Questa
storia si è classificata seconda e ha vinto il Premio della
Critica (della serie: non vantiamoci troppo...) al contest The
Graveyard di Forgotten
stories. In fondo alla pagina troverete il loro giudizio;
ringrazio Eruannë e Raf per il bellissimo contest, per i
banner (che potete vedere qui sotto) e per tutto il resto.
=THE
GRAVEYARD=
Era
una notte d'acqua a catinelle...
di Ceciotta.
“Che cosa
stupida...” continuavo a bofonchiare. “Una prova di
coraggio... ma per favore!”
Ero da sola, parlavo
al vento per lenire la solitudine.
In poche parole: ero
pazza. E di certo le circostanze confermavano la diagnosi.
Mi guardai attorno:
non ero ancora entrata nel cimitero, ferma davanti al cancello, ma
già i miei amici si erano defilati, probabilmente nascosti
dietro qualche albero non troppo lontano. Sapevo che mi stavano
seguendo passo a passo per vedere che tenessi fede all'accordo, che non
mi fossi rifugiata in qualche bar. Non che non ne fossi tentata: in
quella notte di fine ottobre, nonostante una giacca pesante, il freddo
pungente mi arrivava fino alle ossa; pensai con rimpianto al bar
rumoroso e caldo al limitare del paese, poco lontano da lì,
che per l'occasione era aperto quasi tutta la notte. Non sarebbe stata
una cattiva idea rinunciare a quell'assurdità, voltarmi
verso i miei amici e proporre un giro di cioccolate calde aromatizzate
alla cannella. Ma quella era una prova di coraggio e se mi fossi tirata
indietro proprio lì, alla soglia del cimitero, avrei dovuto
sopportare le prese in giro di Andrea per almeno una decina d'anni.
Dopo tutto, avevo una dignità.
Un tuono in lontananza
mi fece sussultare.
Ma quale
dignità?
Però,
niente male come atmosfera: la notte di Halloween, in un cimitero, con
un temporale in arrivo. 'Un degno inizio per un pessimo film horror...'
ragionai, ma non potei fare a meno di provare una certa inquietudine.
Insultandomi in varie lingue, feci un timido passo.
“Sbrigati,
ci stiamo gelando il culo qui dietro!” esclamò
infine Andrea.
Mi voltai verso
l'albero dietro cui erano nascosti e lo fulminai. “L'idea
è stata tua!” gli ricordai. “Andatevene
al bar e venitemi a prendere quando la prova sarà
finita”.
Li sentii muoversi e
subito cinque piccole sagome si allontanarono verso il paese.
“E se si
mette a piovere?” Fu Giovanna a chiederlo, quando ormai erano
all'altezza della curva.
Guardai il cielo e, a
giudicare dalle nuvole scure e pesanti, pensai che la
possibilità non era poi così lontana. Sbuffai: se
mi fossi presa un malanno, chi la sentiva la mamma?
Rimasta sola, tornai a
guardare il cimitero: non era molto grande, ma neanche piccolo.
Dopotutto, accoglieva le povere anime che avevano abbandonato questo
mondo da almeno duecento anni. Le lapidi di marmo e di pietra, vecchio
stile, si estendevano ordinate e pulite, e una serie di viottoli si
snodava per condurre i visitatori alla loro meta, mentre qua e
là nascevano le cripte di famiglia. Le alte siepi ne
circondavano il perimetro e rendevano l'atmosfera ancor più
suggestiva: se uno zombie avesse cercato di strangolarmi, nessuno
avrebbe potuto vederlo. Tutto sommato non gli avrei dato tutti i torti:
uno pensa che dopo la morte lo attenda un meritato riposo, mentre poi
ti arriva un ragazzino rumoroso a far baccano...
Un gufo solitario che
ululava in lontananza mi fece venire la pelle d'oca. Era assurdo: io
vivevo di storie e film horror! Perché allora non riuscivo a
decidermi a fare due piccoli passi in un cimitero, di notte?
D'un tratto, mi venne
in mente una filastrocca che mi facevano cantare all'asilo e sorrisi,
lanciando un'altra occhiata alle nubi minacciose sopra di me.
Quindi varcai il
cancello, canticchiando a bassa voce.
«Era
una notte d'acqua a catinelle,
io
me ne andavo senza le bretelle.
