Quello che tutti sanno è che lui è il suo migliore amico.
Roy abbassa
lo sguardo sul bicchiere che tiene in mano e fa oscillare il liquido ambrato
contro le pareti di vetro mentre Hughes, accanto a lui, è proteso verso il
barman che pochi minuti prima ha commesso l'imprudenza di chiedergli quanti anni
avesse sua figlia, e adesso si ritrova nell'impossibilità di fare altro se non
guardare l'infinita carrellata di fotografie che gli venivano messe sotto il
naso, accompagnate da fiumi di parole ed elogi che si sprecavano, nel descrivere
quanto sua figlia fosse meravigliosa e
quanto Gracia fosse la
donna migliore a cui un uomo potesse essere sposato –
insomma, la solita
vecchia storia.
Le parole gli arrivano come da lontano e lui non può
fare a meno di sospirare, nel catturare l'espressione afflitta dell'uomo che ha
davanti e tutto ad un tratto sorride e si alza, scuotendo il capo, e lascia un
fascio di banconote sul bancone mormorando un sommesso: «Il resto è per il
disturbo.» Afferra il cappotto, e fa appena in tempo a voltarsi che il
chiacchiericcio termina e Hughes è accanto a lui, le mani in tasca, con dipinta
in faccia un'espressione che oscilla in precario equilibrio tra la sorpresa e un
accenno seppur velato di fastidio. «Ce ne andiamo di già? Non è neanche
mezzanotte!»
Roy non si volta a guardarlo e in pochi passi è già alla porta.
Solo allora si ferma, con la maniglia in mano, e solleva gli occhi sul suo viso
e, insieme a questi, anche un sopracciglio. «È stata una giornata pesante,»
dice, ma sanno benissimo tutti e due che quella frase non vuol dire niente.
Hughes sospira e rilassa le spalle, abbozzando un mezzo sorriso che è quasi di
compatimento. «Okay, okay. Ti riaccompagno a casa.»
Roy fa spallucce, ma
apre lo stesso la porta senza commentare ed in un attimo è già in strada, con il
vento freddo che gli schiaffeggia il viso e l'aria gelida della notte che sembra
colpirlo come tanti spilloni. Hughes, due passi indietro, si stringe le braccia
attorno al corpo. «Si gela! Ma dove siamo qui, a East City o a Briggs?»
Roy
si ferma sotto un lampione per un breve secondo, dando tempo a Hughes di
affiancarlo e di superarlo sotto la luce opaca e giallognola. «L'inverno arriva
da tutte le parti, sai?» Poi scuote la testa e le spalle e quasi ride davanti
alla sua espressione imbronciata: «Andiamo, è qui dietro l'angolo. Così la
prossima volta impari a portarti un cappotto più pesante.»
Hughes sbuffa e
il suo fiato si condensa in una nuvoletta gonfia davanti alle sue labbra. «Come
no. E ora concluderai la frase con "e comunque nessuno ti ha costretto ad
accompagnarmi".»
«No.» Si infila le mani in tasca e gli porge un paio di
guanti bianchi che lui guarda con una cert'aria sospettosa, prima di accettarli.
«E comunque nessuno ti ha costretto…»
«Lo stai facendo.»
Roy sbuffa.
«
Dicevo, che nessuno ti ha costretto a venire fin qui a piedi.»
«Non
era quello che volevi dire.»
Quando Roy ride la condensa è più grande, più
scura. «Non lo saprai mai.» E poi cade il silenzio, un silenzio quasi caldo che
sembra opporsi all'aria gelida che li circonda e Hughes si fa un pelo più
vicino, forse per scansare una pozzanghera, abbastanza vicino perché Roy possa
sentire i gemiti frustrati del suo respiro e i suoi denti battere per il freddo.
Lo guarda con la coda dell'occhio e tutto quello che vede sono le lenti quasi
opache dei suoi occhiali e la linea della mascella addolcita appena dal filo di
barba, e poi guarda avanti, dove la strada si piega con una curva a gomito
dietro la quale, poco più in là, c'è il portone piccolo, scuro e sgangherato del
suo condominio.
Grazie al cielo non manca molto. «Quando hai il treno,
domani mattina?»
Hughes si sbuffa aria calda sulle mani strette in guanti
troppo piccoli e poi scuote il capo, come fa sempre quando non ha buone notizie.
«Non prima di mezzogiorno,» confessa, come se la colpa fosse sua.
Roy sbatte
le palpebre un paio di volte e, quando sono a pochi metri sul portone quasi
invisibile, si stringe nelle spalle, mormorando: «Allora immagino che potrò
farti la carità di una tazza di caffè, prima che tu torni in albergo.»
Hughes si ferma, come colpito, e Roy si volta a guardarlo con un
sopracciglio inarcato: «Cosa?»
«Un
caffè?» Ha l'aria così abbattuta e
tradita che lui a malapena riesce a trattenere una risata. «Andiamo, Roy, non
puoi farmi ritornare in albergo con questo freddo! Non puoi farmi la carità
anche di un posticino sul tuo divano? Lo apprezzerei tantissimo.»
