mormorai a bassa voce.
«No,
è andato fuori con Bella».
Annuii e mi
diressi verso la cucina, dove il mio portatile, ancora acceso, mi
aspettava.
Appena ebbi
finito di comprare online i due biglietti, Edward e Bella entrarono in
casa.
Immediatamente
socchiusi gli occhi, pronta ad oscurare i miei pensieri.
«Alice,
hai già in mente dove
andare?», mi chiese
Bella sorridente, saltellando verso di me.
«Bè,
un posto ci sarebbe …
considerala una sorpresa!», abbozzai con un sorriso.
«Mmh
… okay».
Edward mi
lanciò uno sguardo curioso, ma finsi di non averlo notato.
Andai al piano di
sopra e mi pettinai piano, con cura, tanto per tenermi in qualche modo
impegnata. Pochi minuti più tardi, Nessie entrò
nel bagno, rimanendo incantata
a guardarmi, senza sapere bene cosa fare.
«Posso?», mormorò infine
imbarazzata.
«Certo,
piccola».
«Zia
Alice …», fece per continuare ma si
bloccò
all’improvviso.
«Dimmi,
Nessie».
Era da un
mese o più che non mi parlava. Non sapevo qual’era
il motivo, ma dopo aver
fissato la mia immagine riflessa allo specchio, potevo immaginarlo.
Sembravo
sul serio un fantasma. Qualcosa di non vivo.
«Mi
… manca tanto anche a me …», sussurrò infine,
scoppiando in
lacrime.
Chiusi le
palpebre, respingendo i ricordi che stavano per riaffiorare nella mia
mente.
«Vieni
qui …», mormorai piano, stringendola
forte a me.
«Oh, zia
Alice!», sillabò fra una lacrima
e
l’altra.
«Shh
…», mormorai sempre più
piano,
cercando di calmarla.
«Alice,
andiamo?» gridò Bella dal piano
di sotto.
Presi un
respiro. «Arrivo
subito». Lentamente mollai
l’abbraccio di
mia nipote. «Lo so,
Nessie, lo so. Manca anche
a me, tu non sai quanto. Ma non farti vedere così dai tuoi
genitori. Sai quanto
si preoccupa papà …»
Lei annuì,
asciugandosi
le lacrime che ancora le ricadevano sulle guance.
Lanciai uno
sguardo verso la porta del bagno. «Devo
proprio andare ora, prima
che tua madre si arrabbi sul serio …», proseguii con un sorriso
complice.
Lei annuì,
ancora sconvolta.
Le diedi un
bacio sul capo e corsi leggera al piano di sotto, afferrando al volo le
chiavi
della mia porsche, che Edward mi aveva appena lanciato.
«Divertitevi», mormorò con tono
distaccato,
tentando di fissarmi negli occhi.
Io mi voltai
appositamente verso Bella e la sorrisi. «Grazie», risposi senza voltarmi.
Entrammo in
macchina silenziose. Girai rapidamente la chiave, e subito il rombo
familiare
della mia 911 Turbo ci accolse silenziosa.
«Allora», iniziò subito Bella, «dove
andiamo?»
«Fidati,
Bells. Ti divertirai», risposi sorridente.
Come potevo
dirle dove stavamo andando? Mi avrebbe ammazzata sul posto, sgridata e
… Edward
mi avrebbe osservata per tutto il resto della mia eterna ed insulsa
vita.
Quindi, mi
limitai a sorriderle e a sgommare fuori dalle vie di Forks.
Il viaggio
passò per lo più in religioso silenzio, con una
musica piuttosto noiosa come
sottofondo. Non appena vidi la svolta per Seattle, svoltai rapida,
seguita da
uno sguardo preoccupato e al tempo stesso curioso di Bella.
Quando intuì
dove la stavo portando si voltò verso di me, incredula. «Prendiamo
l’aereo?»
Annuii, lo
sguardo puntato sulla strada, mentre sentivo i suoi occhi indagatori
scrutarmi
il volto.
«Dirette
per dove?»
Le lanciai
un’occhiata. In fondo New York era la capitale dello shopping
sfrenato … «New
York», risposi
infine sincera.