A
un certo punto vidi un cimitero,
oh,
com'era buio, oh, com'era nero!»
Cominciai a prenderci
gusto, camminando tra le lapidi, e mi accorsi che in fondo il cimitero
non era poi così spaventoso: del resto, perché
bisognava aver paura dei morti?
Continuavo a trovare
sciocca questa prova di coraggio, anche perché sapevo
già come sarebbe andata a finire: il patto era questo, che
ogni anno uno di noi si sarebbe addentrato nel vecchio camposanto, e io
ero stata la prima, ma c'era da scommetterci che l'anno successivo i
miei amici si sarebbero accorti di essere un po' troppo cresciuti per
questo genere di divertimento e io sarei rimasta l'unica stupida ad
aver affrontato la notte al cimitero. Sbuffai, ripensando alla
discussione che avevo avuto quella mattina.
“Dai,
sarà divertente!” insisteva a bassa voce Giovanna.
Eravamo in classe, a seguire la lezione di scienze. O a fingere di
seguirla: del resto, mentre il professore scriveva qualcosa di
incomprensibile sulla lavagna, il brusio degli studenti era
così forte che di certo non avrebbe sentito noi due.
“Sì.
Divertentissimo. Una notte in un cimitero, yuhuuu!” ribattei
io con voce piatta.
Entrare
in un camposanto non mi faceva paura, ma se fossi stata uno di quei
cadaveri che marcivano nelle loro tombe mi avrebbe dato fastidio che
dei ragazzi stupidi mi camminassero intorno facendo casino.
La
mia migliore amica si affrettò a dirmi che solo uno di noi
sarebbe entrato e che il nome del fortunato sarebbe stato estratto
quella sera stessa. A quel punto il mio rifiuto era stato ancor
più categorico, anche perché mi immaginavo
Andrea, l'ideatore di questa grande iniziativa, riempire il suo stupido
cappello con bigliettini su cui aveva scritto solo e soltanto il mio
nome. Il tutto corredato da una dolcissima risata satanica.
Giovanna
non demorse, non era nel suo stile. “Ma è
Halloween!” mi fece notare, come se questo giustificasse il
disturbo della quiete eterna dei morti.
“Sarà
anche Halloween, ma questa prova di coraggio è stupida e
banale” tagliai corto, copiando una formula astrusa dalla
lavagna.
“Lo
sai cosa dirà Andrea” disse, guardandomi con occhi
carichi di pena.
“Lo
sai quanto mi interessa” le ricordai.
E allora
perché ero lì, ad aspettare che la mia
temperatura corporea raggiungesse quella dei morti che mi stavano
attorno? Certo, gli occhi da cerbiatto che mi aveva fatto Giovanna
c'entravano qualcosa... accidenti! Quella ragazza sembrava tanto
ingenua, ma sapeva rigirarti come voleva senza che tu te ne accorgessi.
Cos'avrei dato per una
bella tazza di cioccolata calda. Speravo che gli altri venissero a
tirarmi fuori da lì prima che il bar chiudesse, almeno me ne
sarei bevuta una mezza dozzina. O forse una bella birra alcolica... no,
meglio di no: il mio paese non era tanto piccolo, ma la
possibilità che le voci arrivassero a mia madre non era poi
così remota e già m'immaginavo la sua faccia se
avesse saputo che bevevo qualcosa di più alcolico di una
Fanta Lemon.
Camminavo tra le
lapidi, osservando i nomi che vi erano scritti sopra. Di tanto in tanto
trovavo il nome di qualche mio avo sepolto qui e cercavo di scorgerne i
tratti nelle piccole e vecchie fotografie che a malapena riuscivo a
vedere alla poca luce della mia torcia.
Continuavo a chiedermi
cosa avrebbero pensato se avessero saputo che la loro discendente
preferita (perché sono certa che, se avessero avuto l'onore
di conoscermi, mi avrebbero adorato) era lì a pochi passi da
loro. Chissà se mi avrebbero scacciato?
All'inizio della
serata, dato che mezzo paese era venuto a conoscenza del piano
diabolico (segno che i genitori hanno spie ovunque), avevo pensato che
qualcuno ci avrebbe fermato, considerando inconcepibile questa nostra
alzata d'ingegno, eppure anche la maggior parte dei vecchi del paese
scuotevano la testa con indulgenza, come se per loro questa non fosse
altro che una bambinata.
