Questa shot è nata proprio da sola, non
ho potuto controllarla neanche per un momento.
E Kanda è schifosamente OOC, lo so.
Buona lettura, spero,
Alexiel.
E ho terminato la mia tesserina *festeggia e stappa spumante* Waaaaah!!
Identità
[Lavi - Kanda Friendship - KandaAlma]
“Stai attento a Kanda, potrebbe
affettarti in qualunque momento.”
“Scusa, chi?”
Quando Lavi era arrivato all’Ordine Oscuro, dopo il comitato
d’accoglienza organizzato da Lenalee Lee – ci
teneva a mettere
tutti a proprio agio, a farli sentire a casa, gli avevano detto
quelli che la conoscevano meglio – quella era stata la prima
cosa
che gli avevano detto.
Attento al tipo con la coda e lo sguardo torvo. Non gli piace la
gente, men che meno la gente che parla. E’ acido, ti minaccia
di
morte e non è gentile con i nuovi arrivati.
“Non dipingetelo così male! Sa essere gentile a
modo suo.” aveva
ribattuto la ragazza, Lenalee, facendogli cenno con la testa di non
credere a tutte le cattiverie che gli venivano propinate.
Lavi, che non dava gran peso alle voci, aveva deciso di giudicare da
sé questo spaventoso ragazzo. Se l’era immaginato
grosso, un
grugno da maiale al posto del naso e capelli sporchi tenuti da una
coda scombinata. Occhi iniettati di sangue e ascia da boia per
concludere l’allegro e rassicurante quadretto. Almeno, stando
alle
descrizioni fatte da Finders e Esorcisti era quella
l’immagine che
era spontaneamente nata nella sua testa.
“E non chiamarlo per nome, ti farebbe fuori prima di tu possa
pentirti di averlo fatto.” l’aveva avvisato uno dei
Finders che,
probabilmente, doveva aver commesso quell’errore, o almeno
aver
visto qualcuno che l’aveva fatto.
“Perché? Ha un brutto nome?” aveva
chiesto. L’altro si era
stretto nelle spalle.
“No, ma odia essere chiamato per nome.”
“Per quale ragione?”
“Oh, è un mistero, nessuno lo sa. E nessuno
chiede, perciò non
chiedere neanche tu se vuoi sopravvivere.” lo disse con un
tono
così drammaticamente serio che a Lavi venne da ridere. Ma
comunque
restava la curiosità.
“Sai, dovrei saperlo il suo nome, per il mio lavoro... Non mi
hanno
ancora consegnato nessuna lista, quindi non posso che
chiedere.”
Il Finders si era guardato intorno, assicurandosi che non stesse
guardando nessuno, e poi gli si era avvicinato il più
possibile,
sussurrando:
“Yuu. Si chiama così. Ma io non ho detto niente,
dimentica la mia
faccia.” aveva detto. Lavi aveva ridacchiato: figurarsi se
lui si
dimenticava qualcosa. Ricordava anche quante briciole erano cadute
sul tovagliolo quella mattina a colazione. Sicuramente non avrebbe
dimenticato la faccia di quel tipo.
“Yuu.” Breve, diretto, carino.
“Per carità! Non dirlo ad alta voce! Non lo
pensare neanche se lui
è nei paraggi.”
Peccato che lui non avesse idea di che faccia avesse questo Yuu
Kanda, perciò sarebbe stato difficile. Ma non poteva
chiedere al
ragazzo di descrivergli fisicamente l’Esorcista assassino,
l’avrebbe mandato in infermeria per esaurimento nervoso o
shock.
Perciò si limitò ad augurargli buona serata e se
ne andò in
camera.
Lavi si abituava presto ai luoghi nuovi. L’aveva fatto per
tutta la
vita, cambiava praticamente tutto, anche nome. Cambiare luogo
–
luogo, non casa – era abbastanza semplice. Era nato per
cambiare e
per vedere la storia cambiare; era cresciuto per scrivere e
memorizzare la storia, ogni cambiamento, ogni guerra, ogni singolo
istante era impresso nella sua mente e non aveva bisogno di rileggere
quello che scriveva per assicurarsi che fosse giusto. Lo ricordava a
memoria.
Tuttavia, quando cambiava, la prima notte gli veniva sempre una sete
pazzesca e si alzava minimo cinque volte per bere, altrimenti non
dormiva.
Per questo, più o meno verso le due del mattino,
sgusciò fuori dal
letto e indossò le pantofole per scendere in cucina. Aveva
la gola
completamente arsa. Premurandosi di fare meno rumore possibile, il
ragazzo aprì piano la porta e uscì. Regnava il
silenzio totale.