«Interessante
…», accennò, continuando a
studiarmi.
Parcheggiai
rapida di fianco ad una Mercedes tirata a lucido, e nello stesso
momento
afferrai la borsa, cercando il mio passaporto e quello di Bella, che
avevo
ficcato dentro poco prima che lei e Edward tornassero dalla loro
passeggiata.
Appena
entrate, ci dirigemmo subito verso il gate, ormai vuoto.
«Ho
prenotato online …», mormorai, aprendo il passaporto
e sorridendo gentilmente al ragazzo che mi ritrovai di fronte.
Controllò
rapido le informazioni. «Due
biglietti per due …».
«Si,
sono quelli» lo interruppi rapida.
Rimase a
fissarmi, sbigottito. «Uhm
… okay, potete andare …», continuò, dandomi i
biglietti.
«Grazie!», risposi prendendoli entrambi,
mentre mi allontanavo con passo
leggero, seguita da Bella.
«Alice,
stai praticamente
correndo, stiamo per perdere l’aereo?», mi chiese in ansia.
«Quasi
…», abbozzai con un sorriso.
Mi lanciò
un’occhiata e si mise a correre a velocità umana
dietro di me.
Riuscimmo ad
entrare nell’aereo, come avevo previsto, giusto una decina di
minuti prima che
partisse e ci accomodammo nei sedili della seconda classe, seguita
dagli
sguardi ostili che ci riservarono le hostess.
Il viaggio
in aereo passò rapido e silenzioso; ero troppo persa nei
miei pensieri,
cercando un modo per dire a Bella dove stavamo andando senza che mi
assalisse,
per fingere di stare bene e sorridere amorevolmente. E Bella
… bé, a Bella
piaceva il silenzio, quindi non si preoccupò – per
mia fortuna – di iniziare
una conversazione con me.
Mi
risvegliai dai miei pensieri, solo quando cominciai a sentire le
hostess
passare accanto a me, controllando se avevo o meno la cintura di
sicurezza
allacciata; fu allora che intuii che era troppo tardi. Troppo tardi per
inventare una scusa, troppo tardi per darle una spiegazione. Avrebbe
capito, e
probabilmente mi avrebbe costretta a tornare indietro. E io
… bé, in qualche
modo sarei fuggita, entrata in aereo e avrei cercato di fare del male a
Alec …
anche se non sarei riuscita nemmeno a torcergli un capello. Mi avrebbe
messa al
tappeto in meno di un secondo, e molto probabilmente mi avrebbero
uccisa sul
posto. Bé, almeno sarei morta …
Scendemmo
assieme dall’aereo, passando davanti al tabellone degli
arrivi e delle
partenze. Non badai ad osservarlo, sapevo benissimo che mancavano due
minuti
esatti dall’arrivo della coincidenza per Firenze. Bella,
invece, si bloccò
all’improvviso, cominciando a stringermi per un braccio.
Rimase a fissare per
10 lunghissimi secondi il volo New York – Firenze,
un’espressione sconcertata
in viso.
Poi si voltò
verso di me. «D…
dove stiamo andando?», sussurrò con un filo
di voce.
Evitai di
voltarmi, rimanendo a fissare il pavimento sotto alle mie scarpe.
«Alice
…», sussurrò ancora,
continuando ad
aumentare la stretta sul mio braccio. «Non
dirmi che …».
Alzai lo
sguardo lentamente, come una ladra colta in flagrante. Fissai lo
sguardo
scandalizzato di Bella, sapendo che aveva capito dove la stavo
portando. Annuii
piano.
Lei rimase a
sua volta a fissarmi, la bocca aperta. «Cosa
pensi di fare, Alice?
Portarmi in Italia per fare cosa? Pensi davvero che ti
accompagnerò a …», si bloccò
all’improvviso,
cominciando improvvisamente a scuotere la testa. «… non
… non riesco nemmeno a pronunciarlo!»
Rimasi a
fissarla, titubante. «Bella
… io non voglio suicidarmi», chiarii subito. Non
ancora, precisai nella mia testa.
