epilogue
Epilogue.
-
Is this a goodbye? -
Erano
ormai passati due mesi e mezzo e Monique era giunta al fatidico nono
mese. In tutto quel periodo non aveva conosciuto altro che lacrime,
occhiaie e tanto dolore.
Non
aveva più visto Tom dall'ultimo litigio che avevano avuto
sotto casa sua. Era successo ciò che lui aveva chiesto, eppure
lei non riusciva a toglierselo dalla testa, come una stupida
ragazzina innamorata. Aveva sempre avuto una certa attrazione per i
ragazzi che la facevano irrimediabilmente soffrire; forse perchè
in fondo le piaceva. Si era sempre considerata una masochista per
natura e la cosa non la sorprendeva più di tanto.
La
rabbia era andata a riempire anche l'animo di Jessica, la quale era
venuta a sapere di tutta la vicenda ed ora viveva in simbiosi con
Monique, ancor più di prima.
Aveva
deciso di trasferirsi a casa sua, quell'ultimo periodo in cui il
bambino sarebbe potuto nascere da un momento all'altro. In caso di
emergenza, per lo meno, avrebbe potuto assisterla con immediatezza.
La
rossa aveva partecipato solamente a tanti pianti, da parte della sua
migliore amica e ciò l'aveva semplicemente mandata in bestia.
Aveva conosciuto Tom, molto tempo prima e, sin dall'inizio, si era
sempre affidata alla sua dolcezza; aveva riposto in lui tanta fiducia
e non vedeva l'ora che finalmente si dichiarasse a Monique.
Quell'ultimo evento però, le aveva fatto cambiare radicalmente
idea. Si chiedeva come fosse possibile un comportamento simile da
parte del ragazzo e non era disposta a credere che tutto ciò
che aveva detto alla mora fosse pura verità. Doveva esserci
decisamente altro, dietro tutta quella storia.
Monique
sedeva rannicchiata sul suo divano, intenta ad osservare senza
interesse un quiz televisivo.
La
pancia era cresciuta ulteriormente e ormai sentiva solo un grande
peso in ogni cosa che faceva. Ora desiderava solamente che il giorno
del parto arrivasse il più in fretta possibile, nonostante ciò
la terrorizzasse; il suo corpo non riusciva più a reggere.
Sospirò
afflitta, quando la figura del chitarrista si fece nitida nella sua
mente: aveva immaginato di averlo accanto a lei, il giorno in cui suo
figlio sarebbe nato, pur non essendo lui il padre. Avrebbe voluto
vicino a sé le due persone che adorava con tutta se stessa,
tra cui Jessica. Quel giorno se l'era sempre immaginato così.
Forse aveva lavorato un po' troppo con la fantasia, soprattutto sulla
presenza del chitarrista, ma vi aveva affidato talmente tanto le sue
speranze che niente l'aveva portata a dubitare.
Jessica,
nel frattempo, si era seduta accanto a lei, sul divano, in religioso
silenzio. La rossa aveva capito che durante quei suoi momenti di
riflessione, di tristezza improvvisa, aveva bisogno di essere
lasciata in pace, tranquilla ed in sola compagnia del suo dispiacere.
Le aveva sempre detto che era del tutto sbagliato e deleterio quel
suo modo di fare, ma Monique non voleva saperne di rallegrarsi in
qualunque modo, perchè avrebbe sempre sentito la voce del
chitarrista nelle sue orecchie, come un tormento.
Monique
tuttavia non aveva tagliato i ponti con il resto della band,
nonostante con Tom l'avesse fatto. Ogni tanto riceveva le solite
telefonate da loro o da David, incuriositi dal suo stato e vogliosi
di essere aggiornati su progressi e situazioni. Lei, nonostante
tutto, parlava con loro con la giusta serenità; d'altronde non
c'entravano nulla, in quella strana storia.
Le
faceva male sentire la voce di Bill e nemmeno un sussurro di quella
di suo fratello, ma ogni volta pregava perchè fosse affianco a
lui, nel momento della telefonata, per sapere qualcosa di lei, pur
non dandolo a vedere. Essere sognatrice aveva sempre fatto parte
della sua natura, glielo diceva anche sua madre.