Un altro tuono,
più vicino adesso. Scocciata, cercai con lo sguardo un
eventuale riparo in caso di pioggia, come una cripta o un capanno.
Durante questa
ricerca, mi parve di vedere qualcosa scintillare, in lontananza, e,
presa dalla curiosità, decisi di andare a vedere.
Cambiai sentiero e
superai una fila di cipressi che tagliava in due il cimitero:
lì c'era la parte considerata come vecchio camposanto, ossia
dove c'erano i morti più antichi.
Nel farlo, ripresi la
mia filastrocca.
«E
saltellando tomba dopo tomba,
vidi
una bionda, mamma mia che bionda,
era
il fantasma della zia Gioconda,
che
ripuliva la sua tomba nera e fonda!»
Mi fermai, stupita, e
capii di non essere sola. Avvampai all'idea che qualcuno mi avesse
sentita mentre esibivo le mie doti canore.
A una decina di metri
da me c'era una ragazza dai capelli neri, acconciati in boccoli
perfetti, , dall'aspetto gentile e aristocratico. Era vestita in modo
alquanto strano, visto che non doveva avere più di
venticinque anni: i suoi vestiti erano della stessa foggia di quelli
che avevo visto nella vecchie fotografie della mia bisnonna.
Ciò che più mi colpì era la posizione
in cui era messa: era comodamente seduta su una lapide, con le mani in
grembo, e muoveva appena la testa per guardarsi attorno, quasi si
aspettasse di veder apparire qualcuno. Mi accigliai: come si permetteva
di sedersi su una tomba? Un minimo di rispetto per i morti non poteva
mostrarlo?
Senti chi parla!, mi
disse una vocina nella mia testa. Tu sei entrata in un cimitero di
notte, te ne vai in giro canticchiando, stonata come sei, e critichi
qualcun altro per mancare di rispetto a un morto? Tu ne avrai
risvegliati una dozzina!
Ok, ero l'ultima che
poteva parlare. Ma quella usava una lapide per riposare le sue nobili
terga!
E poi... che ci faceva
una perfetta sconosciuta in questo cimitero? Sapevo che non era del
luogo, non l'avevo mai vista prima e, se fosse successo, vi assicuro
che l'avrei notata: una che si veste in questo modo non passava
inosservata e poi aveva qualcosa, come un'aura di mistero, che mi
attirava e mi faceva desiderare di conoscerla meglio.
La ragazza, d'un
tratto, alzò la testa su di me e sorrise, radiosa. Quando
poi mi fece cenno di avvicinarmi, rimasi di sasso.
Con un sospiro,
obbedii, chiedendomi cosa volesse la strana tipa.
“Buongiorno”
dissi stupidamente. Lanciai un'occhiata al cielo notturno e sospirai.
“Ciao a
te” replicò lei, guardandomi con interesse.
“Chi sei?”
“Potrei
farti la stessa domanda” ribattei, sicura di me.
Lei sollevò
un sopracciglio e fece per parlare, poi si portò una mano
davanti alla bocca e produsse una risata cristallina e raffinata.
“Che
c'è che ti diverte tanto?” chiesi, innervosita dal
suo comportamento. Non mi piaceva essere presa in giro.
Lei sorrise, con
grazia. “Sei buffa” rispose, come se questo
chiarisse tutto.
Io rimasi interdetta.
“E comunque sei tu che dovresti spiegare chi sei e
perché sei qui” replicai scocciata. “Non
ti ho mai visto prima. Da dove vieni?”
“Io abito
qui da molto prima di te” continuò a sorridere la
ragazza.
Ora ero davvero
arrabbiata. “Senti un po', bella, se questo è uno
scherzo...” Mi interruppi all'improvviso, sbiancando.
Guardandola meglio, la sua figura sembrava troppo eterea per essere
umana, come se stessi guardando un ologramma. Ma cosa ti sei fumata?
chiese la vocetta razionale nella mia testa (una delle tante voci che
mi si aggirano per il cervello).
“Vivevo in
paese tanti anni fa” disse lei. “Questa
è la mia dimora, adesso” continuò,
indicando il cimitero con un ampio gesto del braccio.