«Come
sarebbe a dire, scusa?!
Stiamo andando casualmente a Firenze per fare un giretto turistico?», sciolse la presa dal mio
braccio, continuando a gesticolare mentre parlava.
«Bella
…», mi avvicinai a lei, riuscendo a
tenerla ferma, fissandola bene negli occhi. «Bells,
non voglio suicidarmi. Non potrei mai lasciare te, Edward e Nessie, lo
sai
quasi meglio di me. Non ora, non dopo tutto quello che è
successo … Non dopo
aver visto Nessie stare male per …». Mi bloccai all’istante.
Continuò a
fissarmi, perplessa. «Stare
male per?»
«Per
… lui», sussurrai stringendo i pugni,
lottando contro il dolore che ogni volta nasceva in me quando
casualmente
pensavo a lui.
Rimase a
fissarmi negli occhi. «E
allora Alice perché stiamo
andando a Volterra?», mi chiese più calma.
Presi un bel
respiro. «Bella
… è stato Alec, lo sai?», sussurrai tremante.
«Si
…».
«Io non
… non posso sapere che il
… che il suo assassino è ancora in vita. Non
posso farlo», mormorai sincera.
Lei
continuava a fissarmi, seguendo il filo del mio discorso, senza capire
dove
volevo arrivare.
«E
… ho bisogno del tuo aiuto, per
fare quello che voglio fare …».
Mi
interruppe. «Tu vuoi
… uccidere Alec?», mi chiese più serena.
Annuii.
«E hai
… bisogno di me perché io
ho lo scudo», concluse
pensierosa.
Annuii di
nuovo. «Bells,
non ti coinvolgerei in
tutto questo se non avesse il potere che ha. Ma …
è una cosa che devo fare, e
non posso riuscirci senza di te».
Continuò a
fissarmi, mordicchiandosi il labbro. «Giurami
che non tenterai di
toglierti la vita. Giuramelo, Alice, te ne prego».
«Bella
… guardami. Te lo giuro. Ma
ti prego, dammi la possibilità di uccidere il suo assassino».
Abbassò gli
occhi, mentre una visione mi avvertiva della decisione che aveva preso.
«Grazie,
Bells», sussurrai
abbracciandola.
Il viaggio
in aereo in prima classe passò rapido e, come il primo,
prevalentemente in silenzio,
mentre Bella mi lanciava occhiate misteriose.
L’unica
conversazione di tutto il viaggio la iniziai io. «Bella
… sarebbe meglio …».
«…se
Edward restasse all’oscuro di
tutto, lo so», concluse lei. «Quindi,
se non sbaglio … siamo andate a New York e abbiamo comprato
poca roba perché
l’aereo era in ritardo …».
Annuii. «Esatto.
Ci fermiamo dopo in aeroporto a
prendere
qualcosa per te, per me e magari un vestito per Nessie».
«Perfetto».
Eravamo
appena arrivate a Volterra; avevamo appena passato i confini delle mura
di
cinta, eravamo appena entrate in territorio nemico.
Ma nessuno
si sarebbe accorto di noi, nessuno tranne il diretto interessato.
Infatti era
una giornata piovosa e per le strade non c’era nessuno.
Nessuno tranne, come mi
aveva avvisato la mia visione, Alec e Jane, che stavano finendo il loro
solito
giro di perlustrazione.
Scesi
dall’auto che avevo preso in noleggio, una Ferrari rossa, che
assomigliava
molto a quella che Edward aveva regalato a Bella. Mi appoggiai sul
cofano,
imitata dalla moglie di mio fratello.
«Quando
te lo dico, usa lo scudo», le dissi, rimanendo a fissare il
punto dove sarebbero apparsi i due gemelli.
«C’è
anche Jane, vero?»
Annuii.
«Bene», sibilò a bassa voce. «Deve
solo provarsi a sibilare qualcosa come suo solito e giuro che la uccido».
«Come
vuoi», risposi pacata. «Stanno
arrivando».
Lei annuì,
mentre allargava il suo scudo su di me. In quell’esatto
momento, i due fratelli
passarono calmi davanti a noi.