Roy
aggrotta le sopracciglia e quasi mette il broncio. «Tu lo
sai che è lo
Stato che paga la tua camera d'albergo, Hughes?»
«E io lo apprezzo
tantissimo,» commenta, avvicinandosi al portone senza degnare Roy di uno
sguardo. «Ma se pensi che tornerò in questa bufera soltanto perché lo stato ha
cacciato indietro le tasse che gli pago per riservarmi una stanza in hotel, be',
ti sbagli di grosso.» E spinge il portone con una manata, tenendolo poi fermo
sui cardini a poca distanza dal proprio viso. «Entriamo?»
Roy esita per un
momento, ancora con le sopracciglia aggrottate, ma alla fine cede con un sospiro
quasi di rassegnazione e fa i due passi che lo separano dalla porta sgangherata
fino a trovarsi nell'angusta hall, finalmente al riparo dal gelo. «D'accordo,»
bofonchia, scoccandogli un'occhiataccia. «Ma a te toccano il divano e la coperta
di ciniglia che punge.»
E continuerebbe davvero a fare il sostenuto, se il
sorriso di gratitudine di Hughes non fosse così aperto e onesto e maledettamente
disarmante. «Grazie, mi sdebiterò,» gli urla quasi dietro quando lui è già per
le scale, ma Roy non si volta, perché può sentire distintamente i passi pesanti
che, da un momento all'altro, l'avrebbero raggiunto sul pianerottolo. Ed
infatti, giusto il tempo per recuperare una vecchia chiave quasi arrugginita ed
infilarla nella toppa, Hughes è di nuovo accanto a lui. Roy apre la porta con
uno scatto e, quando se la richiude alle spalle entrambi sono dentro.
Hughes
fa qualche passo nell'appartamento, fino a sbucare nel cucinino in disordine e
recupera un paio di tazze dalla credenza mentre Roy, liberatosi del cappotto,
sta già mettendo su il caffè. Lo guarda con la coda dell'occhio avvicinarsi e
sistemare le due tazze accanto ai fornelli e, quando si volta, lui è talmente
vicino che, se sporgesse un poco il mento, potrebbe sentire la sua barba ispida
sul viso. «Levati,» gli fa, con un moto di stizza. «Devo andare a prendere la
tua stupida coperta.»
«Fa freddino qui,» commenta lui, come se neanche lo
avesse sentito, e Roy vorrebbe tanto non essersi appena sbarazzato dei suoi
guanti. «Allora, invece di perdere tempo a dar fastidio a me, vai ad accendere
la stufa.»
Ma Hughes non lo sta ascoltando. Gli afferra le spalle con
entrambe le mani e si china, quel poco che basta per raggiungere le sue labbra.
«Roy,» soffia, accarezzando il suo nome e la sua bocca con la propria, e lui gli
afferra il bavero della giacca, spintonandolo in malo modo fino a che Hughes si
allontana di un passo, senza tuttavia smettere di stringergli le
braccia.
«Che stai facendo?»
«Lo sai che sto facendo.»
«Non pensare
neanche per un secondo che ti porterò in camera da letto. Ho detto che dormirai
sul divano, e tu dormirai sul divano.»
Hughes sorride, e sulle sue labbra
compare perfino un ghigno divertito. Si toglie gli occhiali, infilandoli poi con
un gesto fluido nella tasca della giacca prima di tornare esattamente nella
stessa posizione in cui era prima e gli si avvicina di nuovo, tanto che le punte
dei loro nasi quasi si toccano. «D'accordo,» sussurra, ed è abbastanza perché la
sua voce riempia tutta la stanza. «Allora lo faremo sul divano. E con la coperta
di ciniglia che punge,» aggiunge, quasi provocatorio, prima di tornare
nuovamente a cercare le sue labbra.
E questa volta, Roy non glielo
impedisce.
Perché quello che gli altri non sanno è che sotto la facciata,
dietro le porte chiuse, e le finestre e al riparo da tutti coloro che non
possono – e non vogliono – vedere, lui ama quest'uomo più di chiunque altro al
mondo.
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N/A
Scritta per la Notte Bianca ai
Mari di
Challenge (in cui ha pure vinto il banner come fill
più lungo, escusateseèpoco) con prompt
Quello
che gli altri non sanno, gentilmente offerto da
CaskaLangley. *o*
Che devo dire. Niente. Sono troppo belli per le parole. Punto. Ed
è triste quanto poco amore si dia a questi due esserini nel
fandom. ù_ù
Dedica? Mah, non riesco a pensare a nessuno dei miei amici che
apprezzerebbe. XD Diciamo, quindi, mantenendoci sul vago, che è
dedicata a
tutti i pochi, sperduti, spaventati e
pigri fan della HyuRoy? (Daaai, ditemi che almeno voi apprezzate,
ditemi che esistete! ç_ç) [/random]
Btw, grazie per essere arrivati a leggere fin qui. ~♥