Io la guardai con
tanto d'occhi; ci misi un bel po' a riavermi. “Ho capito,
Andrea ti ha pagato per farmi questo scherzo divertente”
dissi, sicura. “Bella trovata, ma non ci casco. Insomma, mi
vuoi far credere che sei un fantasma? Ma andiamo! Non credo
più a storie di anime in pena che si aggirano per case
abbandonate e cimiteri in attesa di terrorizzare i passanti. Se sei
morta come dici, allora perché ti sto parlando? Scusami
tanto, ma non basta indossare un vestito d'epoca e sedersi su una tomba
per passare da spirito defunto... Perché non richiami il tuo
compare Andrea e non gli dici di smetterla di perdere tempo? Se vuole
spaventarmi, che si inventi qualcosa di più
credibile”.
La ragazza mi
guardò sollevando le sopracciglia durante tutta la mia
arringa, poi sorrise ancora e scosse la testa, avvicinandosi a me.
“Non conosco alcun Andrea” replicò.
“Raccontane
un'altra” dissi, agitando le braccia. “Dimmi,
perché dovrei credere che tu sia un fantasma? Dammene una
prova! Sono come San Tommaso: se non vedo, non credo”
conclusi, soddisfatta.
“San
Tommaso, te lo sto già mostrando” disse lei,
annoiata, indicando qualcosa sotto di sé.
Io abbassai lo sguardo
e per un istante non capii: era ancora seduta, che c'era da vedere? Poi
mi ricordai che si era avvicinata a me, che non era più
sulla lapide e allora notai che non c'era proprio nulla da osservare:
fluttuava nel vuoto, comodamente appollaiata nell'aria.
Boccheggiai e mi
ritrassi. Avevo una voglia matta di mettermi a gridare o a correre o a
fare entrambe le cose, mentre il cuore sembrava scoppiarmi nel petto.
Non misi in atto
nessuno di questi piani. Adesso mi piacerebbe affermare che a
trattenermi fu quel residuo di dignità che ancora avevo in
corpo, ma la cruda realtà è che ero paralizzata
dal terrore.
Tornai in me
lentamente, consolata dal fatto che la ragazza-fantasma non aveva
ancora provato ad uccidermi o a possedere il mio corpo, né
sembrava tentata di chiamare l'orda di famelici zombie al suo servizio.
Tremando come una
scema, mi arrischiai a guardarla di nuovo e notai che mi stava fissando
con aria preoccupata.
“Stai
bene?” mi chiese, con tatto.
“Tu. Sei.
Un. Fantasma” scandii, con voce tutt'altro che ferma.
“È
quello che cercavo di dirti” disse lei, esasperata.
Tornò a posarsi sulla propria tomba.
“Ma i
fantasmi non esistono!” replicai scioccamente.
“Evidentemente
sì. Comunque, io sono Violante. Posso sapere il tuo
nome?”
“N...Nicoletta”
replicai io, ancora sconvolta. Sbirciai la foto sulla sua lapide: non
c'erano dubbi, quella era lei. A giudicare dal nome inciso
lì sotto, apparteneva ad una famiglia molto importante nella
storia del paese. La data di morte risaliva al primo Novecento. Feci
passare ancora qualche minuto, prima di arrischiarmi a parlare.
“Ma se... se sei morta eppure sei ancora qui... significa che
hai un conto in sospeso con qualcuno?” tentennai.
Lei rise di nuovo.
“Oh, no, niente faccende in sospeso! Quella è
un'invenzione dei vivi per spaventare il prossimo. Quando sei defunta,
sei morta e basta: certo, qualche rimpianto c'è, ma
appartiene al passato e noi non possiamo porvi rimedio. Ci è
concesso solo vagare per questo cimitero e rivolgere la parola ai pochi
passanti che incontriamo”.
“Quindi sei
legata al tuo corpo anche da morta? Rimani dove sono sepolti i tuoi
resti?” Ora che la paura stava passando, ero sempre
più curiosa. Violante non sembrava pericolosa e, d'altra
parte, chi altri può vantarsi di aver parlato con un morto
in carne e ossa? (Per così dire... più spirito
che ossa, in realtà). Tanto valeva approfittarne.
“Sì
e no” rispose enigmaticamente.
Mi accigliai e la
spronai a spiegarsi meglio.