«Alice,
Bella …», sibilarono nello stesso istante.
«Qual
buon vento …», continuò Alec
sprezzante.
«Non
è un bel giorno per le tue
battutine, Alec», tagliai corto.
«Ancora
arrabbiata con me, Alice?
Pensavo di averti tolto un peso, uccidendo … mmh, come si
chiamava? Ah, già.
Jasper».
«Prova a
pronunciare ancora il suo
nome e giuro, Alec, che morirai in un modo così doloroso che
anche da morto
ricorderai cosa ti ho fatto», sibilai facendo un passo avanti.
«Oh,
siamo di buon umore, vedo!», commentò lui, facendo
un passo
indietro.
Continuai a
fissarlo, avanzando lentamente verso di lui, ignorando Jane che
sconcertata ci
fissava. Trattenermi dall’ucciderlo seduta stante fu
piuttosto difficile; non
avevo mai sopportato il suo bel visino, e dopo quello che mi aveva
fatto non
riuscivo nemmeno a capire come mai non l’avessi ancora ucciso.
«La tua
ora, Alec, è arrivata
quando te la sei presa con lui, invece che con me. Quando non hai
sfruttato la
possibilità che ti trovavi davanti agli occhi: avevi me,
sola, senza l’aiuto
dello scudo di Bella, e invece ti sei avventato su di lui. Quella
è stata la
tua scelta sbagliata. Uccidere lui, al mio posto».
Lui mi
fissava, sinceramente preoccupato, mentre avanzavo a grandi passi verso
di lui.
«Hai
sbagliato, Alec, e ne pagherai le conseguenze».
Feci per
avventarmi verso di lui, ma subito dovetti abbassarmi per schivare un
colpo di
Jane.
«Eh, no,
mia cara!», sibilò Bella. «Non
ti azzarderai ad attaccarla. Non senza avermi uccisa».
Tornai a
voltarmi verso Alec. Mi avventai verso di lui, mentre tentava
inutilmente di
scappare. «Tu mi
hai sottovalutata», sussurrai al suo orecchio. «Tu
hai sottovalutato la potenza del nostro amore, Alec. Tu pensavi che
uccidendone
uno, avresti ucciso anche l’altro. E in questo, avevi
ragione. Mi hai uccisa.
Mi hai inflitto il dolore più grande di tutta la mia
esistenza. Ma hai
scatenato in me l’istinto della vendetta. Per questo morirai.
Per vendetta. Per
non aver ragionato su quello che stavi facendo. Perché non
conosci l’amore, e
non puoi sapere quanto è forte un sentimento.
L’unico motivo per cui sono
ancora qui, Alec», conclusi infine, «è
perché tu sei ancora vivo. Spero proprio che tu soffra
parecchio, sai?»
«Non
… non ti sentirai meglio,
Alice …», sibilò lui
piano, completamente terrorizzato.
«Non mi
importa. Tu morirai e il
mio cuore verrà vendicato. Questo è
l’importante. Addio, Alec».
E con questo
conclusi. Conclusi e attaccai definitivamente Alec, ammucchiando le sue
membra
in un lato del vicolo. Rimasi a fissare il suo cadavere. «Ora
ti ho vendicato, amore mio», sussurrai piano, alzando gli
occhi e fissando il cielo ancora nuvoloso sopra a noi. «Ti
raggiungerò presto, te lo prometto».
Mi voltai
verso Bella e Jane; stava per attaccarla, entro una decina di minuti
avrebbe
finito.
E infatti
così fu. La aiutai a raccogliere i resti, e li ammucchiammo
assieme a quelli
del fratello.
«Bella,
vai dentro».
Lei mi
lanciò uno sguardo strano.
«Fidati,
vai».
Presi fuori
un fiammifero e lo strisciai lentamente sul muro, provocando una
piccola
scintilla.
Poi mi
chinai e cominciai a dare fuoco ai corpi. Spensi il fiammifero e mi
sciolsi il
foulard dal collo. Lo lasciai affianco ai corpi ormai senza vita dei
due fratelli,
dopodiché corsi in macchina e partii rapida, dando gas.