Improvvisamente
udì il telefono di casa squillare e ciò la catapultò
nuovamente nella realtà che per un momento si era allontanata
pericolosamente da lei. Si voltò verso Jessica, la quale si
alzò velocemente per rispondere, accanto a lei.
«Pronto?
Oh, ciao. Sì, sì, è qui. Te la passo.»
detto questo, Jessica passò la cornetta a Monique, che
aggrottò le sopracciglia, chiedendole con il solo uso del
labiale chi fosse.
«Pronto?»
rispose, timorosa. Per un attimo sperò di sentire la voce del
chitarrista – quasi stupidamente – ma così non fu.
«Hey,
Monique, sono Gustav.» la voce del biondino la fece
sorridere dolcemente: era sempre un piacere parlare con lui.
«Hey,
ciao.» si rannicchiò nuovamente sul divano, con il
telefono all'orecchio ed un sorriso spontaneo sul volto.
«Come
stai?» le domandò premuroso, come sempre.
«Bene,
apparte che non vedo l'ora di partorire perchè questa pancia
sta diventando insopportabile. È un miracolo che io riesca
ancora a dormire nel mio letto.» ridacchiò la mora,
torcendosi una ciocca di capelli tra le dita. Udì la lieve
risata del batterista.
«E
il piccolo? Da sempre i suoi calcetti?»
«Quelli
non mancano mai... Ultimamente sono anche aumentati. Diciamo che ci
tiene a farsi sentire.»
«Quindi
sei decisa a non sapere se è maschio o femmina, fino
all'ultimo?»
«Esatto.
Voglio fare tutto quanto inconsapevole di ciò che ne uscirà
fuori.»
«Beh,
poi ci dovrai subito chiamare per dirci se sarà un lui o una
lei.»
Monique
esitò per qualche attimo. Non parlò; semplicemente
fissò il vuoto pensierosa. Un po' di tempo prima, non le
avevano detto che per quando il piccolo ci sarebbe stato, loro
l'avrebbero visto?
Aveva
paura di porre quella domanda, ma doveva sapere.
«Scusami,
Gustav ma... Non avevate detto che... Ci sareste stati?»
«Il
progetto del tour è stato terminato prima del previsto e
quindi sono state anticipate le date. Non le avevamo ancora
confermate alle fans e un po' di tempo fa sono uscite quelle
definitive. Non te l'ha detto Tom?»
Monique
strinse il filo della cornetta con tutta la forza che possedeva.
«No...
Non me l'ha detto.» rispose freddamente.
«Beh,
perchè... Partiamo domani.» Quelle parole furono
registrate dal suo cervello qualche secondo più tardi. Fu come
se non avesse compreso appieno cosa ciò volesse dire. «Per
questo ti ho chiamato... Per chiederti se domani vieni all'aeroporto,
così ci salutiamo.» aggiunse il biondo.
Faceva
quasi fatica a respirare. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe
arrivato ma non credeva così presto e in una situazione del
genere, che solo ultimamente si era venuta a creare.
Chiuse
gli occhi, fino a stringere le palpebre quasi violentemente. Non
sarebbe riuscita a guardare nelle pagliuzze nocciola del
chitarrista... Non sarebbe riuscita a sopportare il suo silenzio, il
suo allontanamento, il suo non volerne sapere di lei. Non voleva
uscire da quell'aeroporto con la consapevolezza di non aver salutato
solamente una persona; quella che le era stata più vicino in
quel periodo, quella che amava.
«Non
lo so, Gustav...» mormorò tremante.
Stupida,
si disse. Gli altri non c'entrano.
«Monique...
So qual'è la tua situazione con Tom, in questo momento. Però,
ci teniamo che tu ci sia. Teniamo a salutarti, d'altronde ci siamo
tutti affezionati a te e... Non è giusto che ci rimettiamo sia
te che noi, per colpa di altri fatti.» provò
nuovamente Gustav con tono speranzoso, al che Monique si rese conto
che non avrebbe mai potuto dirgli di no.
«D'accordo,
Gustav. Lo faccio solo per vedere voi.» si arrese con un lieve
sospiro. Avrebbe potuto farcela. Doveva dimostrare che lei era più
forte di un ragazzo che l'aveva presa e trattata come meglio gli era
piaciuto, senza preoccuparsi dei suoi sentimenti. Sì, lei era
più forte.