“Non
penserai che passeremo tutta l'eternità chiusi qui
dentro?” chiese lei, con aria di sufficienza. Riprese quindi
a parlare, gesticolando con la mano. “No, solo una notte
all'anno – la notte tra il trentuno ottobre e il primo
novembre, per l'esattezza – ci è concesso di far
visita al mondo dei vivi, ma siamo sottoposti ad alcune regole: non
possiamo lasciare il luogo dove siamo stati sepolti, non possiamo
infestare le case, anche se siamo stati tumulati nelle vicinanze,
né spaventare le persone... cose così, insomma.
Alcuni ci provano, ma vengono rispediti nel mondo dei morti ancor prima
di attuare il loro piano. È una misura preventiva: i vivi
sembrano terrorizzati da qualsiasi argomento riguardi i fantasmi e la
vita dopo la morte...”
“Beh,
è naturale, no?” ribattei. “Non sappiamo
cosa ci sia dopo, e l'idea di spiriti arrabbiati che vagano per le
nostre strade non è molto confortante!”
Il suo sorriso prese
una piega più dolce. “Nicoletta, noi non possiamo
farvi del male” disse, con voce rassicurante. Io la guardai
scettica e lei tese una mano verso di me. “Guarda: io non
posso nemmeno sfiorarti...”
Esitai.
“Avanti,
prova a toccarla!” mi spronò Violante.
Io allora allungai la
mia mano, ancora diffidente, e mi preparai a reagire a qualunque
esperienza mi aspettasse.
Avvicinai lentamente
le mie dita alle sue, concentrata sul suo viso sereno, poi mi accorsi
di aver già sfiorato la sua mano: mi ero immaginata che le
sarei passata attraverso, ma mi aspettavo una qualche sensazione...
freddo, per esempio. Invece, mentre guardavo le due mani attraversarsi
a vicenda e giocherellare l'una con l'altra, solo concentrandomi a
fondo riuscii a captare una strana percezione, come di solletico. Capii
che appartenevamo a mondi troppo diversi e che non eravamo in grado di
entrare veramente in contatto. Era un po' triste, essere vicino ad una
persona e non poterla sfiorare...
“Non
è dei morti che devi avere paura, Nicoletta, ma dei
vivi” mi sussurrò il fantasma.
Riabbassai il braccio,
ancora un po' confusa, ma non potei che darle ragione. “Qual
è la tua storia?” chiesi, curiosa. “Come
sei... morta? È stato doloroso?”
Lei sollevò
le spalle. “È passato tanto tempo: anche i ricordi
dei fantasmi si affievoliscono, quindi potrei non serbare memoria di
ogni particolare. Ricordo che stavo passeggiando a cavallo con mio
fratello; era primavera inoltrata ed era una bellissima giornata.
Avevamo un piccolo maneggio, in famiglia, e i cavalli erano i nostri
migliori amici” raccontò, con un sorriso amaro.
“Il mio cavallo preferito aveva un manto scuro come il
carbone, con una specie di stella marrone sul muso, e io lo chiamavo
Saetta della notte; cavalcavo sempre e solo lui, ma quel giorno non
stava bene e io non volli affaticarlo. Presi lo stallone di mio padre.
A metà percorso – non so perché, forse
vide una biscia, ce n'erano molte nei dintorni – fatto sta
che si imbizzarrì e io caddi” esitò un
attimo, accigliata. “Non ho sofferto molto, a dire il vero.
Sbattei la testa su un masso e persi subito conoscenza. Sentii un forte
dolore, ma durò solo un attimo e nemmeno mi accorsi di
quello che stava succedendo. In pochi istanti, non appartenni
più a questo mondo...” concluse, guardandosi
attorno con aria bramosa.
Da parte mia, mi
sentii in colpa per aver portato la conversazione su quell'argomento
che di certo doveva essere doloroso per lei. Era morta giovane, doveva
rimpiangere ciò che aveva perduto.
Un attimo dopo,
comunque, forse perché aveva visto il mio ripensamento, mi
sorrise con intensità. “E tu, invece?
Perché sei qui?” mi chiese.
“Oh, solo
una stupida scommessa” risposi, con un gesto scocciato della
mano. “Il mio amico Andrea mi ha sfidato ad entrare qui
dentro per mettere alla prova il mio coraggio. Ma credo che nemmeno lui
pensasse che questo cimitero ospitasse davvero dei fantasmi”
ridacchiai. “Vorrei che fosse qui: rischierebbe l'infarto,
immagino, fa tanto il gradasso ma è così fifone.