Bella,
sorridente, guardava fuori dal finestrino, osservando per la prima
volta la
città dei Volturi. La stavo ancora osservando, prestando
poca attenzione alla
strada, quando fui interrotta da una visione.
Demetri era
stato mandato da Aro a cercare i gemelli. Li trovò quasi per
caso, grazie
all’odore inebriante di vampiro bruciato che ancora si
sentiva in tutta la
città.
Rimase a
fissare i due corpi senza vita, sconvolto, quasi senza accorgersi del
piccolo
regalino che avevo fatto ai suoi padroni. Stava per andarsene, quando
puntò
l’occhio sul mio foulard viola. Lo raccolse rapido, e subito
l’annusò. «Alice», sussurrò infine.
«Alice?», chiese Bella piuttosto calma.
«Mmh?», risposi concentrata.
«E’
successo qualcosa di brutto?»
«No,
assolutamente», le risposi tranquilla. «Demetri
ha trovato i corpi. C’è troppo odore e non riesce
a capire chi sia stato a ucciderli».
«Perfetto,
direi!»
Arrivammo
all’aeroporto con una decina di minuti di anticipo rispetto
all’orario di
partenza, così riuscimmo a comprarci qualcosa, prima di
imbarcarci. Arrivammo a
Seattle a mezzanotte passata e in una mezzora di macchina, arrivammo a
Forks.
«Bella
…», le ricordai.
«Lo so,
lo so».
Edward era
già lì ad aspettarla, ovviamente. Sorrideva e
aveva gli occhi soltanto per
Bella. Gli occhi quasi lucidi, come se avesse visto la sua luce, la sua
unica
speranza in quella vita tormentata. Gli occhi che aveva lui quando
guardava me.
Non avevo la
forza di restare lì a fissarli. No, non ce la facevo. Non
potevo fissarli,
mentre si baciavano, sapendo che sarebbero restati assieme per tutto il
resto
della loro eterna vita. Non potevo osservarli mentre si guardavano in
quel
modo: come due persone parte di uno stesso intero, che sarebbero
vissute sempre
assieme.
Chiusi le
palpebre, stringendo sempre con più vigore il volante
davanti a me, mentre aprivo
lo sportello, sfuggendo alle effusioni dei due innamorati.
«Nessie?», la chiamai appena entrai in
casa.
Saltellò
allegra verso di me, curiosa. «Ho un
regalino per te …», mormorai sorridendo.
Corse verso
di me e mi abbracciò forte. Poi sbirciò dentro
alla sportina che tenevo in
mano. «Oh, zia
Alice! Ma è bellissimo!», esclamò entusiasta.
L’unica
della famiglia che
apprezza la moda quanto me,
pensai con un sospiro.
Solo in
quell’istante la guardai negli occhi; delle profonde occhiaia
li cerchiavano,
facendo uno strano contrasto con la sua pelle chiara. «Nessie», mormorai preoccupata, «da
quanto non vai a caccia?»
Scrollò le
spalle. «Da un
po’ …», poi tornò da Emmett,
che nel
frattempo la stava chiamando.
I volturi
dovevano essere molto arrabbiati con me. Non ci avrebbero messo molto
tempo per
venirmi a cercare. Probabilmente un giorno o due al massimo, secondo la
visione
che avevo avuto. Quindi, dovevo prendere l’occasione al volo
e … bé, sforzarmi
di essere la Alice di un tempo.
«Edward?», lo chiamai. Per mia fortuna era
troppo impegnato con Bella per darmi ascolto. Entrai in cucina
nell’esatto
momento in cui Bella uscì. «Edward,
ma da quanto tempo Nessie
non va a caccia?»
Rimase a
pensarci un istante prima di rispondere. «Tre
settimane, credo …».
«Tre
settimane? Vuoi farla morire
di fame? Edward, è tua figlia, dovresti essere
più responsabile!»
«Tre
settimane non sono molte …», borbottò pensieroso.