«Grazie,
Monique... Allora ci vediamo domani mattina. Alle dieci in aeroporto,
d'accordo?»
«D'accordo.»
«A
domani.»
Passò
la cornetta a Jessica, con lo sguardo perso nel vuoto e come
un'automa. La rossa la prese e la ripose al suo posto, per poi
tornare a scrutarla incuriosita.
«Domani
partono.» soffiò Monique, senza guardarla, proprio
mentre sentiva un improvviso bruciore prendere spazio nei suoi occhi,
ormai fin troppo conosciuto.
**
Guardava
l'entrata di quell'aeroporto con distacco, da dietro il finestrino
dell'auto di Jessica. Si stringeva spasmodicamente le mani, esitando
sul da farsi. Poteva nitidamente riconoscere le figure dei ragazzi al
di là del vetro. Tutti aspettavano il suo arrivo. Tutti,
forse, eccetto uno.
Dannato
coraggio, veniva sempre a mancare quando si trattava di dare
dimostrazione a qualcuno. Maggiormente se questo qualcuno era il
ragazzo per cui aveva irrimediabilmente perso la testa.
«Dai...
Prima o poi lo devi affrontare.» la incoraggiò
mestamente la rossa, affianco a lei e con tono lieve. Solamente lei
era in grado di capire cosa provasse nel profondo. Quel senso di
amore infinito, accompagnato ad odio profondo. La felicità ed
il rifiuto nel doverlo rivedere dopo due mesi e mezzo di completo
silenzio. Tante domande, come sempre, andavano a formularsi nella sua
mente.
Come
avrebbe reagito nel rivederla? Avrebbe avuto il coraggio di
salutarla, dopo quello che si erano detti?
Decise
che rimanere in quella macchina a pensare sulle varie possibilità
era del tutto inutile; l'unico modo per scoprirlo era uscire di lì
e camminare dritta in contro alla realtà.
Sospirò
pesantemente e finalmente decise di scendere dall'autoveicolo. Salutò
Jessica con un gesto della mano: sapeva che sarebbe rimasta lì
in macchina, fino al suo ritorno, e forse era meglio così.
Avrebbe dovuto affrontare tutta quella situazione da sola, con le
proprie gambe.
Sentiva
il cuore scoppiarle da un momento all'altro in petto, mano a mano che
la distanza fra loro diminuiva. Le ante scorrevoli si aprirono
davanti a lei, non appena vi fu di fronte, e l'immagine della band si
fece più chiara. Il primo a vederla fu Georg, il quale si
illuminò in un radioso sorriso e le fece un cenno con la mano.
Avanti,
Monique, continuava a ripetersi mentalmente, mentre camminava
verso di loro. Gli occhi, per un attimo si posarono sul chitarrista e
rabbrividì nel constatare che quest'ultimo la guardava con
espressione affranta in viso. Non sembravano pochi mesi a
separarli... Sembravano infiniti anni.
«Ciao,
Monique.» la salutò calorosamente David, per poi
abbracciarla con affetto, facendo ben attenzione a non darle fastidio
al ventre. «Ma guarda questa pancia com'è cresciuta!»
esclamò entusiasta, subito dopo essersi separato da lei, la
quale sorrise intimidita.
«Già.»
mormorò.
«Non
puoi capire quanto mi scoccia non poter essere presente al momento
del parto! Avrei voluto vedere il fagottino sin dalla nascita,
accidenti!» si lamentò Bill, sbattendo uno stivale per
terra, com'era solito fare nei suoi momenti in cui i capricci
prendevano piede.
«Si
vede che doveva andare così. Se vuoi ti manderò una
foto.» ridacchiò Monique, ma ancora a disagio. Il
chitarrista era a qualche centimetro da lei, anche se non troppo
ravvicinato, e continuava a scrutarla in silenzio.
«Sì,
voglio la foto!» esclamò entusiasta il vocalist,
battendo ripetutamente le mani.
Monique
sorrise: quel simpatico vizio non se l'era ancora tolto.
«Sei
già al nono mese, vero?» domandò Georg.
«Sì,
tra non molto dovrebbe nascere.» annuì la mora, con una
lieve nota di emozione nella voce.