È una fortuna che sia toccata a me stasera,
perché se avessi avvicinato lui avresti anche dovuto
chiamare i soccorsi...”
Violante rise.
“Ma senti un
po'” intervenni poi, dannatamente curiosa. “Se tu
sei morta più di un secolo fa, come mai il tuo linguaggio
è così moderno? Insomma, a volte sembra di
parlare con un vivente”.
“Oh, sai,
frequentando i morti più recenti, se così
vogliamo chiamarli, mi sono abituata al vostro linguaggio fino a usarlo
quasi correntemente: a volte, quando parlo con un'anima della mia
epoca, quella stenta a capirmi” mi spiegò lei.
“E
perché non vedo altri fantasmi? Questo posto dovrebbe
esserne pieno zeppo” insistetti.
“Si
nascondono. Loro... hanno paura” spiegò.
Io la fissai allibita
e mi trattenni dal ridere. “Paura? Ma sono fantasmi! Ormai
che male potrei far loro?” chiesi.
Lei rispose con
un'alzata di spalle. “I vivi tendono a diventare irrazionali
quando ci vedono: molti si spaventerebbero e non c'è nulla
di peggiore che un vivente che si fa prendere dal panico. I
più chiamerebbero qualcuno per disinfestare la zona, il
cimitero diventerebbe un luogo di ritrovo per cacciatori di spettri e
probabilmente dovremmo nasconderci per tutte le notti di Halloween a
venire. Non vogliamo che questo posto pulluli di esorcisti”.
Riflettei a lungo su
quelle parole e non potei fare altro che annuire. Neanch'io ci tenevo a
vedere il mio paese e il cimitero trasformati in meta di pellegrinaggio
per appassionati dell'occulto. “Ma io non
spiffererò a nessuno di tutto questo” replicai,
speranzosa. “Mi prenderebbero per pazza, probabilmente. E
poi...” continuai, maliziosa, “...sarà
bello essere l'unica a sapere della vostra esistenza. Mi piacerebbe
conoscere altri fantasmi...”
Violante si
guardò attorno, pensierosa, poi riportò
l'attenzione su di me. “Ascolta, io posso cercare di
convincerli, ma tu devi promettere, capisci? Devi giurare che
ciò che vedrai stanotte lo terrai per te. Nemmeno i tuoi
amici più fidati dovranno sapere” disse, con aria
estremamente grave che non le si addiceva.
Io assunsi
un'espressione altrettanto solenne. “Lo giuro”
dissi solamente.
“Aspetta
qui” disse.
Sparì
così all'improvviso che quasi non me ne resi conto. Rimasi
ad aspettare, tremando per il freddo.
Un movimento ai miei
piedi mi fece sussultare e abbassai lo sguardo: un gatto randagio
camminava scodinzolando nervoso tra le tombe e si dirigeva verso di me.
Quando fu abbastanza vicino, mi accucciai a terra e tesi la mano verso
di lui. Il gatto sembrava diffidente e mi girò attorno un
paio di volte, cercando di capire se di me ci si poteva fidare; infine,
strofinò il muso sulle mie dita, facendo le fusa.
E mentre attendevo il
giudizio dei fantasmi, ricominciai a canticchiare.
«I
vermicelli freschi di giornata
se
li mangiava insieme all'insalata.
E
il gatto nero, re del cimitero,
che
mi guardava come fossi un corvo nero!»
Continuai ad
accarezzare il gatto finché quello non si stufò e
si allontanò con un miagolio.
“Nicoletta?”
Alzai lo sguardo:
Violante era di nuovo seduta sulla sua lapide e mi sorrideva.
“Girati”
mi suggerì, di fronte al mio sguardo interrogativo.
Con il cuore che mi
batteva forte, mi rialzai e obbedii, molto lentamente. Rimasi senza
fiato.
Erano almeno una
cinquantina, se ne stavano timorosi accanto alle loro tombe e mi
guardavano incerti. Avevano l'aspetto di persone reali, ma, come
Violante, avevano anche un non so che di etereo che li differenziava
dai viventi. Un pallido alone di luce circondava le loro figure e capii
a cosa era dovuto quello strano scintillio che avevo notato dietro ai
cipressi: su Violante non l'avevo visto semplicemente perché
era oscurato dalla mia torcia.