«Non
sono molte per te, Edward! Ma
lei è più piccola! Deve ancora crescere! Non
dovrei spiegartele io, queste cose
…».
Mi fissò per
un istante. «Hai
ragione. Ma dovresti venire
anche tu a caccia», puntualizzò.
«Oh, non
preoccuparti per me.
Posso darti un consiglio?»
«Dimmi».
«Innanzitutto,
inviterei anche
Carlisle e Esme. Insomma, è da troppo tempo che per colpa
mia li tengo
segregati in casa. E poi … Jake. Sarà pure un
cane ma la ama, Edward, sul
serio. Dovreste andare un po’ più lontano del
solito … c’è un bosco bellissimo in
Canada . E domani ci sarà bel tempo, quindi potrete anche
godervi il sole. Lo
sai quanto Nessie ama il sole, vero?»
Edward
rimase a fissarmi per un lungo istante, meditabondo. «In
effetti non sarebbe male …», commentò. «Ma
vieni anche tu».
«Oh, non
dire sciocchezze. Nessie
ha bisogno di un po’ di serenità, Edward. E per
quanto io possa sentirmi
meglio, oggi, non sarò mai così serena da farla
ridere. E non riuscirei nemmeno
a guardare te e Bella vicini, quindi … quindi basta, ci
andate voi…»,
mi
interruppi per un breve
istante, mentre vedevo i miei piani realizzarsi. Mi accorsi che Emmett
e Rose
stavano tornando in Africa. «Emmett
e Rose tornano in luna di
miele?» chiesi
sorpresa a Edward.
Lui annuì,
senza proferire parola. «Bene!»
«Alice,
non sono sicuro che
lasciarti qui da sola possa aiutarti …».
«Oh,
Edward! Smettila di
preoccuparti per me, okay? Ho bisogno di stare sola. Lasciatemi
sfogare, per un
giorno o due. E poi … bé, a meno che non vengano
i volturi, non posso mica
ammazzarmi da sola, giusto?» , conclusi sarcastica.
«Giusto», concluse lui, accennando un
sorriso. «Bentornata,
Alice».
Due ore più
tardi, la mia famiglia al completo era divisa in due macchine diverse:
Edward,
Bella, Nessie e Jacob nella Volvo di Edward, Carlisle, Esme, Rose e
Emmett
nella Mercedes. Carlisle ed Esme avevano deciso di accompagnare Emmett
e Rose
all’aeroporto, prima di partire per il Canada.
«Sei
sicura, zia Alice?», mi chiese di nuovo Nessie.
«Si,
piccola, divertitevi», le risposi sorridente, dandole
un bacio sulla guancia.
Partirono
tutti sgommando per il vialetto ricoperto di foglie, mentre il vento mi
scompigliava i capelli. Attesi sorridente fino a quando non udii le
gomme delle
tre auto sfrecciare via rapide sulla strada. A quel punto rientrai.
Quella
sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrei visti. Li avevo
fatti contenti,
rincuorati quasi, mostrandomi felice. Ma avevo mentito, come facevo da
troppo
tempo ormai. Ora non sarei stata più costretta a mentire.
I Volturi
sarebbero arrivati presto, molto presto. Il mio solito sesto senso, mi
diceva
che forse mi avrebbero fatto un favore, ad arrivare prima. In quel
momento, una
visione mi dette la conferma di quello che pensavo.
Sarebbero
arrivati nella prima mattina. Strano ma vero, non c’era
nessun testimone, né le
mogli. C’erano solamente i tre fratelli, Aro, Marcus, Caius,
e i due più fidati
componenti della guardia, Demetri e Heidi. Avevano fretta, molta
più fretta di
quanto non ci avessi sperato.
Subito
un’altra visione mi portò più avanti
nel tempo; in una discussione tra Edward e
Bella. Immaginai che Jacob e Nessie si fossero allontanati, altrimenti
non
sarei mai riuscita ad assistere alla litigata fra i due.
«Non lo
so, Bella», proseguì Edward. «Ha
pronunciato quella frase con così tanta leggerezza che quasi
mi impaurisce».
«Ma no,
tranquillo. Diceva solo per scherzare, tutto qui».