Forse per quel motivo, mentre si avviava verso le scale, non si
accorse – non subito – dell’uomo che
sostava sulla scalinata,
nascosto nell’ombra. Se ne rese conto quando scese il settimo
gradino, dopo aver contato la quindicesima crepa nel muro di pietra e
dopo aver convenuto che avrebbe avuto bisogno di minimo quattro
bicchieri colmi d’acqua per tornare a dormire. Sì.
Solo dopo
quelle constatazioni si accorse di una figura slanciata, longilinea e
sottile scattare in piedi e raggiungerlo in un istante. Grazie ai
riflessi pronti, riuscì a saltare all’indietro per
evitarlo, senza
rotolare giù per le scale.
“Ehi! Non sono un nemico, sono con voi.” disse,
mentre l’altro
restava in perfetto silenzio, il viso nascosto nel buio. Lo vide
restare immobile, quasi morto, come se non respirasse. Probabilmente
un altro avrebbe cominciato a tremare di paura, credendo fosse un
pazzo assassino infiltrato nell’Ordine, ma Lavi nei pochi
secondi
che aveva avuto aveva visto distintamente la divisa e il simbolo
degli Esorcisti. Ovvio, poteva essere un infiltrato che aveva rubato
la divisa, ma Lavi si fidava delle sue intuizioni abbastanza da poter
dire che quel tipo non era un nemico, nonostante avesse cercato di
ammazzarlo. Aveva anche sentito il sibilo di una spada e, un attimo
dopo, l’aveva sentita scivolare al suo posto. Per fortuna non
sporca del suo sangue.
“Sono Lavi. Sono arrivato ieri insieme a Bookman.”
“Che.” lo sentì dire.
Era un verso abbastanza...
aggressivo, infastidito, irritato. E sicuramente non significava
“Benvenuto, amico, lieto di conoscerti!” No,
più che altro
significava “Avrei preferito fossi un nemico almeno avrei
potuto
spargere un po’ di sangue, invece no, sei solo un ragazzino
con i
capelli rossi che gironzola per l’Ordine.”
Be’, sicuramente si
era lasciato prendere la mano, non gli sembrava che il tipo fosse
loquace e, ci scommetteva, neanche i suoi pensieri dovevano essere
più lunghi di tre parole. Fu proprio facendo quella
considerazione e
collegandola a tutto il resto che ebbe l’illuminazione.
“Tu devi essere Kanda.” disse, senza pronunciare il
suo nome. Non
che volesse seguire il consiglio del Finder, ma per il momento era
meglio tenerlo tranquillo per permettere agli altri di dormire in
pace. Considerando che aveva cercato di ucciderlo pochi secondi
prima...
Kanda, mano sull’elsa della spada, fece un passo in avanti ed
entrò
nel cerchio di luce emanato dalla luna, fuori dalla finestra.
Niente grugno. Naso dritto, perfetto.
Occhi sottili, scuri – niente sangue, per ora – e
seri,
dannatamente seri. Lo scrutavano senza dimostrare gentilezza.
Labbra altrettanto sottili, ma non eccessivamente.
E no, non era neanche un bestione di trecento chili. Aveva un fisico
asciutto. Perfetto, come il naso e tutto il resto.
L’unica cosa che conosceva già era la coda, come
accennato dagli
altri. Coda di cavallo alta, capelli neri, lucidi, lunghi. Dopo
averlo scannerizzato alla perfezione, Lavi si infilò le mani
in
tasca e sorrise, benevolo. Non si aspettò che Kanda
ricambiasse.
Rafforzò solo la presa sull’elsa della katana.
“Se mi fai a fette ora sveglierai Lenalee Lee, e... ci
sgriderebbe
entrambi. Non mi piace essere sgridato. A te?”
Ecco, ora il sangue cominciava a vederlo bene. Ma era stranamente
divertito da quella situazione perciò, invece di mostrarsi
terrorizzato a morte – come chiaramente succedeva a chiunque
lì
dentro – Lavi mise su un’espressione allegra. Kanda
dovette
prenderla come una presa per il naso – un naso perfetto,
aveva, sì
– perché strinse le labbra e sembrò
cominciare un’opera di
scannerizzazione vittima che avrebbe fatto invidia anche al vecchio
Panda e alla sua mania dei particolari. Probabilmente cercava un
punto abbastanza vitale da colpire, un punto in cui il dolore avrebbe
fatto schizzare gli occhi fuori dalle orbite a chiunque se infilzato.
“Sai, possiamo continuare questa felice conversazione al
piano di
sotto. Muoio di sete. Scommetto anche tu, sei pallido. Io bevo sempre
un sacco il primo giorno. Non è che sono disidrato, ma
l’acqua è
la prima cosa che ti viene in mente quando pensi a un posto. Almeno
per me è così, perciò ne mando
giù a litri quando mi trovo in un
luogo nuovo. Non mi posso ambientare, sai, va contro le regole,
però
posso bere tutta l’acqua che voglio.”