Non
credeva fosse possibile che un domani sarebbe stata entusiasta della
nascita del suo bambino o della sua bambina. Dal primo giorno aveva
odiato quell'esserino che lentamente si formava dentro di lei ma, con
il passare del tempo, non aveva potuto fare a meno di accettarlo e
soprattutto di amarlo. Aveva ancora seri dubbi su come sarebbe stata
in grado di crescerlo ma ultimamente aveva cercato di essere più
positiva a riguardo, anche con l'aiuto di Jessica che, sapeva, le
sarebbe sempre stata accanto, ad ogni difficoltà.
«Non
farcelo qui in aeroporto, mi raccomando.» scherzò
Gustav. Monique scoppiò a ridere.
«Penso
sia questione di giorni, non di minuti!» esclamò
divertita. «Comunque... Quando vi rivedrò?»
domandò successivamente, con timidezza, decisa a non degnare
di un solo sguardo Tom.
«Non
ne abbiamo la più pallida idea, anche perchè dopo il
tour dovranno tenere tantissime interviste, saremo sempre in viaggio,
tra Asia, America o altro. Non te lo so dire.» rispose David,
in tutta sincerità. «Sappi solo che ti vorrò di
nuovo al lavoro, eh.» le sorrise successivamente.
Monique
si sentì attraversata da una scossa elettrica.
Tornare
a lavorare per loro, non appena avrebbe potuto? Ciò
significava tornare a stare in contatto con il chitarrista per molte
ore della giornata? Non era convinta che per quel momento lo avrebbe
rimosso dalla testa e soprattutto dal cuore ma, d'altro canto, era
l'unico lavoro sicuro che possedeva.
«D'accordo.»
sorrise appena, abbassando lo sguardo sui suoi piedi, con fare
impacciato.
«E
ogni tanto porta il piccolo o la piccola allo studio, così ci
gioco un po' e svolgo i miei doveri di zio!» esclamò
Bill. «E ricordati che se sarà maschio, avrà come
secondo nome il mio!» aggiunse con sguardo altezzoso.
«Sì,
Bill, io mantengo le promesse.» rise Monique.
«Ragazzi,
forse è arrivato il momento dei saluti. Tra non molto avverrà
il check in.» annunciò David, con un gran dispiacere
negli occhi. «Ciao, piccolina. Ci vediamo, spero, presto. E
auguri per il piccolo o la piccola.» disse poi, abbracciando
affettuosamente la mora, la quale ricambiò la stretta. Non
seppe dire come mai le si formò un gran magone in gola,
d'altronde li avrebbe rivisti prima o dopo. Si premurò di dare
la colpa alla sua gravidanza, la quale la rendeva più
suscettibile e più facile alle lacrime, da qualche tempo.
Abbracciò,
uno ad uno, ogni componente della band, escluso Tom. A dire il vero,
era talmente frastornata che non capì nemmeno dove fosse.
Aveva paura di ricevere un'ennesima delusione, la mazzata finale;
quella che l'avrebbe fatta tornare a casa a pezzi.
Dopo
aver ricevuto l'ultimo bacio sulla guancia da parte di Bill, li vide
allontanarsi appena. Delusa, si voltò per uscire da
quell'aeroporto ma una voce ormai fin troppo conosciuta, la fece
inchiodare e sobbalzare.
«Monique.»
Tremante ed incontrollata, si voltò lentamente nella direzione
da cui proveniva quel piacevole e caldo richiamo. Di fronte a lei,
Tom la osservava timido e triste. Sentir pronunciare il proprio nome
per la seconda volta dal chitarrista era un qualcosa di
indescrivibile. Milioni di brividi si protrassero lungo tutto il suo
corpo. Non disse nulla semplicemente perchè nessuna parola
intelligente o adatta alla situazione le veniva in mente. Se l'aveva
fermata un motivo vi era e lui sapeva cosa dirle, perciò
decise di attendere una sua qualunque frase. «Volevo... Dirti
una cosa.» mormorò il chitarrista, stringendosi le mani.
Quell'azione nervosa non passò inosservata a Monique, la quale
non si sentiva da meno. Una grande ansia, accompagnata a voglia di
stringere forte a sé il ragazzo, si liberò in lei. «Ti
ricordi quando ti ho detto che non volevo illuderti con false
speranze?» le domandò cautamente. La mora si limitò
ad annuire appena, perchè altro non riusciva a fare. «Vedi...