«Lo spero», riprese Edward. «Non
sai che pensieri aveva solitamente, non puoi nemmeno immaginare. Lei
vuole la
morte. L’ha sempre desiderata, dal primo momento in cui ha
capito che lui non
c’era più. Spero davvero che si stia riprendendo».
«No, sul
serio, credimi».
«Ma
siete davvero andate a fare
shopping?», le chiese.
«Sisi!», rispose lei subito.
Edward le
lanciò uno sguardo strano. «Bella,
non mentirmi mai,
soprattutto se sai che me ne accorgo. Dove siete andate?»
Rimasero a
fissarsi. «In
Italia. Ma ti prego, non
dirglielo. Voleva … bé, voleva uccidere Alec e
l’ho aiutata, tutto qui. Ha
detto che si sarebbe sentita meglio e … mi sembra che sia
davvero più allegra».
«COSA?!», esplose Edward. «Bella,
l’unico motivo per cui rimaneva in vita, era
perché voleva uccidere Alec. Era
l’unico obbiettivo che si era posta. Lei desidera
… morire, Bella!»
«Come?
No, Edward, non è possibile …», balbettò lei.
La visione
finì così. Abbassai lo sguardo, andando a sedermi
sulla mia solita sedia nel
tavolo della cucina, pensando a come dirgli addio per sempre. Prima mi
concentrai sul futuro dei Volturi, controllando se e quando avrebbero
attaccato
di nuovo, e soprattutto quale sarebbe stato l’esito.
Rimasi
immobile per ore, pensando a come dire addio per sempre alla mia
famiglia,
senza trovare una risposta precisa. Sentivo il ticchettare dei secondi,
dei
minuti, delle ore. Quando alzai lo sguardo sull’orologio mi
resi conto che era
troppo tardi. Avrei dovuto scrivere di getto.
Presi una
penna e scrissi in bella calligrafia, sul retro del foglio.
“Edward”
Lo voltai e
cominciai a scrivere.
“Bè,
a questo punto dovresti già
aver capito cosa sto per fare. Dovresti sapere che io e Bella siamo
andate a
Volterra, e non a fare shopping, lo scorso weekend. Che finalmente ho
mantenuto
la mia promessa. E che sto per andare incontro alla morte.
Mi
mancherai, Edward. Credimi,
una volta tanto. Scrivere questa lettera è stata una delle
cose più difficili
che ho dovuto affrontare in tutta la mia vita. Scriverti addio.
Scrivere addio
a te, a Bella, a Emmett, a Rose, a Nessie, a Carlisle e a Esme. Mi si
spezza il
cuore a sapere che vi farò del male. Ma è una
scelta che ho già preso, ormai, e
non cambierò idea.
Torneranno,
quando io ormai non
sarò più qui. Fra tre mesi esatti, nella prima
giornata della primavera. E
vincerete, Edward, vincerete. Non vi lascerei ora se non ne fossi
sicura. Non
hanno più la loro offensiva, non hanno più Alec
né Jane. Senza di loro sono
nulla in confronto a voi.
Addio,
allora. E non prendertela
con Bella, te ne prego. Non è colpa sua, sono stata io a
convincerla. Non
poteva aspettarsi che volessi morire.
Dille
che mi mancherà. Che non
dovrà soffrire, perché finalmente sarò
tornata insieme a lui, alla persona che
amo. A Jasper. Si, ora riesco anche a pronunciare il suo nome.
Strana
la vita, non è vero? Qualche
volta morire sembra meglio che vivere. Per me lo è.
Dì
a Carlisle e Esme di non
addolorarsi, a Emmett di non esagerare. E Rose …
bè, non so come la prenderà.
Forse non sarà nemmeno troppo sconvolta. Forse
griderà contro tutto e tutti che
lei lo sapeva, che sarebbe finita così. E ti prego, stai
vicino a Nessie, in
modo particolare. E non lasciare che i tuoi pregiudizi su Jacob
ostacolino il
loro amore. Sono fatti per stare assieme, Edward. Hanno bisogno
l’uno
dell’altro. E in questo caso, la prima ad avere bisogno
sarà Nessie. Prenditi
cura di lei, sarà un colpo duro, già lo vedo.