Piano piano, altri
fantasmi apparvero dal nulla e, dopo i primi tentennamenti,
cominciarono a comportarsi in modo normale. Presero a radunarsi in
piccoli gruppetti, a chiacchierare o a vagare per il cimitero. Una
coppia vestita con abiti ancor più antichi di quelli di
Violante passeggiava tenendosi a braccetto e allora compresi che tra
loro gli spiriti potevano toccarsi, esattamente come i viventi.
“Wow!”
sussurrai, mentre il camposanto si riempiva di quelle figure diafane e
solide insieme. Era uno spettacolo unico, mi veniva quasi da piangere.
Lentamente, alcuni fantasmi si avvicinarono a noi e mi rivolsero la
parola: erano curiosi di conoscere le notizie più recenti,
di sapere la mia storia. Io raccontai loro della prova di coraggio,
della mia vita ordinaria (almeno fino ad allora) e in cambio ricevetti
degli aneddoti sulle loro esistenze.
Fu strano incontrare
persone che avevo conosciuto da vive, che ovviamente mi chiesero
informazioni sulle loro famiglie e su come andava il paese. Il vecchio
sindaco non sembrò felice quando gli rivelai che suo nipote
aveva sposato una rappresentante del partito che, ai suoi tempi, gli
aveva fatto opposizione; il suo dramma toccò l'apice nello
scoprire che ora era il partito vincente. Nel frattempo, un campanile
vicino suonò la mezzanotte.
Il fornaio che aveva
la bottega sotto casa mia quando ero piccola riuscì a
mettermi in imbarazzo raccontando di quando avevo rovesciato uno degli
espositori dove teneva il pane: sostenne che si era così
divertito alla vista di quella bimbetta di tre anni piangente in mezzo
a una montagnola di panini, che non aveva fatto pagare ai miei il
danno. Me la ricordavo bene quella giornata: mio fratello non aveva
ancora smesso di prendermi in giro.
Parlammo a lungo e
venni a sapere molte cose sulla vita precedente di molte di quelle
persone, tra cui i miei avi (che mi adoravano!). Interrogai
ulteriormente Violante sul suo passato e lei parve ben felice di
rispondere alle mie domande.
All'improvviso,
desideravo che quella prova di coraggio non finisse mai e che potessi
stare lì tutta la notte insieme a loro, ma sapevo che non
poteva durare a lungo.
Ed infatti...
“NICO!
Nicoletta!” mi chiamarono delle voci. Riconoscendo le voci
dei miei amici sbuffai.
I fantasmi si
guardarono attorno preoccupati, poi molti svanirono di botto; altri si
fermarono qualche istante per un veloce saluto prima di dileguarsi nel
nulla; i miei vecchi compaesani mi sorrisero e mi augurarono un buon
proseguimento, dilungandosi nell'addio.
Mi ritrovai di nuovo
sola con Violante.
“Potrò...
potrò tornare a trovarvi?” chiesi, ansiosa.
Lei sollevò
le spalle. “Se lo vorrai, nessuno te lo impedirà.
Ma non te lo consiglio” rispose.
Io ci rimasi male.
“E perché?”
“Tu
appartieni ai vivi, Nicoletta: finché ne hai l'occasione,
resta con loro. Oh, avrai tutta l'eternità per fraternizzare
con i morti. Goditi la vita, fai tutto ciò che puoi,
perché ci sono esperienze che, dall'altra parte, non potrai
fare. È questo il mio suggerimento. Sei liberissima di
seguirlo o no” disse.
Annuii.
“Immagino che tu abbia ragione. Beh, è stata
un'esperienza interessante” osservai. “Sono sicura
che ci rivedremo, prima o dopo. Aspettami, nel tuo mondo: non ci si
libera molto facilmente di Nicoletta” aggiunsi, fingendomi
minacciosa.
“Ne sono
certa. Ora va': i tuoi amici ti stanno aspettando”
replicò.
Sentivo le loro voci
insistenti, in effetti, e non volevo che entrassero e vedessero
Violante. Ci salutammo calorosamente. Stavo già per
andarmene, quando mi tornò in mente una cosa.
“Senti, ma cosa c'è, dopo la morte?”
chiesi, voltandomi di nuovo.
Mi lanciò
uno sguardo da sfinge. “Ma se ti dicessi tutto, che
divertimento ci sarebbe?” chiese.