La mia vita è fatta di questo: viaggi, concerti, groupies,
alcol. Io, non sono in grado di prendermi cura di te e non sono
soprattutto in grado di prendermi cura di un bambino. Sapevo che
sarebbe arrivato presto il momento in cui io sarei dovuto andare via
e per questo mi sono sempre spaccato la testa in quattro per non
farmi prendere da te e per far sì che tu non facessi lo stesso
con me. In macchina mi hai chiesto una spiegazione e io te la sto
dando: in tutto questo tempo, dal primo giorno in cui tu hai messo
piede nel nostro studio, io ho avuto paura di te. Sapevo che eri una
minaccia per me e che saresti stata una ragazza in grado di mandarmi
fuori di testa. Perchè eri dannatamente bella, perchè
eri dolce ed altruista, perchè eri così indifesa che
avevo voglia di proteggerti da tutto e da tutti. Ma al tempo stesso
sapevo che non avrei potuto e forse non avrei neanche saputo farlo,
in vista di questi avvenimenti. Non potremmo stare insieme, capisci,
Monique? Semplicemente perchè non riuscirei a sopportare la
troppa lontananza e, conoscendomi, non riuscirei neanche ad esserti
fedele. Stiamo parlando di tanti mesi di distacco, non di qualche
giorno ed io sono pur sempre un ragazzo con i propri bisogni. Per di
più un ragazzo che mai ha provato l'amore, quello vero. E io
non vorrei vederti stare male per me... Non di nuovo. È per
questo che ho sempre cercato di tenerti lontana, inizialmente,
trattandoti perfino male. Non volevo che tu ti affezionassi a me,
perchè poi io avrei fatto lo stesso con te e sarebbe stato più
difficile porre un muro fra noi due. Ma poi non sono riuscito a
negare l'evidenza e cioè che io sono sempre stato preso da te
e più continuavo a convincermi del contrario, più i
dubbi aumentavano, rendendomi nervoso. Questo spiega tutti gli errori
che ho fatto, avvicinandomi ulteriormente a te, con baci, tenerezze
e... L'ultima cosa che ho fatto. Perchè ho cercato di usare
sempre razionalità ma il mio istinto non ha potuto fare a meno
di agire quando più ne sentiva il bisogno. Averti vicino è
sempre stata una tortura, dico sul serio, eppure mi ero talmente
tanto preso a cuore la tua gravidanza che non avrei potuto ignorarti.
Mi dispiace se alla fine non sono riuscito a tenerti lontana da me e
che in tutto questo tempo ti ho solamente confuso le idee e fatto del
male; non era assolutamente mia intenzione. Spero solo tu abbia
capito il mio punto di vista e mi possa perdonare.»
Sapeva
che non sarebbe riuscita a reggere quello sguardo penetrante un
secondo di più.
Era
semplicemente incredula; in pochi secondi aveva risposto ad ogni
singola domanda che si era posta in tanti mesi, diventando pazza.
Tutto quel tempo a chiedersi cosa mai passasse per la testa del
chitarrista ed alla fine la risposta era semplice. Aveva sempre
escluso la possibilità che potesse essere attratto da lei, a
priori. Non perchè non l'avesse presa in considerazione, ma
perchè le pareva semplicemente assurdo e troppo bello e
semplice per essere vero. Non poteva negare di aver dubitato a
riguardo, in certi momenti, ma poi la sua mente era sempre tornata a
formulare ipotesi decisamente più pessimistiche e finalizzate
a provocarle ulteriore dolore.
Ora
si sentiva combattuta: da una parte, quella istintiva, si sentiva
felice di tale ammissione perchè ciò voleva dire che
non si era solamente fatta tanti film su loro due ma che ciò
era passato anche per il cervello del chitarrista; dall'altra, quella
dannatamente razionale, si sentiva furiosa. Si sentiva furiosa perchè
avrebbe potuto risparmiare tanti mesi di agonia, tanti mesi di
interrogativi e speranze sui sentimenti del ragazzo, quando in realtà
era tutto molto più semplice. Era stato solamente esasperato e
complicato dal moro, pur non avendolo fatto intenzionalmente, come le
aveva detto.