Mentre diceva questo, Lavi cominciò a scendere le scale,
raggiungendo Kanda e piazzandoglisi di fronte.
Nessuno gli parlava mai così, probabilmente. Anche se Lavi
aveva
immaginato che Lenalee Lee fosse capace di tenergli testa. No, non
credeva che solo perché fosse una ragazza Kanda ci andasse
giù
leggero. Era solo una sensazione.
“Ah, ma sei stanco, sicuramente vorrai andare a
riposare.”
aggiunse, notando il mutismo estremo di Kanda.
“Be’... ‘notte,
Kanda.” questi seguì ogni suo passo, voltando
lentamente il capo –
aveva uno stile da killer senza scrupoli mentre lo faceva – e
quando fu sicuro che non l’avrebbe fatto a fette mentre non
guardava, Lavi smise di tenerlo d’occhio e aspettò
di sentirlo
andare via. Non avvertì un suono che fosse uno,
probabilmente era
ancora lì, ma non lo stava guardando – uno sguardo
così lo senti.
Tuttavia, quando girò l’angolo e guardò
le scale, Kanda era
sparito. Silenzioso come... il silenzio. Realizzò che quelle
voci
non erano semplicemente voci, ma a lui non aveva fatto così
paura da
gelarlo sul posto. Era buffo, anzi. Così serio, di pietra,
con
quello sguardo assassino e il nasino perfetto. Sì, aveva
sviluppato
in pochi secondi una fissa assurda per quel naso. Probabilmente
l’avrebbe disegnato da qualche parte. Si domandò
se subisse una
deformazione quando qualcuno pronunciava il suo nome, se perdeva
quell’aria perfetta e si trasformava in qualcosa di carino e
adorabile, che non attira così tanto l’attenzione
a tal punto da
sviluppare una fissazione. L’avrebbe appurato il giorno dopo,
a
colazione. Sì, magari avrebbe aspettato che finisse di bere
il
latte.
La sala, quella mattina, era mezza piena, segno che parecchi
Esorcisti erano tornati dalle loro missioni sani e salvi. Altri erano
ancora fuori, si sperava vivi, alla ricerca dell’Innocence,
insieme
ai Generali.
Lavi individuò il tavolo di Bookman e vi si diresse, notando
che
c’era già un piatto pronto per lui. Guardandosi
velocemente
intorno e, contemporaneamente, dando il buongiorno al vecchio Panda,
Lavi notò che Kanda non era lì. Non aveva
l’aria di uno che dorme
tanto, però. Infatti, prima che potesse addentare un
biscotto
dall’aria deliziosa, lo vide arrivare da un corridoio oltre
il
quale si trovava l’ufficio di Komui Lee, il loro capo. Un
capo
assurdamente poco capo aveva pensato la prima volta che
l’aveva
visto.
Nel momento in cui Kanda entrò in sala,
un’espressione non tanto
omicida – non come la notte prima –
l’atmosfera divenne un po’
tesa. Nessuno si nascose sotto il tavolo, però Lavi ebbe
come
l’impressione che tutti avessero cominciato a respirare
più piano.
Dopo aver dato un morso al biscotto – aveva anche la scaglie
di
cioccolato – Lavi lo fece. Se l’era detto il giorno
prima e aveva
anche sognato nasi quella notte, perciò doveva farlo.
Oltretutto ne
aveva voglia, non aveva paura e... sì, voleva vedere quel
naso.
“Buongiorno, Yuu!” esclamò ad alta voce,
con un’allegria che
si schiantò sugli altri come una condanna a morte. Si
alzò persino
in piedi, agitando le braccia per farsi notare – qualcuno
pensò a
un tentativo di suicidio o a qualche forma di infermità
mentale
grave. “Ehi, Yuu, ci siamo conosciuti ieri!”
Il ragazzo si era fermato in mezzo alla sala, l’espressione
ghiacciata nell’ombra di rilassatezza vaga che aveva mostrato
appena entrato, e guardava Lavi. In mezzo secondo
quell’espressione
fu sostituita da qualcosa di decisamente spaventoso. Parecchi
schizzarono via dalle sedie e uscirono urlando, altri si nascosero
sotto i tavoli per non venire travolti e, in lontananza, Lavi vide
Lenalee osservarlo con un’espressione divertita e anche
leggermente
preoccupata. Doveva essere matto se pensò che fosse proprio
carina
in quel momento, mentre una furia con tanto di coda di cavallo
oscillante gli andava in contro, sguainando la katana e
puntandogliela contro.