Io annuii, mentre
spariva. Tornai dai miei amici, con un sorriso che andava da un
orecchio all'altro, e loro mi accolsero con sollievo: avevano
cominciato a cercarmi lì dentro.
“Con chi
stavi parlando?” mi chiese subito Andrea, corrucciato.
Io sollevai le
sopracciglia. “Parlando? Io non parlavo con
nessuno” dissi, guardandolo.
“Ma io ti ho
sentito. E quelle luci? C'era qualcuno con te!”
ribatté lui convinto.
Io lo guardai come se
fossi stata preoccupata della sua salute mentale. “Hai bevuto
qualcosa di troppo alcolico, stasera? Ti dico che non c'era
nessuno...”
Lui si
voltò a guardare il filare di cipressi. “Ma io ho
visto...”
La sua voce flebile si
interruppe quando io scoppiai a ridere. “Mi sa che ti sei
fatto suggestionare troppo. Con chi dovevo parlare? Con un
fantasma?”
Sono passati molti
anni da quella notte, non ho mai infranto il mio giuramento: non ne ho
parlato neanche con Giovanna, la persona di cui più mi fidi
al mondo, né sono tornata nel cimitero durante la notte di
Halloween, nonostante ne fossi molto tentata. Ho deciso di seguire
tutti i consigli di Violante, in primis quello di godermi la vita.
Ho scritto questa
storia solo per il bisogno impellente di raccontarla a qualcuno, ma,
appena avrò chiuso la penna, brucerò questi fogli
inutili. È giusto che il segreto rimanga inviolato.
«Questa
storiella non ha significato,
è
come fare il vino col bucato,
è
come dire buona notte al muro,
e
poi lavarsi i denti col cianuro!»
Note Autrice: Ho usato come musa ispiratrice una
canzoncina che ho imparato all'asilo e che la maggior parte di voi
avrà riconosciuto; mi è sempre piaciuta, forse
anche perchè era più macabra di tutte le altre
filastrocche che mi hanno insegnato. Per quanto riguarda la scena delle
mani che non si toccano, invece, devo ammettere che ho preso spunto da Casper (sempre
legato alla mia infanzia: io adoravo quel film...).
Che altro dire? Spero
che la storia vi sia piaciuta e vi invito a lasciare un commentino per
farmi sapere cosa ne pensate. Alla prossima!
Ecco il giudizio:
Grammatica
e sintassi: 19
Stile:
14.75
Originalità
della trama: 15
IC
e caratterizzazione: 15
Attinenza
col tema: 10
Parere
personale: 4.75
78.5/80
Sebbene
ci piacciano tutte le storie partecipanti a questo contest, la tua ha
qualcosa in più (il punteggio del parere personale,
però, è stato abbassato di 0.25,
perché hai scritto il nome anche nella storia, sotto il
titolo, quando abbiamo espressamente chiesto di non inserirlo,
perché vogliamo giudicare la storia in forma anonima). (NdA: ci tengo a precisare che
quando ho spedito la storia ero fusa dalla stanchezza e dall'ansia e me
ne sono dimenticata. roba da prendere a testate il muro...)
All'inizio
sembra il classico racconto della prova di coraggio nel cimitero, ma
poi la trama prende una piega che lascia piacevolmente sorpresi.
Il
personaggio di Nicoletta si fa apprezzare sin dai primi pensieri, e
ancora di più per la sua reazione dopo l’incontro
con Violante: la curiosità che manifesta per la
“vita dopo la vita” è quella genuina di
una ragazza senza troppe pretese, desiderosa di conoscere il mondo e di
fare mille esperienze, fra le quali rientra la prova di coraggio ad
Halloween.
La
cosa che più abbiamo apprezzato è che, dopo
averne usato un pizzico, la dose giusta, hai messo completamente da
parte la paura per lasciare il posto ad un racconto presumibilmente
molto “tuo”, che riflette le tue opinioni o ipotesi
personali.
Peccato
per quelle piccole imprecisioni grammaticali o i troppi punti
esclamativi, che hanno così ridotto il punteggio, altrimenti
la tua storia sarebbe risultata senz'altro la migliore, sotto ogni
punto di vista. Ci è dispiaciuto infinitamente dover
togliere dei punti per errori che con una rilettura in più
si potevano evitare.
C’è
molto di te nella storia, e questo la rende davvero completa. Davvero
complimenti^^ |