Ti
vorrò per sempre bene. Addio,
Alice.”
Rimasi a
fissare il foglio per un secondo, pensando al nulla. Poi lo presi e lo
piegai
accuratamente, prima di riporlo nella busta.
Mi tolsi la
collana, il ciondolo simbolo della famiglia Cullen e riposi
anch’essa
all’interno della busta. A Nessie sarebbe piaciuto. E nel
caso non fosse
piaciuto a lei, Edward non avrebbe mai permesso di perderlo o
dimenticarlo.
Mi alzai
lentamente dalla sedia e mi avviai fuori, nella radura dove avrei
incontrato la
morte.
Non ci
misero molto ad arrivare. Non appena entrai nella radura, vidi la
faccia di
Aro, che mi fissava con occhi rabbiosi. In fondo, io e Bella avevamo
ucciso i
suoi gioiellini. Era piuttosto ovvio che fosse arrabbiato con noi.
« Alice», sibilò.
Non risposi,
rimasi a fissarlo, mentre con una mano sfioravo delicatamente
l’anello che
portavo sull’anulare della mano sinistra. Il nostro anello di
matrimonio.
«Come
… come hai potuto?», ringhiò dopo un
istante. «Cosa
ti aveva fatto di tanto male?» Attese un istante, ma non risposi.
«Ah,
già! Aveva ucciso Jasper, non è così?»
Gli lanciai
un’occhiata furente.
«Era
vendetta, non è vero? Ah, ora
però sei nei guai, mia piccola, stupida vampira. Anche se
non capirò mai il
motivo di quel stupido foulard, lasciato accanto ai loro poveri corpi».
Il mio
sguardo si spostò da lui a Demetri, che fece in
quell’esatto istante un passo
avanti.
«Posso
andare, signore?», gli chiese impaziente.
«Certo,
Demetri. Quando vuoi», continuò fissandomi.
Se avessi
voluto, mi sarei spostata e avrei lottato. Perché per quanto
lui fosse più
forte di me, io con il mio dono potevo anche sconfiggerlo. Ma non era
ciò che
cercavo. Volevo la morte. Perciò rimasi a fissare la terra
sotto ai miei piedi,
continuando a stringere l’anello.
«Sto
arrivando, Jasper. Sto
arrivando», sussurrai
piano.
Demetri mi
si schiantò addosso, colpendomi con tutta la sua forza.
Chiusi gli
occhi e per la prima volta lo rividi accanto a me. In piedi, alto, in
tutto il
suo splendore. Lui e io suoi riccioli spettinati, lui e il suo sguardo
attraente, come una calamita. Lui e le sue labbra calde, morbide. Si
avvicinò a
me, silenzioso e mi prese per mano. Mi fece fare una piroetta e mi
baciò piano,
passionale. Il ricordo della sua voce, del suo sussurrare dolce al mio
orecchio
quei suoi “Ti amo”, quei suoi “sarai per
sempre mia”. Il matrimonio. Lo stupore
per la luna di miele fantastica. La prima notte, e tutte le altre a
seguire. Le
litigate fra me, lui e Edward. La sua calma con Rose. La sua risata
squillante
ogni volta che batteva Emmett. Il suo guardarmi dolce, premuroso. Il
suo
sguardo innamorato ogni volta che si intrecciava al mio. Il suo
sorriso, così
magnetico e caldo.
«Ti amo», sussurrò infine al mio
orecchio,
prima di continuare a baciarmi.
***
Note
dell’Autrice :3
Allora,
che ne dite?
Bè,
certamente non è una shot felice, ma spero che comunque vi
piaccia.
Never
Leave Me è parte di me, un pezzo della mia pelle.
E’ nata da un mio sogno e non ci sono affezionata, di
più.
Insomma,
spero che vi piaccia *--*
E
perché no, che vi faccia commuovere, tanto quanto ho pianto
io mentre la
scrivevo.
Grazie
a tutti per le belle recensioni! ^^
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