L’ultima cosa che sentì fu il sospiro rassegnato
di Bookman e poi
cominciò a correre.
“Me lo potevi dire che ti piace giocare a guardia e ladri,
Yuu!”
Il suo naso, intanto, come si premurò di notare, non era
cambiato di
una virgola. Era ghiacciato nella rabbia cieca come tutto il resto
del suo corpo. Nemmeno i capelli andavano fuori posto. Questo lo
divertì enormemente e, mentre evitava un attacco, Lavi si
disse che
l’avrebbe chiamato sempre, sempre, Yuu.
Kanda odiava essere chiamato Yuu. Era il suo nome, ma non era questo
che scatenava la rabbia.
Kanda
sapeva di poter
restare il Kanda che tutti non-conoscevano
fintantoché lo chiamavano semplicemente Kanda.
Sapeva di
riuscire a dimenticare chi era stato finché era
così. Di non dover
sentire e nascondere ogni vecchio ricordo dove nessuno sarebbe stato
capace di trovarlo. Era solo un nome, solo un suono, ma era una
chiave che apriva fin troppe porte al passato.
“Yuu! Ma non hai fame?”
Certe volte il suono era lo stesso. Anche le frasi. Certe le
ricordava ancora. Quando non avrebbe dovuto.
“Yuu! Ma sorridi un po’!”
Le stesse... era così macabro a volte che poteva solo uscire
dalla
stanza.
“Yuu! Ti voglio toccare i capelli!”
I fiori sembravano bruciare ai suoi piedi in quei momenti, ma non
sparivano, non si incenerivano, restavano lì, a ricordargli
ogni
cosa. Emanavano un profumo ancora più forte, intossicante,
mentre i
raggi di sole lo accecavano e poi venivano coperti dalle nuvole,
rendendo un filo più debole quel desiderio che lo tormentava
da
sempre. E, quando le nuvole arrivavano, il suo nome cominciava a
risuonare ancora più chiaramente. Una voce irritante,
infantile,
esasperante... e poi una voce arrabbiata, frustrante, folle,
disperata...
E poi arrivava Lavi.
“Yuu, Komui ti vuole nel suo ufficio.”
A volte era un mistero, ma c’erano pomeriggi in cui, quando
Lavi
diceva “Yuu”, lui riusciva a distinguere le due
voci e diventava
facile dimenticare, sotterrare, smettere di respirare e scacciare
l’odore. Si diceva, uccidendo subito quel pensiero, che forse
aveva
bisogno di sentirlo pronunciato il suo nome per sradicare dalla mente
quella voce, che lo cantava, lo amava, lo urlava, lo sussurrava e lo
accarezzava. Ci faceva ogni cosa con il suo nome, a volte lo uccideva
persino.
Poi arrivava Lavi.
“Yuu? Mi senti?”
Arrivava lui, che non gli chiedeva mai niente riguardo il suo nome,
però lo pronunciava. Sempre.
Non sentiva quella domanda neanche nel silenzio, non era sottintesa.
Non esisteva e basta.
“E non chiamarmi Yuu.” sbottò irritato,
cercando di ignorare il
silenzio che le intenzioni di Lavi mostravano.
Era un mistero come quello che girava intorno al suo nome. Ma nessuno
chiedeva. Forse era quel particolare che li aveva resi così
complici, complici nella maniera più bizzarra che esistesse,
perché
anche dopo tutti quei mesi passati insieme, Kanda cercava sempre di
affettarlo.
Se fosse un modo per dimostrare affetto, Lavi non lo sapeva. Non
poteva farsi domande sui sentimenti che avrebbero potuto legato a
qualcuno. E, qualche volta, gli dispiaceva davvero non poter sapere
se Kanda, almeno un po’, gli si fosse affezionato. Un altro
mistero
che non avrebbe risolto, perché lui era Bookman, poteva
vivere solo
tra le pagine della storia e restarsene nascosto, a registrare tutto.
Solo una cosa lo faceva sentire strano, qualche volta. Ovvero, che
Kanda non poteva pronunciare il suo vero nome, ma solo
“Lavi”.
Buffo, perché lui che avrebbe davvero voluto sentirlo non
poteva
rivelarlo, pronunciarlo, lasciare che lo conoscesse.
Ma aveva scelto quella vita, come Kanda aveva accettato di restare
“Kanda”, tenendo nascosta nella tenebre
l’identità di “Yuu.”
Probabilmente era stato destino incontrarlo al buio: due
identità
nascoste, misteriose, non potevano che incontrarsi così.
Kanda odiava sentire il suo nome.
Lavi voleva solo che dimenticasse di odiarlo.
“Ti chiami Yuu, vero?”
Sì... in quel momento
si chiamava Yuu e lo sarebbe stato per
centonovantatré giorni.
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