Abbassò
lo sguardo, stringendo le mani a pugno, nelle tasche del cappotto. Si
sentiva quasi presa in giro.
«So
che ti sentirai furiosa con me e non ti biasimo. Avrei potuto
risparmiarti tanti nervosismi, soprattutto perchè sei incinta.
Ma d'altro canto sono un ragazzo giovane e di errori e casini, a
quest'età, se ne commettono spesso. Non voglio assolutamente
giustificarmi ma... E' la verità.» disse mortificato.
«Tom,
muoviti, dobbiamo fare il check in!» gridò a qualche
metro di distanza il vocalist, non consapevole di ciò che nel
frattempo fra Tom e Monique stava accadendo.
«Bill,
un secondo, arrivo, cazzo!» esclamò nervosamente,
tornando poi ad osservare la mora in viso. «Ti prego, dimmi per
lo meno qualcosa. Non farmi partire in questo modo, senza avermi
assicurato che non mi odi.» la implorò con sguardo
timoroso.
Monique
non sapeva nemmeno che dire. Si sentiva strana, come non si trovasse
realmente in quell'aeroporto. Voleva allontanarlo da sé ma
allo stesso tempo non voleva separarsi da lui. Ed il tempo stava
scorrendo decisamente troppo in fretta per permetterle di ragionare
con la giusta calma.
«Non
so cosa vorresti che ti dicessi... I fatti sono questi e...
Sinceramente non saprei che dire. Qualunque cosa sarebbe inutile;
d'altronde, sei stato chiaro: fra noi non può esserci nulla.
Quindi, più che dirti “Ciao, Tom, fai buon viaggio”, non
saprei che fare.» mormorò apatica. Una frase priva di
enfasi, priva di rabbia... Solamente colma di tanta rassegnazione ed
impotenza.
«No,
Monique, per favore, non...»
«Tom!
Cosa vuoi che ti dica?! Mi hai appena chiuso una porta in faccia!
Pretendi che io ti salti addosso e ti abbracci con tutte le mie
forze, ripetendoti quanto io tenga a te e quanto mi mancherai?! Sono
una persona e ho dei sentimenti anche io! Mi sento ferita, mi pare
normale!»
«Io
non pretendo che tu faccia questo, ti chiedo solo di non guardarmi
con quegli occhi delusi. Fa male.»
«Anche
a me fa male tutto questo, Tom.»
«Lo
so e mi sento una merda, in questo momento, lo giuro!»
«E
quindi? Non riesco a capire cosa vuoi da me!»
«Vorrei
poter partire senza alcun rancore da parte tua. Vorrei poter tornare
a Berlino e sapere che posso salutarti con il sorriso in faccia.»
Monique
restò qualche attimo in silenzio, meditabonda su quelle
parole. Non poteva affrontare tutto ciò con quella
superficialità. Le cose non potevano tornare a posto da un
secondo all'altro. Non era un corpo esanime pronto a subire qualsiasi
pugnalata, senza percepire dolore.
Lo
scrutò attentamente, come rapita, fino a che non sollevò
con lentezza la mano per posarla sul suo braccio.
«Sono
contenta che tu riesca ad affrontare tutto quanto in modo così
semplice, Tom... Sono davvero contenta per te. Fai buon viaggio.»
disse affranta, facendo per voltarsi verso l'uscita, quando il
ragazzo la afferrò delicatamente per la mano.
«Monique,
per favore...» provò nuovamente, fino a che David, da
lontano, non richiamò la sua attenzione con maggiore enfasi.
Tom strinse gli occhi combattuto e pressato. «Per favore...»
ripetè in un soffio, dopo averli riaperti lentamente. Monique
si sentì come trafitta da una lamina tagliente, in quello
stesso istante. Sentiva che stava per scoppiare irrimediabilmente in
lacrime, ma non l'avrebbe fatto davanti a lui.
«Mi
mancherai.» sorrise appena, con gli occhi lucidi ed uno sguardo
triste in viso.
I
secondi in cui percepì le loro mani calde e lisce scivolare
fra loro, allontanandosi millimetro dopo millimetro sempre di più,
furono l'ultimo brivido che il suo cuore ebbe il piacere di provare
con lui, prima di osservare quell'aereo bianco sfrecciare veloce nel
cielo limpido ed infinito di Berlino.
|